Riformulazioni contemporanee
6. Estetica e neuroestetica
Nel 1963, l'etologo Niko Tinbergen suggeriva che un'interpretazione esaustiva ed efficace del comportamento animale – compreso il nostro, ovviamente – dovesse contemplare quattro livelli di analisi: il livello delle cause prossime, quello delle cause ultime, il livello dello sviluppo e quello filogenetico. Detto altrimenti, occorre tener conto: (1) dei meccanismi mediante cui il comportamento si manifesta, cioè della sua
causa; (2) del suo valore di sopravvivenza; (3) del suo sviluppo; (4) della sua storia
evolutiva318.
Tra le quattro questioni o livelli di Tinbergen, la questione della “causation”, cioè dei correlati fisiologici e neurobiologici del comportamento animale, figura, non a caso, per 317 Cfr. Francesco d’Errico, Chris B. Stringer, Evolution, revolution or saltation scenario for the emergence of modern cultures?, in Phil. Trans. R. Soc. B (2011) 366, pp. 1060–1069. Alla p. 1066 i due autori scrivono: “During the period between approximately 160 ka and 20 ka complex technologies, adaptation to hostile environments, engravings, pigments, personal ornaments, formal bone tools and burial practices apparently appear, disappear and reappear in different forms, suggesting major discontinuities in cultural transmission. The discontinuous nature in time and space of this process, and the commonalities found in both hemispheres, indicate that local conditions must have played a role in the emergence, diffusion and the eventual disappearance or continuity of crucial innovations in different regions”. Cfr. anche Francesco d’Errico, Christopher Henshilwood, Graeme Lawson, Marian Vanhaeren, Anne-Marie Tillier, Marie Soressi, Frederique Bresson, Bruno Maureille, April Nowell, Joseba Lakarra, Lucinda Backwell, Michele Julien, Archaeological Evidence for the Emergence of Language, Symbolism, and Music—An Alternative Multidisciplinary Perspective, Journal of World Prehistory, Vol. 17, No. 1, March 2003 , pp. 1-70. Una pubblicazione molto interessante è Henshilwood, C.S., d'Errico, F., Homo symbolicus. The Dawn of Language, Imagination and Spirituality, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam/Philadelphia 2011, in particolare – per le questioni che stiamo discutendo – i capitoli The Origin of Simbolically mediated Behaviour. From antagonistic scenarios to a unified research strategy, di F. d'Errico e C.H. Henshilwood, alle pp. 49-73 e The emergence of language, art and symbolic thinking. A Neandertal test of competing hypotheses, di João Zilhão, alle pp. 111-131. La tesi sostenuta in quest'ultimo contributo è che “language and symbolic thinking appeared in the earliest, not the latest stages of the evolution of humans, but did not externalize in ways amenable to preservation in the material record of the prehistoric past until much more recently” (pp. 114-115), cioè l'arte, che l'autore riconduce al pensiero simbolico, non è frutto di una qualche mutazione genetica o di un cambiamento cognitivo rivoluzionario in Homo sapiens. Essa era presente e praticata già prima di sapiens: furono questioni di ordine demografico e sociale a condurre all'incremento delle produzioni artistiche nel Paleolitico superiore.
318 In N. Tinbergen, On aims and methods of ethology, “Zeitschrift für Tierpsychologie”, 1963, 20, pp. 410-433.
prima. È opportuno partire da qui – dall'individuazione quanto più precisa possibile del “come” del comportamento – per essere in grado di impostare più articolate considerazioni circa il suo valore adattativo e la sua storia ontogenetica e filogenetica. Coerentemente con questo approccio, uno degli indirizzi di ricerca più frequentati negli ultimi anni, all'interno del vasto orizzonte dei tentativi di naturalizzazione dell'estetico, è quello della neuroestetica, che si focalizza principalmente sulla questione tinberghiana della “causa”, cioè mira all'individuazione dei correlati neurobiologici dell'esperienza estetica con particolare riferimento alle arti visuali.
