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44 4. Operatore di nicchia. In qualsiasi settore di attività esistono organizzazioni che

scelgono di specializzarsi in piccole parti del mercato, evitando il confronto con quelle maggiori. È così che esse vanno ad occupare piccole nicchie di mercato, che riescono a servire in modo efficace grazie alla loro specializzazione, e che non subiscono l’azione dei concorrenti maggiori, perché non interessati a queste ridotte aree. Una nicchia, per essere tale, dovrebbe comunque, in termini di dimensione, riuscire a garantire almeno la copertura dei costi, e presentare un potenziale di crescita; inoltre non dovrebbe attirare l’interesse degli altri concorrenti. L’organizzazione che serve la nicchia, invece, dovrebbe possedere le capacità e le risorse necessarie allo scopo e utili a difendersi da un eventuale attacco di concorrenza. L’idea di base di questo tipo di strategia è la specializzazione.

Qualsiasi tipo di strategia venga assunta, l’organizzazione deve essere conscia che sia l’ambiente che il mercato cambiano. Quindi, nel caso in cui il cambiamento venga avvertito per tempo, occorre riposizionare l’attività in base alle nuove esigenze del mercato. L’atto del riposizionamento non deve essere effettuato solo dai leader di mercato, ma anche dalle organizzazioni sfidanti, imitatrici o di nicchia. Tuttavia, è bene evitare azioni di riposizionamento a meno che non sia strettamente necessario, e se l’organizzazione non profit è gestita adeguatamente e analizza spesso i propri punti di forza e di debolezza, sarà essa stessa che potrà stabilire il momento opportuno per studiare un nuovo posizionamento.

Il posizionamento di un prodotto sociale è molto problematico, in quanto spesso questo possiede una forma più teorica che tangibile. Normalmente quando si pianifica una campagna di diffusione per un prodotto tangibile, viene pubblicizzato in un primo momento il prodotto teorico, e poi quello tangibile; anche se questo tipo di sequenza può richiedere molto tempo. Promuovendo, invece, il prodotto teorico insieme al suo relativo prodotto tangibile, verrà indotta più velocemente l’azione di prova dell’utente designato e un suo possibile cambio di attitudine (Kotler e Roberto, 1991).

1.6 L’implementazione del marketing mix

Cercare di individuare e scegliere il più efficace mix di strumenti di marketing rappresenta la fase maggiormente operativa dell’intero processo di pianificazione.

45 Questi 4 principali elementi (le 4 P, prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione) rappresentano “gli strumenti che consentono di tradurre gli obiettivi e le decisioni strategiche in specifici programmi d’azione in funzione dei segmenti obiettivo prescelti” (Tamborini, 1996). In altre parole, le azioni di marketing devono essere rivolte allo sviluppo di un prodotto valido, sostenuto da una corretta comunicazione e distribuito in modo consono ad un giusto prezzo (Kotler e Zaltman, 1971). È estremamente importante che ogni singola variabile sia coerente e integrata con le altre per ottenere il miglior risultato dall’esecuzione del piano di marketing sociale. Verranno ora analizzati gli elementi del marketing mix, ad esclusione della comunicazione, a cui si rimanda ai prossimi capitoli.

1.6.1 Prodotto

Non è impresa facile riuscire a dare una definizione chiara di prodotto sociale, soprattutto perché spesso esso non è di natura tangibile, ma rappresenta la “commercializzazione” di un comportamento, promuovendo i benefici che derivano da un suo cambiamento (Kotler e Lee, 2008). Molti autori di marketing sociale hanno opinioni e interpretazioni diverse su ciò che costituisce un prodotto sociale, anche se la maggior parte sembra concentrarsi sul comportamento da modificare (Thackeray et al., 2012). Kotler e Lee (2008) hanno suggerito una classificazione che riesce a dividere il prodotto sociale in tre livelli diversi: il prodotto di base (corrispondente ai suoi benefici), il prodotto reale (corrispondente al comportamento da modificare) e il prodotto aumentato (corrispondente agli elementi materiali e ai servizi). Rothschild (2009) e Smith (2009) si sono chiesti se il prodotto sociale promosso dalle organizzazioni, possa essere considerato un comportamento o un’idea. Rothschild sostiene che la funzione delle azioni di marketing è un processo di stimolo e risposta, quindi deve avvenire uno scambio tra le parti. Lo stimolo è l’insieme dei benefici offerti (cioè il prodotto) ad una persona che si impegna a modificare il proprio comportamento (risposta). Pertanto, se una persona accetta il concetto di scambio come leva fondamentale per il marketing, il comportamento e il prodotto non possono essere la medesima cosa. Smith, inoltre, indica che non solo un comportamento non può essere considerato come prodotto di marketing sociale, ma che neanche un’idea può essere considerata tale. Le idee sono affermazioni di credenze che vanno convertite in una serie

46 di comportamenti, per poi sviluppare, in seguito, interventi per promuovere questi ultimi. Smith conclude sostenendo che i prodotti sociali sono gli strumenti che vengono utilizzati per realizzare il cambiamento del comportamento desiderato.

