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Il Diritto comune in età moderna: crisi o nuove configurazioni?

Per la storiografia tradizionale la realtà giuridica dello ius commune, quale diritto superiore e unitario vigente per i territori del Sacro romano Impero medievale, sarebbe derivata dalla rinascita degli studi del diritto giustinianeo nella Bologna del XII secolo. Tale concetto “unitario” del diritto trovò ampia conferma negli studi di Francesco Calasso, negli anni Settanta del secolo scorso, quando lo studioso giunse ad individuare tre fasi ben distinte della sua evoluzione: quella del diritto comune assoluto (secc. XII-XIII), caratterizzato dal predominio di questo su ogni altra fonte concorrente; quella del diritto comune sussidiario (secc. XIV-XV), caratterizzato dall’affermazione dello ius proprium; quello del diritto comune particolare (età moderna), quando venne ad affermarsi il dominio del diritto dei singoli Stati, capace d’imporsi come emanazione del potere del principe.54

Più recentemente Mario Caravale – riprendendo una linea di ricerca che era già stata affrontata, alla fine degli anni Novanta, da Jean-Marie Carbasse55 – ha fornito uno studio comparato fra tre sistemi giuridici che si richiamavano ad una medesima matrice terminologica: diritto comune, droit commun e common law.56 L’indagine dello studioso

partiva dalla definizione tradizionale del diritto comune - quale collante giuridico di tutto il

54

I punti fondamentali di questa costruzione storiografica sono stati tracciati da Giuseppe Ermini, Corso di

diritto comune. Genesi ed evoluzione storica. Elementi costitutivi. Fonti, Milano, 1943 (ora in Scritti di diritto comune comune, a cura di D. Segoloni, voll. II, Padova, 1976-80), e ripresi in seguito da Francesco Calasso in Introduzione al diritto comune, Milano, 1970. Secondo questi autori, la dottrina giuridica – affermatasi

soprattutto in Italia a partire dalla rinasciata degli studi del diritto romano a Bologna nel XII secolo – aveva considerato come diritto vigente nell’impero medievale quello giustinianeo, ne aveva fornito un’interpretazione originale che lo adeguava alla realtà concreta della società contemporanea, affiancandolo ad un altro diritto universale, quello canonico. Da questa origine, nella convinzione che l’impero fosse romano e cristiano, venne ad affermarsi l’utrumque ius, cioè il diritto comune a tutti i popoli dell’Impero. Una rapida ed incisiva sintesi di questo percorso è stata fornita di recente da M. Caravale, Alle origini del diritto europeo, cit., pp. 1-63.

55 Cfr. J. M. Carbasse, Introduction historique au droit. 56 M. Caravale, Alle origini del diritto europeo.

Sacro romano impero medievale - per poi giungere alla verifica di come tale nozione sia stata in realtà identica nella sostanza nei diversi ordinamenti in cui trovava applicazione, ma abbia assunto specifiche colorazioni in ciascuno di loro, in relazione alla concreta realtà giuridica, culturale, sociale e politica.57

Quello che qui si vuole riprendere non è tanto legato a questa comparazione, quanto all’analisi del dibattito storiografico sull’esistenza o meno di un ordinato sistema giuridico per il basso medioevo e l’età moderna, sulla superiorità riconosciuta in quel periodo al diritto giustinianeo e sul complesso rapporto tra diritto civile e diritto canonico, fra diritto comune e diritti particolari che rappresenta uno degli scenari costanti della trattazione normativa che si sta proponendo.

Innanzitutto il concetto esposto dal Calasso ed articolato nelle tre fasi cronologiche distinte, ha permesso a Caravale di comporre la base storiografica alla quale muovere le proprie critiche; queste fasi propongono l’emergere di questioni non tanto per il periodo delle origini (XII secolo), quanto per quello della “crisi” (XV-XVI secolo), durante il quale – anche per il Calasso – il sistema del diritto comune si sarebbe venuto irrimediabilmente a sfaldare e decomporre.58

Secondo il Caravale, l’idea sottostante a tutta questa tesi storiografica ha goduto di grande fortuna sino ai nostri giorni, accolta da storici italiani e stranieri, ma al contempo è stata capace di immettere nel dibattito critiche, dubbi, proposte alternative, soprattutto in relazione all’età moderna. Una fra le tante contraddizioni interne alla teoria storiografica tradizionale – la cui origine risiede nell’incapacità di una traslazione, non solo mentale ma anche istituzionale, dal contemporaneo verso la realtà storica indagata – appare relativa all’adozione di un’impostazione “territorialistica” del diritto comune. Questo è stato presentato troppo spesso come un diritto delle sole regioni comprese nel Sacro romano Impero escludendone la vigenza per quelle zone che si trovavano al di fuori di tale influenza.59 La comparazione proposta dal Caravale veniva invece rafforzata dal fatto che nel Medioevo non esistesse la territorialità del diritto, ma la “personalità”; infatti, come dimostrato dal Grossi, anche nei

