• Non ci sono risultati.

Grafico 2: Stato dei Kaimé in circolazione (1876-1879) (prezzo del giorno)

5. Il Decreto di Mouharrem

Al termine del Congresso di Berlino, l’impero ottomano sperava di poter tornare a finanziarsi sul mercato internazionale. Costantinopoli aveva assolutamente bisogno di capitali freschi, non solo per sopperire alla spesa corrente – pagamento esercito, burocrati, etc – ma desiderava al più presto trovare un accomodamento sul debito pubblico così da riprenderne il regolare servizio. Allo stesso tempo i creditori avevano tutto l’interesse di trovare un accomodamento. Già dal 1875 era chiaro che il debito pubblico ottomano fosse troppo vasto e gli interessi accumulati troppo alti per una sostenibilità nel breve periodo. L’On. Hamond, parlamentare inglese, all’epoca presentò un progetto per la ristrutturazione necessaria del debito ottomano, trovano appoggio e approvazione da parte dall’assemblea dei portatori britannici (il Council of Foreign

Bondholders) il 7 dicembre 1875. Lo scopo del progetto era la riduzione del capitale

nominale del debito a un tasso medio, da 197,417,160 a 118,991,248 Lire Turche con una differenza di 78,505,912 Lire Turche280.

Questo primo tentativo di riorganizzazione delle finanze turche mancò del sostegno internazionale necessario per essere preso come proposta credibile

278 Tale debito fluttuante nel febbraio 1879 era stimato in circa 12,783,655 LT ad un tasso d’interesse variabile tra l’11 ed il 24% per un valore complessivo di 3,840,000 LT, in NA, FO 78/3067, da Harrison E.T. a Salisbury, n°3, Costantinopoli 4 febbraio 1879.

279 Si veda Hunter R.F., Egypt Under the Khedives: 1805-1879: From Household Government to Modern Bureaucracy, American University in Cairo Press, Il Cairo, 1984.

280 Mancardi F., Relazione dell’avvocato Francesco Mancardi alla Camera di Commercio ed Arti di Roma per rappresentare i portatori di titoli del Debito Pubblico ottomano, Fratelli Centenari, Roma 1882. Inoltre per il rapporto dei portatori inglesi vedere: Annual Report of the Council of the Corporation of foreign bondholders, n. 3, 1875 p. 11-14.

91

soprattutto a causa dell’opposizione da parte dei creditori francesi contrari, al tempo, ad una riduzione di capitale281. Tale proposta infatti veniva fatta nel 1875, quando l’impero aveva appena dichiarato bancarotta in maniera unilaterale, scatenando vive proteste tra i creditori. Nella strada che portò alla bancarotta, nessun grande istituto bancario sembrò capire che presto o tardi quei prestiti contratti con tanta leggerezza avrebbero dovuto essere saldati e che l’accumulazione di interessi su interessi alla fine avrebbe condotto inesorabilmente al disastro. Questo scenario si concretizzò nel 1875, e ci vollero più di cinque anni per riuscire a permettere all’impero di ritornare a riprendere il servizio sul debito282.

Con lo scadere del 1879 la commissione di studi per il rilancio economico dell’impero presentò un suo rapporto tecnico a Costantinopoli sulla situazione delle sue finanze e sul modo di riordinarle. Il disordine finanziario in cui si trovava la Porta, soprattutto dopo la guerra russo-ottomana del 1877-78 che aveva visto l’emissione di un ingente debito fluttuante, era così profondo da rendere impossibile stabilire esattamente il bilancio complessivo. Senza bilancio, era impossibile fare un serio piano di rientro; non a caso quello stesso anno fu fondata la Corte dei Conti ottomana. In linea di principio la commissione era dell’opinione comune che fosse necessaria una riduzione del capitale nominale del debito intorno al 35%283. Mentre la commissione di studi lavorava su di un piano di rientro, il governo di Costantinopoli pensò di combinare con i banchieri una consistente operazione finanziaria, con lo scopo di liberare da vincoli i cespiti delle dogane dopo gli impegni assunti in extremis nel 1878 con alcuni creditori per far fronte alle spese necessarie per sostenere la guerra contro la Russia. Per arrivare a questo scopo ambito, il governo avrebbe avuto bisogno di garantire nel miglior modo possibile i prestiti concessi su quelle garanzie. Tale accordo di fiducia tra le parti fu siglato tramite decreto imperiale (Iradé) del 10/22 novembre 1879 – detto poi

