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Capitolo 4: Le applicazioni della DEA nello studio della performance bancaria

4.3 La DEA nello studio del caso italiano

I primi lavori che attraverso la DEA studiano l’efficienza della performance bancaria in Italia, le sue determianti e la presenza delle economie di scala, sono quelli di Resti (1994,1997) e Favero e Papi (1995). Entrambi utilizzano il seguente modello DEA VRS:

max T3T¬+ - V T [4.6] g E = 1 ∑V T T 3T − ∑ g E + - ≤ 0 j = 1,…,n T > 0 r = 1,…,s g > 0 i = 1,…,m [4.7] dove r è il numero degli output, yr0 è l’output della banca che si vuole verificare sia

efficiente, m è l’ammontare degli ouptut, ur e vi sono i pesi attribuiti all’r-esimo output e

all’i-esimo input; - invece è la variabile che identifica le economie di scala. Come precedentemente visto, se - > 0 vi sono economie di scala, se invece - < 0 si

manifestano diseconomie di scala ed infine se - = 0 si è in presenza di rendimenti di scala costanti.

Resti (1994) sceglie di analizzare il sistema bancario anche utilizzando il modello DEA CCR, introducendo un indice delle economie di scala, nella seguente forma:

¯ " = PUU°±²

³³±− 1Q

|- | -

[4.8] Osservando le efficienze medie tra il 1988 e il 1991, le banche italiane si aggiravano attorno ad un punteggio di efficienza percentuale che oscillava dal 70 al 80 per cento; ciò significa che avevano delle buone performance.

Si arriva alla stessa conclusione anche attraverso il lavoro di Lazano-Vivas, Pastor e Hasan (2001) che ha analizzato l’intero sistema bancario di dieci nazioni appartenenti all’Unione Europea, tra cui l’Italia, la quale si classifica, negli anni novanta per efficienza bancaria, seconda solamente al Lussemburgo. Attraverso l’uso della DEA gli autori hanno valutato la performance bancaria dei paesi considerati, formulando due diversi modelli DEA: il primo, DEA basic θb, è il modello introdotto da Charnes, Cooper e Rhodes (1978), il

secondo, DEA environement θe, include nell’analisi il fattore ambiente

competitivo/contesto in cui la banca opera; infine il giudizio sull’efficienza viene dato dal rapporto tra i due risultati.

Giannola, Lopes, Ricci e Scanfiglieri (1997) scelgono di analizzare la performance bancaria italiana seguendo la classificazione delle banche adottata dalla Banca d’Italia; ovvero la suddivisione in banche grandi, medie, piccole e minori. La DEA con Variable Return of Scale evidenzia come le banche piccole e minori, in particolar modo quelle del Nord Est, sono le più efficienti, mentre quelle grandi in realtà raggiungono livelli di efficienza minori rispetto alla media. Gli autori quindi si interrogano sulla scelta delle banche italiane di perseguire un aumento dimensionale a fronte di economie di scala che infine non si manifestano, problematica piuttosto frequentemente discussa in letteratura e più volte trattata lungo il corso della trattazione. In questa sede si vuol evidenziare il lavoro di Veiderpass (2006) che cerca di dare una spiegazione del fenomeno che non è solo italiano, ma europeo. L’autore sostiene che a seguito dell’introduzione della moneta unica, l’euro, per le banche si siano aperti nuovi orizzonti di investimento comuni e che in generale l’ambiente si sia diretto sempre più verso la despecializzazione e la concentrazione. Quindi in realtà, secondo Veiderpass, si è di fronte non tanto a scelte strategiche del management,

quanto piuttosto a spinte esogene che vengono dall’ambiente in mutamento in cui le banche europee hanno vissuto durante il passaggio alla moneta unica.

Ritornando alla DEA e al suo utilizzo per l’analisi del sistema bancario italiano, si vuole ricordare il lavoro di Giardone, Molyeneux e Gardener (2004). Gli autori scelgono di dividere le banche in base alla loro collocazione geografica sul territorio italiano, ma anche tenendo conto anche dei diversi obiettivi manageriali: le banche che sono Società per Azioni puntano per esempio alla minimizzazione dei costi, mentre le Banche di Credito Cooperativo e Banche Popolari hanno un obiettivo mutualistico. Dal loro studio emerge chiaramente come le banche del Sud siano quelle meno efficienti (si ricorda che il periodo analizzato va dal 1993 al 1996) e che le BCC e le POP sono quelle che raggiungono livelli di efficienza maggiori.

Giordano e Lopes (2006) con la loro pubblicazione intendono sottolineare un ulteriore aspetto, che va oltre la forma giuridica della banca o la sua collocazione nel territorio italiano, ovvero il cosiddetto “Skimping Behaviour” (Berger e De Young (1997)). Esiste secondo Berger e De Young una forte relazione tra l’efficienza e il comportamento del manager, (si veda anche il primo capitolo) all’interno della quale gioca un ruolo importante la qualità del credito. I due ricercatori sostengono che vi sono tre motivi per i quali si creano inefficienze:

1. Bad Management: le inefficienze sono di tipo gestionale, in questo caso, e creano in questo modo deterioramento della qualità del credito, che a sua volta comporta un ulteriore innalzamento del livello di inefficienze.

