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Grafico 2: Stato dei Kaimé in circolazione (1876-1879) (prezzo del giorno)

4.2 L'Italia tra la commissione ordinaria e la commissione finanziaria

L’Italia era convinta di essere coinvolta in prima persona nella questione della riorganizzazione delle finanze ottomane, o quantomeno, inclusa nella commissione internazionale che francesi ed inglesi stavano trattando con il governo di Costantinopoli. Infatti le due potenze avevano mandato in esplorazione presso il governo del Sultano il conte di Tocqueville (da non confondere con Alexis de Tocqueville) con il doppio intento di trovare un accordo sul debito contratto e per esplorare la concreta possibilità dell’istituzione di una commissione europea di controllo attraverso il consolidamento di tutti i debiti esistenti, compresi i buoni del tesoro ad un prezzo conveniente e nell’anticipazione con privilegio di un capitale per i bisogni correnti, il tutto a condizione che l’amministrazione delle dogane e di altri cespiti di rendita indiretta fossero messi nelle mani di una commissione europea mista. Alcuni creditori francesi ed inglesi avevano mandato il Conte di Tocqueville per esplicita richiesta del governo ottomano, il quale, dato che la questione riguardava interessi privati di singoli creditori, voleva trattare direttamente con i portatori privati invece che con i rispettivi governi. Nonostante questa compattezza di intenti tra Londra e Parigi, era chiaro che Tocqueville avesse ricevuto un mandato labile da un numero imprecisato di creditori che

199 La Sublime Porta rinunciò solo nel 1909 ai suoi reclami finanziari sanciti dal Congresso di Berlino contro la Bulgaria. Essi rimasero però in vigore contro la Serbia, il Montenegro e la Grecia. BL, The Ottoman Public Debt and its administration, 1854 to 1914, printed for the use of H.M. Treasury, confidenziale, Treasury Chambers, 12 ottobre 1916 pp.10-11.

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detenevano garanzie sul debito assai diverse le une dalle altre e che non rappresentavano la totalità degli interessi presenti nella rendita ottomana200.

Nel corso delle sue trattative, Tocqueville accennò al Gran Visir Saffet Pasha (Gran Visir dal giugno 1878 ad ottobre 1878) la possibilità di includere i rappresentanti dei portatori italiani nella commissione, ma senza successo. Secondo l’ambasciatore di Francia a Costantinopoli Fournier, “Le Gouvernement Italien se montre très-Irrité de

l'arrangement financier passé avec M. de Tocqueville; il n'admet pas que l'Italie qui a des intérêts économiques at politiques de premier ordre en Orient puisse être exclue d'une combinaison qui conféré à des mains étrangères l'administration de l'une des principales branches des revenues publics […]”201.

Saffet Pasha si opponeva alla presenza degli italiani visto che tale partecipazione avrebbe accentuato “sempre più lo stato di tutela estera sotto cui si voleva porre la

Turchia”202. A questo punto l’Ambasciata Italiana a Costantinopoli, per mezzo dell’ambasciatore Corti, propose al governo Italiano di essere più incisivo su Tocqueville attraverso le cancellerie di Parigi e Londra, che avrebbero dovuto spingere il loro delegato presso la Sublime Porta a condizionare l’aggiustamento delle finanze ottomane alla presenza italiana nella costituenda commissione. Roma non escludeva anche un’azione più diretta, anche perché la posizione del governo di Parigi era chiara “notre

intention formelle est au contraire d'y rester absolument étrangers”203.

Depretis fu categorico con Corti: nessun accordo sarebbe stato possibile sul debito ottomano senza la partecipazione dell’Italia. In caso contrario Roma non avrebbe mancato di domandare “la riunione immediata della commissione internazionale di cui

tratta il 18° protocollo del Congresso di Berlino”204, cioè richiedere la convocazione immediata delle potenze firmatarie a Berlino per addivenire ad una soluzione finanziaria condivisa, con il rischio pertanto di togliere l’iniziativa a Francia e Gran Bretagna.

