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Decisioni razionali e ragionevole dubbio

Nel documento Al di là di ogni ragionevole dubbio (pagine 110-115)

10.Il giudice e la decisione

41. Decisioni razionali e ragionevole dubbio

I giudizi dei tribunali sonodecisioni prese in condizioni di incertezza e, quando la teoria Bayesiana delle decisioni cominciò a diffondersi negli anni sessanta del secolo scorso, qualcuno pensò di applicarla anche alle decisioni del giudice, sollevando immediatamente molte voci critiche tra gli studiosi. Questa teoria fa propria la regola della massimizzazione dell’utilità attesa, ma ammette l’uso di probabilità soggettive per il suo calcolo 149. Vari argomenti contrari sono presi in considerazione, in relazione a questa teoria: non è possibile quantificare con una probabilità la soglia del ragionevole dubbio; è difficile quantificare le utilità soggettive dei decisori, senza che intervengano delle inaccettabili distorsioni, dovute a opinioni e pregiudizi dei singoli individui e, di conseguenza, tali utilità soggettive non rappresentano il valore che la nostra civiltà giuridica attribuisce alla tutela dei diritti dell’individuo, in particolare il valore del principio

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A study of Poisson’s models of jury verdicts in criminal and civil trials in Journal

American statisticals Association, 1973, pp. 271- 278.

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che sia meglio correre il rischio di assolvere un colpevole piuttosto che un innocente; se anche fosse possibile quantificare l’utilità delle conseguenze, quali la condanna di un innocente e l’assoluzione di un colpevole, l’idea stessa che si possa accettare una precisa probabilità di commettere un errore giudiziario ripugna alla nostra coscienza, prima ancora che alla logica.

Analizzando nel profondo ancora la teoria bayesiana, si nota che assegna un grado di credenza alle proposizioni: questo grado è una proprietà degli stati mentali e misura la disposizione a credere nella verità di una proposizione, sulla base della conoscenza da noi posseduta in un dato momento. Un esempio di questa disposizione è misurata attraverso la pratica delle scommesse. Agire ragionevolmente, senza accettare come se fosse vera una proposizione, significa prendere una decisione in condizioni di incertezza, tenendo conto del nostro grado di credenza, in un dato momento, sia del valore delle conseguenze delle azioni che si possono mettere in atto.

Il grado di credenza in una proposizione misura la disposizione soggettiva a credere che una data proposizione sia vera e non un “grado di verità” oggettivo di tale proposizione, perché le proposizioni sono vere o false: la verità è una sola150. Una proposizione è vera se e solo se le cose stanno come asserisce che stiano, ma individui diversi e tutti razionali, possono avere diversi gradi di credenza nella medesima proposizione, perché la credenza è uno stato mentale relativo alle prove e alla conoscenza di fondo che si possiede e come tale può essere diverso per persone ragionevoli, ma in possesso di informazioni differenti. La coincidenza fra stato mentale e stato delle cose, ciò che viene chiamato conoscenza, è qualcosa che raramente si

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verifica quando abbiamo a che fare con eventi contingenti, eventi cioè la cui verità non è logicamente necessaria, quali sono tutti gli eventi storici. Perciò la conoscenza che di tali eventi possono avere lo storico e il giudice, nella maggior parte dei casi, non è credenza vera giustificata, bensì solamente credenza giustificata. Come credere, giustificatamente, che qualcosa sia probabilmente vero è stato uno dei temi centrali dell’epistemologia della filosofia empirista dal XVII secolo a oggi. Tale tema è storicamente legato alla formulazione dei criteri del “ragionevole dubbio” e per la decisione nel campo della giustizia penale e della “preponderanza delle prove” per la decisione nel campo della giustizia civile. Il criterio del “ragionevole dubbio” è stato accolto, come si sa nel nostro ordinamento.

