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Definizioni possibili e impossibil

“È singolare, ma non sorprendente, la mancanza nella letteratura estetica delle origini, almeno negli autori più significativi, non solo di definizioni e precisazioni su punti essenziali, ma dell'intenzione stessa di cercare definizioni e precisazioni”92. La mancanza – ma, seguendo l’argomento di Garroni, dovremmo dire “l’impossibilità” – di una definizione precisa dell’estetico e dunque di una identificazione univoca dell’oggetto epistemico dell’estetica in quanto disciplina filosofica è forse la difficoltà principale per un discorso sulle sue origine evolutive. Di che cosa, infatti, ricercare gli antecedenti evolutivi? Che cos’è questo “estetico”, e questa “estetica”, di cui tentiamo di ricostruire il passato? Occorre, prima di procedere oltre, che si fornisca almeno una descrizione provvisoria, “di lavoro”, del modo in cui verrà assunto nelle pagine seguenti il concetto di “estetico”, così da poter impostare le argomentazioni che seguiranno. Come inscritto nel nome stesso di aisthesis, l'esperienza estetica è anzitutto esplorazione di un ritaglio (un certo aspetto) di mondo mediata dal proprio, peculiare, sistema

percettivo: un filtro elastico, il sistema percettivo, specie-specifico in quanto frutto della

storia evolutiva della specie – cioè vincolato al modo in cui l'evoluzione, sulla base delle necessità adattative, ha forgiato il sistema sensoriale di ciascuna specie –, ma anche dotato, negli animali sufficientemente complessi, di spazi e gradi di libertà che aprono l'estetico alla dimensione della sorpresa, della novità inattesa93.

Il mondo a cui ci si relaziona percettivamente è, come detto, un mondo su cui si assume

un punto di vista: un oggetto di uso quotidiano, un fiore, il volto di un altro essere

umano, un'opera d'arte improvvisamente ci colpiscono, offrendosi ai nostri sensi, per certi loro tratti specifici o “proprietà aspettuali”94. Quando a questa percezione 92 E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 27.

93 Su questo punto rimando a F. Desideri, La percezione riflessa. Estetica e filosofia della mente, Milano, Cortina 2011.

94 Ivi. Cfr. inoltre F. Desideri, Forme dell'estetico. Dall'esperienza del bello al problema dell'arte, Laterza, Roma-Bari 20064.

aspettuale si accompagna (non nella forma di semplice giustapposizione, ma come “implicata” nel fatto percettivo stesso) una sovradeterminazione affettiva, cioè piacere o dispiacere, ecco che si schiude l'estetico, l'esperienza estetica del mondo, sintesi densa di elementi cognitivi, emotivi, “ambientali” (cioè di convenzioni, schemi culturali, preferenze ereditate)95.

Il piacere estetico – la componente “affettiva” dell'estetico – è generato dalla stessa attività di percezione96, che in questo senso si auto-motiva, cioè è auto-teleologica, come indicato dal filosofo francese Jean-Marie Schaeffer: un'attività ad attivazione endogena regolata dalla gratificazione a cui dà origine97.

Ma qual è, e come è costituito, l'oggetto che suscita, innesca, un'esperienza estetica? Come ha chiarito Fabrizio Desideri, mettendo in luce l'aspetto “espressivo” dell'attitudine estetica, l'oggetto cui essa si indirizza – più precisamente, le proprietà estetiche dell'oggetto – è tanto preesistente all'esercizio dell'attitudine quanto suo frutto. Detto altrimenti, si stabilisce un regime di co-emergenza tra le proprietà estetiche dell'oggetto e l'attitudine estetica. Quest'ultima è infatti “espressiva”, cioè costitutivamente tendente a diversificarsi in atteggiamenti, preferenze e pratiche che modificano, in una sorta di “teoria delle nicchie estetiche”, lo stesso paesaggio naturale- culturale su cui l'attitudine si esercita, nonché – sia detto, qui, per inciso – il paesaggio mentale di colui che esperisce esteticamente 98.

95 Precisa Fabrizio Desideri, in La percezione riflessa, cit.: noi parliamo di percezione estetica come di quella «relazione che si produce [...] quando il tenore emotivo e quello cognitivo di una percezione stringono un vincolo solidarmente favorevole con un oggetto e in particolare con le sue proprietà aspettuali, con quanto di esso è sensibilmente percepibile» e che si mostra come un’armonia a doppio livello: «l’armonia tra il percipiente e un ritaglio del paesaggio ambientale che esplora con il proprio corpo; e l’armonia (la felice connessione) che si determina, internamente al suo paesaggio mentale, tra la funzionalità degli stati emozionali e quella degli atteggiamenti cognitivi». Si veda anche, su questo punto: F. Desideri, Emoticon. Grana e forma delle emozioni, in G. Matteucci, M. Portera, La natura delle emozioni, Milano, Mimesis 2014, in stampa.

