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Le opzioni reali come driver d'investimento in condizione di incertezza: le shadow options e la flessibilità strategica.

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Academic year: 2021

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Introduzione

Nell’ambito della realtà aziendale e dei mercati finanziari, le scelte di investimento, nonché i relativi processi decisionali, hanno da sempre rivestito un'importanza fondamentale e, pertanto, attratto l’attenzione della dottrina economica ed aziendalistica sulla materia.

Alla luce di tali considerazioni, il presente lavoro nasce dalla volontà di esaminare i modelli di condotta, necessari a descrivere quelle dinamiche comportamentali che portano le imprese e gli operatori finanziari ad effettuare scelte, anche diverse, inerenti alle opportunità di investimento.

Parametro guida di tale percorso di ricerca è la teoria delle opzioni reali, teoria che negli anni si è arricchita di una copiosa letteratura, e che, avvicendandosi nel tempo, rappresenta la risultante di una variegata dinamica di comportamenti e scelte d’investimento che la dottrina ha da sempre cercato di cristallizzare in appositi modelli.

Il capitolo d’apertura prende in considerazione i diversi metodi, formulati dalla dottrina aziendalistica, relativi alla valutazione degli investimenti in regime di incertezza.

Punto di riferimento fondamentale per le diverse formulazioni teoriche in materia è il rischio annesso all’iniziativa progettuale e, pertanto, all’investimento. Di conseguenza, in questa parte del lavoro, si evidenzia il ruolo che la suddetta variabile riveste nelle decisioni di capitalizzazione.

Difatti, il comportamento del decisore varia a seconda della tipologia di rischio che lo stesso si trova a fronteggiare, un rischio ad esempio specifico e sistematico, economico o tecnico, settoriale e via dicendo.

A questo punto dell’analisi si esamina la strategia di diversificazione degli investimenti, quale strumento utile a limitare il rischio e quindi anche capace di incidere sul processo decisionale.

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Segue uno studio sui diversi modelli ed approcci, formulati dalla dottrina aziendalistica, relativi alla valutazione del rischio nelle scelte di investimento.

In particolare vengono analizzati, anche con l’ausilio di exempla proposti dalla stessa dottrina, approcci e modelli quali il net present value statico e dinamico, la simulazione Montecarlo, il metodo degli equivalenti certi, l’approccio media-varianza nonché quello della dominanza stocastica.

Nel secondo capitolo vengono affrontate le tematiche più significative e più dibattute nell’ambito delle opzioni reali. Difatti il modello concettuale di “opzione reale” venne configurato da Stewart Myers nel 1977 ed evidenziava l’attuazione della teoria dei prezzi delle opzioni non finanziarie o "reali".

Tuttavia, il tema iniziò ad attirare un notevole interesse solo a partire dagli anni ’90, soprattutto nel mondo della produzione industriale, in quanto considerato uno strumento fondamentale per la valutazione dei progetti di investimento e dell’annessa strategia.

In virtù di tali considerazioni, nel secondo capitolo vengono individuati gli elementi base della teoria delle opzioni reali, ossia la capacità degli individui di configurare ed apprendere i dati che derivano dal contesto nel quale innestare la strategia di investimento, nonché la loro volontà di modificare la propria condotta conformandola alla realtà ed ai dati acquisiti.

Ciò è essenziale per la descrizione, che segue, delle varie forme che le opzioni reali possono prendere nella realtà, quali il posticipo, l’espansione, l’abbandono, la commutazione. Questo con lo scopo di osservare come le stesse possano influenzare la modalità di stima del valore degli investimenti e la relativa condotta dei decisori.

In questa stessa parte vengono inoltre individuate alcune potenziali criticità nell’applicazione delle opzioni reali, nell’ottica di vedere come le stesse possano essere meglio integrate in un portafoglio di strumenti di valutazione del rischio.

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La parte finale del secondo capitolo è dedicata ad una disamina delle varie teorie inerenti alla valutazione delle opzioni reali quali l’approccio classico, soggettivo, il Market Asset Disclaimer, l’approccio classico rivisto e quello integrato con due tipi di rischio.

A conclusione, nel terzo capitolo viene ricostruito, tramite la formulazione di un modello, la dinamica che caratterizza l’evoluzione delle risorse eccedenti nell’ambito dell’impresa, note in dottrina con il termine di slack, in vere e proprie opzioni reali.

In tale iter evolutivo, le shadow options, o opzioni ombra, rappresentano una “tappa obbligata” affinché le eccedenze organizzative dell’impresa diventino opzioni reali.

Pertanto, nel capitolo viene realizzata un’esplorazione della letteratura riguardante la natura e le caratteristiche sia degli slack, sia delle opzioni ombra, per poi individuare una serie di elementi, quali la natura degli slack, l’attenzione dei manager, la salienza dell’opzione, con i quali tracciare l’iter che porta alla realizzazione dell’opzione reale per poi contestualizzarlo in un modello.

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CAPITOLO I

LA VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI IN REGIME DI

INCERTEZZA.

Il presente capitolo prende in considerazione i diversi metodi, formulati dalla dottrina aziendalistica, relativi alla valutazione degli investimenti in regime di incertezza. Punto di riferimento fondamentale delle diverse formulazioni teoriche in materia è il rischio annesso all’iniziativa progettuale e pertanto all’investimento.

Alla luce di tali considerazioni si è ritenuto opportuno aprire il presente capitolo con un paragrafo dedicato al ruolo che lo stesso ha nelle decisioni di investimento. Esso varia a seconda della tipologia di rischio che il decisore si trova a fronteggiare quale per esempio quello specifico e sistematico, quello economico e tecnico, settoriale e via dicendo.

Nell’ambito dell’analisi tassonomica di tale variabile si è anche accennato alla strategia di diversificazione degli investimenti come strumento volto a limitare il peso di tale variabile.

A partire dal secondo paragrafo viene realizzata una disamina ed analisi dei diversi modelli ed approcci, formulati dalla dottrina aziendalistica, relativi alla valutazione del rischio nelle scelte di investimento.

Nello specifico vengono analizzate, anche con l’ausilio di exempla proposti dalla stessa dottrina, approcci e modelli quali quello del net present value statico e quello dinamico.

Per quest’ultimo si è voluto evidenziare l’importanza della decision tree analysis che mette in evidenza due tipi di comportamento inerenti il decisore, ossia quello di neutralità al rischio e quello di avversione.

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Tale distinzione risulta di notevole importanza per l’analista del rischio in quanto lo orienta nella scelta del parametro più adeguato da adottare per svolgere la sua analisi. In particolare nella scelta tra valore monetario atteso ed utilità attesa.

Tale fase risulta di fondamentale importanza per l’analista in quanto è propedeutica alla scelta della relativa funzione di utilità, la quale assume un andamento lineare nel caso di impresa neutrale al rischio e non lineare nell’ipotesi contraria.

Altro metodo che viene preso in considerazione è la simulazione Montecarlo che basa la sua analisi del rischio di investimento sullo studio di un campione di scenari possibili generati da N sperimentazioni o iterazioni.

In particolare nel capitolo viene descritta la procedura con la quale viene realizzato tale metodo, nonché vengono evidenziati e commentati gli aspetti più significativi di tale tecnica.