Convenzione di Novembre -284. Tale convenzione dava in appalto per dieci anni alla Banca

281 In un secondo momento andando incontro alle richieste francesi si inimicò i portatori inglesi che avevano speciali garanzie su alcuni prestiti. Wynne W.H., Op. Cit. p. 425.

282 Nel 1876 ogni servizio del debito cessò ed eccezione dei prestiti del 1854 e 1871 che erano garantiti dal Tributo d’Egitto e del prestito del 1855 garantito dall’Inghilterra e dalla Francia, in Arcucci R. Op. Cit. 283 The prospects of the Turkish bondholders, in “The Times”, 25 agosto 1880.

284 La prima conversione del debito generale interno fu nel 1864, con il concorso della Banca Imperiale Ottomana.

92

Imperiale Ottomana ed ai banchieri di Galata, a decorrere dal gennaio 1880, la riscossione di importanti contribuzioni indirette (diritti d’imposta sul bollo, sugli spiriti, sulla pesca, sulla decima sulla seta, più il monopolio del sale e dei tabacchi). Sempre per la durata di 10 anni, il governo imperiale dava in appalto alle stesse banche, in nome e per conto dello Stato, il monopolio del sale e del tabacco consumati nelle province dell’impero285.

Il 23 ottobre 1880 il governo ottomano, attraverso i suoi rappresentati all’estero, rendeva noto di essere disposto a trovare un accordo diretto con i creditori, per stabilire un modo di risoluzione equo e pratico per la ripresa del pagamento degli interessi e per l’ammortamento generale del debito, invitandoli conseguentemente a scegliere i propri delegati286. L’accordo avrebbe dovuto poggiare sulle seguenti condizioni:

1- I portatori avrebbero dovuto scegliere una banca che gestisse l’amministrazione delle sei contribuzioni indirette e che si fosse resa responsabile dei pagamenti di tale amministrazione. Il governo ottomano si riservava il diritto di controllo generale su tali operazioni;

2- In caso modifiche dei trattati di commercio, cioè di aumento dei diritti dell’8%, la differenza tra quest’8% e l’aumento futuro sarebbe stata applicata al pagamento degli interessi e dell’ammortamento del debito pubblico;

3- Si sarebbero dovuti applicare inoltre al pagamento: a) l’eccedenza dei proventi risultante da l’applicazione generale delle legge sulle patenti; b) la contribuzione amministrativa (redevances) della Rumelia orientale; c) i proventi di Cipro d) il tributo della Bulgaria; e) una parte dell’eccedenza prodotta a misura dell’aumento dei proventi dello Stato.

Il governo italiano, a buona ragione, non prese troppo seriamente le proposte avanzate da Costantinopoli. Tali proposte sembravano fatte per mostrare ai creditori dell’impero la buona fede della Porta nella ripresa del servizio del debito con le dovute

285 Per tale servizio assicurato un assegno su base annua a decorrere sempre dal gennaio 1880 di Lt. 1,350,000 per il servizio del Debito Pubblico interno ed esterno e con il pagamento di un interesse semestrale sul valore nominale delle obbligazioni. Inoltre fu garantito al governo un anticipo di Lt 8.845.000 parzialmente garantiti dai diritti doganali di Costantinopoli, in Mancardi F. Op. Cit.

93

garanzie annesse287. In realtà molte delle garanzie concesse erano già impegnate su altri prestiti, mentre altre erano di dubbia consistenza ed affidabilità, come la tassa sulle patenti, sui tributi e sugli aumenti doganali delle importazioni (ove gravava l’esenzione capitolare)288.