96 Il piacere che l'esperienza estetica suscita è implicato nella percezione stessa e, di più, risulta tutt'uno con il giudizio di apprezzamento sull'oggetto che ha innescato l'esperienza. Su questo punto cfr. il fondamentale par. 9 di I. Kant, KdU, “Indagine della questione: nel giudizio di gusto è il sentimento di piacere che precede la valutazione dell'oggetto o è questa che precede quello?”, e la lettura che ne dà F. Desideri in Il passaggio estetico. Saggi kantiani, Genova, il melangolo 2003. Cfr. anche J.M Schaeffer, Addio all'estetica (2000), Sellerio, Palermo 2002, p. 61 ss. (“la nostra approvazione” per l'oggetto bello “è implicita nel piacere immediato che esso ci suscita, sicché giudizio di apprezzamento, ovviamente anche implicito, e piacere suscitato dall'esperienza si danno in unum). Schaeffer rimanda a Hume, dal Trattato sulla natura umana (così anche Desideri, in Forme dell'estetica): “Non inferiamo che una qualità sia virtuosa perché ci piace: ma nel sentire che ci piace in un certo modo particolare, sentiamo che in effetti è virtuosa. Ciò accade nei nostri giudizi su ogni genere di bellezza, gusti e sensazioni. La nostra approvazione è implicita nel piacere immediato che tutte queste cose ci danno”, D. Hume, Trattato sulla natura umana (1739-1740), Laterza, Bari 1978, p. 498.

97 Cfr. J.M. Schaeffer, Addio all'estetica, cit.

Fornendo a se stessa la propria gratificazione nella forma del piacere estetico, l'attitudine estetica non solo si sottrae a utilità o funzionalità extra-estetiche, ma presenta anche una componente di eccesso e dispendiosità. Resta magistrale, a questo proposito, la lezione darwiniana nel The Descent of Man, che mette a fuoco con acume il regime di non adattatività tanto del senso estetico quanto degli attributi ornamentali estetici, già nel regno animale non umano.

Infine si noti come, pur co-emergendo con il suo oggetto – su cui in certo qual modo esercita un “controllo” – , l'attitudine estetica sia sempre paradossalmente esposta alla contingenza e all'eventualità del darsi effettivo della relazione: questo è un punto cruciale, alla cui messa in luce contribuisce in modo efficace la terza Critica kantiana, ricca di riflessioni sul carattere contingente, zufällig, dell'incontro con la bellezza99. Nessuno – nessuna legge necessitante, nessun concetto, nessun setting pre-stabilito – può assicurare il darsi della relazione estetica, sorprendente “super-venienza” sempre attesa ma mai del tutto pre-determinabile.

Così concepita, la dimensione dell'estetico risulta chiaramente non identificabile con quella dell'artistico: i due piani non coincidono. Volti, oggetti d'uso quotidiano, uno scorcio di paesaggio: tutto può potenzialmente coinvolgerci in una relazione estetica, benché, senz'altro, le opere d'arte siano più di altri “oggetti” tese a farlo. Il rapporto tra estetico ed artistico, più che in senso identitario, è da intendersi in senso implicativo.100. Nella prospettiva della nostra indagine evoluzionistica, ci porremo dunque le seguenti domande: posto che l'attitudine estetica verrà intesa, nel corso per presente lavoro, nei termini indicati sopra, essa rappresenta un'attitudine specie-specifica, propria della nostra specie Homo sapiens, oppure sono rinvenibili rudimenti dell'attitudine estetica umana anche in altre specie animali? E quali specie? Quelle più vicine a noi nella classificazione filogenetica – i primati, ad esempio – oppure anche specie più distanti da noi da punto di vista evolutivo, come gli uccelli? Qual è il meccanismo evolutivo che ha presieduto all'origine dell'attitudine estetica: si tratta di un adattamento, di un exattamento, oppure di un prodotto collaterale di altri adattamenti o di vincoli cit.; Id., Espressività dell'estetico e genesi dell'intenzione. In: R. Bonito Oliva, A. Donise, E. Mazzarella, F. Miano (a cura di). Etica antropologia religione. Studi in onore di Giuseppe Cantillo, pp. 185-199, Napoli, Guida, 2010.

99 Mi permetto, su questo punto, di rimandare al mio Estetica della contingenza. Exattamenti e pennacchi tra filosofia e biologia, in Premio Nuova Estetica, a cura di L. Russo, Aesthetica. Supplementa, Palermo 2013, pp. 91-112.

100 Cfr. F. Desideri, F., 2005: Del senso dell'estetica (e della sua non identità con la filosofia dell'arte), in La misura del sentire, Mimesis, Milano 2013, pp. 121-127.

strutturali? In che modo si trasmettono le preferenze estetiche nella nostra specie e nelle altre specie animali? Esiste un senso estetico innato, inscritto nel nostro genoma, o piuttosto i meccanismi coinvolti nello sviluppo e nell'esercizio del senso estetico sono di tipo epigenetico? Il fatto che l'estetico non si identifichi con l'artistico, come si è detto, ci consente di prendere le distanze da quelle letture che vorrebbero assegnare l'“invenzione” dell'estetico al Paleolitico Superiore, cioè all'epoca in cui – almeno secondo l'interpretazione classica dei paleoantropologi101 – sono attestate le prime produzioni artistiche di Homo sapiens (pitture parietali, oggetti ornamentali, incisioni ecc.). Le tracce dell'estetico, come vedremo, risalgono assai più indietro nel tempo. Ciò di cui ricerchiamo l'origine evolutiva è, per sintetizzare, una peculiare attitudine cross-culturale102, le cui proto-forme sono verosimilmente attestate anche in specie diverse dalla nostra, consistente nella capacità di orientarsi nel mondo secondo attrattori diversificati, di indugiare nell'esplorazione e trarre piacere da essa.