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Con il Trattato del 1838 l’impero ottomano, come abbiamo già ricordato, iniziò ad integrarsi nell’economia mondiale. Esso, firmato in primis con la Gran Bretagna e successivamente con le altre potenze europee, aboliva il sistema del monopolio nel commercio estero e la possibilità da parte della Sublime Porta di operare speciali restrizioni o tasse aggiuntive sulle esportazioni. L’abolizione di tale diritto d’imposta sull’export privò l’impero di importanti fonti di reddito, soprattutto nelle fasi di emergenza, cioè quando la Sublime Porta, a corto di denaro, alzava i dazi sulle merci importate ed esportate, così da disporre in breve tempo di nuova liquidità. L’abolizione di questa leva fiscale fu una delle cause che spinse la Porta tra le braccia dei creditori.

In sostanza l’accordo del 1838 conferiva alla Gran Bretagna, e successivamente a molte altre potenze, lo status di nazione favorita abolendo il sistema dei monopoli interni71. Tale accordo prevedeva che i mercanti locali dovessero continuare a pagare un’imposta per il trasporto interno delle merci pari all’8%, a differenza dei i mercanti stranieri che ne furono esentati - sebbene i prezzi ufficiali dei prodotti per l’Import e l’export vennero rinegoziati nel corso degli anni -72.

70 Per approfondire si veda Moreau O. L'empire ottoman à l'âge des réformes : les hommes et les idées du nouvel ordre militaire, 1826-1914, Institut français d'études anatoliennes, Istanbul, 2007.

71 Pamuk S., The Ottoman Empire and European Capitalism, 1820-1913, Cambridge University Press, Cambridge, 1987, pp. 20-29.

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Con la stesura di questi accordi i rapporti commerciali, economici e finanziari tra l’Europa e l’impero ottomano evolsero oltre le prerogative capitolari che i mercanti stranieri e non – specialmente tra le comunità non-musulmane dell’impero - avevano ottenuto nel corso dei secoli dalla Sublime Porta, spostandosi su una tipologia di accordo più moderno, che sanciva garanzie da parte degli Stati firmatari sotto l’ombrello di un embrionale diritto internazionale. Anzi, molti di questi accordi, di cui il XIX sarà il periodo di maggior espressione, non omettevano la possibilità, da parte ottomana, di proiettarsi verso la modernità, scollandosi di dosso vecchi trattati retaggio di un passato tecnocratico ormai superato. Gli ottomani credevano che se avessero dimostrato alle potenze europee la loro voglia di cambiamento, se avessero perseguito riforme moderne sul modello europeo, le grandi potenze avrebbero accordato alla Porta un ruolo eguale di potenza sul piano internazionale – almeno sulla carta - superando vecchi accordi, come le capitolazioni, non più compatibili con un modello di Stato nazione moderno. Diversamente da quanto sperato dalla Porta, l’Europa era interessata all’ammodernamento dell’impero se questo avesse avvantaggiato i propri interessi, e le capitolazioni, seppur retaggio di un mondo superato, conferivano agli europei potere politico e vantaggi economici73.

L’apertura ottomana al mercato internazionale risultò essere precoce ed affrettata per un paese ancora non pronto a reggere il confronto con potenze economiche di peso enormemente maggiore. La firma dell’accordo del 1838 fu una scelta obbligata da parte della Sublime Porta, che dovette scendere a patti con la Gran Bretagna per fermare la pericolosa sfida al potere di Costantinopoli da parte dell’Egitto di Mehmet Ali74.

Quest’apertura internazionale da parte di un paese ai margini del progresso capitalista condusse a una spirale di squilibro economico e finanziario che, come vedremo successivamente, può essere identificata in quattro date importanti: nel 1854

73 Boogert M.H., Fleet K., (a cura di) The Ottoman Capitulations: text and context, in “Oriente Moderno”, XXII, no. 2, 2003.

74 Il modello vincente di modernizzazione avviato in Egitto impaurì, soprese e frustò gli ottomani i quali, iniziarono a prendere esempio a quanto introdotto da Mehmet Ali. Una provincia dell’impero era riuscita a fare quello che il centro sperava di diventare, in Hanioğlu M. S. Op. Cit. pp. 45-47.

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anno del primo prestito internazionale75; nel 1863 con la creazione della Banca Imperiale Ottomana in qualità di banca di Stato76; nel 1875 anno del default dell’impero; nel 1881 anno della creazione del Consiglio per l’Amministrazione del Debito Pubblico ottomano. Pertanto l’accordo commerciale del 1838 non era che il preludio dell’avvio di un processo economico squilibrato che porterà la Sublime Porta a perdere buona parte della propria indipendenza finanziaria.