200 ASDMAE, MAERI, busta 1464, da Corti a Depretis, n°1376/377, Costantinopoli 18 gennaio 1879. 201 Archives Diplomatiques du Ministère des Affaires étrangères (da qui in avanti ADMAE), constantinople série c 1830-1913 (da qui in avanti CSC), Correspondance politique départ (da qui in avanti CPD), busta n°291, da Fournier a Waddington, confidenziale n°30, Pera 9 febbraio 1879.

202 ASDMAE, MAERI, busta 1464, da Corti a Depretis, n°1332/419, Costantinopoli 31 gennaio 1879. 203 ADMAE, CSC, Correspondance politique arrivée (da qui in avanti CPA), busta n°68, da Waddington a Fournier, n°20, Parigi, febbraio 1879.

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Chiaramente Corti non nascose che la missione di Tocqueville, che cercò di mantenersi segreta per addivenire quanto prima ad un accordo nell’interesse di solo una parte dei creditori, trovò resistenze anche da parte della BIO, i cui interessi sarebbero stati lesi dai privilegi concessi dalla commissione dei creditori205.

Nonostante la missione Tocqueville dovesse far fronte a molte difficoltà, l’intento della diplomazia italiana rimaneva quello di entrare nelle trattative in corso d’opera. Roma voleva condizionare la partecipazione dei capitalisti italiani al nuovo prestito di 200 milioni di Franchi206, che l’impero ottomano stava negoziando in Europa (e non si sa con quale speranza di accordo senza le dovute garanzie) all’aggiunta di due delegati del governo italiano presso la commissione finanziaria207. Tale prestito era condizionato appunto ad un accordo sul debito ottomano208. Se negoziato, tutti i creditori avrebbero ottenuto, oltre un titolo corrispondente al prezzo d’emissione calcolato in media al 45%, l’interesse del 2,3% sul capitale nominale primitivo: “Le

condizioni economiche dell’impero […] sono tali che resta ben poca speranza ai creditori di [ritornare in possesso] anche [di] una parte dei rispettivi fondi”. Se accettassero tale

progetto i portatori italiani “riceverebbero non solo un titolo d’un valore assai superiore

al presente, ma […] un interesse che corrisponderebbe quasi alla metà degli interessi convenuti nei primitivi contratti”. Dato che in tale progetto erano compresi anche i titoli

del tesoro ottomano, di cui ve ne era un numero consistente in Italia, era conveniente per il governo di Roma “[…] osteggiare un progetto del quale vedrebbe tanto sollievo ai

nostri detentori?”209.

La questione delle disponibilità italiana ad accettare la conversione spingeva Roma a vedere come una priorità la possibilità di far parte di quest’accordo direttamente e non essere costretta ad accettarlo passivamente; questo avrebbe significato partecipare a pieno titolo con Francia e Gran Bretagna alla riorganizzazione

205 Ibidem

206 Tale prestito sarebbe servito, oltre alla conversione del debito pubblico ottomano, anche al ritiro di un alto numero di Kaimé presenti sul mercato monetario ottomano, in ASDMAE, MAERI, busta 1464, da Corti a Depretis, n°1408/719, Costantinopoli 21 febbraio 1879.

207 DDI, Serie II, R. 1391, Il ministro a Costantinopoli, Corti, al presidente del consiglio e ministro degli Esteri, Depretis. Costantinopoli, 11 febbraio 1879.

208 ADMAE, CSC, CPA busta n°68, da Waddington a Fournier, confidenziale, Parigi 14 febbraio 1879. 209 ASDMAE, MAERI, busta 1464, da Corti a Depretis, n°1389/462, Costantinopoli 4 febbraio 1879.

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delle finanze ottomane, anche perché la Francia si chiedeva “L'Italie serait-elle

représentée dans la commission internationale? [...] ce serait un échec pour elle et le sentiment public italien pourrait, dans sa susceptibilité [...]”210.

