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OPZIONI REALI E FLESSIBILITA’ STRATEGICA: LE SHADOW OPTION

3.1 Decisioni di investimento e dinamicità ambientale

Le scelte di investimento, nell’ambito di un’impresa, dipendono da una pluralità di fattori esterni ed interni che incidono sulle scelte di gestione del portafoglio di opzioni a disposizione del manager dell’azienda.

Di solito, la compagine manageriale di una determinata impresa, si dimostra alquanto cauta nelle decisioni di investimento e pertanto avversa al rischio che la induce a ritardare l’impegno finanziario in attesa di ulteriori ed attendibili informazioni circa l’iniziativa progettuale che dovrebbe essere sostenuta, ciò al fine di ridurre l’incertezza corrente.

Tale comportamento, secondo la dottrina, rappresenta fonte di inerzia che genera un ritardo nell’intero sviluppo dell’impresa dovuto al fatto di non aver acquisito per tempo determinate tecnologie189.

La suddetta inerzia può essere dovuta anche al fatto che precedentemente l’impresa ha sostenuto investimenti finalizzati all’ottenimento di conoscenze specifiche che, se da un lato consentono di aumentare il suo grado di competitività, dall’altro limitano la possibilità di implementare ulteriori e nuovi investimenti e progetti che si discostano dalla direzione presa precedentemente, realizzando pertanto ulteriori e radicali cambiamenti all’interno dell’organizzazione imprenditoriale.

Infatti, secondo il filone della co-evolutionary lock e della path dependence, si sostiene che il processo di innovazione rappresenti un’opzione composta in quanto caratterizzata da risorse già detenute e opzioni latenti che, secondo tali posizioni, determinano in sostanza lo sviluppo futuro dell’impresa190.

Questo stesso studio si muove su due direzioni, la prima è volta a determinare sia le risorse disponibili da investire, sia il perimetro della cosiddetta razionalità limitata delineato dagli elementi che caratterizzano il contesto in cui si innesta l’iniziativa progettuale.

Ciò in quanto, se da un lato è importante che l’impresa abbia la disponibilità delle risorse necessarie per supportare il progetto, dall’altro è ugualmente rilevante l’azione di determinate variabili annesse all’azienda, quali la natura della struttura proprietaria, l’esistenza di prassi e meccanismi di monitoraggio, coordinamento e censimento delle abilità possedute, di bechmarking e via dicendo che influenzano anche il processo decisionale dei managers.

Secondo Miller, l’esperienza influenza non solo le percezioni del contesto da parte dei decisori, ma anche la classifica delle relative preferenze e le loro convinzioni. Tra

                                                                                                                         

189  CONNER K. R., Strategies for product cannibalism, in, Strategic Management Journal, Special

Issue n°9, 1988, pp. 9-26.

190  GULATY R., NOHRIA N., What is the optimum amount of organizational slack? A study of the

relationship between slack and innovation in multinational firms, in European Management Journal, vol. 15, n°6, 1997, pp. 603-611.

l’altro, la forma di struttura societaria condiziona il grado di avversione al rischio dei decisori191.

Alla luce di tali considerazioni, si può osservare come la propensione al rischio ed il problema dei costi di agenzia, rappresentino indicatori utili per evidenziare come la condotta degli operatori sia capace di influenzare le dinamiche reddituali dell’impresa determinando eventualmente un divario tra il valore potenziale di un’opzione reale e quello effettivamente realizzato.

Inoltre, l’implementazione di meccanismi diretti a censire le risorse e le abilità in possesso dell’impresa, agiscono direttamente sulla percezione dei decisori, dal momento che vanno ad alimentare il loro grado di conoscenza dell’ambiente in cui eventualmente contestualizzare l’investimento e l’iniziativa progettuale.

Nell’ambito di tale contesto, si può osservare come l’iter di formazione delle opzioni reali risulti essere influenzato dall’esistenza di precedenti investimenti, nonché da dinamiche che siano capaci di far convergere l’interesse dei decisori verso determinate ambiti d’intervento192.

