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Pubblicità sociale e pubblicità commerciale a confronto

112 messaggio che deve veicolare, lo stile o il linguaggio che utilizza e i media che la rendono visibile (Aras, 2011). Nel presente capitolo verranno inizialmente illustrate le principali differenze riscontrabili tra pubblicità commerciale e pubblicità sociale, per poi passare all’analisi delle caratteristiche e dei problemi nella creazione dei messaggi sociali. Infine, verranno esaminati i principali linguaggi che questo tipo di pubblicità utilizza, con lo scopo di dare un quadro generale dello stile di cui si serve questo strumento.

4.1 Pubblicità sociale e pubblicità commerciale a confronto

Una delle analisi più importanti, e forse la più importante, che illustra le principali differenze tra pubblicità commerciale e pubblicità sociale, risale al 1979 ed appartiene a Rothschild. Nel suo celebre articolo “Marketing Communication in Nonbusiness Situations or Why it’s So Hard to Sell Brotherhood Like Soap”, l’autore individua tre principali parametri con i quali effettuare il confronto fra questi due tipi di pubblicità (analizzati da Gadotti, 2001; e Peverini e Spalletta, 2009).

Il livello di coinvolgimento

Come sappiamo, esistono prodotti a basso coinvolgimento (prodotti di largo consumo, completamente alternativi) e prodotti ad alto coinvolgimento (prodotti che implicano ragionamenti sul loro acquisto). Per il primo tipo, la pubblicità ha il compito di attirare l’attenzione, perché, data l’alternabilità dei prodotti, questa azione potrebbe farne preferire uno rispetto ad un altro. Per i prodotti ad alto coinvolgimento, invece, gli atteggiamenti e i comportamenti del consumatore sono molto radicati; la pubblicità non riesce ad influenzarli in modo diretto e il suo scopo è aiutare il cliente nella scelta. Mentre la pubblicità commerciale riesce a sfruttare le posizioni intermedie all’interno di questa classificazione, la pubblicità sociale ricade solamente nelle due posizioni estreme, dove il coinvolgimento è molto basso (ad esempio la donazione del sangue) o molto alto (ad esempio far smettere di fumare). Il fatto è che esiste un presupposto imprescindibile per la buona riuscita di una campagna pubblicitaria: una domanda latente. Al contrario, nelle situazioni di pubblicità sociale spesso questa domanda non esiste, anzi è la pubblicità stessa che deve riuscire a provocare interesse e coinvolgimento in contesti dove questi non sono spontanei, cercando di promuovere un cambiamento di cui gli individui non sentono nemmeno la necessità.

113 Il rapporto costi/benefici

La pubblicità sociale, a parità di costi, offre minori benefici al consumatore, perché questi non sono individuali, ma collettivi, le minacce sono solitamente percepite lontane da noi stessi e non è facile riuscire a comunicare al consumatore i benefici che possono portare questi temi, in quanto nella maggior parte delle situazioni sono astratti. La pubblicità commerciale riesce molto più facilmente a mobilitare il singolo, anche grazie alla sua maggiore capacità persuasoria. Gli individui percepiscono costi non monetari molto più elevati nelle comunicazioni di pubblicità sociale, che spesso sono considerati maggiori anche dei costi puramente monetari. Rothschild afferma che la soluzione a questo problema è rendere tale rapporto meno sfavorevole per l’utente, utilizzando una comunicazione capace di valorizzare maggiormente il prodotto sociale agli occhi della popolazione.

Il targeting

L’efficacia di una pubblicità commerciale è influenzata anche dall’individuazione di un target specifico a cui indirizzare la comunicazione, segmentando la popolazione in base a diverse variabili come le caratteristiche demografiche, i consumi, i valori, gli stili di vita, gli atteggiamenti, ecc. In campo sociale la segmentazione risulta essere molto più complessa, perché spesso queste pubblicità devono raggiungere l’intera popolazione o, comunque, un suo ampio gruppo, oppure sono dirette a segmenti, i cosiddetti “gruppi a rischio”, molto difficili sia da raggiungere che da convincere. Inoltre, ogni cittadino possiede un proprio modo di porsi davanti ad un unico problema sociale; risulta quindi ancora più difficile riuscire ad effettuare una comunicazione adatta a tutti.

