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Fonte: dati rielaborati dall’autore secondo I testi di Geyikdagi N. Foreign Investment in the Ottoman Empire, 1854- 1914. 2011 e Pamuk, The Ottoman Empire and European capitalism, 1820-1913, 2010.

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Pamuk Geyikdagi

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La proposta avanzata dal Conte Corti sembrerebbe brillare nell’opacità dell’azione diplomatica italiana al Congresso di Berlino, se non fosse che tale proposta arrivò sotto il presunto suggerimento della commissione congiunta franco-inglese, che fece opera di persuasione verso il Conte Corti per sollevare la questione inerente le finanze turche. Tale proposta, arrivata l’11 luglio del 1878, trovò chiaramente e comprensibilmente l’opposizione del ministro ottomano Karatheodori Pasha dato che, un simile strumento, non avrebbe mancato di ledere la sovranità imperiale. In sostanza l’Italia uscì umiliata da Berlino, mostrando la propria evidente limitatezza, di uomini e proposte, in confronto alle grandi potenze europee. “Piccolissima, esile, adunque, fu

l’azione nostra [italiana] in quel Congresso ed il solo punto nel quale parve che noi mettessimo un grande interesse, fu questo: l’interesse dei creditori della Turchia”180.

Ad ogni modo l’interesse italiano per la questione della bancarotta prima, e della tutela dei creditori italiani poi, era stato oggetto di un’interrogazione parlamentare ad opera dell’On. Petruccelli verso l’allora ministro degli Affari Esteri Visconti-Venosta in data 29 novembre 1875181. Petruccelli chiedeva al Ministro come avrebbe tutelato i creditori italiani, tra i quali si annoveravano molti uomini di Chiesa e borbonici, i cui interessi facevano parte di quel Debito Generale 5%, senza alcuna garanzia se non sulla tassa dei montoni dell’Anatolia182. Data la natura della quota del debito detenuta dall’Italia, continuava Petruccelli provocatoriamente, quale azione avrebbe potuto compiere l’Italia in concerto con Gran Bretagna e Francia se quest’ultime, e particolarmente la prima, aveva la maggioranza dei propri prestiti garantiti dal tributo

180 Atti Parlamentari, Discussioni della Camera dei Deputati, Sessione 1880, XXV, pp. 765-771.

181 Il marchese Emilio Visconti Venosta (1829-1914) sarà promotore degli obiettivi della destra piemontese che vedeva in Napoleone III il proprio punto di riferimento ed in contrasto con la politica di Otto von Bismarck, in Mammarella C., Cacace P., La Politica estera dell'Italia. Dallo Stato unitario ai giorni nostri, Laterza, Bari-Roma, 2010, p. 21.

182 A questo proposito proprio da Napoli arrivò una petizione, presentata al prefetto, indirizzata alla Camera dei Deputati e al ministro degli Affari Esteri contenete 6 mila firme di portatori di rendita ottomana che reclamavano la difesa dei propri interessi. L’on. Zanardelli richiarò appunto l’attenzione del primo ministro Cairoli e del suo uomo alla Consulta Corti sulla questione. Cairoli affermò che “[…] secondo assicurazioni date dal Direttore generale del Banco di Napoli, incaricato di pagare le cedole di detto prestito, il capitale effettivamente sborsato in quelle province per l’acquisto di titoli del debito pubblico ottomano, fu di circa 120 milioni [di lire]” inoltre “molte famiglie sedotte dalla misura dell’interesse e dell’idea di percepire il pagamento in oro, convertirono ogni loro rendita o proprietà in titoli turchi […]”, in ASDMAE, MAERI, busta 223, fasc. 3, da Cairoli a Corti, n°2/2, Roma 24 giugno 1878.

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d’Egitto per gli anni 1854, 1858 e 1871, e dalla tassa sulle dogane, pertanto al sicuro da un eventuale blocco totale delle funzioni finanziarie dell’impero. A tale interrogazione Visconti-Venosta ribadì che l’azione da svolgere con le altre potenze sarebbe stata mirata a tutelare tutti gli interessi dei creditori europei, anche perché, la Porta stessa, aveva proposto di costituire un sindacato dei creditori, in consorzio con la Banca Imperiale Ottomana, con lo scopo di delegare la gestione di alcune entrate: garanzie dogane, sali, tabacchi, tassa sulle pecore, tributo Egitto etc., al fine di trarne i cespiti necessari per il saldo dei titoli e particolarmente degli interessi183. Secondo il barone Alberto Blanc, diplomatico e figura di spicco della politica italiana, il governo italiano semplicemente mancò di volontà nell’accogliere le richieste dei creditori italiani. Nonostante il Barone non mise sotto accusa direttamente la francofonia di Visconti- Venosta184, era chiaro che sotto la pressione di alcuni esponenti della Chiesa romana, il Ministro degli Esteri avrebbe preferito accordarsi con i francesi anziché prendere iniziativa autonoma “in modo che si vede in Oriente il clericalismo italiano porsi sotto la

protezione non solo religiosa, ma finanziaria della Francia”185.

