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De modo procedendi: dalla normativa alla pratica tra Cinque e Seicento

Per un’ulteriore comprensione dell’esercizio giudiziario pontificio in quegli anni di fine Cinquecento e inizio Seicento, è opportuno spostare l’angolo d’osservazione dalla teoria legislativa alla pratica giudiziaria, con l’obiettivo di richiamare, accanto alle fonti normative sin qui analizzate, anche quelle giuridiche.

I manuali di procedura giudiziaria che fioriscono nella seconda metà del XVI secolo sono specchio senza dubbio di un interesse crescente per la corretta applicazione delle norme, ma allo stesso tempo denotano una forte necessità di superare quella cesura, spesso ricorrente, tra la teoria – rappresentata dai provvedimenti normativi – e l’effettiva pratica giudiziaria.

Nello svilupparsi della scienza giuridica, il genere del manuale procedurale ricopre un ruolo di vera e propria “architrave dottrinale”, all’interno di quella che Mario Sbriccoli definiva “giustizia egemonica”. Nello specifico della procedura penale, tale sviluppo porta

alla produzione di una vasta congerie di practicae che se da un lato prendono l’avvio con il diffondersi dell’insegnamento del diritto criminale nelle aule universitarie, dall’altro appaiono come chiara spia del procedere dello Stato moderno nella costruzione di un apparato giudiziario sempre più accentrato e gerarchizzato95; il diritto criminale viene così a rappresentare, lungo il corso del Cinquecento, quel canale privilegiato attraverso cui le nuove strutture statali tendono ad egemonizzare l’esercizio della giustizia. Questi manuali forniscono talvolta non solo una summa di principi generali legati all’esercizio pratico dello ius

criminale, bensì anche il quadro speculare della realtà forense all’interno della quale l’opera

stessa prende corpo.

A questo diffondersi delle pratiche criminali finiscono per accostarvisi anche opere di più ampio respiro giuridico, civile e criminale assieme, che accorpano l’intera impalcatura della prassi giudiziaria. Inoltre le practicae non nascono esclusivamente con la finalità di porre ordine all’interno di un determinato uso forense – come può essere quello romano – bensì dalle esigenze interne agli stessi tribunali, soprattutto quando a questi pertengono vaste competenze, afferenti sia alla pratica in civilibus che a quella in criminalibus. Giureconsulti interni alla stessa magistratura, oppure notai chiamati a rogare ogni singolo atto della procedura, sentono così la necessità di ordinare, evitare incomprensioni e possibili abusi, rappresentare concretamente l’iter processuale da percorrere, porre distinguo e glosse attraverso esemplificazioni di casi concreti.

Accanto a più o meno valide sintesi procedurali, per quello che riguarda lo specifico del Tribunale dell’A.C. si pone in evidenza la Practica Iudiciaria compilata dal chierico Salustio Tiberi da Corneto, appunto a beneficio della curia giudiziaria dell’Uditore di Camera. La prima pubblicazione risale al pontificato sistino, nel 1586, quando a capo dell’ufficio si alternarono Girolamo Mattei (nominato cardinale in dicembre) e Agostino Cusani.96 Nel 1593 – nel secondo anno del pontificato di Clemente VIII – il Tiberi ottiene il privilegio papale97

95 Cfr. M. Sbriccoli, Giustizia criminale, cit., p. 173, nota 4. Lo studioso sviluppava una lucida riflessione sulla

giustizia negoziata e quella egemonica, spiegando come lo Stato moderno veniva costruendosi proprio attraverso l’estensione di quest’ultima e grazie alla legittimazione fornita progressivamente dagli stessi manuali procedurali. In nota egli forniva anche una lunga lista cronologica delle principali practicae criminales dall’Averolda di Ippolito Marsili (1526) sino a quella del Bordoni nel tardo Seicento, accostandovi anche manuali inquisitoriali e di procedura criminale canonica.

96 S. Tiberi De modo procedendi in causis, quae coram Auditore Camerae aguntur, Venetijs: apud Marcum

Amadorum, 1586.