Proprio sulla complicità di queste due potenze Roma confidava di costringere la Sublime Porta ad accettare gli italiani. Infatti il Gran Visir gli fece intendere che se l’introduzione dei delegati italiani nella commissione finanziaria “fosse ulteriormente

richiesta dai negoziatori come condizione necessaria per l’ultimazione dell’affare [cioè il

prestito] la Sublime Porta avrebbe preso in favorevole considerazione la relativa

proposta”211.

Il governo di Costantinopoli pertanto lasciava spazio di manovra all’Italia, solo se essa avrebbe spinto capitalisti nazionali a prestare denaro ad uno Stato non solo ancora insolvente, ma che da quasi cinque anni languiva in un caos finanziario senza precedenti. La scarsa disponibilità di capitali in Italia avrebbe fatto di quest’impresa un’azione assai ardita che poteva essere conclusa solo se il governo stesso avesse garantito e tutelato gli investitori che fossero intervenuti. Tirate le somme, una partecipazione dell’Italia non era assolutamente necessaria, né politicamente, né finanziariamente.

In generale un accordo sulle finanze ottomane operato solamente attraverso la mediazione di elementi finanziari, come voleva la Sublime Porta, si stava rivelando assai difficile e complicato da realizzarsi212. Secondo Corti era pressoché impossibile non cercare in prima istanza un accomodamento politico, almeno come prima cornice per successive trattative213. Questo era invero una debolezza per l’Italia rispetto a Francia e Gran Bretagna, dove i sindacati finanziari avevano una consistenza, potenza ed organizzazione tale da poter mediare e trattare senza il supporto dei rispettivi governi. Con questa richiesta la Porta sperava sia di avere un peso negoziale maggiore214, sia di tenere alla larga un’Italia costretta a dover usare l’intermediazione del suo governo per

210 ADMAE, CSC, CPD busta n°291, da Fournier a Waddington, n°24, Pera 31 gennaio 1879.

211 DDI, Serie II, R. 1401, Il ministro a Costantinopoli, Corti, al presidente del consiglio e ministro degli Esteri, Depretis. Costantinopoli, 18 febbraio 1879.

212 ASDMAE, MAERI, busta 1464, da Corti a Depretis, n°1409/773, Costantinopoli 23 febbraio 1879. 213 ASDMAE, MAERI, busta 1464, da Corti a Depretis, n°1414/778, Costantinopoli 26 febbraio 1879. 214 Sui rapporti di forza tra lo Stato ed i creditori privati di titoli di debito pubblico si veda Sabatini G., Qualche riflessione sul debito pubblico in una prospettiva storica: miti, realtà, falsificazioni, in “Studium”, n°12, Roma 2013, pp. 940-945.

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mediare una soluzione. Luigi Corti fece notare ai ministri ottomani che aveva carattere “politico il fatto di un governo che domanda ad altri governi di nominare gli agenti cui

debba essere affidata una parte importante dell’amministrazione finanziaria dello Stato. E l’entità politica di essi è messa ancora più in rilievo dall’esitazione che questi governi dimostrano nell’assumere la responsabilità di sobbarcarsi all’impresa”215.

Aiuto insperato arrivò proprio dalla crisi della missione di Tocqueville216. L’Ambasciatore italiano a Londra, Luigi Federico Menabrea, suggerì al governo italiano di far parte della nuova proposta di commissione che avrebbe dovuto essere avanzata, l’Italia avrebbe dovuto parteciparvi, stare alla finestra avrebbe significato la fine delle aspirazioni italiane nella riorganizzazione delle finanze ottomane. Per conseguire questo risultato, era intento dell’Ambasciatore imprimere nella mente di Lord Salisbury, allora segretario britannico agli Affari Esteri, la convinzione che “nulla si può fare di serio e di

stabile nell’ordinamento delle finanze ottomane, per la parte che riflette il debito turco, senza l’intervento dell’Italia”217. La Gran Bretagna, questa volta, aveva però motivo di prendere più in considerazione le richieste italiane. Questo cambio di atteggiamento va rilevato nel pericoloso attivismo francese nel Mediterraneo. Con il riconoscimento del protettorato francese sulla Tunisia dopo il Congresso di Berlino, la Francia aveva esteso le sue mire sull’Egitto, dove l’Inghilterra voleva mano libera per i suoi collegamenti con l’oriente indiano218. Nondimeno, la grande esposizione della Francia sul debito estero ottomano, avrebbe fatto di Parigi il primo interlocutore con il governo di Costantinopoli in merito alla questioni finanziarie predette. L’appoggio di Londra, o meglio la sua non

