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Gli ordini del Tribunale: bandi, editti e scritture normative

All’interno della vasta congerie di fonti normative che si stanno utilizzando, sembra quanto mai obbligata, a questo punto, la considerazione di bandi ed editti emanati dal Tribunale. Una tipologia documentaria, questa, che già Alfredo Cirinei poneva su di un piano differenziato rispetto a costituzioni, lettere di nomina, brevi e documenti direttamente emanati dall’autorità

50 Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, op. cit.; F. Cordero, Criminalia, op. cit.; Mereu, Italo, Storia dell’intolleranza in Europa, op. cit; su Roma cfr. La corte di Roma tra Cinque e Seicento, op. cit; A. Martini, Dal tribunale al patibolo, op. cit.

pontificia.51 Gli istituti giuridici del bando e dell’editto – desunti dal diritto romano e reinterpretati dalla tradizione medievale – pur originandosi da principi differenti, vennero ad adattarsi sempre più, in età moderna, a rinnovate esigenze statali, fino ad assumere un valore quasi sinonimico, seppur differenziato in un generico indirizzo normativo (editto) e repressivo (bando).52

Uno strumento che in parte può risultare ancora utile agli studiosi, e preliminare a qualsiasi tipo di indagine su tale materiale documentario, è la collezione dei sette volumi di regesti di bandi ed editti relativi alla città di Roma ed allo Stato della Chiesa – dal XIII al XVII secolo – pubblicati tra gli anni Venti e Cinquanta del Novecento dal comune capitolino.53 Occorre precisare innanzitutto come l’ampia raccolta si riferisca non solo a bandi ed editti, comprendendo anche notificazioni, motu propri, bolle pontificie e decreti. Inoltre essa non potrebbe definirsi compiuta dal punto di vista di un’indagine diretta ad inquadrare l’intero orizzonte statale, poiché fornirebbe un quadro adeguato della sola realtà romana, da cui vengono emanati i documenti registrati.54

Il primo esempio di editto, quale norma regolativa di una procedura, lo si trova nel 1514, emanato da quella che allora era ormai riconoscibile come la più importante magistratura cittadina in materia di giustizia, il Tribunale del Governatore.55 Da questa data, fino a tutto il pontificato del Carafa, si susseguono almeno 170 provvedimenti riconducibili alle tipologie di bandi, editti ed ordini, provenienti in maggior numero da questo Tribunale, ed in misura minore dalla Camera e dal cardinal Camerlengo.56 Nonostante ciò, sino ad allora nelle raccolte prese in considerazione la tipologia prevalente rimane quella delle costituzioni e bolle pontificie. È solo a partire dal 1560 che si avverte un progressivo cambiamento, in grado di garantire alla produzione dei bandi ed editti di definirsi non solo quantitativamente ma anche

51 Cfr. A. Cirinei, Bandi e giustizia criminale a Roma nel Cinque e Seicento, in “Roma moderna e

contemporanea”, V, 1, 1997, pp. 81-95. per un quadro complessivo dei bandi ed editti relativi alla seconda metà del Cinquecento da segnalare anche M. Di Sivo, Le costituzioni e i bandi di Sisto 5, op. cit. e A.M. Corbo, Editti

e bandi romani (seconda metà del XVI secolo), Edilazio, Roma, 2007.

52 Per il bando e l’editto cfr. la voce Bando curata da C. Guidi Mor in Novissimo Digesto Italiano, diretto da A.

Azara ed E. Eula, vol. II, Utet, Torino, 1958, pp. 271-272 e la voce Edicta a cura di U. Brasiello in Ivi, vol. VI, 1960, pp. 371-372. Per l’editto cfr. anche la voce curata da G. Moroni, Dizionario, cit., vol. 21, pp. 63-64.

53 Regesti di bandi editti notificazioni e provvedimenti diversi relativi alla città di Roma ed allo Stato Pontificio,

Tipografia Cuggiani, Roma, voll. 7, 1920-1959.