Oltre a Rothschild, anche Manrai e Gardner (1992) individuarono diverse differenze riscontrabili tra pubblicità commerciale e pubblicità sociale:

1. Benefici condivisi. I benefici offerti dalle pubblicità sociali, a differenza di quelli offerti da quelle commerciali, e come già accennava Rothschild, non sono individuali, ma riguardano la società nel suo complesso; sono, appunto, condivisi. Per questo motivo il consumatore percepisce minori benefici derivanti da questi prodotti rispetto a quelli commerciali. Una soluzione a questo problema è trasmettere, tramite la pubblicità sociale, l’idea che ciò che è utile per la società sia vantaggioso anche per il singolo individuo;

114 2. Responsabilità condivise. I consumatori percepiscono le responsabilità verso una specifica causa sociale come condivise, non si sentono interpellati in quanto la responsabilità non è solo personale. Quando acquistano prodotti commerciali, invece, essa è individuale, al massimo da condividere con la propria famiglia (come l’acquisto di un’auto). In altre parole, la responsabilità personale percepita dall’utente è minore nei prodotti sociali rispetto a quelli commerciali. I consumatori, spesso, pensano “lo farà qualcun altro”; lo strumento della pubblicità sociale deve intervenire esattamente su questo punto, deve trasmettere il concetto che è proprio l’individuo, il singolo, che può fare la differenza;

3. Benefici ritardati. La maggior parte dei prodotti commerciali offre una gratificazione quasi immediata con il suo utilizzo, ma ciò non avviene nei prodotti sociali. Se anche fosse data una gratificazione intrinseca a colui che adotta l’idea sociale (“mi sento gratificato perché ho fatto del bene”), i risultati su società e ambiente si realizzerebbero anche a distanza di anni. I consumatori, quindi, percepiscono le tempistiche legate ai benefici di un’azione sociale, ritardatarie rispetto a ciò che si verifica con i prodotti convenzionali. Questo ritardo può produrre sensazioni come incertezza e scetticismo nell’individuo e per questo motivo la pubblicità sociale dovrebbe enfatizzare le ricompense immediate derivanti dall’azione sociale promossa;

4. Controllabilità. I consumatori possono controllare maggiormente le conseguenze derivanti da un loro acquisto commerciale, piuttosto che le conseguenze provenienti dall’adozione di un’idea o di un’azione sociale. Ad esempio, acquistando cibo il consumatore sa che esso verrà consumato da lui stesso e dalla sua famiglia, ma coloro che decidono di donare gli organi non sanno chi li riceverà, non hanno controllo su questo, e non sanno neanche se saranno utili a salvare una vita. Quindi la percezione di controllo dei consumatori, legata all’uso e alle conseguenze di un prodotto, è minore nel caso in cui esso sia di natura sociale. Questo fattore, anche se non sembra, è importante, perché gli individui hanno il desiderio di conoscere e controllare i risultati delle loro azioni. La pubblicità sociale deve cercare di ripristinare questo desiderio di controllo; 5. Intangibilità. I prodotti sociali, molto spesso, sono di natura intangibile.

115 sono collegati con prodotti materiali (ad esempio al ristorante viene servito cibo), mentre è più difficile associare ad una idea sociale un prodotto tangibile; per questo motivo i consumatori percepiscono i prodotti sociali meno tangibili rispetto a quelli commerciali. L’intangibilità è una caratteristica che rende un prodotto meno comprensibile agli occhi del consumatore ed è necessario, infatti, cercare di presentare un bene intangibile più tangibile. Questo è l’arduo compito della pubblicità sociale; se, ad esempio, dovesse riprodurre un’esperienza, potrebbe raffigurare i prodotti necessari ad ottenerla;