Kotler e Roberto (1991) hanno creato uno schema per riassumere otto principali tipi di prodotti sociali (divisi in tre diverse caratteristiche: la difficoltà di penetrazione nel mercato, la complessità del compito di marketing e l’obiettivo di adozione) riconducibili a diverse condizioni della domanda di mercato e ai rispettivi compiti del marketing sociale (tabella 1.3).

Riuscire a scoprire in un determinato mercato una domanda latente, genera l’opportunità di introdurre un nuovo prodotto sociale, cioè un prodotto che riesce a soddisfare una necessità a cui nessun altro riesce a far fronte. Una domanda latente si verifica quando un alto numero di persone, appunto, percepisce la mancanza di questa necessità. Il problema principale, a questo punto, è riuscire a capire come trasformare la domanda da latente a reale. Per poter determinare quale sia la necessità che viene trascurata viene spesso utilizzata la problem-detection analysis, una tecnica che cerca di analizzare e identificare il problema, perché spesso le persone non riescono a definire ciò di cui hanno bisogno, ma possono parlare dei propri problemi e delle proprie preoccupazioni, e tramite questo si può giungere alla specifica necessità ricercata. Quando, invece, una domanda non è interamente soddisfatta, significa che i prodotti sociali a disposizione non soddisfano adeguatamente la necessità espressa dagli utenti

TIPI DI PRODOTTI CONDIZIONI DELLA DOMANDA COMPITI DEL MARKETING

Nuovo prodotto di marketing

sociale Domanda latente Sviluppare la domanda Prodotto di marketing sociale

superiore

Domanda non interamente soddisfatta

Rispondere ad una domanda non interamente soddisfatta

Prodotto di marketing sociale

sostitutivo Domanda moralmente dannosa Eliminare la domanda

Con un prodotto tangibile di base Domanda duplice Soddisfare entrambe le domande Senza un prodotto tangibile di

base Domanda singola Soddisfare la necessità singola Idea Domanda astratta Evidenziare la domanda Pratica: una sola azione Domanda discontinua Sincronizzare la domanda Pratica: un'azione da ripetere Domanda vacillante Rivitalizzare la domanda

Secondo la difficoltà di penetrazione nel mercato Secondo la complessità del compito di marketing Secondo l'obiettivo di adozione Tabella 1.3 Tipi di prodotti, condizioni della domanda e compiti del marketing Fonte: Kotler e Roberto (1991, p. 147)

47 designati o dalla domanda stessa. In questo caso è necessario riuscire a colmare questo gap, tramite un nuovo prodotto o un miglioramento ad un prodotto già esistente. Una domanda moralmente dannosa si verifica quando vengono difese idee socialmente pericolose. In questo caso le campagne sociali devono cercare di eliminare questo tipo di domanda, fornendo un’idea o una pratica che punta a sostituire questo comportamento. Un errore molto comune che viene effettuato è quello di offrire un prodotto sostitutivo radicalmente opposto all’idea o alla pratica che si vuole eliminare. Quando si parla della differenza tra un prodotto sociale con o senza un prodotto tangibile di base, è evidente che nel primo caso il compito di marketing è molto più complesso che nel secondo. Per la prima categoria di prodotti, infatti, è necessario soddisfare due domande, quella del prodotto teorico (ad es. la pianificazione familiare) e quella dello strumento, il prodotto tangibile, che permette di rispondere alla relativa necessità (i metodi contraccettivi come il preservativo). Nel caso in cui, invece, la campagna cerca di incoraggiare l’adozione di un’idea, la domanda viene considerata astratta. La nozione di idea prende in considerazione le credenze, le attitudini e i valori. Ovviamente tutte le campagne di marketing sociale hanno come fine il cambiamento di un comportamento, ma in questo caso gli obiettivi seguono considerazioni di tempo; alcuni programmi possono avere come obiettivo la semplice diffusione della consapevolezza del problema sociale, raggiungibile anche in archi temporali minori. Oltre a promuovere l’adozione di un’idea, le campagne di marketing sociale hanno come obiettivo l’incoraggiamento di un’azione. In questo caso ci si imbatte spesso in una domanda di mercato discontinua, come ad esempio accade nel caso della donazione del sangue, dove viene richiesto agli utenti la ripetizione di singole azioni, che vengono spesso eseguite in maniera discontinua. Dato che i donatori regolari non rappresentano di per sé un segmento abbastanza ampio per i bisogni della società, un obiettivo della campagna sociale dovrà essere indirizzato alla ricerca di nuovi donatori. Infine, ci possono essere casi in cui la domanda di mercato a cui si deve far fronte è vacillante, cioè il prodotto sociale è già stato commercializzato in maniera adeguata verso l’intera popolazione e adesso è la stessa domanda a diminuire. In questo caso si devono prendere in considerazione delle azioni di “rimarketing”, che prevedono il lancio di un nuovo programma atto a sostenere e rivitalizzare la domanda al livello desiderato.