57 Ivi, pp. 2-3.

58 “Tale teoria [storiografica] legava […] l’esistenza del sistema di diritto comune alla realtà istituzionale del

Sacro Romano Impero, del quale ripeteva la natura bifronte e la coesistenza di un pluralismo locale e di unità generale. Ne derivava, allora, la convinzione che il sistema di diritto comune era entrato in crisi irreversibile quando, all’inizio dell’età moderna, l’impero medievale aveva cominciato a perdere significato sia sotto il profilo spirituale […] sia sotto quello politico, in virtù dell’emersione definitiva degli Stati nazionali” (Ivi, pp. 5- 6).

territori compresi all’interno dell’Impero sussistevano diritti consuetudinari, mentre in Francia e Inghilterra, il diritto canonico avrebbe portato all’elaborazione di un droit commun e di un

commun law. Il diritto non era insomma per terre ma per persone.60

Un’altra contraddizione evidente della storiografia tradizionale riguarda l’ordinamento medievale, inteso come segnato da una sovranità assoluta dell’Impero; in tal modo si tenderebbe a sostenere il diritto comune come un sistema legislativo unitario; ma il rischio insito in questa lettura sta nell’intendere l’Impero medievale come un organismo statale contemporaneo, senza crepe né particolarismi, che invece furono propri del sistema politico medievale. Tale incompatibilità interna è stata, negli anni Novanta, messa in luce da uno studio, ormai classico, di Paolo Grossi, nel quale veniva sottolineato come il ricorso a categorie giuridiche, desunte da ordinamenti a noi contemporanei, abbia impedito di cogliere la particolare natura del diritto comune, inscindibilmente legata alla religiosità medievale61 Del resto anche Calasso poneva come collante sottostante all’Impero medievale la matrice religiosa e unitaria dell’Europa occidentale, ma egli aveva tralasciato di indagare più a fondo la realtà multilivellare sia del sistema politico che della complessa realtà religiosa.

Un ulteriore ambito di critiche ha coinvolto la tesi di un’ordinata gerarchia di fonti giuridiche: Guido Astuti, già dagli anni Ottanta aveva affermato come i giuristi del Medioevo non avessero alcuna consapevolezza dell’esistenza di un ordinato e funzionante rapporto tra diritto comune e consuetudinario; essi non riconoscevano all’intero corpo di norme giustinianee un’autorità universale, esclusiva, ma vi ricorrevano solo sulla base di proprie valutazioni e spinti da necessità pratiche. Non facevano altro che richiamarsi, cioè, al principio secondo il quale una norma particolare deroga ad una generale, e quest’ultima completa, in funzione sussidiaria, la disciplina della prima62

60 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., pp. 230-33; M. Caravale, Alle origini del diritto europeo, cit., pp.

236-240. Caravale riconosce nei tre tipi di ordinamenti presi in considerazione l’opportunità di individuare tre diversi momenti della cultura giuridica europea della prima età moderna e non tre zone contrapposte territorialmente: “La costruzione di categorie teoriche razionali entro cui poter inquadrare e leggere le norme particolari, prodotto consolidato della tradizione dottrinaria medievale, soprattutto italiana, si confermò prevalentemente legata alla disciplina dei rapporti intersoggettivi, mentre nella scienza giuridica francese faceva la sua comparsa la nozione di leggi fondamentali, riguardanti lo status regni, nate dalla consuetudine e superiori al monarca stesso, e in Inghilterra i diritti individuali disciplinati dalla consuetudine condivisa da tutte le comunità del regno erano teorizzati come immodificabili e inviolabili da ogni autorità.” (Ivi, p.240).

61 Cfr. P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., pp. 227-229. 62

G. Astuti, Recezione teorica e applicazione pratica del diritto romano nell’età del rinascimento giuridico in

Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, a cura di Giovanni Diurni, vol. I, Napoli, 1984 pp. 237-262

[già pubblicato negli Atti del Colloquio “Le droit romain et sa reception en Europe”. Università di Varsavia, 8- 10 ottobre 1973, Varsavia 1978 pp. 32-58]; cfr. anche M. Caravale, Alle origini del diritto europeo, p. 9.

