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Si è sottolineato in precedenza come i principi di specializzazione e indipendenza dei chierici della Piena Camera improntassero di sè le linee di riforma di Pio IV. In relazione al Tribunale dell’A.C. si deve invece constatare come tale autonomia si sia realizzata già alla fine del secolo precedente. Sebbene sin dai tempi di Martino V ed Eugenio IV la nomina ad Uditore di Camera avvenisse tramite una decisione diretta del pontefice, sarà, appunto, con Innocenzo VIII (1484-1492) che l’ufficio potrà di fatto raggiungere una piena e indipendente organizzazione.

Il 22 dicembre 1485 era morto improvvisamente Giovanni Prioris, canonico di S. Maria Maggiore; l’anno precedente questi aveva partecipato alla processione per la presa di possesso papale in qualità di titolare dell’ufficio delle Audientiae causarum Curiae Camerae

Apostolicae, ufficio a cui era stato preposto nel 1478 da Sisto IV. Il medesimo giorno papa

Cybo, con il moto proprio Apprimae devotionis affectum, decideva di nominare come sostituto del Prioris, il prelato e cappellano pontificio Pietro Menzi da Vicenza.28

Tale provvedimento rappresenta la prima testimonianza normativa in cui vengono espresse le competenze e la giurisdizione dell’Uditore.29 Questi, pur mantenendo una certa

27 Cfr. M.G. Pastura, La Reverenda Camera Apostolica, cit., pp. 61-62. 28 Cfr. G. Moroni, Dizionario, cit., vol. 82, pp. 150-151.

29

Cfr. Apprimae devotionis affectum, in Bullarum Taurinensi, cit., vol. 5, pp. 320-323. Che si tratti della prima testimonianza assoluta sulle facoltà del tribunale dell’A.C. è confermato anche dai riferimenti dei pontefici successivi; il Cherubini nel suo Bullarum, (tomo. I, pp. 450-451) alle singole costituzioni concernenti l’ufficio premette come questo sia stato oggetto di molteplici provvedimenti, a partire proprio dalla bolla innocenziana, e

dipendenza dal cardinale camerlengo Raffaele Riario – nelle cui mani doveva pur sempre prestare solenne giuramento di fedeltà – cominciò da allora ad assumere alcuni connotati specifici, tali da mostrare una carica ormai giunta ad un maggior grado di autonomia rispetto all’organo camerale.

Dopo un proemio in cui vengono sottolineate le qualità spirituali e umane del Menzi, e l’accenno alla vacanza dell’ufficio, nei capitoli successivi il pontefice procede alla nomina di quest’ultimo, definendone una giurisdizione quanto mai vasta ed estesa omnibus et singulis

criminibus, excessibus, et delictis in Curia Romana, vel extra eam, per quoscumque, tam officiales Sedis Apostolicae, quam alios Curiales Romanam Curiam Sequentes, cujuscumque dignitatis, Ecclesiasticae vel mundanae, status, gradus, ordinis vel conditionis, perpetratis, et perpetrandis.30

Viene in seguito concessa anche la facoltà di conoscere e procedere circa le cause intraprese presso la Curia romana, tam civiles quam criminales et mixtas, et Spirituales,

Ecclesiastica et prophanas dove non fossero però previste erogazioni di pene con effusione di

sangue o mutilazione di membra.31

Il papa prosegue concedendo all’A.C. l’autorità di conoscere e decidere, in grado di appello, tutte le sentenze emesse da qualsiasi giudice o delegato delle diverse terre, città e castelli, mediaté vel immediaté subiectis alla Santa Sede; il Tribunale potrà inoltre godere di tale facoltà anche sulle sentenze emesse in precedenza dalle curie ordinarie romane.