6. Complessità. I prodotti sociali non solo sono più intangibili rispetto a quelli commerciali, ma sono anche più complessi. Innanzitutto i consumatori devono essere maggiormente coinvolti per eseguire tali azioni; in secondo luogo, il gruppo di influenza è molto più importante di quanto lo sia per un’azione commerciale; infine per fare in modo che un’idea sociale diventi un cambiamento sociale, devono svilupparsi diverse conseguenze in aree differenti. Tutti questi elementi rendono il prodotto sociale molto più complesso da intendere e adottare. Quindi, il messaggio percepito dai consumatori è più complesso nei prodotti sociali piuttosto che in quelli commerciali. Alcune idee sociali sono talmente complesse, da creare un appesantimento di informazioni tale da compromettere la capacità degli individui di elaborarle. La pubblicità sociale deve, infatti, essere semplice e deve anche tenere in considerazione la capacità dei consumatori di elaborare le informazioni date;

7. Reversibilità. L’impegno legato ad un prodotto sociale ha implicazioni realizzabili nel lungo termine, diversamente da ciò che accade con l’adozione di un prodotto commerciale. Ad esempio se un consumatore acquista un capo di abbigliamento, ma poi cambia idea, questo può essere restituito al negozio, mentre ciò non può accadere con un prodotto sociale; non si può restituire un impegno o una donazione. Il consumatore, quindi, percepisce meno reversibile un prodotto sociale rispetto a quello commerciale. Questo effetto, della reversibilità, costituisce una vera sfida per il marketing sociale, perché le azioni pubblicizzate producono i loro effetti nel lungo termine e il consumatore potrebbe sentirsi “legato”, non essendoci la possibilità di “rimborso”. La pubblicità sociale dovrebbe diminuire il sentimento sgradevole derivante dall’impegno,

116 sottolineando che i benefici portati dall’adozione di un prodotto sociale sono di gran lunga maggiori rispetto ai costi sostenuti;

8. Pressioni contrarie. Alcune cause sociali possono essere caratterizzate da pressioni opposte portate avanti da specifici gruppi; ad esempio una campagna che evidenzia le conseguenze negative derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti, può essere opposta da un gruppo che enfatizza le esperienze meravigliose che queste ultime possono provocare. Queste pressioni contrarie sono molto più frequenti nei prodotti sociali piuttosto che in quelli commerciali, consegnando ai consumatori punti di vista molto diversi. Per aiutarli, la pubblicità sociale dovrebbe riportare anche queste argomentazioni, sottolineando, in ogni caso, il punto di vista sostenuto. Soprattutto nei casi in cui il consumatore conosce già ampiamente il problema sociale supportato, i messaggi contenenti più punti di vista sono più efficaci rispetto a quelli unilaterali.

È evidente, quindi, che esistono moltissime differenze tra pubblicità sociale e commerciale, ed esse definiscono anche la migliore o peggiore efficacia di questo strumento. Tutto ciò è analizzato nella figura 4.1, dove si può osservare che: l’attenzione dei consumatori verso il prodotto sociale è influenzata negativamente dalla percezione Intangibilità Complessità Benefici condivisi Comprensione Responsabilità condivise Benefici ritardati Controllabilità Sentimenti Reversibilità Pressioni contrarie Attenzione Comportamento Figura 4.1 Un modello concettuale di come il consumatore elabora le pubblicità di idee sociali Fonte: Manrai e Gardner (1992, p. 17)