Infine, un'altra questione problematica nasceva dall’idea dell’accoglimento o meno, all’interno del diritto comune, di quel diritto canonico che a partire dal XIII secolo, con le decretali pontificie, s’era affermato all’interno della cristianità come diritto ufficiale della Chiesa di Roma.63

Per la teoria tradizionale non vi erano dubbi su questa compresenza, e lo stesso termine dell’Utrumque Ius – come s’è visto – appariva costante nella formazione dei giuristi del tempo. Tuttavia già dagli anni Settanta si erano levate le prime critiche a questo sistema duplice e unitario: Giovanni Cassandro, nel 1971, aveva cominciato a sostenere come in realtà il diritto comune fosse costituito solo dal diritto civile e come il diritto canonico avesse la sola funzione di definire e regolare la normativa valida per la Chiesa Universale.64

In riferimento al primo ambito storiografico richiamato sopra, cioè la natura del diritto comune, la sua crisi in età moderna, la sua conflittualità con diritti consuetudinari o principeschi – anche alla luce dell’analisi posta da Mario Caravale – si dimostrano ben legittime le critiche mosse all’idea tradizionale - in particolare quella del Calasso - secondo la quale la prima età moderna sarebbe corrisposta ad una fase di decadenza dello ius commune, divenuto ormai marginale rispetto alla legislazione del principe e vigente solo in virtù dell’autorizzazione di costui.

Infatti, secondo Caravale, si dovrebbe rilevare soprattutto come i giuristi del tempo, se opposero un termine dialettico a quello di diritto comune, lo compresero all’interno di un diritto statutario o consuetudinario, non certamente in rapporto ad un diritto generale di una regione o di un principato. Per lo studioso quest’ultimo sarebbe da considerarsi come un dato troppo marginale se posto in contrapposizione al diritto comune.

63 “L’Impero, essendo sacro e romano, costituiva un’unità istituzionale bifronte, temporale e spirituale al

contempo, e pertanto richiedeva la compresenza di due diritti che fossero altrettanto universali, il romano per le questioni temporali, il canonico per le materie spirituali, diritti tra loro inscindibilmente legati. Pertanto, secondo tale tesi, diritto romano e diritto canonico, nell’elaborazione offerta dalla scienza giuridica medievale, avevano costituito l’utrumque ius, il diritto comune a tutti i popoli dell’Impero. Due diritti distinti i cui rapporti erano disciplinati da una serie di regole dirette a conservarne l’intima unità: il diritto civile si occupava delle materie temporali, il canonico delle spirituali; le lacune dell’uno erano colmate grazie al ricorso alle corrispondenti disposizioni dell’altro; nelle regioni che costituivano le Terrae Ecclesiae, il diritto canonico disponeva anche in materia temporale” (M. Caravale, Alle origine del diritto europeo, p.4). cfr anche C. Fantappiè, Introduzione

storica al diritto canonico.

64 G. Cassandro, Lezioni di diritto comune, vol. I, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1971, pp. 285-286; la

concezione di Cassandro faceva eco alla posizione, quasi contemporanea, assunta dal francese Legendre, che aveva contestato l’esistenza di una identica posizione del diritto civile con quello canonico già dal secolo XIII, rilevando la superiorità del primo, fondato sul testo della compilazione giustinianea, rispetto al secondo che andava ancora cercando la propria definizione (P. Legendre, Le droit romain, modèle et langage. De la

signification de l’utrumque ius, in Etudes d’histoire du droit canonique dédiés à Gabriel Le Bras, vol. II, Sirey,

Lo ius commune si sarebbe confermato come espressione di una lunga e articolata tradizione interpretativa delle norme giustinianee e canoniche iniziata con la scuola della glossa ma poi proseguita nei secoli successivi; tale diritto non sarebbe che un accumulo interpretativo, prodotto dalla scienza giuridica medievale e moderna, sulla base normativa giustinianea; un diritto universalmente riconosciuto come dotato di un autorità che veniva legittimata da molteplici argomenti; superiore, tanto da non poter essere modificato da leggi generali di pontefici, imperatori e principi.