Mentre l’impero cercava di trovare un accordo con i portatori, a Londra si stavano studiando e formulando le disposizioni per l’ordinamento ed il nuovo assetto del debito pubblico ottomano. Leader di questo gruppo erano ovviamente inglesi e francesi i quali avevano premesso, oltre alla partecipazione dell’Italia alla commissione ordinaria, anche quella, doverosa, all’Austria-Ungheria e della Germania. Per la rappresentanza dei portatori italiani, il governo di Roma scelse di farsi rappresentare dalla Camera di Commercio di Roma (CCR), seguendo l’esempio dell’Olanda289 dove il delegato era stato scelto dalla Camera di Commercio di Amsterdam290. Le altre nazioni rappresentate avevano scelto di farsi rappresentare rispettivamente da istituti bancari o finanziari: gli inglesi decisero di fasi rappresentare dal Council of Foreign Bondholders; i francesi dalla

Banque de Paris et des Pays Bas, dal Crédit Lyonnais, dal Comptoir National d’Escompte,

dalla Société Générale e dalla Banque Impériale Ottomane; i tedeschi in un primo momento dalla casa dei Bleichroeder e successivamente dalla Deutsche Bank e dalla governativa Seehandling; gli austro-ungheresi dal Crédit Anstalt, dal Crédit Foncier e dalla Banque Anglo-Autrichienne; gli ottomani, oltre che da un gruppo di creditori presso

287 Negli ambienti finanziari ottomani si parlò anche della possibilità di permettere l’entrata nella costituenda commissione anche di un rappresentante dei banchieri di Galata. Tale possibilità venne rifiutata perché gli altri rappresentanti dei creditori “non potrebbero avere alcuna confidenza in una persona i cui interessi a Costantinopoli potrebbero trovarsi in contraddizione con quelli dei portatori”, in ASDMAE, MAERI, busta 1471, da Corti a Mancini, n°260/3206, Terapia 13 settembre 1881.

288 Mancardi F. Op. Cit.

289 Belgio e Olanda avevano delegato la propria rappresentanza all’interno del consiglio del debito al delegato britannico.

290 Ibidem. Il ministero degli Affari Esteri italiano si era rivolto al ministero dell’Agricoltura e del Commercio dato che mediante una circolare alle Camere di Commercio del Regno, esse si assumessero la nomina di uno o due rappresentati dei portatori italiani di rendita turca. Tali camere hanno delegato Francesco Mancardi come delegato italiano, il quale “parte per Costantinopoli senza alcuna istruzione di genere e senza alcuna preparazione causa la partenza immediata”. Il governo italiano aveva infatti agito in ritardo nel mandare un delegato dei portatori alle Conferenza preparatoria per l’istituzione del consiglio del Debito. Richiamata dall’Ambasciatore britannico a Roma, l’Italia si era sbrigata nel far nominare dalle Camere di Commercio.

94

il prefetto di Costantinopoli, per i titoli di priorità furono rappresentati dalla Banca Imperiale Ottomana; gli italiani invece scelsero la Camera di Commercio di Roma291.

La curiosità della scelta italiana la dice lunga sugli interessi della finanza italiana nella rendita ottomana. Una tale scelta non poteva che rilegare ad un ruolo passivo i finanzieri italiani che avrebbero voluto trarre vantaggio, anche attraverso azioni speculative, dal ruolo garantito ai portatori italiani nel costituendo consiglio del debito. La Consulta, ad onor del vero, tentò di imitare le altre grandi nazioni europee proponendo come rappresentanti italiani a tale commissione la Banca Generale ed il Credito Mobiliare292. La vicinanza di tali istituti alla finanza francese non giocò sicuramente a loro favore quando si decise di affidare tale servizio alla Camera di Commercio di Roma. Fin da subito Francesco Mancardi, propose di conferire tre seggi all’Inghilterra, tre alla Francia, due per l’Italia e di darne uno ciascuno a Germania ed Austria -Ungheria293. Dato il ruolo economico di secondo piano, l’Italia punterà ad avere un ruolo maggiore nella rappresentanza della costituenda commissione finanziaria.

