• Non ci sono risultati.

Estetica e selezione sessuale

Riformulazioni contemporanee

3. Estetica e selezione sessuale

Come già accennato nel capitolo precedente, la teoria della selezione sessuale proposta da Darwin come meccanismo evolutivo alternativo alla selezione naturale è stata rapidamente archiviata dagli scienziati succeduti al naturalista inglese, per essere ripresa solo all'inizio del ventesimo secolo da Fisher, con la sua teoria della run-away selection. Da lì in poi, e soprattutto in anni recenti, si conta un discreto numero di tentativi di riutilizzare il modello darwiniano per spiegare l'evoluzione del senso estetico e dei comportamenti estetici e artistici nell'uomo.

La riconduzione del senso estetico e delle pratiche artistiche alle strategie della selezione sessuale è al centro della proposta teorica di Geoffrey Miller, psicologo dell'Università del New Mexico. La proposta di Miller, che intende spostare l'attenzione da una visione dell'evoluzione centrata sulla sopravvivenza a una centrata sul corteggiamento, cioè – potremmo dire – dall'adattamento all'arbitrio, si compone di tre differenti riferimenti teorici, che lo psicologo mira a integrare: la teoria del cervello a cascata, di impianto fisheriano, alla quale abbiamo accennato nel capitolo precedente illustrando le riprese contemporanee della teoria della selezione sessuale darwiniana; la teoria degli indicatori di fitness (che rientra, almeno parzialmente, nell'impianto psico- evolutivo descritto nel paragrafo precedente); la teoria delle disposizioni sensoriali, che si focalizza sui sistemi del piacere e dell'intrattenimento278. Il primo riferimento teorico spiega l'imprevedibilità, l'arbitrarietà e la “virulenza” dei comportamenti estetici e 278 G. Miller, Uomini, donne e code di pavone - la selezione sessuale e l'evoluzione della natura umana

(2001), Einaudi, Torino 2002, p. 167; cfr. inoltre, Id., Mate choice: From sexual cues to cognitive adaptations, in Characterizing human psychological adaptations, Ciba Foundation Symposium 208, John Wiley 1997, pp. 71-87; Id., How mate choice shaped human nature: A review of sexual selection and human evolution, in C. Crawford, D. Krebs (a cura di), Handbook of evolutionary psychology: Ideas, issues, and applications, Lawrence Erlbaum 1998, pp. 87-130.

artistici; il secondo la loro generale costanza e la diffusione ampia; il terzo spiega perché si sviluppino per incrementare il piacere.

In breve, Miller ritiene che, nella nostra specie, la mente e le sue straordinaria capacità “estetiche” (il genio letterario, il gusto, l'abilità nella pittura, nella scultura e nelle arti in genere, le abilità retoriche ecc.) si siano evolute per attrarre l'altro sesso, dunque all'interno di una logica di selezione sessuale279. Nel corso delle generazioni, all'appeal sessuale della mente si è aggiunto un valore di “indicatore di fitness” (cioè di segnalazione della buona salute del potenziale partner) ed essa, inoltre, si è sempre più perfettamente modellata sull'apparato sensoriale e il sistema del piacere proprio dell'altro sesso. L'ornamento “mente” dunque, e le capacità “estetiche” annesse, co- evolvono per Miller con la loro proprietà d'essere indicatori. Sulla correlazione tra ornamenti e indicatori di fitness Fisher precisa: da un lato, è possibile che un ornamento, pur essendosi originato come tale, cioè arbitrariamente, al solo scopo di attrarre il sesso opposto e di sollecitarne il piacere, col passare del tempo diventi a tal punto complesso e dispendioso da valere anche come indicatore di fitness, cioè della buona salute del suo possessore; dall'altro lato, è possibile che un indicatore di fitness, originatosi allo scopo di segnalare lo stato fisico ai potenziali partner, col tempo si trasformi in ornamento sotto la guida delle predisposizioni sensoriali del sesso opposto (cioè del suo sistema del piacere). In ogni caso, i comportamenti estetici non rientrano interamente nella logica selezionista, bensì si sono evoluti (almeno parzialmente) per arbitrio, per stimolare il piacere negli individui di sesso opposto. La proposta dello psicologo americano, dunque, pur trattenendo in sé alcuni elementi della psicologia evoluzionistica, ne ridimensiona notevolmente la pretesa adattazionista.