Pertanto, la primitiva proposta di creazione di una commissione di controllo e gestione di talune rendite ottomane – ma di enti privati senza rappresentanza pubblica - era stata avanzata dallo stesso governo imperiale. Tale proposta fu sicuramente dettata da una grave emergenza, cioè quella di permettere all’impero di tornare al più presto a finanziarsi sui mercati internazionali per non arrivare al collasso totale. Tale cessione di sovranità inoltre dava alla Francia ed alla Gran Bretagna un motivo in più per non permettere alla Russia di approfittare di tale situazione per marciare a passi serrati verso Costantinopoli. Con la guerra turco-russa del 1877-78 l’impero Russo non mancò di approfittare della situazione di debolezza dell’impero. Le aspirazioni di gloria di San Pietroburgo dopo la Pace di Santo Stefano, furono però messe sul tavolo degli imputati dalle grandi potenze a Berlino.

Con la priorità concessa ai crediti europei sull’indennità di guerra russa, l’impero dello Zar spianò la strada verso una soluzione definita della questione finanziaria

183 Atti Parlamentari, Discussioni della Camera dei Deputati, Sessione 1874-75, XII, p. 4758-4762. 184 Cataluccio F., La politica estera di E. Visconti Venosta, Marzocco, Firenze, 1940.

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ottomana che rimaneva irrisolta ormai dal 1875186. Tale priorità accordata dai russi ai creditori europei era stata dettata dal fatto che San Pietroburgo, isolata dalle potenze a Berlino, aveva preferito ottenere un accomodamento sulle questioni finanziarie anziché sulle questioni politiche, che erano la sua priorità. L’Articolo XI del Congresso di Berlino infatti recitava che l’indennità russa, di circa 35 milioni di LT187, non avrebbe avuto nessuna priorità sui creditori dell’impero. A conti fatti, Gran Bretagna e Francia avevano la strada spianata per raggiungere il tanto ambito accomodamento finanziario con la Sublime Porta che dovette accettare, di mala voglia, il principio della creazione di una commissione internazionale.

Per di più, un consiglio ristretto in mano delle due maggiori potenze creditrici della Porta avrebbe dato a Londra la possibilità di gestire al meglio la stabilità ottomana. Infatti dopo l’apertura del canale di Suez nel 1869, il Foreign Office aveva tutto l’interesse a mantenere la stabilità politica nei territori dell’impero ed evitare che una potenza rivale diventasse dominante nella regione188.

Come ricordato in precedenza infatti, Costantinopoli non aveva scelta, aveva un urgente bisogno di denaro per far fronte alle impellenze fiscali dello Stato. Il Defence

Loan negoziato con la casa londinese Glyn & Mills e con la Banca Imperiale Ottomana

insieme ad alcuni banchieri locali, lascò la Porta senza alcuna scelta, se non quella di accettare il principio della costituzione di una commissione Internazionale, soprattutto dopo una dimostrazione navale inglese al largo dei Dardanelli nell’ottobre del 1879189.

Il governo italiano, come promesso da Visconti-Venosta, si adeguò alle raccomandazioni espresse al Congresso di Berlino, appoggiando la creazione di una commissione nella quale avrebbero trovato posto esperti finanziari per ricondurre

186 La questione dell’indennità servì alla Russia per cercare di isolare l’impero ottomano dall’influenza europea, specialmente britannica, e per aumentare la dipendenza di Costantinopoli verso la Russia, in Milgrim M.R., An Overlooked Problem in Turkish-Russian Relations: the 1878 War Indemnity, in “International Journal of Middle East Studies”, vol. 9, no. 4, 1978, p. 521.

187 Fu stabilità un’annualità di LT 350,000 garantita dalla Banca Imperiale Ottomana. Nuovo accordo su tale indennità raggiunto nel 1909 tra Russia e impero ottomano. Si veda Waibel M., Sovereign Defaults before International Courts and Tribunals, Cambridge University Press, Cambridge, 2011, pp. 91-92. 188 Eichengreen B., Lindert P.H., Op. Cit., p.198.

189 Blaisdell D. European Financial Control in the Ottoman Empire, Columbia University Press, New York, 1929. Si veda anche Roumani A., Essai historique et technique sur la Dette Publique Ottomane, Marcel Giard, Parigi, 1927.

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all’ordine le finanze ottomane190. L’interesse dell’Italia era però quello di vigilare che tale commissione non fosse troppo dura con i creditori del governo ottomano, il timore era che Francia e Gran Bretagna sacrificassero parte degli interessi dei creditori per ottenere vantaggi politici ed economici, come speciali concessioni o ipoteche su lucrosi appalti nel vasto territorio amministrato da Costantinopoli191.