In tale parte del lavoro vengono presi in considerazione anche altri approcci di valutazione del rischio degli investimenti, quali il metodo degli equivalenti certi, che viene confrontato con il Risk adjusted discount rate, l’approccio media-varianza e quello della dominanza stocastica.

1.1  Il ruolo del rischio nelle decisioni di investimento ed alcune strategie di contenimento.

Nel processo di valutazione degli investimenti da parte della governance di un’impresa, il rischio ha da sempre assunto un ruolo fondamentale dal momento che il processo decisionale connesso all’approvazione, o meno, di una iniziativa di investimento ha sempre dovuto fronteggiare la questione inerente il grado di incertezza che caratterizza non solo il mercato in cui l’azienda opera, ma anche tutto il contesto esterno che lo correda.

In merito, diversi sono gli autori che si sono cimentati nell’effettuare una tassonomia del rischio, ma quella che si ritiene più idonea ai fini del presente lavoro è la

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classificazione proposta dal Micalizzi1 che individua fattori di rischio i quali, spesso e volentieri, sono tra loro interagenti.

L’autore individua e classifica le seguenti tipologie di rischio attinenti alle decisioni di investimento:

•   rischio economico e tecnico, il primo è strettamente legato a fattori esterni all’impresa quali per esempio l’andamento dei prezzi di mercato, mentre il secondo è legato a variabili endogene al progetto;

•   rischio operativo e finanziario, il primo è correlato all’organizzazione dell’impresa e delle sue attività con particolare riferimento all’allocazione dei costi fissi e variabili, mentre il secondo si riferisce alla leva finanziaria consistente nel rapporto tra indebitamento e capitale proprio contestualizzato in un sistema di tassi d’interesse e di cambio suscettibili di oscillazioni. Inoltre il rischio operativo e quello finanziario sono strettamente connessi al grado di irreversibilità delle decisioni di investimento, misurabile rapportandolo all’entità dei costi fissi.

In altre parole, più è ampia la misura dei costi fissi, più elevati sono gli oneri inerenti l’abbandono dell’iniziativa progettuale e pertanto meno reversibile è la scelta di investimento. Le suddette variabili quindi possono costituire veri e propri fattori bloccanti per l’iniziativa in parola;

•   rischio specifico e sistematico, sono fattori di derivazione finanziaria di cui il primo si riferisce a variabili macroeconomiche che impattano sull’intero sistema, mentre il secondo si riferisce a fattori di rischio inerenti il settore in cui l’impresa opera.

La governance dell’azienda pertanto sarà incentivata a diversificare il più possibile gli investimenti, con lo scopo di limitare il rischio specifico e minimizzare quello sistematico.

Tale modus operandi del management è retaggio di una prospettiva aziendale nota in dottrina come la risk view. In particolare essa considera la scelta di implementare politiche di diversificazione del proprio portafoglio attività come

                                                                                                                         

1 MICALIZZI A., Opzioni reali. Logiche e casi di valutazione degli investimenti in contesti di

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strumento per ridurre il rischio specifico e sistematico d’impresa. Tale prospettiva è nata proprio con i primi studi sulla diversificazione degli investimenti.2

Infatti Penrose già nel 1959 evidenziava l’opportunità di diversificare al fine di fronteggiare le particolari condizioni del mercato. Più nello specifico tale strategia consente di affrontare le fluttuazioni inaspettate e temporanee della domanda di mercato asserendo che, in tali ipotesi, le aziende sono stimolate a diversificare il proprio portafoglio di attività a causa del rischio e dell’incertezza relativa all’intensità ed alla durata della fluttuazione della domanda. Ciò al fine di stabilizzare la propria performance globale.

La Penrose considera infatti come esempi le imprese operanti nel mercato del lusso che sono spinte a diversificare la propria attività al fine di non dipendere troppo dal reddito dei propri clienti.3

Pertanto tale posizione dottrinale associa la diversificazione alla riduzione del rischio economico d’impresa. In tale rapporto essa assume la natura conglomerale dal momento che nel 1996 Goold e Luchs4 osservarono che un’azienda che intenda raggiungere l’obiettivo della stabilità dei profitti futuri, deve allocare le proprie attività in più settori produttivi con diversi gradi di rischiosità e con diversi cicli economici.

In tal modo un trend negativo registrato in alcune attività trova compensazione in uno positivo prodotto in altri settori. Tale politica sembra incontrare il favor di investitori ed azionisti. Tuttavia gli studi realizzati dai teorici di finanza aziendale hanno confutato tale posizione, affermando che gli investitori possono diversificare i propri portafogli e su propria iniziativa attraverso, per esempio, l’entrata in un fondo comune di investimento.5

                                                                                                                         

2RAMANUJAMV. & VARADARAJAN P. Research on corporate diversification: A synthesis, in

Strategic Management Journal 10, 6 1989, pp. 523-551

3 PENROSE E. The theory of the growth of the firm, 1959 p. 24

4  GOOLD M. e LUCHS K., Why Diversify? Four decades of Management Thinking, in Academy of

Management Executive, n. 7, 1996 p. 22  

5SONG J. H. Diversification strategies and the experiences of top executives in large

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Pertanto l’impresa multisettoriale non ha il ruolo di diversificare i rischi per gli azionisti come dimostrano il modello del CAPM6 e diversi studi empirici. Tuttavia occorre osservare che gli azionisti non rappresentano la totalità degli stakeholders, ma ci sono anche i lavoratori che possono beneficiare della diversificazione in quanto, nel caso di crisi di una linea produttiva, essi possono essere ricollocati in altri settori.7

Smilth e Stulz evidenziano che non sempre la riduzione del rischio comporta la riduzione del valore dell’impresa. Infatti i dipendenti, i clienti ed i fornitori che sono avversi al rischio potrebbero preferire una sua riduzione totale nell’ipotesi in cui esso fosse minore del beneficio agli stakeholders. Pertanto il valore totale dell’impresa non necessariamente diminuirà.8

La teoria della risk view, in base alla quale le aziende diversificano la propria attività per ridurre il rischio per gli azionisti, sembra non configurare un quadro univoco sul fenomeno e sulle spinte che lo generano. Ciò in quanto il motivo secondo cui ci sono alcune categorie di stakeholders, quali azionisti e dipendenti che possono trarre beneficio da tale strategia, non può essere ritenuto sufficientemente valido ad integrare una teoria completa sulla nascita ed evoluzione del fenomeno.9

•   rischio settoriale, che comprende gli effetti delle decisioni adottate dai concorrenti nonché i fattori di rischio connessi alla tecnologia, specialmente in quei settori dove l’innovazione ha un ruolo fondamentale.

Il rapporto tra questi due fattori di rischio porta a comprendere come le scelte aziendali siano tra loro interdipendenti, pertanto le relative strategie dovranno essere tarate sulla base del ciclo di vita del settore nonché sull’andamento dei prezzi;

                                                                                                                         

6 KHOROSHILOY Y., A dynamic model of Diversification and Divestiture, in Working Paper,

University of Michigan Business School, 2002 p. 34

7 HASPESLAGH, P. Portfolio planning: Uses and limits. Harvard Business Review 60, 1 1982 pp.

58-73.