215 ASDMAE, MAERI, busta 1464, da Corti a Depretis, n°1418/880, Costantinopoli 4 marzo 1879.

216 Secondo Corti negli ambienti diplomatici di Costantinopoli si vociferava che l’opposizione russa alla missione Tocqueville fosse stata influenzata dall’Italia che avrebbe così potuto far parte ufficialmente delle nuove negoziazioni, in ASDMAE, MAERI, busta 1465, da Corti a Depretis, n°1424/964, Costantinopoli 7 marzo 1879.

217 DDI, Serie II, R. confidenziale 162/206, dall’ambasciatore a Londra, Menabrea, al presidente del consiglio e ministro degli Esteri, Depretis. Londra 2 marzo 1879.

218 Anch’esso insolvente, ma rispetto all’impero ottomano, da cui dipendeva sempre formalmente, era stato esteso un severo controllo internazionale sulle finanze – a cui parteciperà anche l’Italia – che ne aveva praticamente commissariato non solo l’economia ma anche la politica. Talamo G., Il mancato intervento italiano in Egitto nel 1882, in “Rassegna storica del Risorgimento” fasc 3, luglio-settembre 1958. Roberts L.E., Italy and the Egyptian Question, 1878-1882, in “The Journal of Modern History” Vol. 18 n. 4, 1946, pp. 314-332, Pescosolido G., Alle origini del colonialismo italiano: la stampa italiana e la politica coloniale dell’Italia dal rifiuto di intervento in Egitto alla vigilia dell’occupazione di Massaua (1882-1884), in “Clio”, vol. 27, n.1, 1991, pp. 55-84.

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opposizione alla partecipazione italiana, spinse anche Parigi sulla stessa direzione degli inglesi, evitando così di inimicarsi un futuro membro della commissione. Tale mossa diplomatica permise di scoprire le carte, cioè venne a galla l’ostilità della Porta verso la presenza italiana nella commissione finanziaria. Il governo di Roma non voleva infatti partecipare passivamente ai lavori, cioè non voleva che i suoi interessi venissero solamente rappresentanti da quattro specialisti finanziari stranieri – cioè due francesi e due inglesi, come venne ripreso dal vecchio progetto Tocqueville – ma voleva che suoi specialisti partecipassero ai lavori per tutelare in egual maniera i creditori italiani.

Costantinopoli, venendo inaspettatamente a concretizzarsi la possibilità della creazione di una commissione internazionale di controllo sopra le sue finanze, decise di intervenire per tentare di bloccare, o far arenare, le trattative in corso. Gli ottomani dissero chiaramente che il tempo delle trattative era finito, che l’accordo tra l’erario ottomano e i suoi creditori era già in via di formazione e pertanto non avrebbe avuto senso ricorrere alla commissione finanziaria, essi sostennero inoltre che nessun gruppo di creditori si era associato al mandato conferito al Conte di Tocqueville. La Sublime Porta, cogliendo al balzo lo stagnarsi delle trattive, cercò con un colpo di coda disperato di scollarsi di dosso l’onere di veder istituita una commissione internazionale che, di fatto, ne avrebbe ridotto la sovranità finanziaria, e conseguentemente anche politica219.