Il fallimento di tale proposta si deve imputare anche al disinteresse mostrato dal governo italiano per questa nuova istituzione internazionale. Roma aveva infatti agito in ritardo nel mandare un delegato dei portatori a Londra, dove si lavorava per l’istituzione del consiglio del debito294. Richiamata dall’Ambasciatore britannico a Roma, l’Italia si era sbrigata nel far nominare dalle camere di commercio un loro rappresentante, Francesco Mancardi, che fu spedito in fretta e furia a Costantinopoli senza nessuna preparazione o istruzione 295. Infatti il governo italiano si era mosso in forte ritardo in vista dell’inizio fri lavori della commissione ordinatrice che iniziò il 1 settembre 1881 a di Costantinopoli296. Durante l’estate antecedente l’inizio dei lavori della commissione, il

291 BL, The Ottoman Public Debt and its administration, 1854 to 1914, printed for the use of H.M. Treasury, confidenziale, Treasury Chambers, 12 ottobre 1916 p. 19.

292 Per adeguarsi a Francia e Gran Bretagna, la Consulta propose che i creditori italiani fossero rappresentati dalla Banca Generale e dal Credito Mobiliare, in ASDMAE, MAERI, busta 1236, da Manini al ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, n°182, Roma 10 settembre 1881.

293 ASDMAE, MAERI, busta 1471, da Corti a Mancini, n°2175/3388, Terapia 27 settembre 1881.

294 ASDMAE, MAERI, busta 1469, dal ministero di Agricoltura, Industria e Commercio a Cairoli, n°18856/9488, Roma 23 novembre 1880.

295 ASDMAE, MAERI, busta 1471, da Berti a Mancini, n°17353/3185, Roma 29 settembre 1881.

296 Mancardi arrivò infatti a Costantinopoli il 26 settembre 1881, in Affairs of the Porte, in “The Manchester Guardian”, 27 settembre 1881.

95

ministero di Agricoltura, Industria e Commercio sollecitò affinché i portatori italiani si riunissero in assemblea per nominare il rappresentate italiano. Il ministero implicitamente sollecitava la Camera di Commercio di Roma ad agire in tempi più rapidi affinché non vi fossero ritardi di sorta297. Il 19 settembre 1881, ben diciotto giorni dopo l’inizio della Conferenza, le Camere di Commercio del Regno d’Italia, delegarono la CCR a nominare il rappresentate italiano dei portatori di titoli ottomani298. Tale nomina cadde su Francesco Mancardi299, ex deputato al Parlamento Nazionale, nonché ex direttore generale del Debito Pubblico Italiano tra il 1862 ed il 1871300. Nominato il rappresentante dei portatori italiani, doveva essere nominata anche una banca che gestisse le operazioni finanziarie per i creditori. La scelta cadde sulla Banca Romana301, del direttore Bernardo Tanlongo302, al contempo vice-direttore della stessa Camera di Commercio di Roma303.

È curioso notare come la scelta cadde proprio sull’istituto romano, che vantava importanti legami finanziari con la Chiesa romana, notoriamente titolare di quote della rendita ottomana. Non è pertanto da escludere che suddetta banca, specialmente la figura del suo losco direttore, si fece promotrice anche di operazioni a carattere speculativo o investimenti di fondi neri304.

297 ASCCR, unità n°904, Dal ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio alla Camera di Commercio di Roma, circolare n.19, Roma 1881.

298 ASCCR, unità n°904, dal Vice-presidente Bernardo Tanlongo all’Assemblea creditori italiani della Turchia, n. 1418, Roma 19 settembre 1881.

299 ASDMAE, MAERI, busta 1471, da Corti a Mancini, n°2167/3312, Terapia 21 settembre 1881. 300 ASDMAE, MAERI, busta 1236, da Mancini a Corti, n°195, Roma 19 settembre 1881.