È noto che l’indagine neurobiologica e neuroscientifica ha fornito, specie nell'ultimo decennio, spunti preziosi per l’estetico. Basti pensare alla scoperta dei neuroni specchio, a opera del team di Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese, presso l'Università di Parma. Originariamente individuati nella corteccia premotoria del cervello del macaco (area F5), i neuroni specchio hanno dimostrato la peculiare capacità di attivarsi tanto all'esecuzione di un'azione da parte del soggetto quanto nei casi in cui il soggetto si trova a osservare la medesima azione compiuta da altri. Numerosi studi hanno attestato l'esistenza di meccanismi di rispecchiamento anche nel cervello umano, non solo per le azioni, ma anche per le intenzioni di cui le azioni sono frutto, per le emozioni e le sensazioni. In breve, i neuroni specchio sembrerebbero consentire una comprensione “corporea” dell'altro e delle sue azioni (in senso lato): l'altro verrebbe compreso “rivivendo” in sé le azioni che compie, anziché attraverso la produzione di rappresentazioni (come insegna la psicologia cognitiva classica). Si aprirebbe, così, un accesso diretto al corpo altrui, pur riconosciuto come “altro” da sé319. Tentativi di applicazione del modello dei neuroni specchio alla comprensione della fisiologia e della neurobiologia dell'estetico sono stati compiuti da Gallese e Freedberg, i quali tuttavia scontano il riferimento unilaterale, nella maggior parte dei casi, alle sole arti visive320. Ogni unilateralità in questo campo manca il bersaglio, come sappiamo già da Tinbergen: l'individuazione dei substrati neurobiologici e fisiologici del comportamento, certamente cruciale, è pur sempre solo il primo livello d'indagine per una corretta 319 Cfr. sui neuroni specchio: G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano 2006; E. Boncinelli, G. Giorello, Spettatori attivi, in G. Lucignani, A. Pinotti (a cura di), Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia, Cortina, Milano 2007, pp. 3-12. 320 Cfr. Mirror and canonical neurons are crucial elements in esthetic response, Vittorio Gallese, David Freedberg, in “Trends in Cognitive Sciences”, vol.11 No.10, p. 411, cui si contrappone la comunicazione di Roberto Casati e Alessandro Pignocchi, Mirror and canonical neurons are not constitutive of aesthetic response, ivi.
impostazione metodologica, cui ne seguono comunque altri tre.
La neuroestetica contemporanea, benché proceda anch'essa lungo il binario della ricerca neurobiologica, propone un approccio all'estetico assai più rigido rispetto a quello ispirato ai neuroni specchio (ad esempio di Gallese), almeno secondo gli intenti del fondatore della disciplina, il neurologo Semir Zeki.
Muovendo da una concezione dell'estetica come filosofia dell'arte e, in particolare, privilegiando tra le arti quelle visuali, Zeki ritiene che “la funzione dell'arte consist[a] nella ricerca di costanti, e in questo senso vada[a] considerata come un'estensione della principale funzione svolta dal cervello, acquisire conoscenza in un mondo in continuo mutamento”321. Attraverso l'impiego di tecniche sofisticate di neuro-imaging, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la magnetoencefalografia (MEG) e l'elettroencefalografia (EEG), Zeki sostiene di poter individuare l'area specializzata o il set di aree specializzate per l'apprezzamento della bellezza delle opere d'arte visiva: si tratterebbe, essenzialmente, della corteccia mediale orbito-frontale, dell'amigdala e del nucleo caudato322.
La review di Cela-Conde, Agnati, Huston, Mora e Nadal323, del 2011, mostra come la maggior parte degli studi relativi ai correlati dell'apprezzamento estetico, prodotti all'incirca a metà degli anni duemila (tra cui il citato studio di Zeki del 2004), abbia fornito risultati eterogenei circa le aree cerebrali coinvolte nel processo, anche a motivo di limiti tecnici legati alla strumentazione utilizzata. Gallese e Di Dio, valutando la proposta di Zeki, ne mettono in luce la parzialità sottolineando come il processo di 321 S. Zeki, La visione dall'interno. Arte e cervello (1999), Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 28; cfr. anche Id., Miserie e splendori del cervello (2009), Torino, Codice 2010 e K. Hideaki, S. Zeki, Neural correlates of beauty, J. Neurophysiol. 91, pp. 1699–1705, 2004. Un'agile introduzione alla neuroestetica è: C. Cappelletto, Neuroestetica. L'arte del cervello, Roma-Bari, Laterza 2010.
