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36 distanza, realizzata grazie agli strumenti multimediali. Questa matrice è molto utile per individuare le opportunità di sviluppo di ogni organizzazione e per selezionare quelle migliori; infatti grazie a questo strumento è possibile impostare la propria missione e attuare un programma di pianificazione annuale.

Oltre agli obiettivi, è utile per le organizzazioni identificare i traguardi o benchmarks, che consentono di tradurre i primi in indicatori quantitativi. Questi strumenti devono possedere una qualche forma di sistema di misurazione per permettere la valutazione degli obiettivi, e cioè se sono stati raggiunti o meno. È importante che anche ai traguardi venga assegnato uno specifico periodo temporale, e la responsabilità del loro conseguimento deve sempre essere attribuita a persone specifiche.

1.5 La definizione delle strategie

Per instaurare una corretta definizione della strategia e del programma di azione, è necessario descrivere e selezionare i gruppi-obiettivo, cioè i gruppi di utenti che si vogliono raggiungere (segmentazione), e, inoltre, è necessario chiarire il posizionamento che vogliamo dare al prodotto nel mercato, di modo che si differenzi e conquisti un vantaggio competitivo nei confronti di ciò che offrono i concorrenti.

Segmentazione

La segmentazione “implica la suddivisione dell’intero mercato di riferimento in gruppi di consumatori omogenei per alcune caratteristiche, al fine di soddisfarne più efficacemente i bisogni attraverso la definizione di programmi d’azione specifici per ogni segmento” (Tamborini, 1996, p. 106). Secondo Roberto (1972) la segmentazione si basa sul presupposto che la metodologia più efficace per poter avvicinare la totalità della popolazione, sia quello di raggiungere prima alcuni dei suoi segmenti, che hanno le più forti, o potenzialmente le più forti, esigenze per ciò che il programma di marketing sta offrendo. Hyman et al. (1967), chiamavano questo orientamento “le necessità percepite”, dichiarando che tale approccio favorisce l’azione secondo i desideri espressi dal popolo, e non in base agli obiettivi del progetto. Non esiste una metodologia corretta per attuare la segmentazione nel settore sociale, la cosa importante è analizzare i dati, perché sono essi che possono aiutarla o sostenerla; e utilizzando il “principio dell’utilità” possono anche aiutare a sviluppare e pianificare gli eventi futuri (Fattori et al., 2009). Il momento

37 della segmentazione è molto importante perché essa presenta tre fondamentali vantaggi (Kotler e Roberto, 1991):

1. Permette di identificare quei gruppi di utenti designati che necessitano maggiormente del prodotto sociale commercializzato, o che comunque vengono serviti in modo ottimale da esso. In questo modo l’organizzazione sa dove dirigere i propri sforzi;

2. Permette di adattare al meglio il prodotto ai bisogni del gruppo prescelto, procurandogli, quindi, una maggiore soddisfazione, e sostenendo la diffusione della sua adozione;

3. Permette di adattare la comunicazione e la distribuzione del prodotto, incontrando i bisogni degli utenti designati e sostenendo, ancora una volta, la sua adozione.

La popolazione degli utenti designati viene suddivisa in numerosi segmenti in base a diverse variabili. Tamborini (1996), in accordo con Kotler e Roberto (1991), prende in considerazione quattro principali gruppi di variabili: variabili geografiche; variabili demografiche; variabili psicologiche e variabili comportamentali. Fattori et al. (2009), invece, introducono numerose scelte grazie alle quali è possibile segmentare il mercato: le variabili socio-demografiche; le variabili geo-demografiche; le variabili comportamentali; le variabili psico-grafiche e comportamentali; le variabili epidemiologiche (solo nel contesto della salute); l’utilizzo del servizio; l’utilizzo di fattori che influenzano gli utenti e l’analisi della rete sociale. Ovviamente, ognuna di queste scelte possiede forze e debolezze, quindi l’organizzazione deve valutare attentamente la propria strategia. Ma qual è il modo ottimale di scelta delle variabili? Kotler e Roberto (1991, p. 155) affermano che “le variabili di segmentazione più appropriate sono quelle che rappresentano meglio le differenze nel comportamento degli utenti designati”, e porta un esempio riguardante la tossicodipendenza. In questo particolare problema, l’età è un elemento importante, e grazie a questa variabile è possibile segmentare il mercato in bambini, adolescenti, giovani, adulti e anziani. Questa diversificazione è possibile perché in base all’età cambia la propensione verso l’utilizzo di droghe e verso un comportamento di tossicodipendenza. Non è utile, però, fare un eccessivo utilizzo delle variabili di segmentazione, perché porterebbero ad un numero troppo elevato di insiemi e si dovrebbe realizzare un programma di marketing per ognuno di essi, il che è impossibile e si andrebbe a diminuire la loro qualità. Un’organizzazione deve sempre

38 poter gestire al meglio ogni singola azione e programma di marketing. Dopo aver diviso la popolazione degli utenti designati in segmenti, è necessario decidere quali e quanti servire, cioè si passa alla fase dell’identificazione dei mercati obiettivo.