Per regolare il commercio c’era bisogno di un sistema monetario riconosciuto da tutte le parti che operavano gli scambi. Considerato che tale omogeneità di sistemi di scambio non esisteva neanche in Europa era difficile che ciò potesse esistere per l’impero ottomano, nonostante fosse un’entità statale unica.

Le radici delle caratteristiche monetarie del tardo impero ottomano hanno origine dalla fine XVII secolo. Nel periodo che intercorre tra il 1690 ed il 1844 si assiste al tentativo da parte della Porta di istituire un silver standard attorno al Kuruş argenteo77.

Le crisi politiche e finanziarie unite ad una galoppante inflazione, misero ripetutamente sotto pressione questo sistema che verso la metà del XIX, anche per far fronte al trend internazionale, dovette essere riformato a favore di un sistema bimetallico. Tra il 1700 ed il 1760 il Kuruş perse circa il 40% del suo valore senza contare che le crisi e le guerre intercorse tra il 1760 ed il 1840 condussero ad una profonda instabilità fiscale78. Il fenomeno dell’inflazione che attanagliò l’impero per buona parte del XVIII e per la prima parte del XIX secolo era anche causato dallo svilimento della moneta argentea da parte della Porta, la quale preferiva seguire questo metodo piuttosto che aumentare la pressione fiscale per incrementare il gettito.

75 Anderson O., Great Britain and the Beginnings of the Ottoman Public Debt, 1854-55, in “The Historical Journal”, vol. 7, n.1, 1964, pp. 47-63.

76 Tale banca era nata da un’associazione tra il gruppo britannico della Banca Ottomana fondata nel 1856 con un gruppo francese che deteneva il 50% del capitale della nuova banca. Del gruppo francese facevano parte importanti membri della haute banque, del Comptoir d’Escompte di Parigi e del Crédit Mobilier. Tale istituto finanziario inoltre aveva la caratteristica di essere un istituto privato franco-britannico e allo stesso tempo la banca di Stato dell’impero ottomano, in Thobie J., European Banks in the Middle East, in Cameron R., Bovykin V.I. (a cura di), “International Banking 1870-1914”, Oxford University Press, Oxford, 1991, p. 407.

77 Per approfondire il ruolo e la nascita del Kuruş si veda: Pamuk S., A Monetary history, Op. Cit., pp. 159- 161.

78 Pamuk S., Money in the Ottoman Empire, in İnalcık H. Quataert D. “An Economic and Social History of the Ottoman Empire”, V. II, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, p. 947.

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Nel 1839, per far fronte alle ingenti spese nelle guerra contro l’Egitto di Muhammed Alì Pasha79, l’impero dovette ricorrere all’emissione di obbligazioni sovrane dette Kaimé, anche per la mancanza materiale di una banca ufficiale di emissione80. Ne furono stampate circa 32.000 ad un tasso di interesse dell’8% destinato a calare con l’aumento delle emissioni. Oltre a queste obbligazioni, svolgevano di fatto funzioni di moneta fiduciaria anche i così detti Altilik e Besclik, titoli emessi sotto il sultano Mahmud (1808- 1839) che circolavano però a un valore inferiore a quello nominale81. Le alterazioni monetarie e l’aumento incessante delle emissioni dei Kaimé causarono gravi problemi al commercio, che risentì pesantemente dell’instabilità del valore della moneta82.

Per ovviare a questa instabilità, nel 1844, secondo un modello che sarebbe stato successivamente fatto proprio e generalizzato dall’Unione Monetaria Latina (1865- 1873), fu adottato ufficialmente (de facto fu accettato già nel 1834) un sistema monetario bimetallico basato sul Kuruş argenteo e sulla Lira oro (1 lira oro valeva 100

Kuruş)83. A partire dal 1874 furono proprio i paesi aderenti all’Unione Monetaria Latina, tuttavia, ad iniziare a muoversi verso un sistema bimetallico imperfetto e, quindi, verso un sistema basato sul solo oro, che fu ufficialmente adottato anche dalla Francia nel 1878. L’aumento degli scambi internazionali ed il ruolo guida svolto al loro interno dalla Sterlina britannica legata saldamente all’oro, crearono grossi problemi di arbitraggio nei paesi dell’Unione Monetaria Latina: il flusso in entrata di moneta “cattiva” ed il deflusso di moneta “buona” creava infatti continui squilibri finanziari e monetari in un sistema