Il primo a studiare l’influenza della condotta della compagine manageriale sullo sviluppo dell’azienda fu Simon, che volle introdurre, attraverso i suoi contributi, il concetto di razionalità limitata, ossia un principio che comunque andava in controtendenza con i modelli di massimizzazione utilizzati in quel periodo193.

Tale concetto si manifesta ed include un ampio catalogo di diverse ipotesi quali: •   la contextual rationality, dove i limiti riguardano la complessità del contesto

dei fattori strutturali nonché di quelli individuali;

•   la game rationality, dove i limiti riguardano le relazioni tra parti e sistemi; •   la process rationality dove i limiti riguardano la strutturazione del processo

decisionale;

                                                                                                                         

191 MILLER K. D., The architecture of simplicity, in Academy of Management Review, vol. 18,

n°1,1993, pp. 116-138.

192 HITT M. A., SHIMIZU K., Strategic flexibility: organizational preparedness to reverse ineffective

strategic decision, in Academy of Management Executive, vol.18, n°4, 2004 pp. 44-59.

193 SIMON H., Administrative behavior, New York, 1947, p. 44; MARCH J. G., SIMON H. A.,

•   la adaptive rationality dove i limiti riguardano l’apprendimento individuale o collettivo;

•   la seleptive rationality dove i limiti riguardano il principio di sopravvivenza; •   la posterior rationality dove i limiti si riferiscono al feedback194.

Simon osserva come la razionalità debba riferirsi al contesto nonché vada interpretata come l’abilità di conseguire gli obiettivi stabiliti tramite una serie di condotte coerenti con il fine del progetto195.

Sulla base del pensiero del Simon, autori come Golinelli, Sutton ed Hargadon196, hanno sostenuto più recentemente che le abilità cognitive e di conseguenza la condotta dei decisori viene influenzata essenzialmente da elementi strutturali dell’impresa, quali l’eterogeneità dei sistemi e dei canali di comunicazione, che sono presenti nella stessa organizzazione e che riguardano diversi soggetti. Tale diversità porta ad una disomogeneità nell’interpretare lo stesso contesto.

Infatti, per esempio nel caso in cui l’azienda sia caratterizzata da una proprietà forte, i manager sono più propensi al rischio, mentre nei contesti aziendali in cui il rischio è concepito quale risultante di asimmetrie informative, l’impresa è vista come insieme di norme comportamentali che governano la condotta degli operatori al fine di convogliarla verso il raggiungimento di determinati obiettivi197.

Inoltre, la razionalità limitata, implica il fatto che gli operatori agiscano in modo razionale ma, al tempo stesso, non sappiano qual è la scelta ottima per cui tale concetto esclude quello della massimizzazione del valore atteso198.

                                                                                                                         

194  MARCH J. G, Bounded rationality, ambiguity, and the engineering of choice, in The Bell Journal

of Economics, vol. 9, n°. 2, Autumn, 1978 pp. 587-608.

195 SIMON H., Rationality in psycology and economics, in The Journal of Business, vol. 59, n°4, part

2: The behavioural foundations of economic theory, 1986 pp. 209-224.

196 GOLINELLI G.M., L'approccio sistemico al governo d'impresa. L'impresa sistema vitale, vol. I,

Padova, 2000 p. 94; GOLINELLI G.M., L'approccio sistemico al governo d'impresa. La dinamica evolutiva del sistema impresa tra economia e finanza, vol. II, Padova, 2000 p. 54; SUTTON A. M., HARGADON A., Brainstorming groups in context: effectiveness in a product design firm, in Administrative Science Quarterly, n° 42, 1996 p. 718.

197 COVIN J. G., SLEVIN D. P., Strategic management of small firms in hostile and benign

environments, in Strategic Management Journal, n°10, 1989 pp. 75–87.  