97 S. Tiberi, Causarum, quae coram Auditore Camerae aguntur Practica iudiciaria, nunc demum multò auctior et certior, quam antea ab Authore reddita [accessit singularium materiarum locupletissimus Index, elementis Alphabeticis per D. Franciscum Belgum Virdunensem venustè, fideliterque digestus, cum privilegio Summi

per una seconda pubblicazione del manuale e indirizza una lettera dedicatoria all’allora monsignor Camillo Borghese, titolare dell’ufficio.98 L’autore si avvale per questo lavoro anche della collaborazione del Decano dei notai dell’Auditor Camerae, Francesco Belgi, compilatore di un Titulorum et materiarum magis insignium Index locupletissimus,99 apposto alla pratica stessa del Tiberi. Quest’ultima – suddivisa sempre in quattro libri – reca una sostanziale modifica nella parte finale, dove lo stesso notaio Belgi predispone una raccolta di esempi pratici tratti da scritture giudiziarie afferenti ai diversi gradi della procedura.

Nel primo libro, dopo un proemio che richiama il classico assunto experientia est rerum

magistra, e di come la vera procedura o stylus di un Tribunale sia fondato essenzialmente

sugli esempi pratici, il Tiberi affronta la principale peculiarità competenziale del foro dell’Auditor Camerae, cioè le obbligazioni camerali, ponendo a confronto l’antico stile con quello ormai affermatosi negli ultimi anni: viene così analizzato progressivamente l’iter percorso nelle diverse cause, sia interne che esterne alla curia, attraverso un costante riferimento agli Instrumenta prodotti in sede processuale.100

Pontificis, Romae, apud Haeredes Ioannis Liliotti. Cum licentia Superiorum, Anno Domini, MDXCIII [1593]: la

data è “duodecimo kalendis Augusti Anno Secundo” (Ivi, cc. VIv-VIIr).

98 Cfr. Ivi, cc. IIr-v. Non riscontrandosi notevoli variazioni fra le due versioni del manuale - se non nella parte

relativa al quarto libro compilato dal notaio Belgi - si proverà a seguire la procedura pratica dall’edizione del 1593 (d’ora in poi S. Tiberi, Practica iudiciaria).

99 Cfr. Ivi, cc. IIIr-v: lettera dedicatoria del Belgi indirizzata agli altri nove uffici notarili: “Franciscus Belgius virdunensis, DD. Marcantonio Bruto, Hieronymo Fabrio, Ioannifrancisco Ugolino, Mauritio Buccarino, Cinthio Cellio, Constantino Mayno, Petroantonio Catalonio I.V.D. Antonio Maynardo, et Vincentio Panitio. Supremae forensis Aulae A.C. Notarijs Primarijs Collegis integerrimis” (Ivi, f. IIIr); per il confronto con una lista

contemporanea cfr. ASR, Notai dell’Auditor Camerae, Inventario n. 11, dove all’anno 1593 compaiono i seguenti nomi: Belgius Franciscus, Bovarinus Mauritius, Brutus Marcus Antonius, Catalonius Petrus Antonius,

Cellius Curtius, Fabrius Hieronimus, Maynardus Antonius, Maynus Constantinus, Panizza Vincentius, Ugolinus Franciscus.