Per riuscire a produrre un buon prodotto sociale occorre non solo prendere in considerazione la portata della domanda di mercato, gli attributi del prodotto stesso

48 possono avere un importante impatto sulla sua diffusione verso gli utenti designati. La teoria della diffusione dell’innovazione di Rogers (1995) indica determinati attributi che favoriscono, appunto, la diffusione del prodotto, e che possono essere utilizzati anche nell’ambito del marketing sociale, tra cui: il vantaggio relativo (il prodotto commercializzato è migliore di quello che andrà a sostituire?), la compatibilità (il prodotto è adeguato al pubblico di riferimento?), la complessità (il prodotto è facile da utilizzare?), la provabilità (il prodotto può essere “provato” prima della decisione dell’acquisto?), l’osservabilità (i risultati del prodotto sono visibili e misurabili?). Il prodotto sociale può essere posizionato in modo efficace sul mercato se viene massimizzato il suo appeal, anche tramite questi suoi importanti attributi (Prue e Lyon Daniel, 2006).

1.6.2 Prezzo

Gestire i costi di adozione di un prodotto significa non solo dargli un prezzo, ma agevolare il suo accesso e uso verso gli utenti designati. Infatti, “l'obiettivo di una buona strategia di prezzo è quello di trovare un modo efficace e innovativo per raggiungere il target di mercato”, riducendo i costi sia per l’organizzazione stessa che per il consumatore (Prue e Lyon Daniel, 2006, p.82). I costi di adozione che affrontano le organizzazioni per commercializzare prodotti sociali, possono essere monetari e non monetari (Kotler e Roberto, 1991).

Costi monetari

I programmi di marketing sociale stabiliscono, spesso, una quota o un prezzo per i propri prodotti e servizi; e, ovviamente, più questo prezzo è alto, più saranno alti i costi di adozione che dovranno affrontare gli utenti designati, e meno numeroso sarà il loro volume. Ecco perché quando è necessario stabilire il prezzo di un prodotto sociale, è essenziale tenere conto di tre principali funzioni legate ad esso: la funzione di accessibilità, la funzione del posizionamento del prodotto e la funzione di demarketing. La prima prende in considerazione l’influenza che il prezzo produce negli utenti designati; un livello di prezzo alto rende più difficile l’acquisto del prodotto sociale, un livello di prezzo più basso rende più facile l’accesso ad esso. Grazie alla seconda funzione (posizionamento del prodotto) il prezzo funge da simbolo della qualità del prodotto