8 SMITH C.W. e R.M. STULZ, The determinants of firms hedging policies, in Journal of Financial and

Quantitative Analysis, 20, 1985 pp. 391-405

9 JOSE M. L., NICHOLS L. M. & STEVENS J. L. Contributions of diversification, promotion and

R&D to the value of multiproduct firms: A Tobin’s q approach. Financial Management, Winter 1986: pp. 33-81

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•   rischio di mercato, che comprende sia quelli legati all’andamento delle mode e dei gusti dei consumatori sia quelli in senso stretto. In tale ambito si innesta anche il rischio di insolvenza o dei ritardi nei pagamenti da parte dei clienti, noto anche come rischio cliente, nonché gli ostacoli nella fornitura delle materie prime.

Per fronteggiare tali rischi, il management dell’impresa potrebbe essere indotto ad adottare una strategia di diversificazione degli investimenti volta a far acquisire all’impresa un determinato potere di mercato, noto in dottrina aziendale come “potere conglomerato”.

Tale modus operandi del management è retaggio di una prospettiva aziendale nota in dottrina come (la) Power Market View, nella quale Hill sostiene come la diversificazione porti l’impresa ad una crescita non aumentandone il grado di efficienza, ma permettendo all’impresa di accedere ad una determinata forma di potere definito dallo stesso autore “Potere conglomerato”.10

Tale prospettiva era stata tuttavia anticipata da Edwards che nel 1955 afferma: Un’ impresa che produce molti prodotti e opera su molti mercati non ha bisogno di guardare alla massimizzazione dei profitti in tutti i mercati in cui opera come lo schema tradizionale presupporrebbe (…). Essa può possedere potere in un particolare mercato ma anche in virtù dell’ampiezza e della tipologia delle sue attività in qualche altro mercato. Può essere in grado di sfruttare ed estendere o di difendere il suo potere tramite tattiche che tradizionalmente sono associate all’idea del monopolista.11 Gli autori che hanno condiviso la posizione di Edwards hanno concentrato la propria attenzione sulle modalità con le quali le imprese conglomerate riescono ad ottenere potere di mercato implementando politiche lesive della concorrenza.

Esse per esempio possono utilizzare politiche di dumping che consentano di impiegare i loro profitti in un mercato per praticare prezzi predatori finalizzati ad eliminare i concorrenti. Inoltre l’ipotesi in cui due imprese si fronteggino su più mercati può stimolare le stesse a realizzare accordi di cooperazione e

                                                                                                                         

10HILL, C. W. L. & HOSKSSON R. E. Strategy and structure in the multiproduct firm. in Academy

of Management Review 1987 n.12 pp.331.341.

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pertanto ridurre di fatto il grado di competitività del mercato precludendo anche l’ingresso sullo stesso di altri competitors.12

Gli studiosi che hanno contestualizzato la diversificazione in tale prospettiva hanno evidenziato molto le potenziali conseguenze anti-competitive.

Tale corrente di pensiero se da un lato ha fornito una spiegazione sugli effetti che la diversificazione produce sul mercato, dall’altro non fornisce un quadro delle dinamiche e dei meccanismi che spingono le imprese ad adottare questa strategia. Inoltre se si considera esclusivamente tale prospettiva si finisce col dedurre l’esistenza di una relazione positiva tra diversificazione e performance delle aziende che hanno diversificato13;

•   rischio paese, si riferisce alle imprese che operano su mercati internazionali e si trovano a gestire le relazioni con le autorità dei diversi Stati.

1.2  Modelli ed exempla di valutazione del rischio nelle scelte di investimento

Nell’ambito del contesto di incertezza in cui le imprese si trovano ad operare, assume un notevole rilievo la metodologia di valutazione del rischio di investimento adottata al fine di orientare le scelte imprenditoriali.

Uno dei metodi più conosciuti si basa sul valore attuale ed è noto come VAN, ossia valore attuale netto, oppure come NPV che è l’equivalente di net present value. Tale metodologia può essere implementata attraverso:

•   un approccio statico, più comunemente noto come NPV statico, nel quale viene calcolato il valore attuale della somma dei flussi di cassa futuri generati dall’investimento, la cui entità, positiva o negativa, porterà il management a decidere se investire o meno nel progetto;

•   un approccio dinamico, più comunemente noto come NPV dinamico, il quale si basa su un’analisi reticolare, ossia la decision tree analysis, governata da un algoritmo topologico il quale descrive i possibili contesti che si potrebbero verificare con un determinato grado di probabilità.

                                                                                                                         

12  EDWARDS C.D. Conglomerate bigness as a source of power, in www.nber.org pp. 331-359   13 BETTIS R. A. & HALL W. K. Strategic portfolio management in the multi-business firm, in

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1.2.1   L’approccio del net present value statico

Come già detto in precedenza, tale approccio si basa sul valore attuale della somma dei flussi di cassa futuri generati dall’investimento. Nello specifico viene considerato un orizzonte temporale che varia da 0 a N. Sulla base di tale periodo vengono attualizzati i flussi di cassa futuri (FCF) ad un determinato tasso di attualizzazione 𝑖" e sommati tra loro. A tale valore verrà poi sottratto l’investimento iniziale 𝐼$. In particolare il net present value viene calcolato sulla base della formula qui di seguito riportata:

𝑁𝑃𝑉   =   −𝐼+  +   -.-/ (1234)/ 6

78$

dove 𝑖" = r +WACC. In sostanza il tasso di attualizzazione è dato dalla somma tra quello risk free ( r ) ed il costo medio ponderato del capitale indicato con WACC. Quest’ultima grandezza viene ricavata facendo la media ponderata tra il costo del capitale proprio 𝐾: e del capitale di debito 𝐾;.

La ponderazione avviene sulla base dell’equity e del debito che viene evidenziata nella sua formula completa del WACC la quale include anche l’aliquota fiscale t:

WACC = 𝐾: < =2< + 𝐾;

=

=2< (1-t)

Tale metodologia se da un lato consente di delineare il profilo di rischiosità del progetto, considerando la struttura finanziaria dell’impresa, dall’altro descrive la situazione in un dato momento e pertanto suppone che il contesto rimanga invariato. Tale ipotesi si dimostra alquanto improbabile dal momento che l’impresa opera in uno scenario di mercato che è in continua evoluzione14.

Esempio applicativo: un imprenditore industriale sta valutando un progetto, che richiede un impegno finanziario iniziale di 2,5 M€. I ricavi addizionali previsti dalla vendita del nuovo prodotto ammontano a 2,6 M€ all’anno. La vita utile dei macchinari utilizzati è di 5 anni, al termine dei quali non sono più utilizzabili e pertanto non

                                                                                                                         

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risultano più rivendibili. I costi incrementali, ascrivibili all’impiego di materie prime, carburante, lavoro, trasporti e all’incremento dei costi generali ammontano a 2 M€ annui. – Infine, esiste un’opportunità alternativa di investimento che assicura un rendimento del 5%, che pertanto costituisce il tasso di attualizzazione.

Tab. 1.1 Valori dei flussi di cassa in entrata ed in uscita relativi ad un quinquennio generati da un determinato investimento, valori in mld di Euro.