Come conseguenza del Congresso di Berlino venne istituita una commissione tecnica con lo scopo non di controllo delle rendite dell’impero (come avverrà in un secondo momento) ma con l’intento di trovare soluzioni pratiche per calmierare l’economia tentando di stabilizzare, in primis, le finanze pubbliche attraverso il ritiro della carta moneta. Era quanto mai necessario fermare la forte svalutazione dell’inconvertibile Kaimé192. Con l’apertura ufficiale di tale commissione il 18 novembre

1878, il governo britannico propose la negoziazione di un prestito di 20 milioni di Sterline per riportare sotto controllo i Kaimé procedendo, in un secondo momento, a ritrarli gradualmente dal mercato. Per questo tipo di operazione era necessario del denaro che potesse essere scambiato con i portatori di suddetta carta moneta inconvertibile. Il governo britannico stimò che sarebbe stato necessario, per ogni Lira Turca, ritirare circa 300 Kaimé, mentre la Banca Imperiale Ottomana avrebbe dovuto emettere banconote convertibili al posto di quelle inconvertibili193. La commissione stimò che il valore dei

Kaimé in circolazione fosse di 15 milioni di LT e che il costo totale dell’operazione fosse

di ben 700 mila LT all’anno per un periodo di dieci anni, necessari per ritirare gradualmente la carta moneta. Oltre al fatto che tale cifra andasse oltre le reali possibilità della Porta, soprattutto per un periodo di tempo così lungo, questo piano di rientro si risolse con un atto vero e proprio di confisca. In sostanza si proponeva una cospicua riduzione del numero di carta moneta in circolazione, ma non di tutta, dato l’alto costo dell’operazione finanziaria. “The arrangement would impose an excessive

burden upon the financial resources of the Empire out of proportion to its effect in

190 Documenti Diplomatici Italiani (da qui in avanti DDI), Serie II, D. 752, dal segretario generale ministero Affari Esteri Maffei, all’incaricato d’affari a Costantinopoli, Galvagna. Roma 12 novembre 1878.

191 DDI, Serie II, D. 752, dal segretario generale esteri Tornielli, a Galvagna. Roma 31 dicembre 1878. 192 The National Archives (da qui in avanti NA), Foreign Office (da qui in avanti FO) 78/3066, da Harrison E.T. a Salisbury, Costantinopoli 6 novembre 1878.

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remedying existing evils”194. La collaborazione della Banca Imperiale Ottomana non era un caso. Infatti, lo stesso istituto bancario avrebbe tratto beneficio da una politica monetaria stabile, che avrebbe stimolato gli scambi internazionali ed un flusso costante di capitali195.

Ad ogni modo per capire il problema dei Kaimé è doveroso fare un passo indietro. Tale carta moneta inconvertibile fu emessa con una legge del 7 agosto 1876 per un valore iniziale di 3 milioni di LT. A questa emissione ne susseguirono delle altre per sostenere le crescenti spese dello Stato alle prese con il blocco dei pagamenti degli interessi sul debito pubblico e alle prese con una guerra con la Russia tra l’aprile 1877 ed il marzo 1878. Nel complesso le altre emissioni furono di 7 milioni di LT nel gennaio del 1877 e di 6 milioni nell’agosto del 1877 per un totale complessivo di 16 milioni di LT. Se fino a quel momento il valore dei Kaimé era rimasto stabile, i primi cenni di cedimento furono causati da un’ampia emissione di moneta argenta. Verso la fine dell’agosto 1878, tale moneta si era deprezzata rispetto all’oro del 6 ½%. Questo però non fermò l’emissione di moneta metallica almeno fino al dicembre dello stesso anno. Questa fatto, insieme all’emissione di altri 2 milioni di Kaimé, condusse ad una grave situazione finanziaria.

Ma non bastava. Un’altra causa era da riscontrare nel forte rallentamento, se non un vero e proprio ristagno, della domanda di valuta nelle province nell’approssimarsi della stagione invernale. Dato che il principale gettito dei pagamenti avveniva in autunno, molti Kaimé confluirono verso la capitale dell’impero creando un problema di sovrabbondanza. Allo stesso tempo la continua svalutazione della carta moneta inconvertibile condusse i possessori di Kaimé a liberarsene il prima possibile cercando di scambiarlo con valuta straniera anche se questo significava una netta

194 NA, FO 78/3066, da Harrison E.T. a Salisbury, n°7, Costantinopoli 25 dicembre 1878.

195 Il sistema del “limping gold standard” permetteva alla porta di beneficiare di un sistema metà fisso e metà mobile, evitando così, in caso di bisogno, qualsiasi devalutazione esterna ma facendo affidamento sulla svalutazione interna, in Thobie J., Op. Cit., p. 411.

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perdita196. Dal gennaio del 1879 la Banca Imperiale Ottomana si impegnò a ritirare gradualmente i Kaimé per un valore di 100 mila Lire Turche al mese197.