117 di condivisione dei benefici, dalla percezione di condivisione delle responsabilità, dalla percezione di ottenere i benefici in ritardo, ed è influenzata positivamente dalla percezione di controllabilità delle conseguenze; la comprensione del prodotto sociale è influenzata negativamente dalla sua percezione d’intangibilità e complessità; i sentimenti suscitati nei consumatori sono più piacevoli quando questi percepiscono una maggiore reversibilità del prodotto, ma meno piacevoli quando ci sono maggiori pressioni contrarie. 4.2 Il messaggio pubblicitario sociale I messaggi creati per una qualsiasi campagna pubblicitaria sociale devono essere capaci, in primis, di attirare l’attenzione del pubblico di riferimento e di trattenerla; dopo di che, devono convincerlo a modificare i propri atteggiamenti, convinzioni o comportamenti (Jones e Iverson, 2012). Queste iniziative di marketing sociale, quindi, oltre a cercare di cambiare un comportamento, sono anche messe alla prova dalla difficoltà del coinvolgere gli utenti (Folse et al., 2012). Alcune campagne possono cercare di sviluppare cambiamenti riguardanti il proprio stile di vita, come smettere di fumare, mentre altri tentano di introdurre un comportamento totalmente nuovo, come un’azione di volontariato, la conservazione di energia, ecc. Quando l’impegno a comportarsi nel modo pubblicizzato provoca alti costi in termini di tempo, denaro e sforzi da parte degli utenti, il messaggio pubblicitario diventa estremamente importante (Folse et al., 2010). Infatti, essi rappresentano una componente capace di rendere una campagna di marketing sociale convincente (Devin et al., 2007; Michaelidou et al., 2008). Gli appelli dei messaggi promuovono maggiormente un comportamento perché riescono a stimolare nel consumatore l’elaborazione delle informazioni (Keller e Block, 1996), e alcuni studi hanno rivelato che soprattutto i messaggi personali, diretti alla propria identità, riescono ad attivare i comportamenti volontari ricercati; in altre parole un appello che riesce a collegare “l’io” al comportamento desiderato (Folse et al., 2012). Tuttavia esistono altre caratteristiche che possono rendere un messaggio pubblicitario sociale più o meno efficace. Ad esempio, un calo della percentuale di adolescenti che iniziano a fumare fa sperare che le campagne anti-fumo portino a risultati concreti, ma poco è stato fatto nella misurazione degli effetti di questi messaggi in adolescenti e giovani adulti che già fumano. Anche se essi non fanno parte del target primario di

118 queste pubblicità, sono comunque esposti a questi stessi appelli, che sono veicolati dagli stessi media utilizzati per raggiungere il pubblico di riferimento. Purtroppo, le loro reazioni a questi messaggi, invece che sortire l’effetto desiderato (smettere di fumare), sono per la maggior parte negative, come provare del risentimento per il tono accusatorio e di giudizio dei messaggi; provare rabbia per la richiesta di modificare un proprio comportamento; provare fastidio in quanto le informazioni veicolate sono già di loro conoscenza; rifiutare gli effetti negativi derivanti dal fumo. In base a queste osservazioni si intuisce che ciò che risulta essere efficace a “tenere lontano” gli adolescenti dal fumo, non lo è per chi è già fumatore, ed è necessario sviluppare nuove strategie capaci di coinvolgere maggiormente questo segmento, piuttosto che avere fiducia su un unico messaggio uguale per tutti (Wolburg, 2004). Infatti, a causa della mancanza di strategie di segmentazione, soprattutto da parte delle iniziative pubbliche, i messaggi prodotti hanno provato a parlare con troppi e differenti tipi di pubblico (Bang, 2000). Devono essere create nuove strategie per il target dei fumatori, che mostrino rispetto per loro, in quanto individui, e che soprattutto sostengano la loro decisione di smettere. I messaggi sviluppati non dovrebbero utilizzare toni giudicanti, ma offrire incoraggiamento, far capire che è possibile uscire dalla dipendenza, anche se si è fallito in passato; è necessario entrare in empatia con questi soggetti, in quanto chiedere ad un fumatore di smettere di fumare è una delle più difficili modifiche comportamentali da esigere. Per questo motivo, le campagne pubblicitarie che sviluppano messaggi diversi in base ai differenti pubblici di riferimento, hanno maggiore probabilità di successo (Wolburg, 2004).

