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Giochi aperti in biologia

9. Evoluzione culturale

“Il gusto del bello […] non è un carattere particolare della mente umana […]. Ovviamente nessun animale sarebbe capace di ammirare scene quali il cielo di notte, un bel paesaggio o una musica raffinata; ma questi gusti elevati si acquistano con la cultura”413. Con queste parole, che individuano la differenza tra senso estetico animale e senso estetico umano nell'innesto tutto umano dell'elemento culturale su quello biologico, Darwin inaugura una lunga stagione di interrogativi, ancora oggi non del tutto risolti: la cultura è un requisito specie-specifico di Homo sapiens? Evolve? È possibile applicare gli schemi interpretativi della biologia evoluzionistica per studiare la trasformazione dei prodotti della cultura umana nel corso del tempo? Eredità culturale ed eredità biologica, nell'uomo, procedono l'una accanto all'altra, binari destinati a non incontrarsi, oppure interagiscono, nei termini proposti ad esempio dalla teoria della costruzione delle nicchie culturali?

A partire dal lavoro pionieristico di Marcus Feldman e Luigi Cavalli Sforza, impegnati nella matematizzazione dei processi di evoluzione culturale (cioè dei processi di emergenza, stabilizzazione e diffusione dei tratti culturali all'interno delle popolazioni), sul modello della genetica di popolazione414, si sono succedute numerose proposte 412 F. D'Errico, The invisible frontier. A multiple species model for the origin of behavioral modernity , “Evolutionary Anthropology”,12, 2003, pp. 188-202. Sull'applicazione del modello degli equilibri punteggiati all'evoluzione umana, cfr. il recente lavoro di Giorgio Manzi e Fabio Di Vincenzo, Light has been thrown (on Human Origins). A Brief History of Paleoanthropology,' with Notes on the “Punctuated”Origin of Homo sapiens, in “Aisthesis. Pratiche, linguaggi e saperi dell'estetico”, 6, 2/2013, pp. 31-48.

413 C. Darwin, L'origine dell'uomo, cit., p. 87.

interpretative, oscillanti tra i poli della “dual inheritance” e dell'interazionismo tra natura e cultura: la teoria della doppia eredità di Michal Tomasello415, rimodulata e riproposta da Terrence Deacon416, la teoria dei “memi” culturali di Richard Dawkins417, il modello interazionista dei teorici della costruzione delle nicchie culturali (che suggerisce il coinvolgimento di tre elementi nell'interazione: gene, organismo e ambiente)418, il modello di Boyd e Richerson, che concepisce la cultura come una popolazione di varianti culturali trasmesse attraverso le generazioni e soggette a selezione naturale419.

Eva Jablonka e Marion Lamb, che propongono di sostituire al modello della “dual inherintance” un modello “a quattro fattori” (eredità genetica, epigenetica, comportamentale e simbolica), rivolgono esplicite critiche all'approccio di Feldman e Cavalli-Sforza. Se infatti i due studiosi presuppongono l'esistenza di unità discrete di cultura che si trasmettono da una generazione all'altra tramite processi analoghi alla copiatura, Jablonka e Lamb rilevano come, quando gli individui apprendono un contenuto culturale, essi non si limitino a copiarlo e, successivamente, a diffonderlo agendo da “macchine fotocopiatrici”, bensì lo fanno loro, lo interpretano, lo modificano in modo sostanziale420. L'estensione del modello della genetica di popolazione alle dinamiche culturali, nel presupposto dell'esistenza di unità culturali discrete analoghe ai geni per l'eredità biologica, non sembra del tutto convincente. Né pare più convincente a Jablonka e Lamb l'approccio della psicologia evoluzionistica, che postula una natura umana “universale”, largamente innata, rispetto alla quale le differenze culturali non sarebbero che “una sottile vernice variopinta spruzzata su meccanismi psicologici, specificamente umani, innati e selezionati sul piano genetico”421.