In realtà in questo caso la bolla innocenziana appare far esplicito riferimento solo alla Curia del Maresciallo di Santa Romana Chiesa 32, lasciando cadere qualsiasi accenno ad altre curie giudiziarie presenti nella città di Roma, come quella già accennata del Governo, quella del Vicario di Roma e quella capitolina33; i pontefici successivi, al fine di evitare spiacevoli conflitti giurisdizionali, si preoccuperanno di definire meglio i confini fra tutti questi organi giudiziari.

ancora nel 1723 il cardinal Cybo, in un trattato inedito sulla carica di Uditore della Camera – da lui ricoperta dal 1718 al 1721 – affermava come “la più antica che si è conservata delle Bolle che trattano della speciale giurisdizione dell’Uditorato è d’Innocenzo VIII di fel. mem. emanata nel 1485” (ASV, Misc. Arm. XI, 211 c. 33v).

30 Apprimae devotionis affectum, cit., p. 321. 31 Ivi, p. 322.

32 Sulla Curia del Maresciallo di S.R.E. cfr. N. Del Re, Il Maresciallo di Santa Romana Chiesa custode del Conclave, Istituto Nazionale di studi romani, Roma, 1962.

33 Per un quadro generale sugli organi giudiziari ordinari romani cfr. G. Santoncini, Il groviglio giurisdizionale dello Stato Pontificio; L. Londei, La funzione giudiziaria in Antico regime, e il recente contributo di I. Fosi, La giustizia del papa, cit., pp. 23-32.

La cognizione delle cause civili unita al potere di eseguire le sentenze emanate dai giudici romani e di comminare censure ecclesiastiche e scomuniche, completa un vasto quadro di competenze, all’interno del quale trova spazio il tentativo di dare anche un più razionale ordinamento all’ufficio.

Con il nono paragrafo, infatti, il pontefice concede al Menzi la facoltà di deputare, nell’esercizio della carica, uno o più sostituti, quoties tibi placuerit, che lo stesso Uditore potrà poi rimuovere a sua discrezione dall’incarico. Non vi si trova, tuttavia, una definizione precisa delle modalità di deputazione da parte dell’A.C. dei suoi sostituti, né un riferimento al numero dei giudici civili e criminali.

Ciò che non viene trascurato appare invece il modo di procedere del Tribunale attraverso tali luogotenenti o vicegerenti: l’azione istruttoria potrà attivarsi sia a seguito di una denuncia che sulla base di una procedura ex officio, per via d’inquisizione, al fine di conoscere e risolvere le stesse cause in maniera lineare, senza impedimenti – secondo una formula ben nota ai giuristi – e cioè simpliciter et de plano et sine strepito et figura iudicii.34

Inoltre, pur in assenza di cenni specifici all’organizzazione notarile o alla spedizione delle cause35, si può affermare come già nel 1487 fosse operante all’interno del Tribunale un ufficio, tenuto da un certo “Pagnus Franciscus de Piscia”, che almeno fino agli inizi del XVI secolo apparve essere l’unico notaio dell’Auditor Camerae.36

L’Apprimae devotionis affectum fornisce quindi l’immagine concreta di un Tribunale

pienamente istituito e autonomo – pur nell’alveo camerale – e dotato di un ventaglio di competenze spirituali e temporali sensibilmente vaste, con una giurisdizione esclusiva sulla Curia romana – espressione, questa, di un potere articolato in domini temporali e funzioni universali di Fede.

Si può quindi affermare come sullo scorcio del Quattrocento l’Auditor Camerae cominciasse effettivamente ad esercitare una vasta autorità, non solo in relazione al distretto romano ma su tutto il territorio statale37e l’intera Orbe cattolica.

34 Apprimae devotionis affectum, cit., vol. 5, p. 322.

35 Questa problematica assumerà un’importanza fondamentale nelle linee di riforma che seguiranno nel periodo

successivo, soprattutto quando il proliferare di abusi nelle spedizioni delle cause e nella tenuta delle scritture costringerà non solo i pontefici, ma gli stessi titolari dei tribunali, a reiterati interventi normativi.