Grazie alla segmentazione del mercato l’organizzazione può cercare di definire le opportunità potenzialmente disponibili e scegliere quale di queste cogliere come mercato obiettivo. Esistono, a questo proposito, tre differenti scelte strategiche (Kotler e Andreasen, 1998):

1. Marketing indifferenziato. In questa strategia l’organizzazione decide di non considerare separatamente i segmenti del mercato, ma di trattarlo nel suo complesso, focalizzandosi, invece che sulle differenze, su ciò che i bisogni degli utenti designati hanno in comune. L’obiettivo di questo tipo di strategia è cercare di definire un programma di marketing dedicato alla maggior parte delle persone, come succede, ad esempio, nelle campagne che hanno come scopo il sostentamento del clero. Attuare una simile strategia permette di realizzare consistenti economie di scala, perché i costi vengono ridotti al minimo grazie all’attuazione di un’offerta unificata. Tuttavia, i minori costi vengono accompagnati da una minore soddisfazione dell’utente, in quanto l’organizzazione non tiene conto delle loro diverse esigenze;

2. Marketing differenziato. Adottando questo tipo di strategia, l’organizzazione opera riferendosi ad almeno due differenti segmenti, sviluppando, per ognuno di essi, programmi di marketing specifici. Ad esempio, un ospedale potrebbe evidenziare il rapporto che il personale medico crea con i pazienti in età avanzata, potrebbe inoltre pubblicizzare la propria reputazione per attirare giovani medici, e, infine, potrebbe diffondere l’efficienza della gestione amministrativa, per favorire lo sviluppo di contributi da parte di aziende pubbliche e private. Lo scopo di questa strategia è quello di sviluppare le vendite e le adesioni, cercando di essere presente in diversi segmenti di mercato, tentando di aumentare la fedeltà degli utenti verso la propria organizzazione, con un conseguente aumento di acquisti. Grazie alla strategia di marketing differenziato, il volume di vendite complessivo di un’organizzazione potrebbe essere superiore rispetto all’adozione della strategia di marketing indifferenziato, ma, proporzionalmente, anche il volume dei costi è maggiore. Per questo motivo è assolutamente necessario valutare attentamente l’entità dei costi e dei ricavi.

39 Spesso, tuttavia, la maggior parte delle organizzazioni non profit non sviluppa gradi di differenziazione appropriati alle diverse esigenze dei propri utenti designati;

3. Marketing concentrato. L’ultima strategia viene applicata quando

l’organizzazione decide di rivolgere l’attenzione solo ad uno o due segmenti rilevanti del mercato. Viene anche definita “strategia di nicchia”, in quanto invece di attuare e disperdere i programmi di marketing verso tante aree di mercato, l’organizzazione cerca di servire al meglio solo una di esse, cercando di conseguire una posizione forte. In questo modo è possibile conoscere approfonditamente i bisogni e i comportamenti del segmento prescelto, creando rilevanti economie operative. Un esempio di adozione di marketing concentrato si verifica quando un gruppo ambientalista concentra il proprio dinamismo verso la lotta all’inquinamento acustico. Questo tipo di strategia, però, implica rischi maggiori rispetto alla media, in quanto è possibile che il mercato servito possa modificarsi o scomparire improvvisamente.

Attuare una scelta verso un tipo di strategia è complicato, e non dipende solo dal mercato, ma anche dalle caratteristiche dell’organizzazione. Se, per esempio, l’impresa possiede risorse limitate, una strategia di marketing concentrato sarà la risposta più opportuna, dato che le altre due strategie solitamente richiedono risorse maggiori. Nel caso in cui il mercato ricerchi bisogni abbastanza omogenei, invece, la strategia di marketing indifferenziato potrebbe essere la più conveniente, dati i vantaggi limitati che si otterrebbero con un’offerta differenziata. Se l’obiettivo dell’organizzazione è quello di diventare leader in mercati diversi, la strategia ottimale da adottare sarà quella del marketing differenziato; ma nel caso in cui i concorrenti abbiano già acquisito quote rilevanti di mercato in alcuni segmenti, l’organizzazione potrebbe avvantaggiarsi maggiormente concentrandosi su uno o due segmenti restanti. La maggior parte delle organizzazioni non profit, esordiscono attuando una strategia di marketing concentrato o indifferenziato, e poi evolvono, in caso di successo, verso il marketing differenziato. In ogni caso e qualsiasi sia la strategia che l’organizzazione voglia adottare, essa deve sempre valutare con cura il o i segmenti che vuole raggiungere.