198 CYERT R. M., MARCH J. G., A Behavioral Theory of the Firm, 2nd ed., Cambridge, MA,

Nel 1993 Levinthal e March hanno studiato due aspetti o abilità del management capaci di influenzare la gestione dello sviluppo dell’impresa quali la temporal e la spatial myopia. La prima riguarda l’orientamento dell’impresa a ragionare nel breve periodo, mentre la seconda si riferisce alla inconsapevolezza dell’esistenza di determinate competenze e know how presenti all’interno dell’azienda199.

Alla dottrina strutturalista, che analizza le variabili endogene ed esogene all’impresa, le quali influenzano il processo decisionale degli investimenti, si affianca un altro filone di studi di derivazione psicologica.

Nello specifico Fredericks sostiene che diverse decisioni vengono prese più sulla base di percezioni ed intuizioni piuttosto che in virtù di una sistematizzazione e formalizzazione dei problemi200.

Per esempio, al fine di misurare la propensione al rischio in regime di incertezza, bisogna tener conto anche di fattori quali l’avversione alle perdite, oppure la disponibilità da parte dei dirigenti a sacrificare maggiori profitti nel breve periodo ed assumere condotte rischiose nella convinzione di ottenere maggior valore in futuro201.

Tuttavia, nell’ambito di tale filone di ricerca, le variabili che sono in grado di influenzare i processi decisionali d’investimento inerenti ai managers, sono il controllo e l’attenzione.

Il primo condiziona la percezione del rischio portando ad una sua sottovalutazione, il secondo influenza direttamente la capacità previsionale dell’impresa, nonché la sua abilità di cogliere tempestivamente le opportunità che man mano si presentano. Le possibili conseguenze derivanti dai limiti di attenzione riguardano:

                                                                                                                         

199 LEVINTHAL D., MARCH J.G., The myopia of learning", Strategic Management Journal, Winter

Special Issue n°14, 1993, pp. 95-112.

200  FREDERICKS E., Infusing flexibility into business-to-business firms: a contingency theory and a

resource based view perspective and practical implications, in Industrial Marketing Management, n°34, 2005 pp. 555-565.

201  THALER R. H., Toward a positive theory of consumer choice, in Journal of Economic Behavior and

•   la scarsa propensione a valutare iniziative alternative ugualmente rilevanti rispetto a quella scelta dall’azienda202;

•   l’impiego di poche tecniche previsionali tradizionalmente utilizzate dall’impresa trascurando quelle più appropriate al contesto di riferimento203; •   l’attenzione su un numero limitato di obiettivi ed alternative che può generare

l’inerzia del management a cercare e valutare altre possibilità d’investimento per l’impresa204.

Klein sostiene che, in condizioni di incertezza, il management è spinto a valutare pochissime opzioni oppure addirittura solo una205.

Un altro importante approccio alle valutazioni delle opzioni è quello dell’“Attention Based View” (ABV)206, che si basa sui seguenti presupposti fondamentali:

•   la marcata separazione tra flussi informativi operativi e quelli strategici. Tale distinzione implica il fatto che il profilo strategico e quello operativo focalizzino il proprio interesse su variabili differenti;

•   l’identità dell’azienda che influenza l’individuazione del contesto e, di riflesso, le modalità di interazione tra la compagine manageriale ed il conteso esterno; •   i dirigenti dotati di un limitato livello di attenzione che sono oggetto di una

cospicua varietà di stimoli, dei quali solo pochi riusciranno a catturare il loro interesse.

In base all’ABV, l’abilità previsionale dell’impresa è condizionata dalla capacità di acquisire ed elaborare le informazioni sia interne, sia esterne all’impresa. Ad essa è collegata l’attenzione dei manager necessaria per innestare le dinamiche di flessibilità strategica, che si manifestano come feedback, codifica delle

                                                                                                                         

202 YATES J.R., JAGACINSKI C.M, FABER M.D., Evaluation of partially described multiattribute

options, in Organizational Behavior and Human Performance, vol. 21, n°2, 1978 , pp. 240-251.

203  MCNAMARA G, BROMILEY P., Risk and return in organizational decision making, in Academy

of Management Journal, vol.42, n°3, 1999, pp.330-339.