36 Cfr. ASR, Notai dell’Auditor Camerae, voll. 4835-4838. Questi volumi sono riferibili all’unico ufficio notarile

A.C. tenuto dalla famiglia “De Piscia” dal 1487 al 1506, anno in cui si affiancherà un secondo ufficio. Inoltre attraverso i due inventari del fondo dei Notai dell’Auditor Camerae – il n. 10 alfabetico e il n. 11 cronologico – è possibile ricostruire la sequenza dei titolari degli uffici notarili dell’A.C. dal 1487 al XIX secolo.

37 Del resto stava percorrendo un analogo sviluppo, in quel torno di anni, anche un altro ufficiale della Camera

Sembra dunque questa bolla pontificia la base più solida dalla quale partire per predisporre quella accennata sistemazione normativa che permetterà di ricostruire l’evoluzione giuridica del Tribunale. A questa analisi si tenterà ora di intrecciare alcune indicazioni prosopografiche circa gli Uditori di Camera, con l’effetto di metterne in luce le singole carriere e il peso esercitato all’interno della Curia romana.

Attorno a monsignor Menzi si hanno in realtà poche notizie certe, desumibili più che altro dalla Hierarchia Catholica,38 dalla vasta opera settecentesca dell’Ughelli39 e dai brevi cenni riportati dal Moroni nel suo Dizionario.40 Promosso al vescovato di Cesena l’11 maggio 1487

e al vicariato della Basilica vaticana il 19 febbraio 1503, il Menzi avrebbe certamente percorso l’intero iter curiale sino al cardinalato, se non fosse incorso in una non ben documentata “disgrazia di Alessandro VI che lo fece imprigionare in Castel s. Angelo”41; liberato durante la sede vacante fu reintegrato nelle precedenti cariche soltanto nel giugno 1504 dal nuovo pontefice, ma la sopraggiunta morte per peste, nel mese successivo, ne interruppe definitivamente le aspirazioni. 42

Sotto il pontificato del Della Rovere (1503-1513) si alternarono nella carica di A.C. ben due prelati, entrambi promossi in seguito al cardinalato: Antonio Ciocchi Del Monte, già Uditore della Rota, ed il senese Girolamo Ghinucci.

L’unione delle due cariche dell’uditorato di Rota e di Camera nella persona di monsignor Del Monte dovette in realtà apparire più come una congiuntura eccezionale piuttosto che una scelta di lunga durata, del resto facilmente giustificabile in considerazione dell’alto valore funzione di Governatore dell’Urbe, rafforzando sempre più le competenze personali e la propria autonomia. Non può considerarsi un semplice caso che proprio il Governatore e l’A.C. diventeranno, nell’arco di alcuni decenni, titolari delle maggiori magistrature giudiziare della città di Roma.

38 Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi sive summorum Pontificum, S.R.E. Cardinalium, Ecclesiarum antistitum series ab anno 1198 usque 1922, Monastero dei frati minori, Sant’Antonio da Padova, Padova, 1913-

2002 (d’ora in poi H.C.), vol. II, p. 113 e vol. III, p. 144.

39 Ferdinando Ughelli, monaco cistercense fiorentino e grande erudito, morto a Roma nel 1670. Fu il primo a

concepire una raccolta di notizie biografiche sui vescovi raggruppandoli per diocesi. Cfr F. Ughelli, Italia sacra

sive De Episcopis Italiae, et insularum adjacentium, rebusque ab iis praeclare gestis, deducta serie ad nostram usque aetatem, Tomus primus, complectens Ecclesias Sanctæ Romanæ Sedi immediate subjectas, Venezia, 1717.

[prima edizione Roma, 1692]

40 Cfr. G. Moroni, Dizionario, cit., vol. 82, pp. 150-53.

41 Ivi, p. 151. Tuttavia non riusciamo a rintracciare notizie circa le motivazioni che avrebbero portato a tale

cattura del Menzi.