322 Cfr. K. Hideaki, S. Zeki, Neural correlates of beauty, cit.; Ishizu T, Zeki S (2011) Toward A Brain- Based Theory of Beauty, “PLoS ONE” 6(7), e21852. doi:10.1371/journal.pone.0021852. Quest'ultimo studio afferma una speciale attivazione della corteccia mediale orbito-frontale nei giudizi estetici tanto su stimoli visuali quanto su stimoli musicali e, nell'esperienza della bellezza visuale, anche un coinvolgimento del nucleo caudato (coinvolto nelle esperienze emozionali e d'amore), mentre dell'amigdala e della corteccia motoria sinistra nella bruttezza. Il grado di attivazione delle aree cerebrali risulta proporzionale all'intensità della bellezza/bruttezza percepita. Si legge nel testo: “We propose that all works that appear beautiful to a subject have a single brain-based characteristic, which is that they have as a correlate of experiencing them a change in strength of activity within the mOFC and, more specifically, within field A1 in it” (p. 8). Più in particolare, a determinare la bellezza è “the co-activation of field A1 of mOFC with the specialized sensory and perceptive area, or areas, and possibly (in the case of visual stimuli) with the caudate nucleus as well” (p. 10).
323 Camilo J. Cela-Conde, Luigi Agnati,Joseph P. Huston, Francisco Mora, Marcos Nadal, The neural foundation of aesthetic appreciation, in “Progress in Neurobiology”, 94, 2001, pp. 39-48.
apprezzamento delle opere d'arte visiva (su cui Zeki si concentra) sia di tipo multimodale e implichi l'attivazione di circuiti neurali sensomotori, visceromotori e affettivi (che Zeki non tiene sufficientemente in conto)324.
L'individuazione di aree cerebrali specializzate per tasks definiti, come ad esempio per l'apprezzamento delle opere d'arte visiva, sembra un compito assai difficile da portare a termine, forse impossibile: la nota critica di Alva Noë e le indicazioni di Terrence Deacon in merito, assai polemiche nei confronti della produttività dell'impiego di tecniche di neuro-imaging per l'indagine dei substrati neurali dei processi psicologici, ridimensionano drasticamente le ambizioni della neuroestetica325. Sulla stessa linea si colloca il filosofo Daniel D. Hutto, critico del rappresentazionalismo e dell'impostazione modulare che animano la neuroestetica; in relazione ai moduli, Hutto sottolinea come, in forza dell’overlap tra le regioni cerebrali, i presunti moduli non possano affatto considerarsi dominio-specifici, bensì al massimo dominio-dominanti326. Il problema nella neuroestetica (specialmente nella versione del suo fondatore Zeki) sembra essere quello di non riuscire a mettere a fuoco la differenza tra condizione necessaria e condizione sufficiente dell'apprezzamento estetico. Come nota D'Angelo, è ovvio affermare che per poter apprezzare esteticamente un dipinto sia necessaria l'attivazione di aree ben precise del cervello, come quelle per il processamento degli input relativi al colore o alle righe. Ma è altrettanto ovvio che le aree cerebrali coinvolte nell'apprezzamento estetico sono attivate anche da molti altri stimoli che nulla hanno a che fare con l'arte. Non si riscontra, dunque, alcuna area specializzata unicamente per 324 Cfr. Di Dio Cinzia, Gallese Vittorio, Neuroaesthetics: a review, in “Current Opinion in Neurobiology”, 2009, 19, pp. 682–687. Per un ulteriore approccio critico: Conway BR, Rehding A., Neuroaesthetics and the Trouble with Beauty, “PLoS Biol.”, 11, 3, 2013: e1001504. doi:10.1371/journal.pbio.1001504: “There is a popular conception of beauty as a fixed attribute of objects, a notion that much of current neuroaes- thetics depends upon. But there is a distinction between abstract notions of beauty and our experience of it – consider a specific example in which you have experienced beauty. Beauty is an analog, not binary, condition that varies in complex ways with exposure, context, attention, and rest—as do most perceptual responses”; “A need to experience beauty may be universal, but the manifestation of what constitutes beauty certainly is not. On the one hand, a neuroaesthetics that extrapolates from an analysis of a few great works, or one that generalizes from a single specific instance of beauty, runs the risk of missing the mark”. L'autore conclude sottolineando che: “Its [della neuroestetica, nota mia] progress in uncovering a beauty instinct, if it exists, may be accelerated if the field were to abandon a pursuit of beauty per se and focus instead on uncovering the relevant mechanisms of decision making and reward and the basis for subjective preferences, much as Fechner counseled. This would mark a return to a pursuit of the mechanisms underlying sensory knowledge: the original conception of aesthetics”.
