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Gli istinti nelle opere della maturità

Lineamenti di un’estetica darwiniana

6. Gli istint

6.2. Gli istinti nelle opere della maturità

Come nota lo storico della scienza R.J. Richards, la teoria degli istinti di Charles Darwin è uno dei luoghi più controversi nell'intera produzione del naturalista inglese. Riguardo agli istinti Darwin ha modificato la propria posizione interpretativa più e più volte, nel passaggio dai Taccuini alle opere della maturità205. Il problema principale, come si è accennato già sopra, riguarda il rapporto tra teoria della selezione naturale – ancora non pienamente messa a fuoco al tempo dei Taccuini – e teoria degli istinti. Detto in breve, se con la teoria degli istinti (per come è esposta nei Taccuini) si prevede la possibilità di una evoluzione graduale delle specie in funzione di azioni che, ripetute costantemente nel tempo, modificano la morfologia dei conspecifici sino a rendere tali modificazioni ereditarie, con la teoria della selezione naturale la varianti morfologiche emergono causalmente e sono successivamente sottoposte al vaglio della selezione, mantenendosi e diffondendosi nella popolazione, se benefiche, oppure venendo eliminate se dannose.

Nel cosiddetto Big Book (avviato nel 1856), la grande opera che, negli intenti di Darwin, avrebbe dovuto condensare più di vent'anni di ricerche e che l'improvviso arrivo della famosa missiva di Wallace, nel 1858, costrinse a ridurre ad abstract per poi approntarne la pubblicazione come Origine delle specie, si discute degli istinti nel lungo capitolo X. Rispetto alle indicazioni nei Taccuini, qui la ereditarietà degli abiti, e dunque l'origine degli istinti da abiti divenuti ereditari, è del tutto marginale rispetto alla selezione operata dall'evoluzione su piccole modificazioni casuali degli istinti, in base al 204 Ivi.

loro grado di adattamento all'ambiente. Come scrive Alessandra Attanasio, curatrice dell'edizione italiana del capitolo del Big Book sugli istinti, “gli istinti sono prodotti della selezione di specie […] gli abiti invece sono modificazioni individuali”206.

L’apertura del capitolo, chiarissima, mostra la “vittoria” del pensiero selezionista sulla precedente teoria degli istinti come sedimentazione di abiti: “come per le strutture corporee, le capacità mentali e gli istinti degli animali nello stato di natura variano a volte leggermente e [...] tali lievi modificazioni sono spesso ereditate. Non dubito che una azione eseguita molte volte durante la vita di un individuo, e resa perciò abituale, tenda a diventare ereditaria, ma credo che questo aspetto sia abbastanza secondario [...] credo che, in presenza di lente e mutevoli condizioni naturali, alcune lievi modificazioni dell’istinto potrebbero a volte non risultare vantaggiose per gli animali presi individualmente, ma che questi individui, nella grande lotta per la vita, potrebbero avere una possibilità maggiore di sopravvivere e di lasciare alla discendenza le stesse ereditate lievi modificazioni dell’istinto”207. Allo stesso modo assai interessante è la conclusione, soprattutto per la premessa epistemologica: “It may not be logical, but to my imagination, it is far more satisfactory to look at the young Cuckoo ejecting its foster‐ brothers – the larvae of the Ichneumonidae feeding within the live bodies of their prey – cats playing with mice, otters & cormorants with living fish, not as instincts specially given by the Creator, but as very small parts of one general law leading to the advancement of all organic beings,—Multiply, Vary, let the strongest forms by their strength Live & the Weakest forms Die”. Vale la pena di soffermarsi su quella notazione iniziale: “potrebbe non essere logico, ma per la mia immaginazione è assai più proficuo”, cioè più fecondo – anche nei termini delle possibilità esplicative della teoria –, che si considerino gli istinti come frutto dell'azione della selezione naturale.