Molti appelli sociali sono di anti-consumo, di negazione: “non fumare”, “non fare uso di droga”, “non bere e poi guidare”, ecc. Mentre i messaggi anti-droga e anti-fumo non sono in concorrenza contro prodotti pubblicizzati in televisione o in radio o in qualsiasi mezzo, gli appelli “non bere” competono fortemente con i prodotti pubblicizzati in questi veicoli (Wolburg, 2001). Anche se queste pubblicità hanno avuto delle restrizioni in termini di quantità e di fascia oraria, i messaggi contrari competono difficilmente con i spot creativi prodotti da queste imprese, che utilizzano humor legato al sesso, acrobazie di stuntman e moltissime altre fantasie giovanili (︎Wolburg et al., 1999). Probabilmente, gli appelli pubblicitari e le campagne effettuate sui mass media, attuano un lavoro migliore soddisfacendo i bisogni emotivi degli individui facenti parte

119 dell’organizzazione promotrice, piuttosto che realizzando obiettivi di cambiamento comportamentale (Wolburg, 2001).

Un ulteriore problema che riguarda soprattutto i messaggi di natura sociale, rispetto a quelli commerciali, è lo scetticismo che spesso gli utenti hanno verso questo tipo di appelli, definendo scetticismo come la tendenza dei consumatori a non credere alle sue affermazioni (Thakor e Goneau-Lessard, 2009). Soprattutto durante l’adolescenza, l’influenza dei propri coetanei gioca un ruolo molto importante nel definire i nostri comportamenti, e molto spesso la ricerca su questo tema è molto limitata (John, 1999). La teoria dell’apprendimento sociale mostra che i comportamenti così detti devianti, vengono a conoscenza degli adolescenti tramite informazioni fornite dai gruppi primari (coetanei e genitori) e dai gruppi secondari (mass media) (Akers e Lee, 1996). In altre parole, un adolescente è più portato a prendere l’abitudine di fumare se è circondato da persone che già fumano, o che comunque hanno atteggiamenti favorevoli verso questa azione. Nonostante essi abbiano diverse fonti di informazioni da cui attingere, preferiscono dare ascolto ai propri amici e coetanei piuttosto che a genitori o mass media (Akers e Lee, 1996; Moore et al., 2002), e la loro influenza crea un contrappeso agli annunci contro al fumo. La suscettibilità ad essere influenzati da coetanei può avere una dimensione normativa e una informativa: la prima è rappresentata dalla volontà dell’individuo di rispettare le aspettative delle altre persone, mentre la seconda è la volontà di accettare e far proprie le informazioni raccolte da altri (Thakor e Goneau- Lessard, 2009). I messaggi sociali, come già illustrato, cercano di scoraggiare i comportamenti dannosi, visti spesso, però, come “cool”, oppure provano ad incoraggiare atteggiamenti sgradevoli o faticosi (come la donazione del sangue). La dimensione normativa dell’influenza dei coetanei, cioè basata sul rispetto delle aspettative, dovrebbe spingere l’utente ad intraprendere le azioni pubblicizzate nei messaggi sociali, donando un effetto positivo allo scetticismo che solitamente questi annunci sviluppano. Al contrario, discutere il contenuto del messaggio con i propri coetanei, accettando e adottando le loro idee (dimensione informativa), può creare un effetto negativo allo scetticismo, e quindi aumentarlo. In altre parole, essere suscettibili all’influenza normativa dei coetanei, influisce positivamente sullo scetticismo; essere suscettibili all’influenza informativa dei coetanei influisce negativamente sullo scetticismo (Thakor e Goneau-Lessard, 2009). Non solo i coetanei, però, possono influenzare il comportamento di un adolescente, anche i genitori hanno ruolo molto importante

120 (Akers e Lee, 1996), e devono riuscire a competere con gli altri agenti per avere un effetto sugli atteggiamenti dei propri figli. Come detto inizialmente, infatti, i teenagers sono influenzati sia dai coetanei che dai genitori, e fanno affidamento su entrambi, per argomentazioni diverse.