49 sociale, soprattutto quando per gli utenti designati è difficile dare un giudizio. Un prezzo alto viene di solito accompagnato da considerazioni di qualità e prestigio, mentre un prodotto sociale con prezzo basso può indurre gli utenti a considerarlo privo di qualità. Un prodotto gratuito, invece, può venire considerato indifferente. L’ultima funzione, la funzione di demarketing, è importante quando sono necessarie delle azioni di anti- marketing. Demarketing significa scoraggiare la richiesta generale o di una parte della clientela, di uno specifico prodotto, in modo temporaneo o continuativo (Gundlach et al., 2010). Azioni del genere sono necessarie quando la domanda supera le capacità dell’organizzazione o quando si vuole scoraggiare l’uso di uno specifico prodotto. Per attuare queste azioni, basta aumentare il prezzo. Per provare a scoraggiare determinati comportamenti dell’utente designato si alza prezzo pagato per quel comportamento. Una volta definiti gli obiettivi che si vogliono raggiungere con la leva del prezzo, si procede alla sua fissazione. Per determinare il prezzo di un prodotto sociale si dovrebbero prendere in considerazione tre principali elementi; il primo si basa sui costi percepiti dall’organizzazione. Per riuscire a determinare questi costi è necessario conoscere preventivamente il volume delle vendite del bene o servizio prodotto, ed è impossibile stabilire in partenza tale quantità, perché influenzata da molteplici fattori. Per questo motivo il prezzo basato sui costi dell’organizzazione è considerato solo un riferimento iniziale, che deve essere modificato in base agli altri due elementi: i prezzi effettuati dalle organizzazioni che producono lo stesso bene o beni simili (cioè i prezzi dei concorrenti) e quanto gli utenti designati sono disposti a pagare per quel determinato prodotto (cioè la loro sensibilità al prezzo).

Costi non monetari

I costi non monetari che vengono percepiti dall’utente designato possono essere distinti in due categorie: i costi temporali e i rischi percepiti. Una campagna sociale efficace punta a ridurre i costi temporali, poiché un ammontare maggiore di questi costi produce una soddisfazione minore del target. Un esempio di costo temporale è il costo dello spostamento, che è possibile diminuire grazie ad una corretta gestione dei canali di distribuzione (che verranno analizzati in seguito). Un altro tipo di costo temporale è il costo di attesa, cioè l’investimento di tempo necessario all’utilizzo del prodotto sociale. Per minimizzare questo specifico costo può essere utilizzata la strategia dell’“inserimento” di Fox (1980), che afferma che il costo di attesa si riduce se il nuovo

50 comportamento che deve affrontare l’utente designato viene compiuto contemporaneamente alle sue tipiche attività (ad esempio passarsi il filo interdentale mentre si guarda la televisione). Infatti, riuscire ad associare un comportamento nuovo in un altro comportamento piacevole, non richiede del tempo aggiuntivo, e la nuova abitudine può essere accettata più velocemente grazie al meccanismo dell’“ancoraggio” (Fox, 1980). Infine, per cercare di ridurre i rischi percepiti Gemunden (1985) illustra una serie di azioni da poter utilizzare per rispondere a diversi rischi percepiti: se il rischio percepito è di natura psicologica, il prodotto sociale deve essere predisposto in modo da garantire compensi di questa natura; se il rischio percepito è di natura sociale, è utile raccogliere garanzie da fonti credibili; se il rischio percepito riguarda l’utilizzo del prodotto stesso, si possono fornire informazioni rassicuranti su di esso o una sua prova gratuita; se il rischio percepito è di natura fisica, è vantaggioso richiedere l’approvazione del prodotto ad una istituzione con una certa autorità.

In ogni caso, in questo specifico settore, sorge spontanea una domanda molto più complicata: è giusto ed etico fissare un prezzo che genera un guadagno? Crompton e Lamb (1986) cercano di dare una risposta a questa domanda, sostenendo che i prezzi in ambito sociale devono essere definiti in base all’ampiezza della distribuzione dei benefici della campagna. Se i benefici vengono distribuiti su larga scala, il prezzo del prodotto sociale dovrebbe essere più basso, mentre se i benefici vengono diretti maggiormente verso un gruppo ristretto, esso dovrebbe sostenere i costi. Quindi nelle campagne di interesse generale, portate avanti da istituzioni pubbliche, i costi dovrebbero essere principalmente recuperati attraverso le tasse e non attraverso il prezzo; nelle campagne miste, che hanno un carattere generale ma che sono portate avanti da organizzazioni private, i benefici riguardano maggiormente un segmento più ristretto, ma portano vantaggi anche al resto della società, conseguentemente il prezzo dovrà coprire una parte dei costi totali. Invece, nelle campagne effettuate da organizzazioni private, i cui benefici giovano solo ad un gruppo ristretto della società, i costi sostenuti dovrebbero essere trasferiti su di essi tramite il prezzo. 1.6.3 Distribuzione Se un prodotto sociale non è reso accessibile, l’intera campagna di marketing non potrà agire sugli utenti designati. È grazie ai canali di distribuzione che i prodotti sociali