Era chiaro che ora la partita si sarebbe giocata nelle cancellerie di Parigi e Londra, dove l’Italia avrebbe potuto schierarsi all’interno di un fronte compatto contro la ribellione ottomana. William Waddington, primo ministro francese dal 5 febbraio al 28 dicembre 1879, fece sapere all’ambasciatore italiano a Parigi Enrico Cialdini che non avrebbe avanzato alcuna opposizione alla nomina di un commissario italiano che fosse entrato nelle gestione dell’affare Tocqueville, a patto che nessun’altra potenza vi si immischiasse. Cialdini rimase sorpreso durante il colloquio con Waddington, così duro nelle questioni che riguardavano la costa africana ed il Mediterraneo, della sua disponibilità sui temi inerenti la riorganizzazione delle finanze dell’impero ottomano. Secondo l’ambasciatore Corti tale comportamento si doveva agli interessi che la Chiesa di Roma aveva nella rendita ottomana220, “non credo ingannarmi attribuendo l’insolita

219 DDI, Serie II, D. 789, dal presidente del consiglio e ministro degli Esteri Depretis, all’ambasciatore a Costantinopoli, Corti. Roma 10 marzo 1879.

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arrendevolezza del Signor Waddington all’influenza del Nunzio Apostolico, che deve averlo pregato di consentire che l’Italia potesse proteggere gl’interessi dei suoi sudditi in generale ed in particolare poi quelli dell’Alto Clero italiano, possessore di molta rendita turca”221.

Nel marzo del 1879 la missione di Tocqueville era ufficialmente fallita e con essa si arenarono le trattive in corso per permettere all’Italia di fare parte di un progetto di commissione, che ormai era affondato insieme al suo promotore222. Una delle cause del suo fallimento fu dovuta al fatto di equiparare i detentori dei titoli di debito pubblico allo stesso modo, provocando l’ostilità di quelli che avevano contratto il debito in posizione privilegiata e con speciali garanzie223.

Roma prese con soddisfazione il fallimento della missione del nobile francese. Il Cavalier Graziani osservava, in colloquio con Corti, che “[…] mezzo scherzando mezzo sul

serio, [Graziani] soggiungeva [che] l’Italia ave[va] ottenuto il suo intento di farlo mancare [l’affare Tocqueville]”224. Con lucida freddezza Corti scriveva a Depretis che non vi era nessun interesse affinché fossero fin da subito riprese le negoziazioni finanziarie. Per ammorbidire le posizioni della Sublime Porta, ed addivenire ad un accordo a vantaggio delle potenze negoziatrici, era chiaro che bisognava condurre Costantinopoli alla necessità di negoziare un accordo a qualsiasi condizione. La situazione economica era talmente degradata che l’impero era privo di mezzi per adempiere a tutti i servizi pubblici e per controllare la svalutazione della carta moneta inconvertibile (Kaimé). Per Corti se la Porta non avesse ottenuto un prestito per mettere in sicurezza le sue finanze e per sostenere la valuta, lo Stato ottomano avrebbe dovuto dichiarare nullo il valore della carte moneta, con conseguente collasso di quelle zone dove questo strumento di interscambio era altamente utilizzato. Solo a questo punto “la crisi sarebbe

221 DDI, Serie II, R. 476, dall’ambasciatore a Parigi Cialdini, presidente del consiglio e ministro degli Esteri Depretis. Parigi 14 marzo 1879.

222 La camera dei deputati del parlamento italiano, attraverso l’on. Billia, spiegò in questo modo il fallimento della missione Tocqueville che “si fece promotore a Costantinopoli di un concordato nell’interesse dei francesi ed inglesi portatori di obbligazioni turche; ma il governo ottomano, cui si voleva quel concordato imporre, ed onta che si trattasse veramente di un debito suo, ad onta che sia caduto in quello stato in cui è caduto, trovò bastante energia per respingere le straniere ingerenz[e], ed il piano Tocqueville cadde”, in Atti Parlamentari, Discussioni della Camera dei Deputati, Sessione 1878-79, CCXXV, p. 7095

223 Autheman A. Op. Cit..p. 96-99.

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probabilmente considerata come sufficientemente matura per addivenire a seri negoziati finanziari”225.