Anno Flusso in entrata Flusso in uscita Flusso netto

0 - 2,5 - 2,5 1 2,6 2 + 0,6 2 2,6   2   + 0,6   3 2,6   2   + 0,6   4 2,6   2   + 0,6   5 2,6   2   + 0,6  

Fonte: Dati rielaborati su quelli riportati in PEDRINI S. Analisi degli investimenti: il valore attuale

netto, in www.unibg.it

Utilizzando la formula del 𝑁𝑃𝑉 indicata precedentemente, il valore attuale netto dell’investimento è dato da: 𝑁𝑃𝑉 = 6>/

1,$@ 78@ 78$ = AB@$$$$$(1,$@)C + D$$.$$$ (1,$@)F + D$$.$$$ (1,$@)G + D$$.$$$ (1,$@)H + D$$.$$$ (1,$@)I + D$$.$$$ (1,$@)J = -2.500.000 + 571.428,5714 + 544217,6871 + 518.302,5591 + 493621,4849 + 470115,6999 = + 97.686,0015. Essendo il NPV > 0, ossia pari a + 97.686,0015 euro, all’impresa conviene investire nel nuovo progetto produttivo in quanto, nel caso in cui il progetto venga accettato ed implementato, si verificherebbe un incremento di valore dell’attività economica. Alla luce del suddetto esempio si può osservare come esista una relazione tra NPV e tasso di attualizzazione descritta nel seguente grafico:

Graf. 1.1 Rapporto tra il net present value ed il tasso di attualizzazione.

NPV 600.000

100.000 97.686,0015

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0 5%

Costo del capitale

Fonte: PEDRINI S. Analisi degli investimenti: il valore attuale netto, in www.unibg.it

Tale rappresentazione mette in evidenza la relazione inversa tra NPV e tasso di attualizzazione, nel senso che minore è il costo del capitale, più elevato è il net present value e pertanto maggiore è la possibilità che l’impresa realizzi l’investimento15.

1.2.2   L’approccio net present value dinamico tra neutralità ed avversione al rischio: exempla della letteratura e comparazione tra EMV ed utilità attesa. Un altro approccio con il quale può essere implementato il metodo del net present value è quello dinamico che può essere realizzato sia attraverso l’analisi reticolare, più comunemente nota con il termine decision tree analysis, sia attraverso la cosiddetta “simulazione Montecarlo”. Tali metodologie tracciano le dinamiche evolutive del progetto sulla base dei diversi contesti che potrebbero verificarsi con un certo livello di probabilità.

1.2.2.1 La decision tree analysis

La tecnica dell’analisi reticolare, concepita per prendere decisioni in presenza di incertezza, può essere applicata a molti e variegati scenari di gestione del progetto. Ad esempio risulta utile per decidere di offrire o meno il nuovo prodotto ad un prezzo basso, oppure adottare una tecnologia in considerazione dello stato dell'arte del progetto o delle innovazioni tecnologiche del settore di riferimento.

Tale tecnica inoltre viene adottata per il fatto che, prendere diverse decisioni è alquanto difficile, dal momento che i risultati della scelta tra le alternative disponibili possono essere variabili, ambigui, sconosciuti o non riconoscibili. Essa inoltre si basa su alcune

                                                                                                                          15 Ibidem

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variabili fondamentali quali il valore monetario atteso dall’impresa a seguito della scelta di investimento (EMV), l’utilità attesa 𝑈: nonché il grado di avversione al rischio dell’impresa16.

Con riferimento all’EMV poiché le conseguenze di ciascuna decisione non sono conosciute con certezza, la scelta più vantaggiosa e il suo valore sono generalmente calcolati in base alle stime di ogni possibile risultato moltiplicate per l’annessa probabilità. Pertanto, il meccanismo relativo al processo decisionale che governa la tree analysis si basa sull’entità del valore monetario atteso (EMV) delle alternative. Infatti, l’impresa sarà orientata ad optare per la soluzione d’investimento che offre il massimo EMV.

L'EMV può essere il miglior criterio decisionale per un’impresa che ha in cantiere diversi progetti o per una grande azienda che gode di stabilità finanziaria e programma sul lungo periodo. Tale condotta inoltre si riscontra soprattutto nelle imprese che sono neutrali al rischio.

Tuttavia il criterio EMV non è idoneo per tutte le aziende, infatti molte imprese sono coscienti che non possono ripetere più volte lo stesso progetto. Lo realizzano una sola volta e quindi hanno solo una possibilità di "fare le cose per bene". Ciò è tipico delle imprese che sono avverse al rischio e pertanto sono più restie ad intraprendere nuove iniziative17.

In tal caso il valore del EMV non risulta idoneo per le decisioni di investimento e di conseguenza per valutare la fattibilità del progetto in quanto:

•   non è possibile che dall’iniziativa, essendo singola ed isolata, si possa derivare un risultato medio;

•   l’impresa è più interessata a conoscere il grado di probabilità di fallimento o di perdita significativa connessa al singolo investimento.

                                                                                                                         

16  HULLET, D. T. Decision tree analysis for the risk averse organization. Paper presented at PMI®

Global Congress 2006—EMEA, Madrid, Spain. Newtown Square, PA: Project Management Institute 2006.

17  Project Management Institute, A guide to the project management body of knowledge (PMBOK®) (3rd ed.). Newtown Square, PA: Project Management Institute 2004

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Quindi in tal caso la metodologia di analisi dell'albero decisionale e gli strumenti che la implementano non richiedono l'uso dell’EMV. Infatti la tree analysis può essere impostata sulla base dell’utilità attesa  𝑈: del progetto da parte dell’impresa.

Pertanto nell’ipotesi di un operatore economico avverso al rischio, la EMV viene sostituita dall’𝑈:  .

Tuttavia la funzione dell’utilità attesa implica a livello statistico e microeconomico la questione di conoscere la relativa forma. In tal caso, dal momento che l’EMV è dato dalla somma dei prodotti dei valori delle scommesse alternative con le loro probabilità, la funzione dell’utilità attesa può essere determinata sostituendo ad EMV, 𝑈:.

Pertanto l’utilità attesa sarà data dalla somma dei prodotti tra i valori delle possibili alternative e la percentuale di probabilità con cui esse si possono verificare. La differenza fondamentale tra le due grandezze riguarda il fatto che l’EMV si riferisce ad un complesso di investimenti, mentre l’ 𝑈: alla singola iniziativa progettuale18. Qui di seguito vengono analizzate diverse ipotesi che possono scaturire dall’analisi dell’ “albero decisionale”.

1.2.2.2 The tree analysis hypothesis: un nodo decisionale e due nodi di probabilità La prima ipotesi inerente la tree analysis è caratterizzata dalla presenza di un nodo decisionale e di due nodi di probabilità. Tale architettura, che caratterizza l’algoritmo topologico, può essere illustrata considerando l’esempio qui di seguito riportato19. Si suppone il caso in cui un’impresa appaltatrice abbia nel proprio contratto una penalità calcolata per ogni giorno di ritardo nella consegna dell’opera al cliente. Inoltre l’appaltatore deve scegliere un subappaltatore per affidare l’esecuzione di un’attività critica tenendo presente che lo stesso persegue l’obiettivo di minimizzare i costi nell’esecuzione dell’opera. In tale contesto è pertanto spesso improbabile che

                                                                                                                         

18  PINEY C., Applying Utility Theory to Project Risk Management, Project Management Journal 34(3)

26-31, 2003

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l’impresa contraente affidi l’esecuzione di una parte critica dell’opera al subappaltatore più costoso, anche se lo si ritiene affidabile.

