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La probabilità e l’errore giudiziario

Nel documento Al di là di ogni ragionevole dubbio (pagine 107-110)

10.Il giudice e la decisione

40. La probabilità e l’errore giudiziario

Col BARD abbiamo dato uno sguardo al passato, nel mondo anglosassone, cercando di trovare punti d’incontro con il nostro sistema. Si può utilizzare un’ulteriore lente d’ingrandimento per quanto riguarda l’aspetto storico e la probabilità dell’errore giudiziario, problema che, ahimè, può trovarsi in qualsiasi sistema, dato che la perfezione può essere impossibile.

Il sistema anglosassone delle giurie popolari fu introdotto in Francia con la Costituzione del 1791 e definitivamente accolto col Codice Napoleonico del 1808. L’esprit géométrique dei matematici francesi144 fu portato ad affrontare il problema della maggioranza richiesta, per minimizzare la probabilità di un errore giudiziario. Un famoso matematico, nonché politico e rivoluzionario francese, Condorcet, aveva concluso con un calcolo a priori, come le giurie composte da dodici membri, quali quelle inglesi, potessero prendere una decisione con una maggioranza di dieci voti, mentre le giurie d’oltremanica decidevano, in quel periodo, all’unanimità. Il Codice del 1808 prevedeva la maggioranza semplice e un altro matematico Laplace

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aveva calcolato che la probabilità di condannare un innocente, con una maggioranza di 7 a 5, fosse pari al 28% circa. Subito dopo la Rivoluzione di Luglio 1830, la maggioranza richiesta venne alzata a 8, per poi essere riportata a quella semplice nel 1836. Questa decisione la difese Poisson, altro matematico. Secondo i suoi calcoli la probabilità di condannare un innocente, con una maggioranza di 7 contro 5, era del 3,8% per i crimini contro la proprietà e del 16% circa per i crimini contro le persone. Quindi la situazione non era così nera,

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P. Garbolino, La probabilità dell’errore giudiziario in Probabilità e logica della

Prova, Giuffrè editore, 2014, pag.461.

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come l’aveva descritta Laplace. Un verdetto può essere giusto o sbagliato per una molteplicità di cause e la prima ipotesi, che fecero sia Laplace che Poisson, fu quella di ricondurre questa molteplicità sotto uno specifico parametro: l’affidabilità del giurato, ossia la sua capacità di rendere un giudizio corretto, intesa proprio come una proprietà dell’individuo. Poisson la riteneva un fatto oggettivo del giurato stesso, il quale giudica correttamente in una proporzione di casi ben definita. L’incognita vera e propria si divide in due ipotesi: la prima è la probabilità che il giudice giudichi correttamente e la seconda che il giudice giudichi erroneamente. Poi il problema dei due matematici s’innestava sul fatto che avevano a che fare con una giuria di dodici giurati che emettesse un verdetto a maggioranza semplice, supposto che l’imputato fosse colpevole, ossia che almeno sette giurati giudicassero erroneamente. Questo diventa per il matematico un semplice problema combinatorio, qualora si ammetta che la probabilità sia la stessa per tutti i giurati e che i loro giudizi siano indipendenti l'uno dall'altro, cioè non si influenzino a vicenda. Restava da assegnare un valore a questa probabilità P146.

Laplace se la cavò, facendo delle ipotesi a priori. Poisson fece una stima dell’affidabilità media dei giurati, sulla base di dati che riguardavano un grande numero di giurie, prendendo poi il valore di questa affidabilità media, come valore per la probabilità costante del singolo giurato. Poisson, come riferimento, prese la classe di processi penali celebrati in Francia dal 1825 al 1833, divisi in procedimenti per crimini contro la persona e crimini contro la proprietà, con le relative condanne. Per Poisson anche se l’affidabilità era diversa da persona a persona, vi era la convinzione che nel complesso di tutti i giurati, la variabilità individuale si sarebbe compensata e sarebbe emerso quel

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valore medio, attorno al quale oscillano le affidabilità dei singoli individui.

La probabilità che ciascun individuo giudichi correttamente sarebbe per Poisson “approssimativamente costante”147, perché effetto di una causa costante (la sua capacità di giudicare correttamente ) e di altre cause, (come le influenze che possono esercitare gli altri giurati) che distorcono in un senso o nell’altro la sua capacità di giudizio, ma che si compensano a vicenda e possono essere considerate come variazioni a caso, attorno al valore della probabilità. Poisson inoltre considerava anche i giurati come scelti a caso, ovvero supponeva che non vi fosse alcun pregiudizio sistematico, nella composizione delle giurie, che potesse portare ad avere giurie composte da individui aventi una probabilità di giudicare correttamente lontana dalla media, nella popolazione di tutti i giurati.

I calcoli di Poisson sono stati ripresi in tempi più recenti, dopo che una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1967 dichiarò che il voto a maggioranza semplice della giuria è costituzionale, e sono stati applicati ai dati del Chicago Jury Project, uno studio sul comportamento delle giurie condotto dall’Università di Chicago fra il 1953 e il 1959, arrivando a stimare la probabilità, che un singolo giurato prendesse la decisione giusta, fosse del 90%. I giudici, intervistati nel progetto ritenevano invece che circa il 20% dei verdetti di assoluzione, emessi dalle giurie, fossero sbagliati contro un 3% di verdetti di colpevolezza sbagliati. Se si parla di verdetti sbagliati non possiamo sapere se sono veramente sbagliati: sappiamo che, secondo l’opinione dei giudici intervistati in due casi su dieci, in cui la giuria aveva deciso per l’assoluzione, le prove esibite erano invece tali

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da soddisfare lo standard di prova richiesto per emettere una sentenza di condanna 148.

La frequenza delle decisioni giudiziarie vere non è un dato osservabile, né oggi possiamo più ritenere che esista una propensione in una certa percentuale di casi e che questa percentuale possa essere stimata dalle percentuali di condanna, sulla base di ipotesi altamente implausibili. Non si può stimare la probabilità che un giudice prenda la decisione sbagliata, ma si può cercare di valutare il grado di credenza del giudice, circa l’ipotesi che l’imputato sia colpevole sulla base delle prove e il valore delle conseguenze che avrà la decisione di condannare oppure di assolvere.

Nel documento Al di là di ogni ragionevole dubbio (pagine 107-110)