Un tipico problema della segmentazione applicata in contesti sociali, è che essa può essere mirata verso solo alcuni gruppi di consumatori, mentre altri (che potrebbero comunque beneficiare dell’esposizione della campagna) vengono esclusi.

40 Molti autori si sono interrogati su due principali questioni che circondano l’uso della segmentazione nelle azioni di marketing sociale: può l’utilizzo di questo strumento essere giustificato dal punto di vista etico? E se la risposta è sì, quale approccio si può utilizzare per decidere quali gruppi vengano inclusi nel target di riferimento e quali vengano esclusi? Newton et al. (2013) hanno definito due principali correnti di pensiero, individuando una struttura “non-consequentialist” (non consequenzialista) e una “consequentialist” (consequenzialista). I non consequenzialisti sostengono che determinati atti sono effettivamente buoni, indipendentemente dai risultati che si possono ottenere. Questa affermazione ha generato due diverse visioni sulla segmentazione. Gli aderenti alla prima sostengono che i programmi di marketing sociale non dovrebbero essere discriminatori, ma, al contrario, egualitari, per garantire che determinati segmenti non vengano favoriti a spese di altri (Bloom e Novelli, 1981). Per queste persone il mercato non andrebbe segmentato, perché il target di riferimento è l’intera popolazione. I sostenitori della seconda visione, invece, concedono un parziale supporto alla segmentazione, sostenendo che può essere motivata dal punto di vista etico solo se viene indirizzata alla maggior parte dei membri esposti o bisognosi dell’intera popolazione (Donovan e Henley, 2003). In sintesi, i non consequenzialisti cercano sia di allontanare la segmentazione, che di utilizzarla solo in modo selettivo, per cercare di migliorare le condizioni delle persone ritenute più bisognose di un particolare provvedimento. I consequenzialisti, a differenza dei non consequenzialisti, individuano l'eticità di un atto in base ai suoi risultati. Ad esempio, gli utilitaristi (una variante del consequenzialismo), sostengono che una qualsiasi azione è etica se riesce ad ottenere il migliore beneficio per il maggior numero di individui. Dal punto di vista utilitario, quindi, una campagna che porta considerevoli miglioramenti ad uno specifico gruppo (ma non ad un altro) viene considerata migliore rispetto ad una seconda campagna che genera miglioramenti solo mediocri però a favore di tutti i gruppi (Rothschild, 2000). In sintesi, i consequenzialisti appoggiano una forma di segmentazione in cui risorse limitate sono dirette a favore dei segmenti dove è possibile ottenere il bene più grande, anche se ciò indica la perdita della campagna da parte dei segmenti più bisognosi della popolazione (Donovan e Henley, 2003). Dato che le prospettive consequenzialiste e non consequenzialiste presentano punti di vista contraddittori sulla segmentazione, è incerto servirsi di queste pratiche in azioni di marketing sociale prendendo in considerazione l’eticità. Infatti, numerosi autori affermano che le attività di marketing

41 sociale che impiegano lo strumento della segmentazione, siano solitamente criticate, perché discriminano determinati gruppi o parti della popolazione (Bloom e Novelli, 1981; Dholakia, 1984; Andreasen, 1995; Brenkert 2002; Andreasen, 2006). Purtroppo questa polemica sulla segmentazione è difficile da definire, soprattutto perché i punti di vista riguardanti l’eticità del suo utilizzo nel marketing sociale, tendono a mutare in funzione dell’ambito disciplinare. I marketer sociali che discendono da un ambiente commerciale, hanno, solitamente, opinioni consequenzialiste, mentre quelli che provengono da una situazione di sanità pubblica, difendono una visione non consequenzialista (Basil, 2001; Donovan e Henley, 2003). Un sistema per cercare di affrontare questa situazione, potrebbe impiegare diverse strutture etiche complementari, per poi valutare, in seguito, l'uso di una segmentazione in attività di marketing sociale. Esistono due applicazioni alternative, Integrative Social Contracts Theory (ISCT, Donaldson e Dunfee, 1994, 1995, 1999) e Theory of Just Health Care (TJHC, Daniels, 1985, 2001), che possono essere molto utili in questa situazione. L’ISCT è stato creato per cercare di misurare l’eticità in situazioni aziendali, ed è stato applicato in diverse azioni di marketing commerciali; il TJHC, invece, è sorto dalla letteratura sulla salute pubblica. Una particolare area di consenso tra queste due diverse applicazioni, potrebbe portare ad un’applicazione della segmentazione accettabile sia per i soggetti provenienti dal marketing commerciale, che per quelli provenienti dall’ambiente della salute pubblica (Newton et al., 2013).