Tra l’altro anche il subappaltatore che propone offerte più basse garantisce una consegna di successo, sebbene si sospetti che non possa eseguire l’opera in modo affidabile.

Partendo da tale fattispecie, qui di seguito viene realizzata un'analisi puntuale della relativa decisione applicando una struttura ad albero delle decisioni semplificata che riduce al minimo il costo dell’impresa, in particolare:

- un subappaltatore propone un’offerta ad un costo inferiore pari ad euro 110.000. La sub-appaltante stima tuttavia che c'è una probabilità del 50% che questo contraente sarà in ritardo di 90 giorni e il contratto del sub-appaltante con il cliente principale specifica che sarà pagata una penalità pari ad euro 1.000 per ogni giorno di ritardo. - un subappaltatore che propone un’offerta ad un costo più alto pari ad euro 140.000. La sub-appaltante conosce questa impresa e pertanto stima una probabilità del 10% che la stessa sarà in ritardo nella consegna nella misura di solo 30 giorni. Naturalmente la stazione appaltante applicherà anche in questo caso la stessa penale di euro 1.000 per ogni giorno di ritardo.

Pertanto l’impresa appaltatrice ha bisogno di sapere se c'è qualche vantaggio nell'usare il subappaltatore a più alto costo al quale è associata una maggiore affidabilità delle prestazioni. Tale problema può essere risolto attraverso un’analisi formale che implica l’uso di alberi decisionali i quali consentiranno di rilevare se c’è o meno un effettivo vantaggio nel sub-appaltare all’impresa più onerosa.

Nella figura 1.1 si può osservare come in alcune circostanze, in genere basate su probabilità, costi e benefici di eventi incerti, potrebbe esserci una logica che porta all'assunzione del miglior offerente20.

Adottando per la costruzione dell’albero decisionale il software Precision Tree® di Palisade Corporation, la relativa struttura viene qui di seguito riportata:

                                                                                                                          20  Ibidem  

(17)

Fig. 1.1 Algoritmo topologico inerente il processo decisionale dell’investitore basato sul valore monetario atteso

Fonte: HULLET, D. T. Decision tree analysis for the risk averse organization. Paper presented at PMI® Global Congress 2006—EMEA, Madrid, Spain. Newtown Square, PA: Project Management Institute 2006.

Si può osservare che nell’ipotesi in cui si scelga l’offerta economicamente più vantaggiosa, il panth value nel caso di ritardo, ossia la somma tra l’investimento iniziale pari a 110.000 euro ed il valore della penalità pari 90.000 euro, sarà di 200.000 mentre nel caso in cui vengano rispettati i tempi di consegna, il panth value corrisponderà a euro 110.00021.

In tale ipotesi l’ EMV sarà di 155.000 euro, derivando dalla sommatoria tra il panth value senza penalità ed il valore derivante dall’applicazione della percentuale di probabilità al valore della penalità ossia: 110.000 + (90.000x50%) = 155.000.

Nell’ipotesi in cui si scelga l’offerta economicamente più elevata, il panth value nel caso di ritardo sarà pari a 170.000 (140.000 + 30.000), mentre corrisponderà ad euro 140.000 nel caso in cui si rispettino i tempi di consegna. In tale ipotesi l’ EMV sarà di 143.000 euro, derivando dalla sommatoria tra il panth value senza penalità ed il valore

                                                                                                                          21  Ibidem  

(18)

derivante dall’applicazione della percentuale di probabilità all’importo della penalità: 140.000 + (30.000x10%) = 143.000. Dal confronto tra i valori dei due EMV emerge che la scelta migliore è quella dell’offerta economica più elevata, che presenta un EMV più basso22.

1.2.2.3 La comparazione tra le ipotesi di neutralità ed avversione al rischio: il valore monetario atteso e l’utilità attesa come parametri di riferimento.

Nel caso sopra esaminato è stato assunto che il comportamento dell’impresa appaltatrice è quella di massimizzare il valore monetario atteso o eventualmente minimizzare il costo previsto.

Questo comportamento, che potrebbe essere definito "neutrale al rischio", riguarda più che altro un’impresa che ha molti progetti o che ha una visione a lungo termine e può prosperare se riesce "nella media"23.

Tuttavia la maggior parte delle imprese si dimostrano caute negli investimenti, soprattutto in quelle situazioni in cui pensano di essere vulnerabili e di subire ingenti perdite.

Pertanto tali operatori economici cercano di evitare di prendere iniziative progettuali che, se dovessero fallire, esporrebbero l'organizzazione a grandi perdite, anche se le stesse potrebbero offrire una possibilità di guadagni consistenti in caso di successo. Questo comportamento potrebbe essere definito come "avversione al rischio".

Le decisioni avverse al rischio adottate dalle imprese tendono, piuttosto che a minimizzare l’EMV, a massimizzare la loro utilità attesa 𝑈:, in quanto più idonea ad assegnare una dimensione alla possibilità di perdite consistenti.

                                                                                                                         

22  L’esplicitazione dei calcoli ed il commento della figura 1.1 sono propri.    

23  HULETT D. & HILSON D., Use Decision Trees to Make Important Project Decisions, Forthcoming

(19)

La maggior parte dei software che gestiscono la tree analysis consente all'utente di progettare una funzione di utilità che rifletta il grado di avversione dell'impresa alle grandi perdite24.

Essa spesso percepisce una maggiore avversione per le perdite derivanti dal fallimento del progetto, rispetto al beneficio di un guadagno di pari dimensioni che deriva dal successo del medesimo.

Per tale impresa, il timore di perdere per esempio 1 milione di euro supera di gran lunga il vantaggio di guadagnare la stessa cifra. Inoltre il soggetto avverso al rischio non farà un progetto se le probabilità sono 50-50 tra i due risultati. La preferenza di evitare grandi perdite è piuttosto forte e potrebbe superare il vantaggio di ottenere lo stesso importo o anche più25.

Graf. 1.2 Confronto tra le funzioni di utilità dell’impresa avversa al rischio e di quella neutrale

                                                                                                                          24  HULLET, D. T.. Decision tree, op.cit.   25  PINEY C., op .cit.  

(20)

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

Il confronto tra l’ipotesi di impresa neutrale (EMV) ed avversa al rischio (𝑈:) è rappresentato nella fig. 1.2. nella quale viene rilevato il giudizio di valore dato da due imprese in merito al beneficio o alla perdita derivante da diversi risultati.

Nello specifico:

•   la linea retta, che rappresenta l’utilità lineare, rileva il modo in cui un’impresa neutrale al rischio valuta il beneficio o la perdita. Si noti che il valore dell'utilità, posto sull’orizzonte verticale o asse delle Y, associato al beneficio di euro 100, segnato sull'asse orizzontale o X è di euro 100.