100 Prospetto dei capitoli del primo libro: Cap. I - Proemium; Cap. II – De varijs antiquarum cameralium obligationum formis; Cap. III – De processus simplicis cameralis obligationis instrumentis in urbe celebratis appositae antiquitus servari solito; Cap. IV – De processu exequutionis obligationis antiqua censuris munitae; Cap. V – De appositione manus Judicis in l. actorum Notarii; Cap. VI – De processu exequutionis cameralis obligationis instrumentis extracuriam celebratis adiecta; Cap. VII – De processu exequutionis obligationis cameralis censuratae, annexae contractibus extra curiam celebratis; Cap. VIII – De modo procedendi ad fulminationem censurarum, qui olim servabatur, hodie sublato; Cap. IX – De duabus obligationis cameralis formulis ex reformatione Pii quinti ad inventis; Cap. X – De novis cameralis obligationis formulis quae hoc tempore sunt in usu; Cap. XI – De modo procedendi ad excommunicationem obligatorum in forma Camerae; Cap. XII – De cambiorum obligationibus ac interesse liquidatione; Cap. XIII – De societatibus officiorum et illarum forma; Cap. XIIII – De fide seu memoria contractuum societatum fieri consueta; Cap. XV – De lucro pecuniarum societatum, tempore illas disdicendi et requisitis super earum contractu; Cap. XVI – De societatus disdictis; Cap. XVII – De dissolutione societatis; Cap. XVIII – De casibus mortis in societatibus exceptis; Cap. XIX – De casu obitus hominis, qui post lethale acceptum vulnus mortem sibi conscivit; Cap. XX – An agens ad pecuniarum societatis consequutionem, per personam, in cuius vitae periculum sunt, superstitem esse docere teneatur?; Cap. XXI – Deperdito, aut in actis non redacto originali societatis instrumento, quomodo procedatur?; Cap. XXII – De societatibus super officio ultra medietatem praetijaere alieno gravato contrahendis; Cap. XXIII – De solutione fructuum societatis; Cap. XXIV – De censibus; Cap. XXV – De instrumenti censuum post aeditam à Pio V de illis creandis constitutionem forma; Cap. XXVI – De antiquarum

Per avere un quadro più completo delle procedure del Tribunale occorre però scorrere le pagine della Practica sino al capitolo 9 del libro secondo101, quando l’autore prende l’avvio nel trattare De Judicijs ordinariis.102