301 ASCCR, unità n°904, Bernardo Tanlongo, Servizio del Debito Pubblico ottomano, n.397, Roma 12 ottobre 1882 e anche Archivio Storico Banca d’Italia (da qui in avanti ASBI), Fondo di liquidazione Banca Romana (da qui in avanti FLBR), dalla Camera di Commercio di Roma a Bernardo Tanlongo, n°1770, Roma 24 aprile 1882.

302 La Banca Romana ricevette anche critiche per il suo operato di registrazione di titoli. Il Sindacato della Borsa di Palermo infatti accusò l’istituto bancario per le somme richieste per la registrazione e conversione dei titoli, oltre al fatto che tale istituto non accettò i titoli Ramazan. Si veda ASBI, FLBR, dalla Camera di Commercio di Roma alla Banca Romana, n°2457, Roma 19 giugno 1883.

303 Bernardo Tanlongo fu vicepresidente della Camera dal 1880 e presidente dal 1891 al 1894. Da tale carica si dimise nell'agosto 1894 dopo essere stato travolto dallo scandalo della Banca romana di cui ne era il direttore. Paletta G., Dizionario biografico dei presidenti delle Camere di commercio italiane (1862- 1944), Rubettino, Roma, 2005.

304Secondo lo storico Antonello Biagini i capitali che i gruppi finanziari italiani avevano investo nel DPO erano di dubbia provenienza. Biagini A., Storia della Turchia Contemporanea, Bompiani, Milano, 2005, p. 16.

96

Gli interessi della chiesta romana nel mantenere un controllo indiretto sugli enti preposti alla gestione da parte italiana della rendita ottomana non finirono con la caduta di Tanlongo nel 1894 dopo lo scandalo della banca romana. La nomina di Alberto Theodoli, nel 1905 e di Bernardino Nogara nel 1912, possono essere visti come l’esempio della continuità del controllo vaticano sugli strumenti in mano italiana che controllavano la rendita ottomana.

Se il lassismo di Roma davanti alle questioni finanziarie della Porta non ci sembra inverosimile, non è neanche da escludere un comportamento ambiguo tenuto da Francia e Gran Bretagna verso la presenza italiana. Come ricordato in precedenza, la scelta di permettere all’Italia di partecipare alla commissione ordinatrice prima, finanziaria poi, fu soprattutto dovuta alla volontà inglese di combattere l’intraprendenza francese nel Mediterraneo, anche a fronte delle crisi anglo-francese sulle questioni egiziane. La Gran Bretagna aveva tutto l’interesse che un’Italia rancorosa verso la Francia, rea di aver occupato Tunisi, facesse parte della commissione ordinatrice (quella costituita da settembre a dicembre 1881) dove Londra voleva mitigare l’influenza francese sul nuovo ordinamento delle finanze della Porta. Infatti la comunicazione di partecipazione dell’Italia alla commissione ordinatrice arrivò già in ritardo a Roma. Questo comportamento avvantaggiò una commissione dove Gran Bretagna e Francia facevano da padrone, soprattutto quest’ultima grazie all’influenza di una Banca Imperiale Ottomana che poteva vantare stretti legami anche con istituti bancari tedeschi e austriaci a loro volta capaci di influenzare i propri delegati per un accomodamento che non ostacolasse la posizione di privilegio che la BIO deteneva fin dal 1863. Il Mancardi, che arrivò a Costantinopoli in tutta fretta e senza alcuna informazione pratica, dovette oltremodo astenersi dai lavori della commissione per presunte irregolarità sulle sue credenziali. Quando Mancardi fu ammesso finalmente alla commissione, si erano già svolte ben otto conferenze inerenti i temi più delicati in merito alla creazione del consiglio del Debito305.