325 Cfr. A. Noe, Perche non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, cit., in particolare i capp. 3 e 4.; T. Deacon, How the Mind emerged form Matter, cit.
l'estetico327. E ancora: “Se è indiscutibile che il piacere estetico di un ascolto musicale è reso possibile dall'attività cerebrale, è altrettanto indiscutibile che il soggetto di questo godimento è la persona che attivamente ascolta la musica, con i suoi sensi, la sua mente, la sua storia”328. In questo senso, la domanda realmente interessante non è “quali aree del cervello vengono attivate dalla vista di un'opera d'arte o, in generale, di un oggetto estetico?”, bensì “quali considerazioni, influenze, contesti hanno indotto la mia area del cervello ad attivarsi?”.
La neuroestetica contemporanea (pur con posizioni talvolta meno rigide e perciò più feconde di quello di Zeki329) è incline all'“esclusività” della domanda: dedicandosi alla ricerca di percorsi neurali specializzati per l'estetico (o di geni che specificano per percorsi neurali), essa sembra ritenere che il “segreto” dell'estetico stia tutto lì, in aree del cervello che si accendono, si attivano, rispondono con una richiesta di maggior afflusso di sangue (secondo il principio della risonanza magnetica funzionale) alla stimolazione sensoriale. Il modello delle quattro cause di Tinbergen ci ricorda invece come all'indagine sulla questione funzionale vadano aggiunte quella ontogenetica, sul valore di sopravvivenza e filogenetica.
Non solo le questioni poste dalla neuroestetica non sono le uniche né le più importanti per “districare” l'enigma dell'estetico, ma sono, in definitiva, domande mal poste, alle quali non è possibile fornire la risposta che i neuroestetologi si aspetterebbero. Se, come abbiamo accennato nel primo capitolo e come torneremo a esplicitare nel quarto, quella estetica è una relazione sopravveniente, né riconducibile a una proprietà determinata dell'oggetto né interamente nell'occhio del soggetto, bensì frutto della relazione tra il (corpo del) soggetto e l'ambiente che lo ospita (la sua nicchia), ne segue che la relazione estetica non può essere completamente spiegata in base alle proprietà delle singole componenti che la costituiscono. Nè un gene o un circuito neurale specializzato o 327 Cfr. P. D'Angelo, Neuroestetica e vecchia estetica, in Natura, comunicazione, neurofilosofie. Atti del terzo convegno 2009 del Codisco, cit., pp. 201-218.
328 In G. Lucignani, A. Pinotti (a cura di), Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia, Cortina, Milano 2007, p. 182.
329 Una interpretazione di impostazione neurobiologica ma assai più feconda delle posizioni neuroestetologiche “ortodosse” è quella di Edmund T. Rolls, in The Origins of Aesthetics: A Neurobiological Basis for Affective Feelings and Aesthetics, in The Aesthetic Mind, cit., pp. 116-165. Pur aderendo a una posizione adattazionista piuttosto tradizionale (cfr. p. 148: “I suggest that much art has its roots in goals that have been specified as pleasurable or unpleasurable because of their adaptive or survival value”), cui connette la componente emotiva dell'estetico, Rolls è tuttavia attento a mettere in luce anche il ruolo dei processi cognitivi nel rimodulare e rimodellare le preferenze “inscritte” (secondo Rolls) nei nostri geni, per l'azione della selezione naturale.
un'area del cervello deputata possono valere a “spiegare” l'estetico, né una legge, un setting, una proprietà fisica dell'oggetto. La bellezza si sottrae a leggi deterministiche e nella sua imprevedibilità e contingenza – ein glücklicher Zufall, scrive Kant – risiede il suo fascino330. Torneremo con maggior ampiezza su questo aspetto nel capitolo quarto di questo lavoro.