79 Marsot A.L.S., Egypt in the Reign of Muhammad Ali, Cambridge University Press, Cambridge, 1984. 80 Sebbene il privilegio dell’emissione della carta moneta fosse concesso solo nel 1863 alla più volte menzionata Banca Imperiale Ottomana, di fatto l’emissione dei titoli Kaimé costituì il primo tentativo da parte del governo ottomano di utilizzare dei titoli di stato come moneta fiduciaria, sul modello degli assegnati francesi; particolarità di questi titoli era però quella di concedere un tasso d’interesse al portatore, molto probabilmente a causa della bassa fiducia dei consumatori verso questi strumenti finanziari, in Tunçer A. C., Pamuk S., Ottoman Empire: from 1830 to 1914, in “Bank of Greece Documents”,

http://www.bankofgreece.gr/BogDocumentEn/IV.%20OTTOMAN.pdf, 10 novembre 2015, p. 2 e p. 5. 81 Behar Y., Le Finanze turche: le contribuzioni dirette nell’impero ottomano, Nicola Zanichelli, Bologna, 1914, p. 15.

82 Pamuk S., From bimetallism to the 'Limping gold standard': the Ottoman monetary system in Nineteenth Century, in Cottrell P.L., Fraser I.L., Fraser M.P. (a cura di), “East Meets West: Banking, Commerce and Investment in the Ottoman Empire”, Ashgate Publishing Company, Burlington, 2008, pp. 11-15.

83 La riforma monetaria del 1844 non salvò l’impero da pesanti turbolenze monetarie: il prestito del 1858, ad esemoio, fu emesso appositamente per ripristinare la stabilità del sistema monetario, in MacDonald S.B., Gastmann A.L., A History of Credit and Power in the Western World, Transaction Publishers New Brunswick, 2001 p. 186.

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che cercava invece una costante stabilità. Verso questa strada si indirizzò anche Costantinopoli84.

L’impero ottomano, rimasto l’unico ad adottare un sistema bimetallico, decise infine nel 1880 di istituire un sistema monetario aureo, ma in realtà si conformò solo a un “limping gold standard” letteralmente a un “sistema aureo zoppicante”85. L’adozione di tale sistema non fu infatti omogenea. Ad esempio l’aggio sull’argento o sull’oro poteva variare da regione a regione a seconda dei legami commerciali con i paesi confinanti. Ancora nella Mesopotamia degli inizi del XX secolo si usava comunemente la Rupia indiana e la Sterlina britannica, alla luce dei contatti commerciali con il vicino impero britannico. Questo evidenzia, oltre alla profonda disomogeneità monetaria, anche una profonda crisi dell’autorità ottomana che non riusciva a controllare ed imporre un

modus operandi standardizzato, come quello monetario, essenziale per mantenere

saldamente sotto il controllo dell’autorità centrale anche le più lontane regioni dell’impero86.

L’adozione da parte dell’impero del “sistema aureo zoppicante” andava comunque incontro alle esigenze di industriali e banchieri urbani ottomani, che preferivano un sistema monetario stabile, contro i rappresentanti degli interessi fondiari, che traevano vantaggio da un sistema bimetallico che permetteva loro di ottenere maggior guadagno sulla vendita del prodotto destinato all’export speculando sul tasso di cambio, da oro ad argento e viceversa. In altre parole, lo scontro tra sistema aureo e sistema bimetallico fu lo scontro tra il gruppo di industriali, importatori di manufatti ed esportatori di materie prime non agricole contro i produttori agricoli, tra i promotori della stabilità finanziaria e i paladini dell’inflazione87.

84 Luca Einaudi, Money and Politics: European Monetary Unification and the International Gold Standard (1865-1873). Oxford: Oxford University Press, 2001.

85 Pamuk S., Money in the Ottoman Empire, Op. Cit., p. 947, per approfondire si veda anche İslamoğlu- İnan H. The Ottoman Empire and the World-Economy, Cambridge University Press, Cambridge, 1987. Si veda anche Tunçer A.C., The Black Swan of the Golden Periphery: the Ottoman Empire during the Classical Gold Standard Era, Cambridge Working Papers in Economic and Social History, n.13, March, 2013. 86 Riguardo la questione monetaria in Mesopotamia si rimanda ai dispacci inviati dal console italiano a Baghdad Zunini alle autorità di Roma, in Archivio Storico Diplomatico ministero Affari Esteri, Ambasciata d’Italia in Turchia, busta 227 e in Archivio di Gabinetto busta 39.

87 De Cecco M. Moneta e impero. Il Sistema Finanziario Internazionale dal 1890 al 1914, Einaudi, Torino, 1979. Ma si veda anche Bordo M.D., Kydland F.E., The Gold Standard As a Rule: an essay in Exploration, in “Explorations in Economic History”, vol. 32, issue 4, 1995, pp. 423-464, Bordo M.D. Rockoff H. The Gold Standard as a Good Housekeeping Seal of Approval, in “The Journal of Economic History” vol. 56 n. 2.