204   DAS T.K., TENG B.S., Cognitive biases and strategic decision processes: an integrative

perspective, in Journal of Management Studies, n°36, 1999, pp. 757- 778.

205  KLEIN B. G., Sources of power: how people make decisions, MIT Press, Cambridge, 1998, p. 72   206  OCASIO W., Towards an attention-based view of the firm, in Strategic Management Journal, n°18,

informazioni, creazioni di prassi organizzative, acquisizione ed analisi di dati ed informazioni, filosofia organizzativa e via dicendo207.

Tali elementi, che costituiscono la flessibilità strategica sono importanti, secondo l’ABV, per individuare le opzioni di investimento in un contesto caratterizzato dal rapporto tra disponibilità/non disponibilità delle alternative e percezioni dei dirigenti.

Tale relazione secondo Mathyssens et al. rappresenta l’elemento chiave per configurare un adeguato grado di flessibilità strategica208.

Infatti se a livello operativo viene colta l’opportunità di un investimento in un’iniziativa progettuale molto vantaggiosa per l’impresa, tale occasione può non essere avvertita come opportunità dal management che è portato a decidere sulla base del rapporto tra lo stimolo ricevuto ed i valori imprenditoriali di cui lo stesso è portatore.

Tale dinamica ha come risultante il fatto che i progetti scelti potrebbero essere non ottimali per l’impresa sotto il profilo sia economico sia finanziario. Ciò è generato da una dissonanza cognitiva, riferita ad alcuni progetti, che porta il decisore a sopravvalutare i rischi rispetto ai vantaggi connessi all’iniziativa esaminata. Tale dinamica è anche nota con il termine di “estentionality” e consiste in una distorsione percettiva che può verificarsi durante il processo decisionale.

Il catalogo dei fattori che possono influenzare ed a volte limitare l’attenzione dei manager nei processi decisionali d’investimento configurato dall’ABV è stato ulteriormente arricchito dal contributo di Dutton et al209. che ne individua altri qui di seguito riportati:

                                                                                                                         

207  HITT M. A., SHIMIZU K., Strategic flexibility: organizational preparedness to reverse ineffective

strategic decision, Academy of Management Executive, vol.18, n°4, 2004 pp. 44-59.

208MATTHYSSENS P., PAUWELS P., VANDENBEMPT K., Strategic flexibility, rigidity and

barriers to the development of absorptive capacity in business markets: themes and research perspectives, in Industrial Marketing Management, vol. 34, n°6, 2005 pp.547−554.;

209  DUTTON J. E., ASHFORD S. J., O‟NEILL R. M., HAYES E., WIERBA E. E., Reading the wind:

how middle managers assess the context for selling issues to top managers, in Strategic Management Journal, vol. 18, n°5, 1997 pp. 407–425.

•   la capacità di ascoltare da parte del top management; •   l’attenzione alla cultura organizzativa dell’impresa; •   le pressioni competitive ed economiche;

•   la propensione ad accettare cambiamenti organizzativi;

•   il timore di conseguenze negative dovute a scelte d’investimento; •   l’incertezza;

•   la cultura conservatrice nella gestione dell’impresa.

Traslando le suddette posizioni dottrinali sulla gestione del portafoglio delle opzioni reali, si può osservare come parte della dottrina sostenga che le decisioni manageriali sono effettivamente condizionate da elementi strutturali che riguardano il contesto in cui l’impresa opera e che incidono sulla gestione del portafoglio delle opzioni svolta dai manager.

Altra corrente di pensiero basa il suo approccio sulle scelte di investimento, e di conseguenza alla gestione del portafoglio delle opzioni, individuando i fattori che limitano l’attenzione dei decisori sostenendo pertanto che, una gestione adeguata del portafoglio delle opzioni, si basa su un buon grado di flessibilità strategica, il quale può essere ottenuto calibrando il rapporto tra disponibilità/non disponibilità delle alternative e percezione dei dirigenti210.