Anche l'ornitologo Richard Prum, dell'Università di Yale, e il filosofo e musicista David Rothenberg, del New Jersey Institute of Technology, riprendono le posizioni darwiniane in merito alla selezione sessuale, sottolineando come la bellezza, tanto nell'uomo quanto nelle altre specie animali, sia più una questione di sontuosità e spreco che di utilità e adattamento: “There is a meaning in nature far beyond use; there is form and beauty far beyond function”280. Prum, le cui posizioni abbiamo già introdotto nel capitolo 279 G. Miller, Uomini, donne e code di pavone, cit., p. 6: “Non penso che la selezione naturale per la sopravvivenza possa spiegare la complessità delle mente umana. Le nostre menti sono affabili, intelligenti, creative e articolate molto al di là di ciò che era richiesto per la sopravvivenza nelle pianure dell'Africa durante il Pleistocene”.

280 D. Rothenberg, The Survival of the Beautiful. Art, Science and Evolution, Bloomsbury, London 2011, cap. 2.

precedente, propone una teoria dell'evoluzione dell'arte come “comunicazione di segnali” in co-emergenza: “art consists of a form of communication that has coevolved with its evaluation281, laddove la premessa fondamentale del ragionamento – in una interessante ripresa di idee dantoniane – è che tutto può essere arte, “the nature of the work itself matters little. It really can be anything, as long as a coherent story has arisen about why the work should be appreciated, and a community of tastemakers and art lovers evolves to celebrate the work”282. Detto altrimenti, non è necessario né vincolante che l'opera d'arte (o l'ornamento sessuale, per restare più aderenti al riferimento darwiniano) sia un “onesto segnale di fitness”: la sua sostanza doesn't matter, ciò che importa è la relazione co-evolutiva all'interno della quale essa, in quanto segnale, è implicata.

Posizioni simili sono sostenute anche da Rothenberg, che valendosi del riferimento, tra gli altri, alle teorie di Haeckel, D'Arcy Thompson e alle esperienze artistiche del ventesimo secolo, specialmente le correnti artistiche dell'astrattismo, sviluppa una lettura non-funzionalistica dell'arte e, in particolare nel capitolo settimo del suo ultimo lavoro, una teoria dell'“estetica relazionale” che riprende il coevoluzionismo di Prum e contempla la possibilità di esperienze estetiche interspecifiche. La tesi fondamentale del discorso di Rothenberg è chiara: “evolution produces results that are beautiful, not only practical. Survival of the beautiful, survival of the interesting, not only survival of the ingenious and the useful”283.

Tanto Prum e Rothenberg quanto, con maggiori riserve, Miller propongono una declinazione del discorso estetico-evoluzionistico assai interessante. Si può criticare di Rothenberg l'identificazione prevalente del concetto di “estetica” con quello di “filosofia dell'arte”, che ne vincola molto l'argomentazione, e i riferimenti a D'Arcy Thompson e a Haeckel, che andrebbero attentamente soppesati. In ogni caso, si tratta di una posizione teorica innovativa, tanto più alla luce delle recenti acquisizioni della biologia evoluzionistica – cui Rothenberg non fa però pressoché cenno –, che sono unanimi nel ridimensionare l'egemonia della selezione naturale, ponendo accanto a essa una pluralità di forze evolutive che contribuiscono sinergicamente a plasmare la forma dei viventi in interazione col loro ambiente.

281 R. Prum, Coevolutionary aesthetics in human and biotic artworlds, cit., p. 818. 282 D. Rothenberg, The Survival of the Beautiful, cit., passim.