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Quest’azione speculativa non era appannaggio esclusivo delle sole forze produttive, anzi, tale pratica era comune sia tra i piccoli Sharrafs, sia tra i banchieri più grandi, compresa la Banca Ottomana prima, e la Banca Imperiale Ottomana poi. Oltre alla comune pratica di arbitraggio, non era insolito adottare pratiche speculative per la stessa emissione dei Kaimé. Era infatti pratica comune attendere che la disponibilità di questi titoli si riducesse sul mercato quel tanto da spingere la banca ad emettere ulteriori ampi quantitativi di Kaimé ad un tasso relativamente alto, solo per poi ricomprarli con un ampio sconto quando il mercato ne fosse stato invaso. Tale pratica, se da un lato contribuiva alla diffusione di questa moneta fiduciaria de facto, dall’altro non mancava di dare un alto profitto alla banca88.

Era però chiaro che questo sistema potesse facilmente sfuggire di mano, mettendo così in grave difficoltà lo Stato che doveva fare i conti con una moneta fiduciaria fortemente inflazionata. Quando si verificava questa condizione, il governo era costretto a chiedere ad una banca di sottoscrivere un prestito per procedere al massiccio ritiro della cartamoneta. Solo un istituto con solide basi finanziarie e con un’alta reputazione tra i creditori poteva addivenire a questo compito, questo fu il caso, appunto, della Banca Imperiale Ottomana, che così ottenne nel 1863 il ruolo di banca centrale dell’impero89.

Tale pratica speculativa, che successivamente al 1863 fu gestita quasi interamente dalla BIO in associazione con banchieri locali, non era l’unica attività su cui lucrava tale istituto finanziario. La banca ad esempio, durante la stagione estiva, inviava abbondanti quantità di moneta nelle province per sostenere l’acquisto dei prodotti agricoli locali. Inversamente durante la stagione invernale questa moneta, d’oro e d’argento, tornava al centro, in questo caso a Costantinopoli, fino a che non fosse arrivata la nuova stagione. All’interno di questo sistema era chiaro che nella città il valore della moneta aumentava durante l’estate, per via della sua scarsità, ma diminuiva

1996,pp. 389-428, ma anche la monografia Bordo M.D., Schwartz A.J., A Retrospective on the Classical Gold Standard 1821-1931, University of Chicago Press, Chicago, 1984.

88 Eldem E., "Chaos and Half Measures: The Ottoman Monetary ‘System’ of the Nineteenth Century", in Eldem E., Petmezas S., (edited by), The Economic Development of South-Eastern Europe (1830-1914), Alpha Bank Historical Archives, Atene, 2011, pp. 251-305.

89 Eldem E., A History of the Ottoman Bank, Ottoman Bank Historical Research Center, Istanbul, 1999, p. 96.

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in inverno, per via della sua abbondanza. Se da un lato la BIO non mancò mai di lucrare sulle variazioni del costo del denaro, riuscì al contempo a tenere costante il valore dell’oro giocando, al contempo, con i tassi fluttuanti dell’argento. Così facendo fino alla Prima guerra mondiale la Banca Imperiale Ottomana riuscì a mantenere una sistema monetario a cambi fissi, assai utile per esportatori ed importatori90.

La stabilizzazione monetaria incrementò notevolmente il commercio da e verso l’Europa. I maggiori beneficiari di questa apertura furono gli intermediari commerciali, spesso greci, armeni ed israeliti91. La Sublime Porta per riacquistare la fedeltà dei mercanti musulmani, dato che il sistema era praticamente monopolizzato dalle minoranze cristiane, decise di creare organizzazioni di corporazione separate con un console per la rappresentanza, come se si trattasse di un sindacato governativo di categoria con lo scopo di riattrarre nella propria sfera di influenza i mercanti che cercavano la protezione straniera92. Era infatti di uso comune che molti mercanti per entrare nella sfera di previlegi concessi dalle capitolazioni, decidessero di prendere la cittadinanza di una nazione europea che beneficiasse di tali privilegi traendo vantaggio dal sistema di tassazione agevolato nonché dalla possibilità di risolvere le proprie dispute commerciali al riparo dalla burocrazia ottomana e sotto la giurisdizione della nazione europea di cui aveva preso la cittadinanza. Tornando brevemente indietro nel