42 Cfr. F. Ughelli, Italia Sacra, cit., p. 399, dove alla data sabato 1 marzo 1505 ne vengono registrate le esequie e

la tumulazione presso la chiesa di Santa Maria in Aracoeli: Anno 1505, I martii sabbato R.P.D. Petrus de

Vicentia olim Episcopus Cesenaten., et Auditor Camerae in aestate praeterita de peste mortuus, hodie in Ecclesia s. Maria de Aracoeli habuit exequias”. Dalla H.C. vol. III, p. 144 al 22 luglio 1504 risulta subentrare al

Menzi, nella sede episcopale di Cesena, il chierico viterbese Fazio Santorio, di cui dà notizia anche il Moroni,

acquisito da quest’ultimo in materia giuridica. Il prelato rappresentava al tempo una delle massime autorità in materia giudiziaria all’interno dell’ambiente romano: nato nei pressi di Arezzo nel 1462, figlio di un avvocato concistoriale, egli aveva mostrato sin da giovane l’inclinazione a voler seguire le orme paterne; intrapreso lo studio del diritto e abbracciato l’ordine ecclesiastico aveva finito così per ricoprire importanti incarichi curiali, come l’Uditorato di Rota (1493) e quello di Camera (1504); ammirato per le sue doti di ponderatezza giuridica, il Del Monte si mise in luce per almeno un ventennio, non solo come uno dei massimi esperti della pratica forense romana, bensì come protagonista principale della politica papale; partecipò sotto il pontificato di Giulio II alle spedizioni militari contro Bologna, e da quest’ultimo venne premiato con la porpora cardinalizia nel 1511; ancora sotto il pontificato di Clemente VII si trovò ad esercitare un ruolo principale nella questione del divorzio di Enrico VIII d’Inghilterra.43

Per il Del Monte la carica di A.C. dovette quindi rappresentare – assieme all’Uditorato di Rota – una delle tappe fondamentali all’interno della sua ascesa curiale, viatico a quel grado cardinalizio al quale sarebbe stato possibile accedere anche al suo predecessore, e come di fatto avverrà per il successore.

Come già visto, il Tribunale che s’era trovato a presiedere il Del Monte, nei primi anni del XVI secolo godeva di prerogative notevoli, sia in ambito civile che criminale. Nel frattempo però l’articolazione giudiziaria aveva assunto linee ben più complicate. Mentre al di fuori del distretto urbano Giulio II era assorbito dalle numerose campagne militari nel tentativo di riaffermare la propria autorità temporale, all’interno delle mura cittadine si stava aggravando la tradizionale dicotomia di poteri che vedeva contrapposte le due curie del vaticano e del colle capitolino.

Roma non era certamente nuova a questo tipo di problematica, tanto che già Sisto IV aveva cercato di porvi rimedio attribuendo al vice-Camerlengo il compito di presiedere anche il Tribunale del Governo, con l’intento di contrapporlo, su di un piano sempre più autorevole, proprio a quello senatoriale. A questa alterità veniva però a sommarsi un’altra preoccupante questione, legata principalmente alla confusione giurisdizionale che si riscontrava di frequente nei tribunali dell’Urbe, provocandone così il rallentamento dell’attività.

Nel marzo del 1512 – deposta ormai ogni velleità verso l’esterno – Giulio II decise di provvedere alla questione con l’emanazione della costituzione Decet Romanum Pontificem.44

La bolla papale si proponeva di rimettere ordine, per quanto possibile, all’intricata selva di giudici ed organi giudiziari presenti nella città di Roma, affinchè nulla confusio, et perplexitas

oriri possit. L’importanza di tale sistemazione veniva sottolineata sin dai primi paragrafi, in

quanto la razionale struttura dei tribunali dell’Urbe era altresì necessaria ad un contesto ben più vasto, poiché ad quam pro justitia totus Orbis confluit. E al valore del termine Orbis, utilizzato dal pontefice, va certamente applicata una significazione notevole, in quanto tale concetto attribuiva valore alla giustizia romana non solo in relazione alla Stato Ecclesiastico, nella sua mera dimensione temporale, bensì a tutto il mondo cattolico.