Nell’ambito della pubblicità è presente una complicazione molto difficile da risolvere, soprattutto nel settore sociale: gli stereotipi. Questi elementi, fondamentalmente, fanno in modo che l’individuo avverta e consideri determinate questioni nel modo più tradizionale, e a loro volta, queste percezioni, possono fare in modo che un particolare gruppo sociale domini su di un altro (Peresadko et al., 2014). Gli stereotipi esistenti possono, in parte, far emergere “l’immagine del nemico”, ma molto spesso, in questi casi, essi sono imposti artificialmente. I messaggi delle pubblicità sociali dovrebbero, quindi, cercare di allontanarsi dall’uso degli stereotipi, ma è una situazione non ancora pienamente sviluppata.

Infine, gli ostacoli riguardanti non tanto la creazione dei messaggi sociali, ma piuttosto il loro processo di trasmissione e la loro percezione, sono tutti riconducibili alle barriere che si creano nella diffusione delle informazioni. Peresadko et al. (2014), individuano, in particolare, quattro principali tipi di ostacoli: ostacoli tecnici, relativi alle problematiche che si possono sviluppare nei mezzi di trasmissione; ostacoli fisiologici, legati alle diverse capacità individuali di concentrazione sul messaggio; ostacoli simbolici e semantici, riguardanti la propria capacità di riconoscere particolari simboli, di essere a conoscenza di determinate parole e terminologie, la capacità di collegare il significato di un simbolo in quel preciso contesto; ostacoli situazionali, avvengono quando il messaggio diventa irrilevante per un individuo, in quanto non si trova nella situazione pubblicizzata. 4.3 I diversi linguaggi delle pubblicità sociali Durante la realizzazione di una pubblicità sociale, sorgono spontanee diverse domande: qual è il linguaggio che riesce maggiormente a raggiungere il target? Come è possibile renderlo il più possibile efficace? È più utile utilizzare un tono positivo o colpire gli individui con messaggi forti e drammatici? Non esiste ancora un’unica risposta a queste domande, è difficile riuscire ad identificare i linguaggi più corretti e misurarne i risultati nelle situazioni di pubblicità commerciale, figuriamoci nell’ambito sociale, dove è

121 presente una forte carenza di fondi per la ricerca e dove le tematiche trattate sono molto più complesse. Tutti noi sappiamo che la pubblicità sociale utilizza forme e strumenti della pubblicità commerciale, ma l’organizzazione interna del discorso è molto differente (Volli, 2005). In particolare, la pubblicità sociale, spesso, utilizza due opposti estremi linguistici: “eufemismo” e “terrorismo” (Volli, 2005). Nella prima posizione, la pubblicità è positiva, amichevole, enfatizza le diverse soluzioni possibili al problema sociale proposto; nell’altro estremo, le comunicazioni tendono a sottolineare i pericoli, i drammi della causa sociale, si utilizzano toni molto forti e violenti, cercando di colpire il cuore dell’utente. In mezzo a queste due posizioni esistono innumerevoli sfumature intermedie, dove il linguaggio cerca di stimolare sia l’aspetto emotivo che l’aspetto razionale del destinatario.

Gadotti e Bernocchi (2010) propongono una rassegna di linguaggi sviluppati fino ad oggi nelle comunicazioni sociali, affermando, però, che questo modello è da considerarsi aperto, suscettibile a nuovi contributi. Le varie categorie sono state individuate basandosi specificamente sulle emozioni suscitate dal messaggio, perché sono proprio le emozioni provocate dalla pubblicità che colpiscono l’atteggiamento di un individuo nei confronti di quella stessa comunicazione (Shanahan e Hopkins, 2007). Ovviamente, il criterio delle emozioni è in realtà molto soggettivo, poiché individui differenti possono avere reazioni diverse di fronte allo stesso messaggio. In ogni caso, Gadotti e Bernocchi (2010) hanno individuato otto principali stili linguistici, analizzati di seguito. Sentimentale/Commovente/Patetico Le pubblicità sociali che fanno ricorso a questo tipo di linguaggio, utilizzano immagini di