Il diritto comune appare quindi come un sistema onnicomprensivo, nel senso che in esso può essere rinvenuta la disciplina di tutti i casi maturati nella prassi. Al tempo esso costituiva pertanto l’unico diritto di rinvio dai diritti particolari, ma soprattutto veniva inteso come diritto capace di definire le categorie teoriche generali entro cui le norme dello ius proprium avrebbero potuto essere inserite. Una volta operato tale inquadramento la regola disposta dalla norma particolare veniva letta alla luce della disciplina definita per quella categoria.65

Un’altra recente sintesi, disposta ad abbracciare tutte le fonti e la cultura giudica moderna con una funzione prettamente manualistica, è quella proposta da Italo Birocchi. Interessante è qui sottolineare quale sia la problematica che lo studioso tende a far emergere già dalle prime pagine, se l’analisi storiografica sia cioè da focalizzarsi sulla crisi del sistema del diritto comune oppure sulla formazione dei diritti “statali”.66

L’autore afferma come nell’Europa continentale degli inizi del Cinquecento fossero ancora operanti i capisaldi di “quel che è stato chiamato il sistema del diritto comune: sistema complesso, caratterizzato da una molteplicità di fonti incentrate sul diritto romano-canonico, che poteva configurarsi unitariamente – come ordinamento – grazie all’interpretatio della dottrina”67; ma già da tempo sarebbe stato in atto un processo in grado di mettere in discussione i fondamenti del modo di pensare, dei modelli di riferimento, e dell’intero sistema giuridico tradizionale.68

65

M. Caravale, Alle origini del diritto europeo, pp. 61-62. Caravale, in definitiva, finisce per sottolineare la scarsa rilevanza di un diritto generale, comune all’intera popolazione territoriale, nelle diverse unità principesche centro-settentrionali. Questo fa essenzialmente il paio, in una stretta e coerente simbiosi, con la visione personale dello studioso circa il problema della genesi dello Stato “moderno” – in particolare quello della Chiesa – che avremo modo di trattare più avanti.

66 I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine.Fonti e cultura giuridica nell’età moderna.Giappichelli Editore, Torino,

2002.

67 Ivi, p. 1. 68

“Ma conviene già mettere in discussione la terminologia spesso impiegata dalla storiografia giuridica – essenzialmente solo italiana – che, riferendosi ai secoli dell’età moderna, suole complessivamente comprenderli come l’età della crisi del diritto comune: un’età che sarebbe connotata ancora dal ruolo centrale di tale diritto, ma che nel contempo registrerebbe la sua crisi, per la lenta erosione alla quale esso fu sottoposto a causa della

Birocchi si oppone qui alla ricostruzione tradizionale in quanto da un lato non consentirebbe di dare un appropriata centralità ai processi di unificazione giuridica all’interno dello Stato territoriale; dall’altro non permetterebbe di tener conto di come all’interno della categoria “diritto comune” quello canonico andasse perdendo buona parte dell’antico ruolo; inoltre - accettare la tesi tradizionale - non mostrerebbe il mutare della funzione del diritto romano all’interno della dialettica ius commune/ius municipale. Tale diritto romano assunse infatti sempre più il ruolo di ragione scritta (ratio scripta).

Quello che qui sembra richiamare il Birocchi – e che non si avverte in Caravale – è l’attenzione ad un processo di statalizzazione, non derivante solo dall’emersione della legge del sovrano ma piuttosto da un fenomeno di “diversificazione del diritto dei singoli ordinamenti”; in questo caso Birocchi riprende l’esempio del cardinal De Luca, secondo il quale, in caso di dubbio su cosa s’intendesse per “diritto comune”, si doveva presumere senz’altro la legge principesca.69 Quindi, la tesi sostenuta dal Birocchi appare fondarsi sull’idea che per diritto comune si debba intendere, in età moderna, quello principesco.70

Tornando ora alle origini, con il legame tra diritto comune e Sacro Romano Impero, bisogna riconoscere come le critiche già mosse dagli anni Sessanta a tale tradizionale impostazione non ne hanno tuttavia decretato la fine, soprattutto nel contesto della storiografia tedesca,71 anche se negli ultimi anni, soprattutto dopo gli studi del Grossi, tale linea è divenuta di netta minoranza.72

progressiva invadenza di altre fonti giuridiche e segnatamente della legge del sovrano. In sostanza il diritto comune avrebbe continuato ad operare in funzione supplettiva ma in misura e con importanza ridotta rispetto alle fonti del diritto municipale” (Ivi, p. 2).

69

Sul cardinal De Luca cfr. A. Mazzacane, De Luca, Giovanni Battista, in DBI, vol. 38 (1990), pp. 340-347 e i rimandi bibliografici forniti al capitolo terzo della presente tesi.

