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Capitolo 8: Un'analisi empirica: la DEA come strumento di analisi delle operazioni d

8.3 Le variabili di input e di output

Una volta chiarita la composizione del campione, in questo paragrafo si vogliono descri- vere i dati utilizzati come variabili di input e di output per la metodologia DEA, che come visto in precedenza, non vincola nella scelta della quantità e della natura degli input e degli output stessi; nella fattispecie si è scelto di utilizzare tre variabili di input e tre di output.

Ogni banca è tenuta a pubblicare i propri bilanci, sia quelli d’esercizio, che quelli trime- strali, anche nel sito della banca stessa, quindi potenzialmente i dati sono facilmente repe- ribili; tuttavia non si sono utilizzati direttamente questi dati. Il motivo è dato dal fatto che non è possibile ritrovare i bilanci antecedenti alle varie operazioni di M&A, almeno non in tutti i casi. Pertanto si è cercato di trovare una soluzione alternativa che consentisse di ot- tenere non solo i bilanci delle banche presenti nel panorama odierno, ma anche di quelle che hanno subito diverse trasformazioni e che per esempio non sono più presenti nel settore bancario sotto quel particolare nome, ma possono essere state acquisite da altre.

Attraverso l’ausilio del database ORBIS Bureau Van Dijk, che contiene dati per 100 milioni di grandi aziende nel mondo, tra cui le banche, si sono ottenuti i dati necessari relativi al campione di riferimento. Inoltre il database è stato utile anche per ricostruire con maggiore precisione gli anni e le banche coinvolte in ogni operazione di M&A.

Per quanto riguarda la scelta delle variabili di input e di output, è da tenere in considera- zione la questione relativa al fatto che in genere tra gli input vengono collocate le variabili che si intende minimizzare, mentre tra gli output, vengono inserite quelle che devono essere massimizzate. Tuttavia come visto nel Capitolo 2, la scelta delle variabili è piuttosto com- plessa per quanto riguarda l’analisi della performance bancaria; infatti si pensa ad esempio alle sofferenze, che pur essendo una variabile di output della banca tuttavia non devono essere massimizzate. Inoltre è necessario adottare uno dei diversi approcci per quanto ri- guarda la collocazione dei depositi tra le variabili di input o tra le variabili di output: si è scelto di seguire la linea suggerita da Resti (1998) e Di Salvo (2002), ovvero di perseguire il production approach, che colloca i depositi tra le variabili di output.

Si hanno così le seguenti variabili di input che sono:

1. Immobilizzazioni: come in Resti (1998) sono scelte le immobilizzazioni che rappre- sentano il capitale della banca nel lungo periodo, ovvero tutto quell’insieme di beni o impieghi di capitale, appunto, anche della propiretà, che richiede più di un anno per trasformarsi in denaro. In altri termini è tutto ciò che l’azienda, in questo caso la banca, utilizza nella conduzione della propria attività economica in più cicli ope- rativi o nel corso di più esercizi e che non è prontamente liquidabile.

2. Numero di dipendenti: oltre ad essere un dato rappresentativo della dimensione della banca, alternativo al numero di filiali o di sportelli che viene invece utilizzato in Resti (1998) e Di Salvo (2002), il numero dei dipendenti costituisce il secondo elemento base di input della banca, ovvero la forza lavoro. Ad esso sono legati i costi del personale, i quali debbono essere minimizzati; purtroppo tali costi non

sono stati reperiti all’interno del database utilizzato, pertanto si è vista la necessità di utilizzare in sostituzione la terza variabile input, che segue.

3. Costi operativi: questa variabile è stata ricavata dall’indice cost to income, dato dal rapporto tra i costi operativi e il margine di intermediazione, poiché non diretta- mente rilevata tra i dati disponibili. I costi operativi comprendono anche i costi del personale ma in generale sono comprensivi di tutti quegli oneri sotenuti dalla banca per il funzionamento della struttura aziendale: è evidente come questa variabile di input sia tra quelle che tipicamente vengono minimizzate.

Per quanto riguarda invece le variabili di ouput, si sono scelte le seguenti:

1. Depositi: adottando il production approach, si è concordato con i due autori, Resti (1998) e Di Salvo (2004), nel collocare i depositi tra l’insieme delle variabili di output; essi vengono considerati un prodotto che viene offerto dalla banca alla pro- pria clientela, con i relativi servizi annessi.

2. Crediti: una seconda variabile di output sono i crediti verso clienti, al netto delle sofferenze. Questa particolare precisazione risulta importante, poiché infatti, come detto in precedenza, tra le variabili di input si collocano quelle variabili da mini- mizzare, mentre per quanto riguarda le variabili di output esse vengono massimiz- zate. Essendo le sofferenze una variabile di output, ma che in realtà non dev’essere massimizzata, ma bensì minimizzata, al totale dei crediti è stata sottratto l’importo dei crediti in sofferenza, in modo da non considerare l’intero insieme dei crediti come variabile di output da massimizzare, e non provocare in tal modo una distor- sione. Anche in questo caso si è in accordo con quanto fatto da Resti (1998) e Di Salvo (2004), i quali utilizzano tra le variabili di output i crediti, che sono il primo prodotto-servizio che viene associato all’attività bancaria.

3. Margine di Intermediazione: infine il terzo componente dell’inseme delle variabili di output è il margine di intermediazione. Esso non è stato direttamente rilevato tra i dati forniti da ORBIS Bureau Van Dijk, bensì è stato calcolato tramite l’estrapo- lazione sulla base di diversi indici e altre voci delle sue principali componenti. Il margine di intermediazione è dato dalla somma algebrica tra il margine di interesse (interessi attivi - interessi passivi), rettifiche nette su crediti, dividendi e altri pro-

venti, ricavi netti per servizi, profitti e perdite da operazioni finanziarie e altri pro- venti netti di gestione17. Questa particolare variabile rappresenta in sostanza il red-

dito netto senza e con interessi, al lordo di ogni costo operativo e di ogni accanto- namento, al netto dei redditi derivanti dalle operazioni fatte sul cosiddetto “banking book”18 e da quelli derivanti dall’attività assicurativa19. Risulta immediato com-

prendere il motivo per cui il margine di intermediazione venga inserito tra le varia- bili di output: esso rappresenta il reddito derivante dall’attività bancaria in partico- lare, pertanto esso dev’essere massimizzato e quindi trova un’adeguata collocazione all’interno dell’analisi DEA.