Egli rimanda in apertura direttamente all’ultima normativa valida emanata, ossia la Costituzione apostolica di Pio V, Inter Illae, del novembre 1570. Questa rimane, all’inizio del pontificato di Clemente VIII, il documento a cui fare diretto riferimento, e di cui è stato già trattato nei paragrafi precedenti.103 Da tale base legislativa l’autore riprende le principali competenze dell’organo giudiziario nell’amministrazione ordinaria della giustizia: conoscenza cameralium obligationum post editam a Pio Quinto tribunalis A.C. reformationem exequutione; Cap. XXVII – De modo procedendi ad exequutionem instrumentorum, quae post Pii V reformationem sub camerali obligatione absque procuratoris constitutione, mandatique susceptione in tribunali A.C. recepta sunt; Cap. XXVIII – De censuris, seu termino ad solvendum concedendo; Cap. XXIX – De exequutione simplicis cameralis obligationis instrumentis extra tribunal A.C. vel Ro. Cu. celebratis adiectae contra debitores in Curia repertos; Cap. XXX – De exequutione cameralis obligationis simplicis adiectae instrumentis in curia extra tribunal A.C. recepris, vel extra curiam celebratis, in quibus tamen solutio Romae destinata est, contra debitores ab Urbe absentes; Cap. XXXI – De modo exequutionis instrumentorum simplici camerali obligatione vallatorum extra Ro.Cu. receptorum, in quibus solutio alibi, quam in Urbe destinata, contra debitores extra Urbem degentes; Cap. XXXII – De modo procedendi ad exequutionem cameralis obligationis in tribunali A.C. celebratae, in qua mandatum exequutivum una vel bina citatione praecedente sit consensum, contra debitores in curia apprehensos; Cap. XXXIII – De processu executionis similium instrumentorum extra tribunal A.C. factorum, contra debitores praesentes; Cap. XXXIV – De calculis, qui inter collitigantes fiunt; Cap. XXXV – De modo procedendi ad instrumenti exequutionem contra Communitatem; Cap. XXXVI – De nullitate et revocatione mandati et exequutionis; Cap. XXXVII – De obligationis quarantigiae exequutione; Cap. XVIII – De processu exequutionis instrumenti, in quo Notarius omiserit ponere, sub qua forma debitor se obligaverit; Cap. XXXIX – De mandatorum exequutivorum exequtione; Cap. XL – De pignorum subhastatione; Cap. XLI – De pignorum deliberatione; Cap. XLII – Ante addictum pignus primus creditor comparens deliberationem impediat?; Cap. XLIII – DE processu exequutionis cameralis obligationis, quando faca est personarum mutatio; Cap. XLIV - De validitate citationis per Auditorem Camerae decretae post illius obitum vel assumptionem ad cardinalatum; Cap. XLV – An mortuo creditore post monitorium exequutum et reproductum, aliud requiratur; Cap. XLVI – De aliquibus ad exequutionem cam.obl. attinentibus, quae Notarij officium concernere videntur; Cap. XLVII – De remissoria pro Cameralis obligationis liquidatione; Cap. XLVIII – De exequutione mandatorum, extra A.C. tribunal relaxatorum, extra Urbem facienda; Cap. XLIX – De citationibus et illarum exequutione; Cap. L – De summis in petitione mandati relaxationis exprimendis; Cap. LI – De repositionibus; Cap. LII – De deputatione curatoris; Cap. LIII – De hereditatis aditione, et inventarij confectione; Cap. LIV – De aperitione et publicatione testamenti in scriptis conditi; Cap. LV – De clausulae constituti exequutione. (Ivi, pp. 1-133) 101 Prospetto dei capitoli del secondo libro: Cap. I – De modo procedendi in iudicijs possessoriis; Cap. II – De modo procedendi vi Salviani interdicti; Cap. III – De modo procedendi in remedio interdicti quorum bonorum; Cap. IV – De remedio l. fin. C. de edict. divi Adriani tollendo; Cap. V – De processu in remedio interdicti, quorum legatorum; Cap. VI – De retinenda; Cap. VII – De recuperanda; Cap. VIII – De modo procedendi in causis restitut. in Integrum; Cap. IX – De Judicijs ordinariis; Cap. X - De modo procedendi in causis ordinariis à 20 ducatis usque 200; Cap. XI – De aliquibus ad testium examen attinentibus; Cap. XII – De processu in causis ordinariis à 200 ducatis supra; Cap. XIII – De monitoriis per edictum et illorum exequutione; Cap. XIV – De Judicio exhibition; Cap. XV – De iudicio cum procuratore incohando; Cap. XVI – De diffamationis iudicio; Cap. XVII – De processu inter et contra mercatores faciendo; Cap. XVIII – De sequestris et arrestis, illorumque revocatione; Cap. XIX – Mandata suspicione fugae quomodo et quando concedatur?; Cap. XX – De causis ad Auditorem Camerae per viam appellationis devolutis et illarum processu; Cap. XXI – De exequutione rei iudicata; Cap. XXII – De aliquibus pertinentibus ad processum causarum criminalium. (Ivi, pp. 134-232). 102 Ivi, p. 169.

103 Il Tiberi inserisce la riproduzione a stampa della Costituzione al termine dei quattro libri della sua Practica,

in prima istanza delle cause esecutive di lettere apostoliche; giurisdizione ordinaria nei confronti degli ufficiali curiali e dei mercanti; facoltà di ricevere gli appelli dalle cause giudicate precedentemente dai giudici romani delle curie di Borgo, Torre Nona e Savelli; la prerogativa concessa al Tribunale nei confronti degli appartenenti al popolo romano, qualora questi decidano di ricorrere al foro dell’Auditor Camerae; il diritto di prevenzione nelle cause con obbligazione camerale e il diritto di procedere per citazione nelle cause ordinarie anche oltre i 20 ducati.

Ed è proprio dalla natura di queste ultime cause che il Tiberi prosegue nella sua trattazione.104 Nelle procedure ordinarie, che implicano cifre dai 20 ai 200 ducati, occorre in primo luogo l’emanazione del monitorio esecutivo personaliter. Riportato questo negli atti notarili si lasceranno tre giorni di tempo alla parte in causa, dopodichè si procederà con la verifica della citazione, la quale potrà avvenire tramite presentazione di scritture comprovanti i propri diritti oppure mediante esame di testimoni o aliud probationis genus.105 Se i documenti presentati a carico non saranno prodotti nella forma legale riconosciuta quale elemento probatorio, e la parte citata non li contesterà, il giudice potrà comunque procedere alla sentenza acquisendo tacitamente la scrittura, e successivamente non potrà più ammettere una eventuale considerazione della stessa parte in causa. Sebbene, prosegue l’autore, il giudice rimane libero di esercitare il proprio arbitrio in materia.