La questione monetaria era lo specchio della situazione economica del paese. La fiducia riservata dal mercato ai Kaimé stava crollando giorno dopo giorno, rilevando lo stato di estrema fragilità delle finanze ottomane226. Per cercare di arginare questa emorragia, lo Stato ottomano, che doveva far fronte ad una situazione disperata, ordinò che tutte le tasse dovessero essere pagate in oro ad eccezione di un quinto che poteva essere pagato in carta moneta. La carta moneta così incamerata sarebbe stata distrutta così da ridurne il numero in circolazione calmierando una galoppante inflazione. Di conto la Porta si sarebbe impegnata a pagare tutte le retribuzioni e le spese dello Stato in oro. Una tale operazione finanziaria non sarebbe stata possibile senza l’appoggio ed il connubio della Banca Imperiale Ottomana che aveva tutto l’interesse, grazie anche la sua influenza a Londra e Parigi e nonostante la sua prima opposizione all’operazione Tocqueville, ad evitare la rovina finanziaria dell’impero227.

Avendo ormai preso confidenza con le insidie riservate dalla corte ottomana e dai governi di Londra e Parigi, Roma decise di agire più fermamente di quanto avesse fatto in precedenza. Dato che Tocqueville non aveva rappresentato gli interessi italiani, ricordava l’Ambasciatore italiano a Londra Menabrea a Lord Salisbury, nella futura trattativa che sarebbe stata avviata tra i creditori e la Sublime Porta, se l’Italia non avesse avuto la possibilità di essere rappresentata per tutelare i diritti dei propri portatori, i creditori italiani avrebbero richiesto che ogni accordo finanziario sarebbe dovuto passare per la commissione internazionale prevista dal protocollo n°XVIII del Congresso di Berlino, domanda che il governo italiano non avrebbe mancato di sostenere228. In sostanza l’Italia minacciava di ostruzionismo le future trattative, facendo leva sulle

225 Ibidem.

226 "The Bankers' Magazine", v. 35, 1880-1881, pp. 858-859.

227 ASDMAE, MAERI, busta 1465, da Corti a Depretis, n°1439/1180, Costantinopoli 21 marzo 1879. 228 DDI, Serie II, R. confidenziale 190/211, dall’ambasciatore a Londra Menabrea, presidente del consiglio e ministro degli Esteri Depretis. Londra 16 marzo 1879. Il protocollo 18 del Congressi di Berlino prevedeva che le potenze rappresentate al Congresso raccomandavano alla Sublime Porta l’istituzione a Costantinopoli di una commissione finanziaria composta da specialisti nominati dai rispettivi governi. Tale commissione avrebbe avuto il compito di esaminare le proteste dei portatori di rendita turca e di proporre le misure ritenute più necessarie per soddisfare i creditori compatibilmente con la situazione finanziaria dell’impero.

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garanzie offerte dal protocollo n°XVIII del Congresso di Berlino, che autorizzava ogni potenza presente al Congresso di inviare specialisti per la tutela dei propri creditori. Pertanto l’impero, finché non avesse estinto i suoi obblighi secondo quanto previsto dal protocollo n° XVIII, non avrebbe potuto riacquistare la propria indipendenza in materia di finanze229.

L’azione dell’Italia, che certamente aveva creato disturbo nelle trattative tra i creditori ma non era certo causa della situazione ottomana, irritò il governo della Sublime Porta. Durante un colloquio con il ministro degli Esteri ottomano Caratheodori Pasha, Luigi Corti riportava che secondo il politico ottomano l’Italia fosse “causa

precipua dei presenti imbarazzi finanziari della Turchia poiché alle riserve da essa formulate dovevasi che la combinazione Tocqueville non avesse approdato”230. Tornò in vigore l’idea che fosse stata appunto l’Italia a sobillare quell’opposizione Russa che condusse al fallimento della missione Tocqueville, dimenticando invece come tale missione fosse, fin dal suo inizio, priva di un vero e sincero supporto da parte di tutti i creditori ottomani i quali, anzi, rimasero divisi su molti punti, tanto che il governo di Londra non fu mai completamente favorevole a quella trattativa. Il punto centrale