(21)

Viceversa, il valore dato da tale impresa ad una perdita di euro 100 sull'asse X è meno di euro 100 sull'asse Y. Per cui per tale impresa, il valore del beneficio e della perdita è semplicemente dato dal relativo importo in euro.

•   la funzione di utilità curva, non lineare, è una tipica forma che caratterizza un’impresa avversa al rischio. Essa valuta un guadagno di euro 100 a +100 come valore del beneficio, mentre una perdita di euro 100 implica una perdita di 369 in termini di utilità. Per tale impresa, il valore di un vantaggio o di una perdita non è il valore monetario, ma viene filtrato attraverso una funzione di utilità non lineare che attribuisce un giudizio di valore al risultato che esonda dal mero calcolo matematico26.

1.2.2.4 La valutazione del progetto di investimento con risultati incerti nell’ipotesi di neutralità ed avversione al rischio.

La figura 1.2 può essere utilizzata per calcolare il valore di una scommessa d’investimento o nodo di probabilità in un albero decisionale quando sono noti i possibili risultati e le loro probabilità. La differenza tra un'impresa neutrale al rischio e quella avversa che fronteggia gli stessi risultati e le stesse probabilità è rilevata nella tabella riportata qui di seguito:

Tab. 1.2 Confronto tra i valori che assumono le funzioni di utilità riferite alle ipotesi di neutralità (funzione lineare) e di avversione al rischio (funzione non lineare) per uno scenario specifico.

Esiti alternativi Valori per l’impresa

Valore Probabilità EMV 𝑈:

100 $ 50% 100 100

-100 $ 50% -100 -369

EMV o 𝑈: 0 -135*

*(100 -369) x 50%

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

Si noti che l’impresa neutrale che valuta la sua incertezza basandosi sull’ EMV, è indifferente a fare o meno una scommessa in quanto ha un risultato simmetrico + 100 euro e – 100 euro. L'impresa avversa al rischio sarebbe fortemente contraria a prendere

                                                                                                                          26  HULLET, D. T. Decision tree, op. cit.  

(22)

la decisione di investire in quanto l'utilità negativa della possibile perdita di euro 100 è di -369 e l'utilità positiva del guadagno possibile è solo di + 100. La ponderazione 50-50 di questi due risultati si traduce in un valore negativo per l'intera opportunità27. Questo esito può viene rappresentato nel grafico 1.3 qui di seguito riportato, dove il risultato si trova sulla linea tra il valore dell'utilità a + euro 100 e - euro 100 sull'asse X che corrisponde alle probabilità relative:

Graf. 1.3 Confronto tra la scala di valori in termini di utilità tra l’impresa neutrale al rischio e quella avversa.

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

Altre combinazioni di valori e probabilità possono essere valutate utilizzando lo stesso grafico.

La tabella qui di seguito riportata mostra scommesse d’investimento caratterizzate dallo stesso valore relativo al risultato ma che differiscono per quanto riguarda la probabilità associata a ciascuna di esse.

Tab. 1.3 Utilità prevista per diverse combinazioni di una scommessa di investimento con risultati di + euro 100 e - euro 100 per un'impresa neutrale al rischio (EMV) ed una avversa (𝑼𝒆)

Pr (100) Pr (-100) Utilità EMV

80% 20% 6 60

                                                                                                                          27  Ibidem  

(23)

60% 40% -88 20

40% 60% -182 -20

20% 80% -275 -60

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

Come si può notare dai risultati esposti nella suddetta tabella, l’impresa avversa al rischio accetterebbe a malapena la scommessa se avesse un 80% di probabilità di successo, e la rifiuterebbe se avesse "solo" una probabilità di esito positivo nella misura del 60%.

Tali risultati sono stati riportati nel grafico 1.4 nel quale, variando il punto sulla linea che rappresenta le diverse combinazioni tra scommesse di investimento e probabilità di successo, si può osservare come le linee verticali che ne derivano mostrano come le valutazioni dei progetti o delle scommesse delle imprese avverse al rischio siano diverse da quelle neutrali.

Inoltre, per valori positivi dell’ EMV e della 𝑈:, entrambi i tipi di impresa decideranno di eseguire il progetto e pertanto effettuare l’investimento. Valori negativi porteranno invece al rifiuto del medesimo. Oltre una discreta gamma di probabilità relative, le decisioni delle due imprese saranno diverse28.

Pertanto, chi opera nell’ambito delle decisioni d’investimento dovrà essere in grado scegliere la funzione di utilità più adeguata all’impresa in cui opera. Ciò al fine di formulare raccomandazioni coerenti con l'atteggiamento dell'azienda nei confronti del rischio.

Graf. 1.4 Equivalenza di valori in termini di utilità tra l’impresa neutrale al rischio e quella avversa.

                                                                                                                          28  Ibidem  

(24)

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

1.2.2.5 La scelta della funzione di utilità dell’impresa.

La scelta della funzione di utilità da parte dell’operatore deve essere realizzata in base al grado di avversione al rischio nelle scelte di investimento da parte dell’impresa. Qualsiasi decisione del management può essere analizzata nel modo migliore conoscendo l'atteggiamento che lo stesso ha nei confronti del rischio di un progetto. Tale elemento consente infatti di individuare la forma della funzione di utilità che più si addice all’organizzazione29.

Il primo compito dell’operatore è pertanto quello di individuare la curva di utilità dell'organizzazione indipendentemente da un particolare progetto. La metodologia migliore per svolgere tale lavoro è quella di valutare la condotta dell’impresa davanti ad iniziative, o progetti alternativi, che implicano alcuni scenari di profitto / costi risultanti e probabilità di tali alternative.

                                                                                                                          29  PINEY C., op.cit.  

(25)

Il management può quindi esaminare il proprio processo decisionale e indicare se accettare o meno determinati progetti. Si rende opportuno inoltre svincolare tale attività dalle pressioni quotidiane della governance proprietaria, e quindi realizzare tale “gioco” fuori dalla sede con il minor numero possibile di interruzioni.

Inoltre, le iniziative alternative dovrebbero essere scelte con una certa cura, infatti gli scenari di esempio:

•   dovrebbero essere rilevanti per l'impresa al fine di prendere delle decisioni; •   dovrebbero includere l'intervallo delle decisioni aziendali da analizzare30.

La ragione per cui dedicare tanta cura alla creazione degli scenari esemplificativi per il management dell'impresa sui quali riflettere, è rinvenibile nel fatto che tale attività è propedeutica all’individuazione della forma della curva di utilità attorno alla probabilità ed all'ampiezza delle decisioni reali da analizzare.

Tanto più la decisione d’investimento rientra nell'intervallo degli scenari di esempio e viene interpolata dalla discussione con il management dell'impresa, tanto maggiore sarà la puntualità con la quale la funzione di utilità rispecchierà le preferenze dell’impresa rispetto al rischio.

Dopo aver discusso sul modo in cui l'impresa sceglie di far fronte a varie incertezze, costi e benefici, l'analista del rischio ha i dati e gli elementi necessari per creare la funzione di utilità dell'azienda.

Considerando infatti un numero limitato scenari, ad esempio da 6 a 10, in cui può ritrovarsi l’impresa, l’operatore riesce ad individuare, nell’ambito del software che gestisce ed implementa la Decision tree analysis, la funzione di utilità che corrisponda alle varie decisioni31.