54 I provvedimenti relativi all’intero Stato appartengono comunque a collezioni romane, e quindi estremamente

limitati alle sole emanazioni legatizie o governative che presuppongono una ricaduta all’interno del contesto urbano romano.

55 ASV, Misc. Arm. IV, b. 48, c. 12r. L’editto regolava la procedura del Tribunale nelle cause civili.

56 Il Governatore di Roma, tra il 1514 e il 1560, emana 118 provvedimenti tra bandi ed editti, mentre la R.C.A. e

in una maggiore articolazione delle autorità emananti, quali quelle del cardinal Vicario di Roma, dell’Uditore di Camera57, dei Conservatori di Campidoglio e di altre prefetture camerali; la stessa cifra di 170 provvedimenti – registrata per la prima metà del secolo – si ripropone quindi per un periodo ben più limitato, dal 1560 al 1574.58 Gli ultimi decenni del Cinquecento, in conformità con l’esigenza di ampliare il controllo sociale ed ecclesiastico, di fronteggiare il fenomeno del banditismo e di accentrare l’amministrazione statale al vertice romano, portarono ad un vero e proprio incremento esponenziale l’emanazione di bandi ed editti, tanto che per gli ultimi trent’anni del secolo la cifra venne a salire vertiginosamente sino a 400 documenti, tra l’altro non solo collegabili ad esigenze di ordine pubblico e giustizia.59 Il Seicento si propone quindi come il secolo nel quale amministrazione generale, governo della giustizia ed ordine pubblico, finiranno per porsi in un continuo confronto, il cui specchio quotidiano sarà garantito proprio da questa diffusa messe documentaria.

Senza voler richiamare qui l’importanza di studi percentualistici atti a sottolineare l’estensione progressiva di tali documenti a partire dalla fine del Cinquecento60, si dovrebbe piuttosto restringere il campo dell’analisi alla loro natura giudiziaria, al fine di mettere a fuoco l’articolarsi dei provvedimenti emanati dal Tribunale dell’A.C. e riguardanti il contesto romano e statale.

Muovendo dalle raccolte già segnalate nei Regesti è già possibile operare alcune considerazioni. Innanzitutto il primo decreto attribuibile all’A.C. appare essere quello datato 14 ottobre 1561, con il quale l’Uditore Flavio Orsini imponeva ai propri notai la consegna di tutti gli atti rogati presso l’archivio della Curia romana.61 Questo aspetto assume una

57 Si tratta dell’editto emanato da mons. Flavio Orsini il 14 ottobre 1561 nel quale egli ordinava ai propri notai di

depositare tutti gli atti presso l’archivio della Curia romana. Cfr. ASV, Misc. Arm. IV, b. 84 c. 180r; ASR,

Collezione Bandi II, b. 293. 58

Il primo provvedimento emanato dal cardinal Vicario è datato 1560 ed è relativo al divieto di vendere carne in periodo di quaresima, ad eccezione di alcuni casi, in particolare per le necessità di ammalati ed anziani. Cfr.

Regesti di bandi, cit., vol. II, n. 422, p.54; dallo spoglio degli stessi regesti si calcolano 110 provvedimenti del

Governatore, 27 del cardinal Vicario e solo 1 dell’A.C.

59

Nello specifico del panorama giudiziario i dati continuano ad essere favorevoli ad una certa leadership del Governatore: 171 Governatore; 120 Camerlengo, 23 cardinal Vicario; 8 Senatore; 2 Monsignor Uditore; il resto fortemente articolato fra prefetture camerali, collegi, e congregazioni, anche dal carattere economico, e amministrativo-territoriale. Ivi, pp. 109 -118.