2. Bad Luck: le sofferenze sono causate da fattori esogeni, che sfuggono al controllo della banca e sono dovuti principalmente agli shock di mercato. A fronte di un au- mento delle sofferenze si assiste ad una diminuzione dei livelli di efficienza. 3. Skimping Behaviour: per aumentare il livello di efficienza di costo, diminuisco il

livello dell’efficienza di profitto; ovvero, i manager preferiscono dimunuire i costi di breve periodo, come possono essere quelli del monitoring, tralasciando quelli di lungo periodo. Ciò comporta un aumento delle sofferenze e quindi un ritorno ad uno stadio inefficiente.

Giordano e Lopes, partendo da questi presupposti, analizzano il sistema bancario italiano, suddividendolo in base agli obiettivi e alla collocazione geografica, ma ponendo un particolare accento su quest’ultimo punto. La DEA, nella forma VRS, fa emergere i seguenti risultati: tra il 1993 e il 2003 le BCC a fronte di maggiori efficienze di costo,

ottengono minori efficienze di profitto rispetto alla media nazionale. Al contrario le POP registrano maggiori economie di profitto a fronte di minori ecfficienze di costo, mentre le S.p.A. essendo tra le banche di maggiori dimensioni, non ottengono buoni risultati a causa anche della tendenza, nel periodo analizzato ad operazioni di Merger and Aquisition. Nello stesso periodo, 1993 e 2003, Casu e Giardone (2009), considerano l’Italia ai primi posti a livello europeo, per efficienza bancaria, dopo la Germania. Rispetto alle banche di Francia, Spagna e Gran Bretagna, le banche italiane hanno performance migliori, che però, diversamente da quelle tedesche, restano costanti nel periodo analizzato. La performance delle banche delle altre tre nazioni, invece, manifestano una crescita nei livelli di efficienza, che però non raggiunge quelli dell’Italia né quelli delle banche tedesche che anch’esse seguono un trend di crescita.

Battaglia, Farina, Fiordalisi e Ricci (2010) analizzano gli anni che vanno dal 2000 al 2005, e il sistema bancario italiano nelle sue diverse forme giuridiche (S.p.A., BCC e POP). Dal loro lavoro emerge come le BCC siano le banche che raggiungono livelli di efficienza medi maggiori rispetto alle altre banche. Inoltre per le banche del Nord si registrano efficienze di costo maggiori rispetto a quelle del Sud, che viceversa producono maggiori efficienze di ricavo. Gli autori inoltre sostengono come sia importante per l’efficienza bancaria l’indice di inprenditorialità del comune in cui ha la sede legale la banca, poiché banche che sono collocate in territori ricchi di aziende oltre ad avere maggiori sportelli, sono più efficienti. Per quanto riguarda il periodo che va dal 2006 al 2010, si vuole ricordare il lavoro di Bonomo (2012): non solo si tiene conto dei diversi obiettivi bancari che ne delineano la forma giuridica, ma anche della collocazione territoriale (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole) e della classificazione dettata dall’ABI7 che suddivide le banche in maggiori,

grandi, medie, piccole e minori. Utilizzando anche la metodologia SFA (Statistic Frontiere Analysis) e confrontando i risultati che si ottengono con la DEA a rendimenti di scala variabili (VRS), si osserva come nel 2008 si assista ad una diminuzione nei livelli di efficienza per tutte le tipologie di banche, indipendentemente dalla collocazione geografica. Questo fenomeno è giustificato dal fatto che, a seguito della recente crisi, molte banche hanno avuto un peggioramento generale della qualità dei crediti che, come visto in precedenza, provoca il peggioramento del grado di efficienza della performance bancaria. Oltre a questo fenomeno, che è forte ma limitato all’anno 2008, negli anni successivi si assiste ad un aumento dell’efficienza media, soprattutto per quanto riguarda le banche

piccole e minori. Infine le banche che registrano performance migliori sono geograficamente collocate nel Nord Est e nel Centro Italia.

Si vuole sottolineare come rispetto alla metodologia SFA, la DEA ha catturato con più precisione il fenomeno di diminuzione dell’efficienza bancaria nel 2008, ma per quanto riguarda gli altri anni presi in esame, non vi sono differenze significative.

Dopo questa breve rassegna delle varie applicazioni della DEA al caso italiano, non si ha un quadro chiaro della situazione delle banche italiane, tuttavia si possono individuare tre linee guida comuni ai risultati di tutti i lavori sopra analizzati:

1. grande= meno stabile: si è visto come in realtà un aumento dimensionale non porta con sé le economie di scala che il management si aspetta, anzi si producono ineffi- cienze;

2. nord= efficienze di costo: le banche del Nord Italia preferiscono diminuire i costi di breve periodo tralasciando quelli di lungo periodo;

3. BCC= efficiente: non solo sono le banche più numerose in Italia, ma sono anche quelle di più piccole dimensioni. In un certo senso riflettono anche la natura delle imprese italiane, di piccole dimensioni e radicate nel territorio. Per questi motivi risultano essere sempre tra le più efficienti nel territorio italiano.