Nell’ambito della cultura giuridica, che fa riferimento all’empirismo filosofico, il criterio del “ragionevole dubbio” significa necessariamente o assumere un atteggiamento fallibilista, cioè accettare come vera una proposizione la cui verità non è conosciuta, oppure un atteggiamento probabilista, cioè non accettare come vera la proposizione e prendere una decisione in condizioni di incertezza. L’interpretazione bayesiana del ragionamento probatorio, che viene qui sostenuta, raccomanda l’applicazione di un atteggiamento probabilista, nel momento della presa di decisione, sebbene vada detto come questa posizione sia oggi decisamente minoritaria e come, all’interno dell’epistemologia giudiziaria di radice empirista, l’interpretazione prevalente che viene data dal criterio del “ragionevole dubbio” comporti l’assunzione di un atteggiamento di tipo fallibilista151. Come esempio di tale interpretazione Michele

151 M. Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Laterza editore,

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Taruffo considera un enunciato vero in quanto sia confermato dalle prove: “vero” equivale a “provato”152.

Con l’espressione “confermato dalle prove” Taruffo sembra intendere sia il caso della credenza vera giustificata, quando possediamo ragioni sufficienti per stabilire la verità, di una proposizione, sia il caso della credenza giustificata, quando le buone ragioni non sono sufficienti a stabilire la verità, ma sostengono solamente un grado di credenza, sia pure molto alto. Infatti egli afferma: dire che un enunciato sia stato provato non vuol dire che sia vero, poiché non rimane esclusa l’eventualità che esso sia falso. Dunque il considerare vero un enunciato, secondo Taruffo, porta a comportarsi in modo equivalente ad accettare come vero un enunciato che può essere falso, perché non lo si conosce essere vero nel senso proprio di credenza vera giustificata. Questa posizione si accompagna ad un esplicito rigetto dell’atteggiamento probabilista, sia negando la possibilità di assegnare gradi di credenza quantitativi alle singole proposizioni, in particolare, negando la legittimità di quantificare in termini di probabilità matematiche la soglia del “ragionevole dubbio”, sia rifiutando l’idea che il giudizio del giudice possa essere considerato come una decisione in condizioni di incertezza, nel senso bayesiano. D’altra parte ammettere che il giudice prenda le proprie decisioni, accettando come vero ciò che a rigore di logica non è tale, è una posizione che rischia di non essere popolare tanto quanto può esserlo la posizione bayesiana, perché il concetto di “verità” possiede un alto valore pubblico e comunemente si pretende che il giudice accerti la

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verità. Perciò a volte si paga un tributo solo di facciata al concetto di verità, introducendo una verità relativa153.

Se “confermato dalle prove” significa che le prove sono sufficienti a dimostrare la verità dell’enunciato, cioè siamo in grado di dedurre logicamente l’enunciato, prendendo come premesse l’insieme degli enunciati veri che conosciamo, allora non consideriamo l’enunciato, prendendo come premesse l’insieme degli enunciati veri che conosciamo, quindi non consideriamo l’enunciato “come vero” perché esso è vero. Se “confermato dalle prove” significa che le prove non sono sufficienti a dimostrare la verità dell’enunciato, ma solamente portano ad avere un alto grado di fiducia nella verità dell’enunciato, allora il fallibilista può considerare l’enunciato come vero, solamente nel senso come se fosse vero, anche se non sa che è vero. La verità giudiziaria non esiste, è la credenza che è relativa alle prove: una proposizione che asserisce che un dato evento è vero o è falso, ma la prova della sua verità è relativa, perché procede attraverso l’esame delle tracce lasciate dall’evento, tracce che sono anch’esse eventi contingenti e, in quanto tali, passibili di spiegazioni differenti.

Noi abbiamo una credenza parziale giustificata in una proposizione A sulla base di una proposizione E, conosciuta in un dato momento, perché l’ipotesi che A sia vera serve a spiegare perché E sia vera. Questa credenza è suscettibile di essere aumentata o diminuita sulla base di altre prove, assumendo come fissa la conoscenza di sfondo, perché tale conoscenza, per ovvie ragioni cambia in un tempo molto più lento di quello durante il quale si possono presentare ed esaminare le prove.

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42. Il giudice e la valutazione della prova e della

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