60 Una prima definizione percentualistica di notevole importanza ci viene offerta da A. Cirinei, (Bandi e giustizia, cit., pp. 88-89), dove l’autore traccia alcune tabelle numeriche riferibili agli oggetti dei bandi e alle

autorità emananti per uno spettro cronologico che va dal 1590 al 1623. Da tali dati si desume da un lato come fosse ricorrente nei bandi l’attenzione per l’amministrazione della giustizia e per la lotta al banditismo – pur senza trascurare gli eccessi durante il carnevale – e dall’altro l’alta percentuale di provvedimenti riconducibili al Governatore di Roma. In tale studio vengono segnalati per l’A.C. solo 3 editti, per l’arco cronologico sopra accennato, quando in realtà appaiono essere ben più numerosi.

connotazione certamente significativa, poichè tale primitivo atto risale proprio al periodo della ricostituzione Piana degli anni Sessanta, analogamente a quanto accadde, nel medesimo arco temporale, al Tribunale del Vicario, il cui primo bando venne infatti emanato appena un anno prima.62

Come già visto in precedenza, sotto il pontificato del Carafa il Tribunale vicariale, dal carattere prelatizio, venne assumendo quel grado cardinalizio che l’avrebbe in seguito sempre contraddistinto, mentre quello dell’Auditor Camerae, inizialmente accorpato alla carica di Reggente e con esso elevato alla condizione porporata, ritornò in seguito - pur rafforzato in competenze e giurisdizioni - al suo carattere originario. Che da questi anni prenda l’avvio una serie continuata di atti e decreti emanati da tali autorità, manifesta ancora una volta l’aspetto innovativo e non semplicemente contingente che Pio IV seppe imprimere al proprio pontificato.

Un successivo decreto, emanato da Girolamo Mattei il 5 dicembre 1580, sembra tendere invece alla tutela di un privilegio, quello di seminare l’erba medica, concesso ad un certo Lodovico Rocca63. Per riscontrare un editto vero e proprio occorre giungere all’uditorato di Camillo Borghese, il 26 dicembre 1594, mediante il quale veniva ingiunto ai creditori di un certo banchiere Lurago, di esibire i titoli dei loro crediti64; questo appare del tutto analogo all’editto emanato il 21 aprile 1600 da Marcello Lante, in cui si ordinava la denuncia dei crediti da parte degli eredi di Alessandro e Cesare Parisani.65 Ancora il Lante, il 10 novembre 1604, prescriveva ai propri notai la deposizione di tutti gli “istromenti”, broliardi e processi presso l’archivio del Tribunale della R.C.A.66

All’alba del Seicento, quindi, l’Uditore cominciava ad emanare ordini personali in forma di editti, ma strettamente limitati a cause civili oppure attivati allo scopo di regolare l’ordinario deposito degli scritti procedurali da parte dei propri notai. Con il pontificato di Paolo V – seguendo sempre il filo cronologico delle raccolte generali – si nota di fatto il procedere di una certa continuità, sia nella frequenza dei provvedimenti, sia circa la loro natura. Il 30 maggio 1606 un editto del Lante ordinava ai creditori di mons. Ferrantino e di

62 Regesti di bandi, cit., vol. II, p. 54. Si tratta del Bando del cardinal Vicario Giacomo Savelli del 1560,

richiamato alcune note prima.

63

ASV, Misc. Arm. IV, b. 27, c. 448r.

64 Ivi, b. 33, c. 206r. 65 Ivi, b. 33, c. 219r. 66 Ivi, b. 84, c. 176r.

suo fratello, l’esibizione dei titoli attestanti i loro diritti67. Ancora il Lante nel 1608 reiterava la prescrizione ai notai, questa volta non solo del proprio Tribunale, ma di tutto il distretto romano, della consegna degli atti e strumenti presso l’archivio della Corte romana68. Nel 1622 un editto dell’Uditore veniva diretto alla semplice notifica della vendita dei beni di Orazio Savelli, nell’interesse di tutti i suoi creditori69, quasi a sottolineare l’esclusiva competenza nelle prescrizioni di carattere civile.