Il filosofo della scienza Imre Lakatos ha suggerito in molti dei suoi lavori che il modo migliore per giudicare della validità di una teoria scientifica non è tanto verificare se essa sia vera o falsa (che è un problema assai più complicato da risolvere di quanto potrebbe sembrare a prima vista), bensì esaminare se essa dia origine a un programma 206 In C. Darwin, Capacità mentali e istinti negli animali, UTET, Torino 2011 (edizione italiana del capitolo del Big book dedicato da Darwin agli istinti), p. XVIII.

207 Ivi, p. 26: “Benché ci sia un impressionante e stretto parallelismo tra abiti e istinto, e benché le azioni abituali e gli stati della mente diventino ereditari e quindi, a quanto mi è dato di vedere, possono dirsi molto più propriamente istintivi, credo tuttavia che sarebbe un errore gravissimo considerare la grande maggioranza degli istinti come acquisiti attraverso abito e diventati poi ereditari. Credo invece che la maggior parte degli istinti sia il risultato di lievi e vantaggiose modificazioni di altri istinti, accumulate attraverso la selezione naturale”.

di ricerca fecondo. Anche delle idee che hanno una certa probabilità di rivelarsi incorrette (o che magari effettivamente lo sono), possono dare il via a programmi di ricerca assai proficui e fecondi. Qui sembra che Darwin abbia in mente qualcosa del genere: anche se il gradualismo evolutivo e selezionista che suppone alla base degli istinti animali può risultare “illogico” a più d'uno degli scienziati e pensatori a lui contemporanei (e anche a noi, del resto, che abbiamo assai ridimensionato il rigido gradualismo darwiniano), questa teoria, prodotto della sua “immaginazione” scientifica, è comunque più feconda della visione alternativa, che vorrebbe vedere negli istinti immutabili doni del Creatore agli animali non-umani (come pensava gran parte della teologia del tempo di Darwin) oppure il frutto di abiti divenuti ereditari (come aveva pensato largamente lo stesso Darwin degli anni di gioventù). Il paradigma epistemologico lakatosiano, “pragmatista”, è assai calzante in riferimento a molti aspetti della teoria darwiniana, come avremo modo di vedere anche nel seguito di questo lavoro.

Chiaro che, definiti così gli istinti, non è più calzante sostenere che la bellezza sia un istinto, giacché essa non risultava immediatamente riconducibile alla logica della selezione naturale, già al Darwin in procinto di pubblicare l'Origine delle specie. Nell'Origine dell'uomo, infatti, si parla più spesso di “beauty” come di un sense o

faculty, anziché come di un istinto.

Rispetto al Big Book, l'Origine delle specie riduce ulteriormente il ruolo degli istinti come meccanismo per la trasformazione delle specie alternativo alla variazioni causali passate al vaglio dalla selezione naturale. Darwin temeva, nella sua prima pubblicazione importante, di concedere troppo allo spettro del lamarckismo, dottrina osteggiata ma le cui conclusioni, specialmente sul principio dell'uso e del disuso, non erano affatto lontane dalle convinzioni del naturalista inglese. La teoria della ereditarietà degli abiti offriva il fianco a questo tipo di critica. Si legga la famosa lettera a Hooker dell'11 gennaio 1844, sui rapporti tra evoluzionismo e lamarckismo: “Che il cielo mi preservi dalle assurdità di Lamarck […], ma le conclusioni che sono portato a trarre non divergono molto dalle sue, anche se completamente diversi sono i mezzi attraverso cui avviene il cambiamento”.

Le “rivoluzioni” della teoria degli istinti continuano nell'Espressione delle emozioni

e del disuso per illustrare l'origine delle espressioni emozionali negli animali, spiegandone l'ereditarietà nei termini di una sedimentazione di azioni, favorevoli o meno, compiute nel lontano passato dai progenitori della nostra e di molte altre specie. In breve, la tensione tra istinti ereditari come frutto di abiti sedimentati e istinti come frutto della selezione graduale di piccole varianti accompagna Darwin per quasi tutto l'arco della sua riflessione scientifica.