L'analista sperimenterà i vari tipi di funzioni di utilità, ad es. Logaritmico, esponenziale, e il filtraggio offerto dal software, fino a quando molti risultati non saranno coerenti con quelli che il management dell'impresa ha affermato voler

                                                                                                                          30  HULETT D. & HILSON D., op. cit.   31  HULLET, D. T. Decision tree, op. cit.  

(26)

realizzare in circostanze simili. A titolo esemplificativo si supponga che ad un’impresa venga richiesto di cimentarsi in un progetto caratterizzato da un determinato rischio di perdita, in alternativa ad un grado di guadagno al quale viene associata una determinata probabilità. Dunque, la decisione che dovrà prendere l’azienda consiste nell’investire o meno nel progetto32.

Nelle figure che seguono, inizialmente non è chiaro se le imprese, una neutrale, l’altra avversa al rischio, stiano seguendo una funzione di utilità lineare, quindi neutrale al rischio, o una non lineare e pertanto avversa al rischio.

Fig. 1.2 Algoritmo topologico inerente il processo decisionale dell’investitore neutrale al rischio basato sul valore monetario atteso.

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

dove EMV = 5000

                                                                                                                          32  HULLET, D. T.. Decision tree, op. cit.  

(27)

Fig. 1.3 Algoritmo topologico inerente il processo decisionale dell’investitore avverso al rischio

basato sull’utilità attesa.

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

dove 𝑈: = 0,004

Alla luce dei suddetti scenari, la questione riguarda il fatto di individuare il tipo di funzione di utilità adottata dalle due imprese.

Un metodo utile alla risoluzione del problema è quello di cambiare lo scenario e vedere se, con un aumento della possibile perdita, le imprese rifiuterebbero il progetto, nonostante la nuova prospettiva registri ancora un EMV o 𝑈:    positivo.

Questo risultato, ossia il rifiuto di un progetto con EMV positivo, sarebbe un'indicazione di un'organizzazione avversa al rischio33.

Nella figura 1.4 riportata qui di seguito, costi e benefici sono moltiplicati per un valore costante pari a 10, ma le probabilità rimangono le stesse. Applicando la stessa funzione di utilità impiegata nei due casi precedenti, il risultato è diverso.

Sebbene l'EMV sia ancora positivo e pari a 50 milioni di euro, la funzione di utilità connessa ad una condotta di avversione al rischio è rinvenibile nel rifiuto di investire nel progetto.

Apparentemente, la probabilità pari al 50% di perdere 300 milioni di euro, è più scoraggiante per l’impresa rispetto alla probabilità del 50% di perdere 30 milioni di euro.

                                                                                                                          33  PINEY C., op. cit.  

(28)

Inoltre il più ampio EMV pari ai 50 milioni di euro rispetto ai 5 milioni della situazione precedente non è sufficiente per rendere questo progetto attraente per il management dell’impresa.

Fig. 1.4 Algoritmo topologico inerente il processo decisionale dell’investitore avverso al rischio basato sull’utilità attesa dove i valori associati alle probabilità e l’investimento iniziale sono stati moltiplicati per un valore costante pari a 10.

Fonte: HULLET, D. T. op. cit.

Progettare vari scenari appropriati e discuterli con il management o la proprietà dell’impresa è alquanto complesso. Infatti la compagine dirigenziale non ha una visione unitaria o coerente della propria funzione di utilità.

Spesso il management prenderà decisioni che non possono essere adattate a nessuna funzione di utilità disponibile. Questo risultato può verificarsi quando i dirigenti hanno in realtà funzioni di utilità diverse tra loro e le decisioni si basano su un tipo di voto che può essere formale o informale.

Quando ciò accade, l'analista del rischio deve far notare al management l'incoerenza delle sue decisioni e stimolare i dirigenti ad una rimodulazione delle proprie aspettative più adatta alla funzione di utilità che caratterizza l’impresa. Tale dinamica ha il vantaggio di rendere le decisioni della stessa più logiche e premurose34.

In definitiva, la funzione di utilità che si adatta alla maggior parte delle decisioni sugli scenari di esempio, può essere utilizzata nelle future analisi inerenti le decisioni d’investimento dell’impresa.

                                                                                                                          34  HULLET, D. T. Decision tree, op. cit.  

(29)

Esse, anche se tuttavia semplici, si possono dimostrare complesse da realizzare perché le loro implicazioni spesso non sono certe. Questo è un dato di fatto per la maggior parte dei project manager, che sovente affrontano situazioni come quelle sopra descritte, quali la scelta degli appaltatori alternativi e delle tecnologie alternative. Ciascuna di queste decisioni pone opzioni chiare che possono tuttavia portare a conseguenze nefaste nel caso di una scelta sbagliata35.

1.3  La simulazione Montecarlo

La simulazione Montecarlo consiste nell’analisi della condotta di un sistema, nell’accezione ampia del termine, mediante la sua configurazione e contestualizzazione in un ambito controllabile.

La suddetta simulazione, realizzata dal calcolatore, è basata su un modello matematico composto da equazioni che rappresentano le relazioni tra le componenti del sistema sottoposto ad analisi, nonché il loro rapporto con il suo funzionamento e/o comportamento.

Ciò con il fine di effettuare test, attraverso il suddetto modello precostituito, assumendo che i relativi risultati siano una riproduzione sufficientemente puntuale della condotta che avrebbe il sistema. Tale metodo ha il fine di conoscere meglio il funzionamento del sistema oggetto di analisi e pertanto confermare o negare la validità di ipotesi inerenti lo stesso, nonché acquisire dati ed informazioni che consentano di fare possibili previsioni al fine di attuare meccanismi di monitoraggio sul “sistema-modello” configurato36.

Un impiego particolare della simulazione è rappresentato dalla “tecnica Montecarlo” che viene di solito implementata nel caso in cui il problema da risolvere sia caratterizzato da variabili aleatorie.

                                                                                                                          35  HULETT D. & HILSON D., op. cit.  

(30)

Tra l’altro il metodo Montecarlo consente di esaminare più facilmente e con un elevato grado di precisione gli effetti inerenti i cambiamenti che intervengono nelle variabili di ingresso o nella funzione di output37.

Secondo alcuni studiosi le origini storiche di tale metodologia potrebbero addirittura risalire al 1700, ossia a ben prima della nascita dei calcolatori. Successivamente nel 1900 tale approccio fu largamente impiegato nella ricerca nucleare.

Attualmente la simulazione Montecarlo viene implementata in diversi settori scientifici quali anche la valutazione degli investimenti. Un primo tentativo di implementazione del suddetto metodo in tale settore fu promosso da David Hertz che, nel suo contributo Risk analysis in capital investment del 1964, propose l’applicazione di tale metodo per valutare un progetto di espansione di un impianto chimico. Attualmente la metodologia Montecarlo è ampiamente utilizzata per l’analisi del rischio riferita alla valutazione degli investimenti38.