Finalmente, il 22 giugno 1627, Monsignor Gregorio Naro intimava ad Enrico Fisen di costituirsi presso il proprio Tribunale in quanto accusato di molteplici delitti. Questo appare di fatto come il primo editto emanato nei confronti di un dipendente della Curia romana - il Fisen aveva ricoperto infatti la carica di depositario della Dataria - dai contorni procedurali di carattere criminale.70 Eppure per giungere ad un bando vero e proprio, di natura repressiva, dobbiamo risalire fino al 5 aprile 1638, quando Ottaviano Raggi rendeva nota una taglia di premio e impunità a tutti coloro che avessero denunziato i responsabili del ferimento di mons. Angelo Pichi.71 Il 17 giugno dello stesso anno, questa volta mediante editto, lo stesso Raggi obbligava alla denuncia degli autori di un furto commesso nel palazzo del cardinal Caetani.72

A questo punto, se si continuasse a procedere in una visione quanto mai globale, come quella fornita dalle compilazioni della prima metà del Novecento, si correrebbe il rischio di rimanere ancorati ad un livello troppo generale e superficiale, che potrebbe condurre ad un pericoloso giudizio, fuorviante circa l’effettivo ruolo ricoperto dal Tribunale dell’A.C. a livello repressivo e criminale. Infatti, se la percentuale dei provvedimenti emanati nel XVII secolo dall’Uditore, in rapporto all’intero contesto romano, può essere complessivamente valutabile dai Regesti raccolti dall’autorità capitolina, ne viene tuttavia distorta la tipologia, dove appare predominante il carattere regolamentativo del Tribunale curiale e civile, con ben poca attenzione all’elemento “repressivo”.

Rimanendo all’interno dei confini della città di Roma, attraverso una preziosa serie di bandi ed editti conservata presso l’ASR, è possibile ridefinire un quadro del Tribunale in parte discordante da quello emerso da questo primo approccio.

67 Ivi, b. 33, c. 229r.

68 Ivi, b. 84, c. 173; ASR, Collezione Bandi I, b. 10. 69

ASV, Misc. Arm. IV, b. 33, c. 237r.

70 ASR, Collezione Bandi II, b. 295, Editto del 22 giugno 1627. 71 ASV, Misc. Arm. IV, b. 57, c. 229r.

Gli editti e bandi conservati presso l’ASR, ed emanati dall’autorità uditorale, presentano innanzitutto una datazione in grado di abbracciare un lasso temporale piuttosto vasto, che dalla fine del XVI secolo si estende fin oltre la metà dell’Ottocento.

Il primo provvedimento in ordine di tempo che rinveniamo in tale serie venne emanato dall’Uditore di Camera Girolamo Mattei il 21 febbraio 1576, contro chiunque avesse percepito, anche sotto garanzia di uffici curiali, alcune provisioni dalla Camera Apostolica, e contro coloro che godendo di esenzioni non si fossero attenuti all’obbligo di mostrare debitamente le carte attestanti tali privilegi.73 Se l’ordine traeva di fatto origine da antiche funzioni camerali, appena un decennio più tardi, sotto Sisto V – ma emanato dallo stesso Mattei dal Palatio nostrae solitae residentia – si legge un editto pubblicato contro tutti coloro che a Roma esercitavano una giurisdizione senza ordinaria o speciale facoltà, con l’estensione della prescrizione anche a tutti i notai che si fossero intromessi in tale illegale esercizio.74 Che il controllo sulle usurpazioni di autorità e giurisdizione dovessero far capo frequentemente al Tribunale uditorale appare di fatto confermato anche da alcune decisioni della luogotenenza criminale, che negli anni seguenti sembrano estendersi soprattutto sugli appartenenti agli ordini esenti, come quello della Milizia di San Giorgio. Il 12 ottobre 1591 il luogotenente criminale dell’A.C. Prospero Farinacci condannava all’esilio perpetuo un milite di tale ordine, per aver usurpato la giurisdizione del Gran Maestro. La causa dovette d’altronde essere in seguito regiudicata e fortemente dibattuta in seno allo stesso Tribunale, se ancora nel 1627 e nel 1632 si leggono i richiami che bandi ed editti ne fanno a nome degli Uditori di Camera.75

73 ASR, Collezione Bandi II, b. 494, Editto del 21 febbraio 1576. 74

Ivi, Editto del 21 giugno 1586.