Una volta ammesso alla commissione il delegato italiano dovette fare i conti con due diplomatici provetti: l’inglese Hon R. Bourke, ex sotto segretario di Stato al Foreign Office ed il francese Valfrey, ex vice direttore politico del ministero degli Esteri francese,

97

entrambi strettamente supportati dalle proprie ambasciate. Era chiaro che davanti a questa “potenza di fuoco”, il Mancardi avrebbe potuto far ben poco per ostacolare le scelte imposte da Gran Bretagna e Francia. Entrambe non mancarono di strappare le concessioni più favorevoli dalla Porta non curandosi del fatto se Costantinopoli fosse in grado o meno non solo di adempiere agli impegni richiesti, ma anche di sostenerli nel tempo. “Qui si trattava addirittura di assicurare anche per il futuro l’espropriazione delle

finanze imperiali, non lasciando al debitore speranza di sfuggire alla mano di ferro dell’usciere stabilito in casa, secondo il motto di un pubblicista britannico”306.

Il Decreto imperiale del 20 dicembre 1881307 prevedeva il ripristino del servizio del debito e della sua l’amministrazione, nonché la formazione del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico ottomano quale organo dipendente dal ministero delle Finanze ottomano a cui doveva presentare annualmente un bilancio308. In sostanza il governo ottomano, in merito alle questioni fiscali, accoglieva la proposta contenuta nel progetto del Presidente del Council of Foreign Bondholders di Londra, l’On. Bouverie309, già affermata nel progetto Musurus nonché già evidenziata sin dal 1875 dal deputato inglese Hamond e nel 1879 dal francese di Tocqueville310. Unica concessione fu l’esclusione del debito fluttuante e dell’indennità di guerra della Russia. Le potenze europee non vollero ipotecare la commissione con vincoli e problematiche di carattere politico di cui l’indennità di guerra russa era portatrice311.

Secondo William Wynne, i delegati delle grandi potenze, smaniosi di estendere un controllo sopra le rendite dell’impero, si astennero dal compiere investigazioni dettagliate sulla situazione reale del paese dato che indagini più approfondite li

306 Ibidem.

307 I negoziati in realtà era già arrivati al termine il 14 dicembre, in ASDMAE, MAERI, busta 1471, n°2233/4201, Costantinopoli 14 dicembre 1881.

308 Nel consiglio si trovavano un delegato francese, inglese, tedesco, austriaco, italiano ed ottomano, più un rappresentante della BIO.

309 Per dettagli si veda: Annual Report of the Council of the Corporation of foreign bondholders, n. 7 1879 p. 61-62.

310 Secondo Wynne, lo schema del progetto Hamond fu quello che fu usato a modello per tutte le trattative successive, in Wynne W.H. Op. Cit. p. 428.

311 Lo stesso impero ottomano aveva più volte richiesto, ed ottenuto, che le negoziazioni in seno alla commissione fossero svolte dai privati e non da rappresentanti pubblici. Tale scelta fu determinata ufficialmente dal fatto che i privati avevano interessi nel Debito Pubblico e non i rispettivi governi. In realtà in una trattativa con i Governi sarebbe stato più difficile per l’impero tutelare i propri interessi.

98

avrebbero probabilmente portati a constatare l’insolvibilità della Porta nei confronti dei suoi creditori. Senza draconiane riforme fiscali, la possibilità di adempire a tali pagamenti era quanto mai remota. I creditori, a questo proposito, avrebbero accettato tale accordo solo dopo aver ottenuto sicure garanzie312.

Per sintetizzare il Decreto di Mouharrem si basava su tre principi fondamentali: 1) La riduzione del capitale nominale del debito; 2) L’assegnazione di speciali rendite per il servizio di riduzione del debito; 3) L’amministrazione di suddette rendite attraverso un’autorità rappresentante i creditori e indipendente dalla Sublime Porta313.

La proposta accettata prevedeva la riduzione del valore nominale di ogni categoria di prestito al tasso di rispettiva emissione, per cui il debito totale da 190,966,230 scendeva a 96,763,278 Lire Turche314 a cui si dovevano sommare 1/10 come proporzione degli interessi accumulati dal 1876 al 1881, che erano di Lst. 61,803,905. Pertanto il