Durante la verifica del monitorio le parti in causa potranno richiedere la discussione degli articoli tramite alcuni testimoni. Questi verranno convocati e dopo aver prestato giuramento, saranno sottoposti ad interrogatorio di fronte al notaio che dovrà mettere tutto scrupolosamente per iscritto. Quanto al monitorio, il giudice non potrà concederlo mediante editto pubblico, a meno che il citato non sia ormai latitante oppure lo prevedano alcuni rescritti speciali, come nel caso dell’esecuzione di lettere apostoliche o della diretta delega papale a procedere nella causa.106

Sull’esame dei testimoni, il Tiberi si sofferma a sottolineare come questi possano essere convocati ed esaminati anche dopo la scadenza del lasso di tempo stabilito per la raccolta delle prove. Tuttavia, di fronte a questa trasgressione, qualora il procuratore preveda un nuovo esame dei testimoni oltre tale termine, il notaio non potrà procedere all’esame se non avrà ottenuto l’espresso mandato del giudice. Inoltre, in sede di interrogatorio è riconosciuta anche

104 Ivi, pp. 174-183. 105 Ivi, p. 174. 106 Ivi, pp. 190-191.

la presenza di eventuali interpreti, i quali dovranno preliminarmente giurare di interpretare fedelmente ciò che a loro sarà chiesto. Il notaio dovrà anche mettere su carta qualsiasi ingiuria subita dai testimoni a sostegno di una piena diligenza nella procedura. 107 Infine l’autore si diffonde anche a spiegare come ci si debba comportare in caso venga permesso il sequestro dei beni dell’accusato o il suo arresto.

Si procederà quindi con la compilazione di un sommario del processo che dovrà essere rimesso al Giudice dai notai, assieme alle scritture comprovanti il giuramento fatto dai testimoni negli interrogatori. Seguirà poi la vera e propria contestazione della lite tra le parti fino a giungere all’emanazione della sentenza. In questo contesto le scritture prodotte dal Tribunale sono molteplici e più difficile appare la libertà del giudice che rimane fortemente vincolato alle norme.

La procedura sin qui analizzata, sulla scorta della trattazione del Tiberi, rappresenta quindi in linea generale lo stile forense del Tribunale e in particolare l’attivazione delle cause per via di monitorio. Deve però essere ricordato come dal punto di vista della pratica giudiziaria in materia criminale – in connessione con il più ampio sviluppo di una procedura straordinaria e la necessità, di fronte a crimini atroci, di un più celere giudizio – il Tribunale dell’A.C. potesse procedere anche ex-officio e per via d’inquisizione e tramite istigazione del Procuratore fiscale. Al richiamo di tale procedura non si sottrae il Tiberi, inserendo alcuni elementi comuni ad entrambi i metodi civile e criminale ma riservando in esclusiva un capitolo a quest’ultimo. 108

Dopo aver ancora ricordato l’estensione giurisdizionale e le competenze in materia criminale, viene posta la questione di come si debba procedere. Si propongono così le tre vie perseguibili nell’attivazione del processo già riscontrate nella normativa, e cioè quella che si genera dalla denuncia del Procuratore fiscale, quella per querela di una delle parti in causa, oppure quella per via inquisitoria, ex-officio. La decisione di quale via intraprendere appare strettamente legata alla natura del delitto ma anche alle disposizioni del diritto e alle prescrizioni normative. Infatti il Tiberi si premura quasi subito di ricordare – pur all’interno delle amplissime prerogative del Tribunale che lo definivano competente contro quascunque

personas quantumvis privilegiatas – di come l’A.C. non potesse di fatto muovere causa

contro cardinali o vescovi senza un mandato esplicito del pontefice. 109 Ad eccezione dei casi