75 La sentenza venne emanata il 12 ottobre 1591 da Prospero Farinacci, luogotenente criminale di Camillo

Borghese, allora Uditore di Camera, e pubblicata nel 1605, probabilmente per una intervenuta causa contraria ad essa. La questione verteva principalmente sull’usurpazione di prerogative spettanti al principe e Gran Maestro dell’Ordine, Pietro Angelo Flavi, da parte di Giovanni Giorgi. Questi avrebbe nominato cavalieri della milizia di San Giorgio sotto privilegi concessi dai sommi pontefici ad Andrea Angelo Flavi, che per ereditarietà aveva trasmesso tali privilegi al figlio, in quanto erede universale. Il Giorgi aveva così assunto, sotto falso, il titolo di Gran Maestro. La causa si concluse con la seguente sentenza definitiva emanata il 12 ottobre 1591: “Pro

tribunali sedentes et solum Deum prae oculis habentes. Per hanc nostra diffinitivam sententiam, quam de jurisperitorum consilio pariter et assensu ferimus in his scriptis in causa et causis, quae primo et in prima coram nobis inter Mag. I.U.D.D. Natalem Rondaninum S. D. N. Papae et Camerae Apostolicae Procuratorem Fiscalem, ac Illustrissimi D. Petrum Angelum Flavium q. Illustrissimi D. Andreae Angeli Flavij ex Joanne Demetrio ipsius germano fratre nepotem, et heredem universalem, et successorem respective, prout ex testamento eiusdem Illustrissimi q. D. Andreae Angeli edito, et in actis producto quaerelantes et Fisco adhaerentes ex una et D. Io. Georgium da Acephalonia assertum De Heraclio reum conventum, inquisitum, et processatum, ac monitum ad personaliter comparendum pro usurpata iurisdictione Militiae S. Georgij falso modo creando Equites dictae Militiae sub privilegijs Sumorum Pontificum, eidemque D. Andreae Angelo concessis cum alijs criminibus per eum in dicta Militia commissis, rebusque alijs etc. partibus ex altera. Dicimus, pronunciamus, sententiamus, decernimus et declaramus dicto Io. Georgio nullum jus, nullamque actionem competisse, neque competere creandi dictos Milites, aut Equites dictae Militiae, nomenque Magni

Agli inizi del XVII secolo, gli ordini di Monsignor Uditore della Camera, in qualità anche di “perpetuo defensore del Collegio delli Scrittori d’Archivio della Corte Romana”, tesero a concentrarsi attorno al controllo e al disciplinamento della classe notarile – non solo interna al proprio Tribunale, bensì estesa a tutto il collegio degli scrittori romani76 – e di quella dei dottori in legge.77 Questi provvedimenti vennero emanati e pubblicati in maniera continua lungo tutto il corso del secolo, a testimonianza di una ben lontana soluzione di certi soprusi e usurpazioni di privilegi e giurisdizioni. 78

Il 25 settembre 1634 l’Uditore di Camera Marcantonio Franciotti provvedeva con un editto a sanare una serie di abusi e negligenze sorte in seno agli uffici notarili del proprio Magistri falso nomine eiusdem Militiae assumpsisse et propterea fuisse et esse repertum culpabilem et de iure punibilem et tanquam talem fore et esse in poenam perpetui exilij ab Urbe et toto Statu Ecclesiastico, sub poena triremium arbitrio Illustrissimi et Reverendissimi D. A.C. condemnandum, prout condemnamus, processumque et quaerelam pro parte dicti D. Io. Georgij contra eundem illustrissimi D. Petrum Angelum occasione praedicta porrectam et factam ac quascumque cautiones et obligationes de super per eum praestitas, datas, et factas cassan. abolen. fore et esse, prout cassamus, annullamus, irritamus, et pro cassis, et nullis haberi volumus et mandamus sine tamen praeiudicio inhibitionum, et prohibitionum factarum, tam in Civitate Bononiae, quam hic in Urbe per illustrissimos tunc D.D. Cardinales de Sabellis et Sancti Sixti respective, seu alias quomodocumque de quibus actis. Quibus per praesentesnullatenus derogare, aut in aliquo praeiudicare intendimus, eundemque D. Georgium in expensis in huiusmodi causa legitime factis, quarum taxatione nobis, vel cui de iure reservamus condemnandum fore et esse, prout condemnamus, pro condemnato haberi volumus et mandamus, mandatumque exequutivum pro dictis expensis, tam contra eundem Io. Georgium, et eius bona, quam contra eius fideiussores in Civitate Neapolitana praestitas datas, et factas relaxamus et respective relaxari mandamus, ut supra praemissis perpetuum silentium imponimus et imponi mandamus, ut supra praemissis perpetuum silentium imponimus et imponi mandamus, et dicta dicimus etc. omni meliori modo, etc. Ita pronunciavi. Ego Prosper Farinaccius Locumtenens” (Ivi, Sentenza del 12 ottobre 1591). Nel 1627 però, Torquato Marescotti,