Venendo in particolare a Miller, durante i dieci anni circa dalla pubblicazione del suo lavoro principale, The Mating Mind (tradotto in italiano col titolo Uomini, donne e code

di pavone), le critiche alla sua posizione teorica sono state numerose. L'antropologa

Kathryn Coe critica la centralità attribuita da Miller alle dinamiche della selezione sessuale e soprattutto la sua riconduzione del comportamento artistico alle strategie di corteggiamento, in quanto attività che mira a mettere in luce il talento e l'individualità dell'artista (si considerino ad esempio le seguenti affermazioni di Miller: “La bellezza di un'opera d'arte rivela il talento dell'artista”, “La maggior parte della gente vuole poter interpretare l'opera d'arte come indicatore del talento e della creatività dell'artista”284). Ora, secondo Coe, il record archeologico mostra che solo in epoca recente, cioè solo a partire dall'età moderna e nella contemporaneità, l'arte ha assunto un tratto “individualistico”. Per la maggior parte della sua storia l'arte è stata conservativa, tesa a testimoniare e rinsaldare legami di parentela (è l'ipotesi dell'antenata, come recita il titolo del libro della Coe)285, sicché più che a mettere a fuoco le idiosincrasie e originalità dell'individuo essa ha mirato alla perpetuazione fedele della tradizione. Coe relativizza l'importanza della selezione sessuale nell'uomo, argomentando, per certi versi, in modo simile a Niles Eldredge, che in Le trame dell'evoluzione e Perche lo

facciamo, due lavori piuttosto recenti, mostra come gli organismi viventi non abbiano

come unico e principale scopo quello di massimizzare le loro chances riproduttive, bensì, anzitutto, quello di vivere286. Accanto all'ordine delle necessità riproduttive c'è

quello che Eldredge chiama l'ordine dell'economico. Ne risulta un radicale ridimensionamento delle prospettive “sessualiste” come quella di Miller, tra le quali può essere ricompresa anche la lettura di Richard Dawkins, sostenitore dell'idea secondo cui gli organismi sarebbero “veicoli” di geni unicamente interessati a disseminarsi e riprodursi attraverso l'unione sessuale287.

Un'ultima notazione critica a Miller, prima di passare oltre: se davvero l'arte, il gusto 284 G. Miller, Uomini, donne e code di pavone, cit. p. 293 e p. 297.

285 K. Coe, The Ancestress Hypothesis. Visual Art As Adaptation, Kathryn Coe, Rutgers University Press, New Brunswick, New Jersey, and London 2003, pp. 115-116.

286 Miller ritiene che il successo riproduttivo sia l'obiettivo principale della nostra esistenza, anche al di là delle necessità strettamente adattative. Scrive, con una esplicita critica alle posizioni della psicologia evoluzionistica (con la famosa concezione della mente con un coltellino svizzero): “Per capire l'evoluzione umana, dobbiamo ricordare che il successo riproduttivo è l'obiettivo finale dell'evoluzione. La mente ha davvero poco senso intesa come un coltellino svizzero o come un centro di comando militare. Ha molto più senso quando la paragoniamo a un sistema di intrattenimento progettato per stimolare altri cervelli”, in G. Miller, Uomini, donne e code di pavone, cit., p. 164.

estetico e il senso della bellezza emergono (esclusivamente) all'interno delle dinamiche di selezione sessuale, come spiegare l'esistenza di una capacità estetica anche tra i bambini, sin dalla primissima infanzia? Come spiegare il fatto che la maggior parte della nostre esperienze estetiche, oggi, non hanno nulla a che fare con corteggiamenti, dinamiche sessuali, fini riproduttivi? Se anche fosse vero che il motore dell'estetica è stata la sessualità, resta da spiegare in che modo si è ottenuta quell'estensione del territorio dell'estetico oltre il sesso che constatiamo oggi. Ma, forse, la chiave del quesito sta a monte: non è vero che la radice dell'estetico è, esclusivamente, di tipo sessuale. Torneremo su questo punto più avanti.