107 Ivi, pp. 183-184.

108 Ivi, cap. XX, pp. 229-232. 109 Ivi, pp. 229-230.

e delitti contenuti nell’annuale promulgazione della bolla in die Coena Domini,110 l’A.C. ha, in definitiva, la facoltà di citare a comparire presso la propria sede romana, da quibuscunque

mundi partibus, qualsiasi delinquente, laico od ecclesiastico, anche investito di dignità

episcopale (nel qual caso previa autorizzazione papale). Se la curia giudiziaria sarà in possesso di alcune prove a carico degli indiziati, potrà inviare un mandato di comparizione alla parte in causa111, che dovrà presentarsi presso il giudice competente entro il termine posto in ragione della distanza del luogo, personalmente e non rappresentato da procuratore o altro

excusatorem. Qualora, invece, di fronte all’istanza della parte lesa, la curia non possegga

ancora degli indizi sufficienti all’emanazione del monitorio, si dovrà procedere con l’invio di una lettera di delega per la raccolta di prove, presso un giudice investito di dignità ecclesiastica e competente per il luogo di provenienza del presunto reo.112 Tale giudice

110

Si tratta della bolla che veniva emanata nel giorno di giovedì santo; per l’assoluzione dalle trasgressioni in essa contenute era necessario l’intervento diretto del pontefice. “Questa bolla sortì il suo nome dal leggerla che si faceva in ogni anno nella feria V in Coena Domini. La cerimonia si praticava nella loggia della basilica vaticana alla presenza del Pontefice, del sacro Collegio e della corte romana […] Alcuni autori pensano che i principii di quella Bolla si debbano a Martino V, del 1420, altri a Clemente V e fino a Bonifacio VIII. Il Papa Giulio II, nel 1511, decretò che cotesta Bolla avrebbe avuto forza di legge, e Paolo III si riservò, nel 1536 l’assoluzione dalle censure fulminate nella medesima. Pio V emanò lo stesso editto che Giulio II, e si riservò come Paolo III, tutti i casi riservati in essa Bolla, in maniera che nessun sacerdote potrebbe darne l’assoluzione fuorchè nel pericolo di morte. I principali articoli, ivi racchiusi, sono la eresia e la protezione accordata agli eretici, la falsificazione delle Bolle e delle lettere emanate dalla Santa Sede, i cattivi trattamenti esercitati contra a’ prelati, la pirateria, gli attentati sulla giurisdizione ecclesiastica” (G. Moroni, Dizionario, cit., vol. 5, pp. 282- 283).

111

Si fornisce una trascrizione di fac-simile di monitorio ad personaliter comparendum, tratta dalla raccolta del notaio Belgi nel libro quarto della Practica: “Camillus etc. universis etc. significavit nobis gravi cum querela,

non sine animi nostri molestia Ill. D. Io. Iacobus Nerottus I.V.D. S.D.N. Papae et Camerae Apostolicae procurator fiscalis A. in anima suae praeiudicium, ac Sedis Apostolicae contemptum certarum literarum monitorialium per nos ad instantiam N. emanatarum exequutio né impedire non erubuisse, censuras et poenas, in bulla die coena Domini quotannis legi solita temere incurrendo. Quare pro ipsius d. procuratoris fiscalis parte opportuno iuris remedio requisiti, constito nobis prius per iura quae dat in actis exhibita, ac depositionem nonnullorum testium, de mandato nostro examinatorum praemissa à veritate non discrepare vobis committimus etc. moneatis dictum A. etc. quatenus infra decem dies etc. sub mille ducatorum auri Camerae et pro illis mandati exequttivi, et in iuris subsidium excommunicationis, privationisque quorumqunque beneficiorum et officorum quae obtinet triremium ac perpetuae notae et infamiae alijsque censuris, et poenis arbitrio nostro augendis, et moderandis debeat in Romana Curia coram nobis, seu Mag. D. nostro in criminalibus Locumtenente per se ipsum, et non per procuratorem, seu executorem aliquem comparisse et praesentasse, et se