70 “La tesi insomma che qui si vuole sostenere è che il sistema di diritto affermatosi nell’Europa continentale –

con intensità, tempi e modalità ovviamente non coincidenti – nei secoli dell’età moderna andò differenziandosi progressivamente nei vari ordinamenti” (I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine, p. 6).

71 Mi riferisco nel complesso allo studio di G. Dilcher, Kaiserrecht, Universalität und Partikularität in der Rechtsordnung des Mittelalters, in “Rivista internazionale di diritto comune”, 5, 1994, pp. 221-245, la cui

derivazione appare legata a S. Gagner, Studien zur Ideengeschichte der Gesetzgebung, Almquist-Wiksell, Stockholm, 1960.

72 Come è stato già sottolineato, infatti, in particolare la linea dell’interpretazione sulla natura religiosa del diritto

comune è rimasta, e tuttora rimane, alla base dell’interpretazione dello stesso Grossi, che ne ha messo tuttavia in luce gli aspetti non semplicemente connessi alla crescita della dottrina “testuale”. Calasso aveva infatti legato il diritto comune all’Impero ma al contempo ne aveva messo in evidenza la natura spirituale e religiosa. Questa analisi era stata ripresa da Piano Mortari (P. Mortari, Dogmatica e interpretazione. I giuristi medievali, Jovene, Napoli, 1976), il quale aveva finito per attribuire ai glossatori l’idea che nella codificazione di Giustiniano erano stati tradotti in regole di diritto positivo quelli che erano i princìpi di giustizia ed equità propri del cristianesimo. Egli aveva inoltre posto fondamento a quella interpretazione che metteva in stretta analogia l’esegesi biblica con l’interpretazione giuridica, richiamando ad un binomio di scritture che apparivano di un prestigio e di un valore eccezionali, cioè la Sacra Bibbia e il Corpus giustinianeo. Il legame tra la raccolta giustinianea, interpretazione della dottrina medievale e Sacre scritture è stato in seguito ripreso da Manlio Bellomo (M. Bellomo, Ius

Sulla consapevolezza o meno dei giuristi del tempo, riguardo la realtà unitaria del diritto comune, gli studi mancano di una nuova definizione, ma nel complesso sembrano trarre spunto dalle nuove interpretazioni di Brito e Cortese.73

Alejandro Guzmàn Brito richiama tra l’altro il problema dell’assimilazione o meno del diritto civile e canonico. Secondo lo studioso spagnolo, infatti, se di diritto comune si deve parlare, questo va ricondotto al solo diritto civile e non a quello canonico. La natura unitaria e universale – che fondeva assieme nel diritto comune quello civile e canonico – ha cominciato, già dagli studi del Cassandro, a sgretolarsi lentamente ma progressivamente.

Un disegno complesso quindi, un sistema interpretativo che ancora oggi appare lasciare spazio all’affermazione di una molteplicità di posizioni. Se il diritto comune finisce per essere il segno caratteristico del mondo giuridico medievale, le interpretazioni della sua natura tendono a divergere fortemente: diritto nato dalla riscoperta dell’ordinamento giustinianeo, oppure formatosi progressivamente sino al XIV secolo sulla scorta delle glosse dei giuristi? Sistema unitario legato all’Impero medievale, o diritto sussidiario di diritti consuetudinari e particolari? Organismo unico tra diritto civile e canonico o circoscritto al solo civile? Una serie di problemi, questi, che con l’inizio dell’età moderna, la crisi dell’universalismo imperiale e la nascita degli Stati monarchici, verranno ad approfondirsi e complicarsi ulteriormente: crisi del diritto comune (se mai sia esistito) di fronte alla formazione di un diritto principesco o generale di un territorio oppure approfondimento della dialettica tra diritto comune e diritti statutari e consuetudinari? Differenziazione tra precedente diritto romano medievale e nuovo diritto “statale” oppure trasformazione del precedente diritto comune in un nuovo sistema giuridico in linea con lo sviluppo del “nuovo” apparato statale?

La storiografia risulta ancora fortemente dibattuta attorno a questi temi; le tematiche affrontate dalla maggior parte degli storici, oggi, hanno finalità più generali, esulanti il semplice sistema istituzionale, politico; queste si fissano così su di una più vasta dimensione commune, in “Rivista internazionale di diritto comune”, 7, 1996, p. 207), fino a divenire il riferimento costante

dell’analisi recente di Paolo Prodi, che ha ricostruito la sua “storia della giustizia” proprio attraverso la dicotomia