Posizionamento

L’originale concetto di "posizionamento" fu presentato da Ries e Trout (1984), e si riferiva alla posizione competitiva posseduta da una società nei confronti dei suoi concorrenti. In base a questo significato, quindi, la posizione di mercato rappresenta il livello di leadership e la posizione che una società ha in quel mercato. Negli anni questo termine è stato ricondotto anche ad un altro significato, ossia il concetto di posizione legato non più al mercato, ma al prodotto e ai suoi attributi. Questo significato è basato sull'osservazione che il prodotto è un concetto complesso, che può possedere molti e differenti attributi alternativi; e loro stessi possono essere combinati insieme per dare vita a molteplici profili del prodotto (Perry, 1988). Secondo quest'ultimo concetto, la posizione del prodotto rappresenta il profilo dei suoi attributi in confronto ai prodotti concorrenti o alle esigenze del consumatore.

42 Un'ulteriore distinzione del significato di posizionamento, prende in considerazione il tipo di scontro in cui si combatte la guerra della commercializzazione; in altre parole esistono due diversi campi di battaglia: la piazza del mercato e la mente del consumatore (Perry, 1988). Il vero risultato economico, ovviamente, è determinato nel mercato, nei luoghi fisici; ma una condizione preliminare cruciale per ottenere tali risultati, è lo stato del prodotto nella mente del consumatore. Esistono, quindi, due aspetti importanti nel posizionamento: il prodotto e la psicologia, la mente del consumatore. Grazie a questi aspetti Kotler (1984) ha definito il posizionamento come l’atto di progettare i prodotti e il marketing mix adattandoli ad un luogo determinato nella mente del consumatore. Riassumendo, quindi, esistono due diversi tipi di posizioni (di mercato e di prodotto) e due diversi territori in cui le posizioni vengono osservate e misurate (il mercato e la mente del consumatore).

Distinguere i due significati di posizionamento si rivela molto utile nel processo di pianificazione di una strategia di marketing, in quanto è importante determinare inizialmente la posizione di mercato e decidere la migliore strategia relativa ad essa, e successivamente decidere in merito alla posizione del prodotto.

La posizione di mercato di un’organizzazione dipende non solo dai concorrenti, ma anche dalla sua capacità di analisi dei segmenti verso cui opera e dai propri punti di forza e debolezza. È possibile ottenere un diverso posizionamento in ogni segmento di mercato servito, ma nel settore non profit è più frequente che l’organizzazione possegga un’unica immagine, per conquistare un proprio posizionamento riconoscibile. Esistono quattro diversi posizionamenti di lungo termine che ogni organizzazione dovrebbe sforzarsi di raggiungere:

1. Leader di mercato. Solitamente nei mercati maturi esiste un’organizzazione leader che sviluppa le innovazioni, introduce modifiche di prezzo, ecc. A meno che essa non possegga un monopolio legale, è necessario un costante controllo dell’ambiente in modo che i concorrenti non la affrontino e prendano il suo posto. Le organizzazioni leader, ovviamente, desiderano rimanere tali, e questo richiede tre principali tipi di strategie. La prima consiste nel cercare di espandere il mercato totale, ricercando nuovi utilizzatori (penetrando maggiormente il mercato, sviluppando un mercato nuovo o espandendosi geograficamente), promuovendo nuovi usi di un prodotto o servizio esistente, o cercando di convincere i consumatori a fare un uso maggiore del proprio prodotto o servizio.