51 possono essere veicolati. Il canale di distribuzione è formato da istituzioni e agenzie che hanno l’obiettivo di trasportare il prodotto dagli iniziali punti di produzione ai finali punti di consumo (Stern e El-Ansary, 1988). Nell’ambito del marketing sociale, l’iniziale punto di produzione è la campagna stessa, mentre i finali punti di consumo sono gli utenti designati. Tuttavia esistono delle forti differenze nei canali di distribuzione, date da una caratteristica del prodotto sociale, cioè se esso sia di natura tangibile o non tangibile (Kotler e Roberto, 1991). Nel caso di un prodotto tangibile di base, la gestione di un canale di distribuzione si accompagna alla gestione della rete degli intermediari. Esistono quattro livelli di gestione, che definiscono anche l’ampiezza del canale stesso. Il livello zero corrisponde alla distribuzione diretta, cioè l’organizzazione rende accessibile il prodotto direttamente all’utente designato, senza avere intermediari (vendita porta-a-porta). Nel primo livello subentra, invece, un intermediario, che si posiziona tra l’organizzazione e l’utente designato (come i negozi al dettaglio). Nel secondo livello troviamo due intermediari, come l’utilizzo dei grossisti per poter raggiungere i negozi al dettaglio, mentre nel terzo livello si hanno tre intermediari: distributori, grossisti, negozi al dettaglio. Ma perché un’organizzazione dovrebbe decidere di utilizzare degli intermediari? Grazie a queste strutture, spesso, è più facile rendere accessibile il prodotto sociale su larga scala, perché essi possiedono contatti, maggiore esperienza e specializzazione. Oltre a cercare di capire qual è la migliore soluzione per il proprio prodotto sociale in termini di intermediari, l’organizzazione deve scegliere anche il tipo di punto vendita su cui vuole rendere accessibile il prodotto, e il loro numero e la loro ubicazione. Le caratteristiche del punto vendita, infatti, dovrebbero anche tenere conto dell’opinione degli utenti designati, delle loro preferenze e del loro comportamento. Conseguentemente, il numero dei punti vendita dipende, ovviamente, dalle risorse economiche dell’organizzazione, ma anche dal numero e dall’ubicazione del target potenziale.

Parlando, invece, di canali di distribuzione di un prodotto non tangibile, la questione si complica. Infatti, non essendoci tangibilità, questo tipo di prodotto non può essere venduto in un negozio. In questo caso, sono i media di comunicazione di massa che rendono possibile la distribuzione del messaggio. Esistono molti e diversi media che permettono la diffusione dei prodotti non tangibili, come la televisione, la radio, i quotidiani, le riviste, la pubblicità esterna, i cinema, ecc.; e ogni singolo mezzo possiede una potenziale capacità distributiva, data dalla stima dell’audience. Anche in questi

52 canali distributivi troviamo diversi livelli, e distinguiamo tre principali modelli di flusso. Nel modello di flusso primario i media hanno il compito di portare il messaggio del prodotto sociale direttamente agli utenti designati; nel modello di flusso secondario, invece, i messaggi veicolati raggiungono un determinato gruppo di utenti designati, che a loro volta, in un momento secondario, raggiungeranno ulteriori utenti. Infine, nel modello di flusso multiplo, il messaggio segue un percorso molto più articolato, e passando per agenzie pubblicitarie, diversi media, fino a raggiungere un primo gruppo di utenti designati che lo trasferiranno verso altri utenti designati. Dato che ogni media possiede proprie caratteristiche, deve essere determinato il mix migliore in base ad esse e in base alle caratteristiche proprie del prodotto, per poter avere una distribuzione efficace dei messaggi. Oltre agli strumenti offerti dai mass media e dai media specializzati, alcuni programmi possono beneficiare dei canali interpersonali, attuando una combinazione di mezzi. I servizi che vengono eseguiti da esperti e volontari, sono una parte essenziale della distribuzione dei prodotti sociali. Anche le linee telefoniche e i siti web sono largamente utilizzati nel marketing sociale, perché riescono a fornire un "luogo" comodo dove il prodotto sociale può essere maggiormente a disposizione del consumatore (Henley et al., 2011).

Esistono numerosi casi in cui è molto importante per una campagna sociale possedere una quinta P, equivalente a Partnership. Alcune problematiche portate avanti da programmi sociali possono essere risolte tramite sforzi integrati, che coinvolgono numerosi soggetti e organizzazioni (Ayadi e Young, 2006). Henley et al. (2011) riportano l’esempio dell’obesità infantile, dichiarando che questo tipo di problema deve essere affrontato non solo dai bambini e dai ragazzi affetti da questa malattia, ma anche