Critica nei confronti dei modelli di “dual inheritance” è anche Susan Oyama, in particolare nei confronti del modello di evoluzione culturale di Boyd e Richerson. Nell'affiancare il canale della trasmissione culturale al canale della trasmissione

Approach, Princeton, Princeton University press 1981.

415 Cfr. M. Tomasello, Le origini culturali della cognizione umana, cit.

416 Cfr. T. Deacon, La specie simbolica: coevoluzione di linguaggio e cervello (1997), Fioriti, Roma 2001.

417 Introdotta in R. Dawkins, Il gene egoista, cit.

418 Il riferimento è al volume di R. Lewontin, Gene, organismo e ambiente (2000), Roma-Bari, Laterza 2002.

419 Si veda il volume di Boyd e Richerson Non di soli geni. Come la cultura ha trasformato l'evoluzione umana (2005), Torino, Codice 2006.

420 E. Jablonka, M. Lamb, L'evoluzione a quattro dimensioni, cit., p. 252. 421 Ivi, p. 264.

genetica, il modello di Boyd e Richerson ha certamente il merito di contrastare l'unicità del modello genetico, ma non fa che perpetuare il dualismo tra natura e cultura422. Inoltre, il modello prospetta l'esistenza di tratti culturali discreti, nella forma di unità chiaramente riconoscibili, identificabili, i memi. Tuttavia, secondo Oyama, ad essere trasmessi attraverso le generazioni non sono i tratti bensì i sistemi di sviluppo: “i tratti non vengono trasmessi, sono gli influssi di sviluppo a essere trasmessi. La nostra eredità include la cultura e non come un secondo insieme di tratti trasmessi attraverso un canale extragenetico, ma come aspetti del contesto si sviluppo”423.

All'interno di un quadro così variegato, che significato attribuire all'affermazione di Darwin secondo cui la differenza tra senso estetico umano e senso estetico negli animali non umani va colta nell'innesto della cultura sulla dotazione biologica umana? Con specifico riferimento alle preferenze estetiche (tanto quelle guadagnate per apprendimento culturale quanto quelle “innate”, cioè trasmesse stabilmente come eredità “naturale”), il giovane Darwin dei Taccuini filosofici propone un interessante modello “chiasmatico”, in cui le preferenze culturali, se adottate stabilmente per un periodo di tempo sufficiente, si “annidano” nel sistema nervoso dell'individuo lasciando una traccia fisica in esso, cioè trasformandosi in preferenza naturale, biologica, che si sostituisce alla preferenza naturale precedente (la quale, di conseguenza, viene “declassata” a variante culturale). Da cultura a natura, da natura a cultura: il modello darwiniano prevede polarità fluide, esposte alla possibilità di mutarsi l'una nell'altra, in tempi sufficientemente lunghi424. Tornano qui in mente le parole di Fabrizio Desideri, che in La percezione riflessa scrive: “Il senso dell'estetico e la sua forza […] stanno anche nello sciogliere cristallizzazioni e nel favorire nuovi habitus, prefigurando nuove dialettiche del riconoscimento reciproco con il suo attivarsi ai confini sempre sfumati o sfumabili tra differenti forme di vita”425.

La sintesi evoluzionistica estesa fornisce un nutrito tool-kit concettuale per ripensare l'evoluzione culturale, schiudendo vie d'interpretazione alternative ai modelli proposti dalla Sintesi moderna e, oggi, non più del tutto soddisfacenti: la teoria dei sistemi di sviluppo, il trasferimento orizzontale di informazioni, l'eredità epigenetica, l'effetto

422 S. Oyama, L'occhio dell'evoluzione, cit., p. 69. 423 Ivi, p. 70.

424 Cfr. C. Darwin, Taccuino N, in Id., Taccuini filosofici, cit., pp. 87-88. 425 F. Desideri, La percezione riflessa, cit., p. 203.

Baldwin426; invita inoltre ad estendere il contesto filogenetico di riferimento nella discussione sulla cultura, problematizzando l'idea che solo Homo sapiens sia capace di cultura427.