1.3.1 La procedura per l’applicazione della simulazione Montecarlo

La procedura inerente l’applicazione della metodologia in esame si articola nelle seguenti fasi:

•   individuazione delle variabili esogene e dei parametri; in tale fase vengono rilevate le informazioni di interesse, ossia i dati e gli elementi critici ai quali è legato il valore economico del progetto. In merito, occorre osservare che se da un lato uno dei vantaggi di tale approccio è quello di poter inserire nel modello un elevato numero di parametri e variabili per descrivere meglio la complessità della realtà oggetto di analisi, dall’altro va tuttavia individuato il trade off più adeguato tra puntualità della stessa e semplicità applicativa. Pertanto si rende opportuno scegliere solo le variabili che sono davvero importanti ai fini dello studio.

                                                                                                                         

37  JACKEL P., Monte Carlo methods in finance, John Wiley & Sons, Chichester 2002, p. 64   38  HERTZ  D., Risk Analysis in Capital Investment, Harvard Business Review, 42, 1964 pp. 95-106.

(31)

In alcuni casi viene realizzata una selezione iniziale che consenta di individuare, anche attraverso tecniche afferenti all’analisi di sensitività, gli elementi che potenzialmente potrebbero generare un sensibile impatto sui risultati39;

•   l’individuazione del modello, che consiste nell’esplicitazione delle relazioni matematiche, le quali consentono la determinazione del risultato in funzione sia delle variabili di input sia dei parametri.

Il modello inoltre deve descrivere le correlazioni tra le variabili nel rispetto del trade off tra puntualità dell’analisi e semplicità applicativa;

•   individuazione della distribuzione di probabilità, che può essere realizzata sulla base di dati quantitativi ovvero può essere stabilita dall’analista del rischio40; •   organizzazione delle simulazioni e svolgimento degli esperimenti, ossia la

definizione del piano o programma del test nel quale vengono fissati il numero delle iterazioni da svolgere. In tale fase vengono definite in modo adeguato le funzioni statistiche delle variabili di ingresso, attraverso l’applicazione di algoritmi di generazione dei numeri pseudocasuali. Tale impianto viene contestualizzato in un calcolatore al fine di ottenere un determinato campione dei valori assunti dalle variabili di output;

•   verifiche dei risultati e realizzazione del rapporto finale; terminate le simulazioni vengono svolti controlli al fine di individuare l’esistenza di eventuali criticità relative all’implementazione dell’esperimento. In tale occasione a volte vengono ripetute alcune fasi degli esperimenti al fine di migliorare il modello, rivedere i dati di input, programmare altri esperimenti, individuare altri output. Finita la fase dei test, vengono stilati uno o più rapporti nel quale vengono evidenziati i risultati ottenuti applicando tale metodologia, in particolare le analisi statistiche relative alle variabili di output essenziali per l’analista al fine di individuare la migliore decisione di investimento41.

                                                                                                                         

39  ELISHAKOFF I., Notes on philosophy of Monte Carlo method, International Applied Mechanics, 39,

2003 pp. 3-14,

40JACKEL  P., Monte Carlo methods in finance, John Wiley & Sons, Chichester, 2002 p. 72  

41  BOYLE P., Options: A Monte Carlo approach, in Journal of Financial Economics, 4, 1977, pp.

(32)

1.3.2 Alcuni aspetti fondamentali della simulazione Montecarlo

Gli aspetti fondamentali della metodologia relativa alla simulazione Montecarlo sono riportati qui di seguito e riguardano:

•   le assunzioni alla base del modello, dalle quali dipende la bontà o meno della simulazione. In particolare nella valutazione di un investimento si rende opportuno individuare le variabili che sono considerate fondamentali ai fini dell’esito del test e pertanto ai fini della valutazione.

Nell’esaminare un problema di decisione dell’investimento, occorre inoltre individuare il grado di dettaglio che l’analista può attendersi dal modello. Occorre dunque evidenziare sia le variabili che l’operatore può controllare, ossia i parametri, sia quelle che dipendono da fattori esogeni e che pertanto risultano non controllabili42.

Infine si devono prendere in considerazione variabili che sono effettivamente suscettibili di essere descritte in modo statistico, nonché scegliere funzioni che siano in grado sia di descrivere i trend delle stesse, sia di mettere in evidenza le loro correlazioni più significative ai fini dello studio.

Tali accorgimenti si rendono necessari al fine di configurare un modello che sia sufficientemente semplice per essere compreso e che risulti nella pratica effettivamente utilizzabile. Allo stesso tempo, occorre limitare le semplificazioni che possano indurre ad una prospettiva del problema eccessivamente riduttiva, portando di conseguenza a sottovalutare aspetti considerati invece importanti ai fini dell’analisi. Ciò può condurre a delle considerazioni errate che falsano le decisioni di investimento. Alla luce delle suddette considerazioni, si osservi come la definizione del modello rappresenti una fase critica della simulazione, dal momento che influenza marcatamente l’esito dei risultati dei test e pertanto delle relative decisioni d’investimento43;

                                                                                                                         

42  HALTON J. H., A Retrospective and Prospective Survey of the Monte Carlo Method, in Society for

Industrial and Applied Mathematics Review, 12, 1970, pp. 1-63.

43 NAWROCKI D. The Problems with Monte Carlo Simulation, in Journal of Financial Planning, 14,

(33)

•   l’attribuzione delle probabilità alle variabili di input, che consiste nell’individuare per esse una stima adeguata delle relative distribuzioni statistiche.

Per alcune categorie di eventi o fattori sono già disponibili serie storiche che vengono estrapolate dall’esperienza. Nell’ambito del settore economico, per esempio, sono spesso disponibili serie storiche aziendali e registrazioni di fenomeni o eventi passati, quali l’andamento dei prezzi, della domanda e via dicendo44.

Tale patrimonio informativo potrebbe pertanto risultare utile nell’ambito del processo decisionale inerente un nuovo investimento. In tale ipotesi risulterebbe essenziale implementare a tali dati, tecniche statistiche per realizzare un “best fit”45 delle serie storiche e degli andamenti di funzioni di distribuzione predefinite.

Un altro metodo è quello di applicare tecniche non parametriche, come quella del ricampionamento. Esso si basa sul meccanismo che prevede l’estrazione casuale, con reinserimento dei valori direttamente dalle serie di dati originali. Tale tecnica ha il pregio di consentire di individuare tutte le complesse correlazioni tra le variabili, senza dover identificare anticipatamente la funzione di distribuzione statistica più adeguata ai dati raccolti. Il limite di tale tecnica è invece rinvenibile nella variabilità del grado in cui i dati raccolti, che si riferiscono al passato, possano rappresentare gli eventi futuri.

Nell’ipotesi in cui non siano disponibili dati statistici o serie di dati, è possibile formulare un giudizio soggettivo, ovvero una valutazione soggettiva della probabilità46.

L’impiego della probabilità soggettiva è molto frequente in ambito economico e comprende anche la valutazione degli investimenti. Al fine di determinare

                                                                                                                         

44   VOSE D., Risk analysis: a quantitative guide to Monte Carlo simulation modeling, Amsterdam:

Elsevier 1996, p. 51

45 Il best fit in statistica è l’attribuzione che viene data ad una retta o più in generale ad una curva che

meglio approssima una distribuzione di punti, ovvero alla funzione che meglio approssima analiticamente la distribuzione. In www.treccani.it

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