90 Ivi., pp. 155-156.

91 Il dominio dei mercanti non-musulmani nei commerci da e verso l’impero ha origine principalmente nella prima metà del XIX secolo. Quest’ultimi sostituirono i mercanti europei che avevano dominato i commerci con la Porta nel corso del XVIII secolo. Questo avvenne per due motivi: la cessione della cittadinanza europea a queste minoranze religione così che potessero beneficiare dei diritti capitolari lavorando per conto della potenza concessionaria, e per la propria capacità di conoscenza del mercato interno, specialmente per quanto riguardava i beni da esportare. Gelose di queste prerogative, tali minoranze, come spiegato in precedenza, lavorarono affinché la campagna non “beneficiasse” di alcune apertura al mercato interinazione se non passando tramite l’intermediazione offerta. Senza questa prerogativa, tali mercanti avrebbero perso il loro potere ed il loro vantaggio rispetto ai capitalisti europei, si veda Quataert D., The Ottoman Empire, 1700-1922, Cambridge University Press, Cambridge, 2005, pp. 129.

92 Osservando il ruolo svolto da suddette minoranze nella sfera economica, ci sorge spontanea una domanda in merito alla costante stagnazione del commercio ottomano. Nonostante esistessero finanzieri, mercanti e bancari molto ricchi, come abbiamo già ricordato, molti di essi appartenevano alle minoranze religiose dell’impero. Per via di questo status nella società ottomana/musulmana erano considerati sudditi si “seconda classe”. Pertanto nonostante il loro forte peso economico erano politicamente e socialmente segregati. Davanti a questo stato di cose era per loro molto difficile influenzare la politica verso una maggior sensibilità ai commerci, alle attività finanziarie e bancarie, anche per portare beneficio alle disastrate finanze ottomane. Come nel caso della via londinese Lombard Street, dominata da tecnici del credito straniero (molti dei quali italiani) poi sostituiti di rivali autoctoni, nulla di tutto questo accadde nell’impero ottomano, in Lewis B., Op. Cit., pp. 31-32.

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tempo a partire dal XVIII secolo il Sultano Selim III cercò di competere con i consoli europei vendendo lui stesso questi diritti (berats) ai mercanti cristiani ed ebrei93. In questo modo il Sultano dava la possibilità agli ottomani non musulmani di competere quasi sullo stesso piano con la controparte europea creando a sua volta una nuova classe di privilegiati detta (avrupa tüccarı)94. Solo a partire dalla metà del XIX secolo, per poi affermarsi sotto la guida del Sultano Abdul Hamid II (1876-1909), emerse l’esigenza di concedere gli stessi diritti anche ai mercanti musulmani.

L’importanza degli intermediari commerciali ci invita a soffermarci sull’integrazione della Porta nell’economia mondiale. Fino al XIX secolo, l’orientamento commerciale dell’impero ottomano era maggiormente indirizzato verso l’interno e verso oriente, cioè verso la Persia, l’India e la Cina. Per sostenere questi interscambi i mercanti musulmani avevano un trattamento di favore, se non altro grazie alla comunanza religiosa almeno per quanto riguardava il mercato interno, la Persia e parte dell’India. Dal 1840 nuovi gruppi non musulmani di banchieri-mercanti iniziarono ad estendere il loro controllo nell’ambiente economico locale soprattutto in Anatolia occidentale grazie, non solo allo spostamento verso occidente del baricentro commerciale dell’impero, ma anche alla possibilità di questi nuovi mercanti di avere un maggior accesso alla liquidità95. Gli intermediari non-musulmani iniziarono così a coltivare gli interessi sia degli stranieri sia dell’impero stesso, fungendo da indispensabile strumento per l’espansione dei traffici commerciali tra la Porta e l’Europa.96

Per mantenere questo status privilegiato, tali intermediari non-musulmani non mancarono di opporsi per primi ad una massiccia penetrazione del capitale straniero tra

93 Kaymakcı S.S., The Sultan's Entrepreneurs, the Entrepreneurs’ Sultan: Beratlı Avrupa Tüccarı and Institutional Change in the Nineteenth Century Ottoman Empire (1835-1868), Tesi di Laurea Magistrale in Storia, Università Boğaziçi, 2013.

94 L’Importanza ricoperta dai Greci in un primo momento venne soppiantata dagli Armeni, specialmente dopo la nascita della nazione greca con conseguente perdita di fiducia da parte della Sublime Porta, in Lewis B., Op. Cit., pp. 455.

95 Sotto il periodo delle Tanzimat molte riforme furono adottare per equiparare i non-musulmani ai musulmani. Nonostante Costantinopoli non avesse nessuna priorità interna davanti a questa equipollenza, dovette agire per evitare di concedere alibi all’interventismo europeo, che si ergeva a