Le giurisdizioni regolamentate dal documento pontificio afferivano alle principali curie giudiziarie cittadine, quelle del Vicario, Governatore, Uditore della Camera e Senatore, con l’inclusione anche del Maresciallo di Santa Romana Chiesa. Queste non venivano però trattate singolarmente, come un secolo più tardi sarà invece compito della Costituzione di Paolo V, ma regolate nel modo generale in cui ognuna di esse avrebbe dovuto procedere. Il fine del pontefice era infatti quello, non tanto di delineare i confini giurisdizionali, per quanto questi venissero di volta in volta richiamati, ma rendere il più possibile univoco il modo di attivare le cause da parte dei singoli giudici o delegati; questi determinavano modi differenti di procedere all’interno dei tribunali romani, i quali inter se concurrere, et in procedendo varium

modo observare, ut saepe litigantes ipsi confusione quadam perterriti, causas ipsas deferte cogantur, aut illas inchoare non audeant, saepe etiam adeo celeri judicio expedire, ut praecipitari quodammodo videantur, in magnum ipsorum litigantium praejudicium, ac justitiae et officii nostri detrimentum. 45

Il pontefice, nel rimettere così ordine, prescriveva nuovamente quanto già predisposto dai suoi predecessori. Se per qualsiasi eccesso commesso nella città di Roma e nel suo territorio i laici dovevano essere puniti dagli ufficiali del loro stesso grado laicale, i chierici avrebbero dovuto sottostare al giudizio del Tribunale del Vicario vescovile.

Non così avveniva per coloro che, laici, erano invece impiegati presso gli uffici della Curia romana, tam mares quam foeminae, i quali dovevano essere giudicati dalla Curia del Maresciallo di S.R.E. ad eccezione dei capsores et notabiles mercatores Romanam curiam

sequentes, Oratores Principum et Communitatum, familiares Cardinalium laici, vel officiales

44 Decem Romanum Ponteficem, in Bullarum Taurinensi, cit., vol. 5, pp. 511-514. 45 Ivi, p. 512.

Romanae Curiae. Questi appena citati si trovavano ad essere infatti la più stretta competenza

dell’Uditore della Camera, tanto nel civile quanto nel criminale, e tra i laici della stessa Curia era riconosciuta dal pontefice la cosiddetta “preventione”, fra i tribunali del Maresciallo, del Governatore e dell’Auditor Camerae; quest’ultimo non si sarebbe dovuto ingerire in cause i cui crimini prescrivessero pene capitali o mutilatione membri, come del resto era già stato previsto dalla Costituzione innocenziana. Veniva inoltre confermata al Tribunale la facoltà di giudicare in appello le sentenze emesse dalla curia del Maresciallo.

Come si può notare non siamo in presenza di una vera e propria limitazione della giurisdizione criminale dell’A.C. se non nel venir meno delle prerogative sui chierici romani e gli ecclesiastici presenti nella città di Roma. Questi infatti dovevano essere competenza esclusiva del Tribunale del Vicario, mentre per quello che riguardava gli altri ecclesiastici, in mancanza di una chiara espressione, è presumibile siano stati tacitamente confermati i capitoli innocenziani: essi, come già visto, al di là della circoscrizione urbana, concedevano all’Uditore la facolta di conoscere le cause relative a qualunque luogo dello Stato e a qualsiasi dignità, ecclesiastica o profana. Dove anche la bolla innocenziana rimaneva poco chiara era semmai nell’estensione delle competenze al di fuori dei confini statali, nei confronti di sacerdoti secolari, vescovi e religiosi che venivano sottoposti alla giurisdizione ecclesiastica locale. Questa mancanza di dichiarazioni esplicite circa le facoltà dell’Uditore, non permettono quindi di valutarne adeguatamente il peso nell’ambito dell’erogazione di quella giustizia spirituale che seppe tuttavia trovare la massima espressione in un noto caso che coinvolse non solo la Curia romana ma l’intera Orbe cattolica sotto il pontificato di Leone X.