luogotenente criminale dell’A.C. Gregorio Naro, per ordine di tale magistrato firmava un editto contro coloro che avessero preteso di aver ricevuto privilegi e titoli da “un certo Gio. Andrea Angelo Flavio asserto Prencipe di Macedonia”. Questo nome riporta direttamente alla sentenza del 1591, quando la famiglia Flavi aveva ottenuto il favore del Farinacci, mentre ora si negava la validità di tali riconoscimenti. Il Marescotti richiamava probabilmente la revisione del processo, indicandola sotto l’Uditorato del Lante, poiché già nel 1606 questi aveva pubblicato un editto contro questo tale Giovanni Andrea Flavi. (Cfr. Ivi, Editto del 26 aprile 1627). Il 16 febbraio 1632 il pontefice Urbano VIII ordinava all’allora A.C. Marcantonio Franciotti di reiterare l’editto del 1627, affinchè non venissero più trasgredite le disposizioni di Paolo V. (Cfr. Ivi, Editto del 16 febbraio 1632).

76 Nell’ordine emanato il 22 novembre 1604 l’allora Uditore Pietro Paolo Crescenzio notificava “a tutti e singoli

Notarj ch’essercitano in Roma, e dieci miglia fuori di quella senza giurisdizione ordinaria et ad ogn’altra persona di che stato, e qualità si sia, appresso à quali si trovano note d’instromenti, ò Protocolli rogati in Roma, e fuori dieci miglia, Brogliardi, Manuali, Registri, Estratti, Processi et altre scritture, che secondo la forma delle Costituzioni apostoliche si devono portare in detto Archivio, che sotto pena di mille ducati d’oro di Camera, et altre pene d’applicarsi ad arbitrio di Sua Sig. Ill. [l’A.C.] in termine di sei giorni dalla publicatione di questo, debbano haver portato et con effetto consegnato al detto Archivio in mano del suo deputato tutte le note d’Instromenti, Protocolli et altre scritture sudette, Altrimenti passato detto termine senz’altra citatione, ò monitione si procederà contro li disobbedienti con mano Regia, et in ogn’altro miglior modo” (Ivi, Editto del 22 novembre 1604).

77 Il 4 luglio 1609 l’Uditore, “essendo stato provisto altre volte da’ sommi Pontefici per ovviare à molti

inconvenienti, che nascevano in Roma, e suo distretto nessuno possa essere addottorato in Legge, ò Canoni, da altri, che dal Collegio de’ Signori Avocati Concistoriali, e del tutto speditone privilegij à favore di esso collegio, con le pene alli contravventori contenute in essi” (Ivi, Editto del 4 luglio 1609).

78 I provvedimenti sulla nomina di dottori in Legge si ritrovano sotto l’uditorato di Giovanni Domenico Spinola

il 20 agosto 1618; di Gregorio Naro, il 4 febbraio 1627; di Ottaviano Raggi, il 2 luglio 1640; Odoardo Vecchiarelli, il 3 novembre 1654;

Tribunale. Sin dai tempi di Leone X si era cercato di uniformare e regolarizzare tale attività e ancora sotto i pontificati di Clemente VIII e Paolo V, l’attenzione al funzionamento ordinato delle spedizioni dei documenti, della tenuta dei registri, della validità degli atti, e del rispetto