43 La seconda strategia cerca di risolvere il problema dei continui attacchi che la concorrenza può sferzare all’organizzazione dominante. Infatti essa punta a difendere la quota di mercato detenuta dall’impresa, e l’azione di difesa più efficace è l’innovazione continua. Infine, l’ultima strategia per cercare di mantenere il titolo di leader di mercato, è l’espansione della propria quota di mercato;

2. Sfidante di mercato. Quando un’organizzazione non detiene il titolo di leader del mercato, può attaccare quest’ultimo e i propri concorrenti con una strategia aggressiva, finalizzata a sviluppare la propria quota di mercato. In particolare, lo sfidante può scegliere di: attaccare il leader di mercato (strategia molto rischiosa, ma che può portare a risultati ottimi), attaccare le organizzazioni di simili dimensioni che non operano nel modo migliore, o attaccare imprese minori che non soddisfano sufficientemente le richieste del mercato. Per attuare questo tipo di azioni l’organizzazione può cercare di ridurre i costi, promuovere prodotti più convenienti o di maggior prestigio, sviluppare il volume dei prodotti, innovare il proprio prodotto o la propria distribuzione, migliorare il servizio, intensificare la comunicazione pubblicitaria. Soprattutto nel caso di una strategia di attacco del leader, possedere solo uno dei precedenti elementi, porta solo raramente ad un risultato di successo; 3. Imitatore di mercato. A differenza della precedente strategia, l’organizzazione che non detiene il ruolo di leader di settore, decide semplicemente di imitare quest’ultimo in quelle attività ritenute di maggiore interesse. Imitazione non significa passività o semplice copia; l’imitatore deve comunque definire una determinata linea di sviluppo, stando attento a non scatenare la reazione competitiva del leader. Esistono tre generali strategie di imitazione: l’imitazione ravvicinata (quando l’organizzazione cerca di emulare il leader nel maggior numero di segmenti possibile), l’imitazione a distanza (quando l’imitatore mantiene un determinato grado di differenziazione, seguendo le azioni del leader in termini di innovazioni principali, politica dei prezzi e sistema distributivo) e l’imitazione selettiva (quando l’organizzazione imita alcune attività del leader di mercato, mentre per le altre mantiene una certa autonomia). Nonostante gli imitatori posseggano minori quote di mercato rispetto ai leader, non significa che essi non possano essere profittevoli;

44 4. Operatore di nicchia. In qualsiasi settore di attività esistono organizzazioni che

scelgono di specializzarsi in piccole parti del mercato, evitando il confronto con quelle maggiori. È così che esse vanno ad occupare piccole nicchie di mercato, che riescono a servire in modo efficace grazie alla loro specializzazione, e che non subiscono l’azione dei concorrenti maggiori, perché non interessati a queste ridotte aree. Una nicchia, per essere tale, dovrebbe comunque, in termini di dimensione, riuscire a garantire almeno la copertura dei costi, e presentare un potenziale di crescita; inoltre non dovrebbe attirare l’interesse degli altri concorrenti. L’organizzazione che serve la nicchia, invece, dovrebbe possedere le capacità e le risorse necessarie allo scopo e utili a difendersi da un eventuale attacco di concorrenza. L’idea di base di questo tipo di strategia è la specializzazione.

Qualsiasi tipo di strategia venga assunta, l’organizzazione deve essere conscia che sia l’ambiente che il mercato cambiano. Quindi, nel caso in cui il cambiamento venga avvertito per tempo, occorre riposizionare l’attività in base alle nuove esigenze del mercato. L’atto del riposizionamento non deve essere effettuato solo dai leader di mercato, ma anche dalle organizzazioni sfidanti, imitatrici o di nicchia. Tuttavia, è bene evitare azioni di riposizionamento a meno che non sia strettamente necessario, e se l’organizzazione non profit è gestita adeguatamente e analizza spesso i propri punti di forza e di debolezza, sarà essa stessa che potrà stabilire il momento opportuno per studiare un nuovo posizionamento.

Il posizionamento di un prodotto sociale è molto problematico, in quanto spesso questo possiede una forma più teorica che tangibile. Normalmente quando si pianifica una campagna di diffusione per un prodotto tangibile, viene pubblicizzato in un primo momento il prodotto teorico, e poi quello tangibile; anche se questo tipo di sequenza può richiedere molto tempo. Promuovendo, invece, il prodotto teorico insieme al suo relativo prodotto tangibile, verrà indotta più velocemente l’azione di prova dell’utente designato e un suo possibile cambio di attitudine (Kotler e Roberto, 1991).

1.6 L’implementazione del marketing mix

Cercare di individuare e scegliere il più efficace mix di strumenti di marketing rappresenta la fase maggiormente operativa dell’intero processo di pianificazione.