10.Il giudice e la decisione
33. I dubbi sul BARD
È opportuno adesso fare qualche considerazione sul BARD e sull’analogo criterio del “dubbio ragionevole”, introdotto nel primo comma del 533 c.p.p.
Non si discutono i motivi per cui il legislatore italiano ha avuto il bisogno di imitare il principio che già si può riscontrare nella giurisprudenza americana, e, per semplificare le due regole verranno trattate come se fossero la stessa cosa.
Si sa che la formula del BARD non indica un criterio preciso di valutazione della prova, avendo come base il concetto molto soft della reasonableness del dubbio che può impedire la condanna, anche in presenza di prove della colpevolezza dell’imputato. Tante sono state le interpretazioni delle corti statunitensi, ma non sono state convincenti e non è nemmeno possibile verificare come si applica la regola. I giudici fanno riferimento ad essa nel momento in cui impartiscono le instructions alle giurie, ma il jury statunitense decide in segreto, senza la presenza del giudice e il verdict non è motivato. Manca qualsiasi motivazione-spiegazione o giustificazione con cui le giurie interpretano il reasonable doubt 129.
In questo modo si comprende come sia impossibile derivare dal BARD nordamericano, al di là della formula, una definizione possibile del criterio enunciato nell’articolo 533 c.p.p.
129
92
È diffusa l’idea che il grado di prova della colpevolezza che soddisferebbe il BARD sia quantificabile in percentuali. La quantificazione più comune sarebbe che la prova dovrebbe esistere in misura superiore al 95 % .
Questa quantificazione è arbitraria come tutte le altre. Deriva dalla tradizione inglese, dato che Fortesque scrisse che sarebbe meglio assolvere 20 colpevoli, piuttosto che condannare 1 innocente (20 a 1=95%), mentre Blackstone pensava a una proporzione 10 a 1 (alludendo a uno standard del 90%). Queste affermazioni lasciano il tempo che trovano perché non possono essere tradotte in gradi di prova della colpevolezza, destinati ad essere applicati nei singoli casi concreti 130.
Tutte queste statistiche, in realtà non in grado di fornire la prova di un fatto, perché possono al massimo servire a fare previsioni, misurando l’eventualità del verificarsi di un evento o la frequenza del rischio, non servono a determinare la probabilità che un evento non noto si sia già verificato. Quindi la percentuale in cui si esprime una frequenza statistica indica la frequenza tendenziale di un evento, ma non corrisponde al grado di prova circa il verificarsi dell’evento.
Queste considerazioni inducono a dubitare che il BARD sia davvero uno standard di prova che indicherebbe il livello minimo necessario di prova della colpevolezza.
Gli studi recenti affermano che non è vero che sia proprio uno
standard of proof, ma sia uno standard of caution, ossia un principio
di prudenza e di serietà che dovrebbe condurre la formazione del convincimento di chi giudica sui fatti.
130
Tuttavia affermazioni come queste si possono interpretare come criteri di policy della giustizia penale, ma non possono essere tradotte in gradi di prova della colpevolezza, destinati ad essere applicati nei singoli casi concreti.
93
Il BARD non esprime una vera e propria regola giuridica, ma un principio etico, secondo cui un giudice condanna solo se è certo della colpevolezza dell’imputato. Così però spostiamo il problema dalla prospettiva di uno standard “oggettivo” di valutazione della prova ad una dimensione spiccatamente soggettiva. Questo aspetto si unisce al significato storico del BARD, se è vero che inizialmente esso corrispondeva al criterio della “satisfied conscience” e, pur evocando metodi razionali di valutazione, si incentrava sul belief del giudice intorno ai fatti 131.
La caution, che deve guidare il trier of fact, ha a che fare con il suo personale convincimento e sembra rinviare più all’intime conviction individuale e irrazionale dei francesi che ad una valutazione razionale delle prove. Quindi si ha uno spostamento dalla verità alla “certezza soggettiva”, detta anche “certezza morale”, dato che non vi è certezza se permane un dubbio ragionevole.
Rimane il problema che a volte si può essere moralmente e profondamente certi di cose false.
Ha senso però chiedersi se e quando il criterio del “dubbio ragionevole” può servire per determinare la decisione in un senso o nell’altro. Considerata la difficoltà della questione, un non penalista come il prof. Taruffo, dell’Università di Pavia, propone un’ipotesi di definizione di “dubbio ragionevole”, ossia della condizione per cui un imputato non può esser condannato, benchè vi siano prove, anche convincenti, della colpevolezza (essendo ovvio che se non vi è alcuna prova, o vi sono prove non convincenti, il problema non si pone perché si giunge a una sentenza di assoluzione 530 comma 2 c.p.p.):
131
Con riferimento alla cultura inglese del secolo XVII, Barbara J. Shapiro, “Beyond
reasonable doubt” and “Probable cause” Historical Perspectives on the Anglo- American Law of evidence, University of California Press Berkeley-Los Angeles –
94
esiste un dubbio ragionevole allora, quando di fronte alla descrizione del fatto portata avanti dall’accusa è possibile formulare “un’ipotesi alternativa ragionevole”, intorno al medesimo fatto. “Ipotesi alternativa” , vuol dire che se la colpevolezza si fonda su “vero che x” allora si può immaginare anche “falso che x” o “vero che y,z…”. Si possono avere sia un’ipotesi contraria a quella di partenza, sia una o più ipotesi diverse da quella di partenza.
Per ipotesi “ragionevole” si intende una narrazione del fatto che appaia “normale” o più propriamente “verosimile”. La verosimiglianza non implica la probabilità, ma qualcosa di diverso da mera possibilità teorica. Essa si fonda sul riferimento all’id quod prelumque accidit ossia al normale svolgersi dei fatti o se si vuole alle massime d’esperienza 132.
Si tratta di un criterio di ragionevolezza pratica: se non è possibile immaginare una versione alternativa verosimile del fatto, si può dire che la prova di esso non trova alcun dubbio ragionevole.
Appena vi è un’ipotesi alternativa possibile, allora, quale che sia la prova del fatto, la condanna non può essere pronunciata. L’ipotesi alternativa verosimile può essere falsa: non conta però provare la verità dell’ipotesi alternativa, ma conta giustificare un dubbio ragionevole rispetto all’ipotesi di partenza.
Così lo standard dipende da criteri variabili nel tempo e nello spazio, tenendo conto del variare delle culture da cui si traggono i criteri di normalità e di verosimiglianza. Quindi il BARD non si basa su alcun criterio universale ed assoluto, poiché il modo in cui viene inteso
132
Sul concetto di verosimiglianza e sua distinzione dal concetto di probabilità, vedi più ampiamente Taruffo, La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, Giuffrè editore 1992, pag. 158 ss.
95
cambia in funzione dei momenti storici e dei contesti sociali, essendo uno strumento di policy, piuttosto che un concetto astratto.