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La deliberazione nel contesto educativo

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 38-44)

1. L’ETICA NEI DILEMMI

1.3 La deliberazione nel contesto educativo

Avvertire la spinta a rispondere ad una situazione dilemmatica, quella in cui il soggetto si ritrova in una situazione estrema che lo induce a scegliere (o semplicemente esaminare) tra due tragitti di percorrenza evidentemente opposti e incompatibili, presuppone l’indossare un abito mentale decisionista ovvero quello in cui l’azione deliberativa oscilla tra due ver- santi prima di compiere il passo che lascia addietro l’incertezza e poi indirizza il cammino verso una soluzione ragionevole. Essere in grado di proiettarsi in che cosa consiste il bene per l’altro, affidato al personale lavoro educativo, consente di rendere visibile anche la fa- coltà di deliberare e di scegliere. L’idea di fare bene, ossia di preferire ciò che è meglio in antitesi a ciò che è peggio, caratterizza il momento conclusivo di una costituzione di senso in ogni deliberazione pratica. La volontà, intesa come possibilità cosciente di dirigere il cor- so dell’azione su diversi fronti di esecuzione dell’atto etico, “è una lotta e non un dialogo” (Arendt, 2003, pp. 105). Essa è anche una forma particolare di agire che sfida l’inerzia dell’azione immediata - tipica nella sperimentazione del dubbio - e, pertanto, conferisce un valore aggiunto alla considerazione di una situazione specifica. “La volontà si presume che ci muova all’azione, ma per raggiungere questo obiettivo è necessario essere Uno. In altri termini, una volontà divisa in due, contro sé stessa, pare infine meno adeguata al compito i agire; mentre una mente divisa in due, ma con sé stessa, pare infine più adeguata al compito di decidere” (Arendt, 2003, p.106). Se non esiste una regola univoca tale da dispensare so- luzioni precostituite rispetto ad una vasta gamma di eventi simili - ogni caso educativo è ir- ripetibile nella sua unicità non assimilabile ad altro al di fuori di esso stesso - allora risulta considerevole esplicitare le ragioni che sottendono il peso morale delle decisioni.

Non esiste nessuna garanzia deliberativa in grado di determinare un passepartout sulla veridicità dei ragionamenti alla base del processo decisionale ma le valide azioni, filo con- duttore di soluzioni ragionevoli, rappresentano un’analisi razionale - non definitiva ma ri- vedibile - di adattamento alle duplici contraddizioni costitutive del dilemma. Ammesso che nel campo delle scienze umane non ci sono verità evidenti da rivelare con pretesa di validità su fatti oggettivi, visto e considerato che ogni caso singolo può essere sottoposto a svariate forme di valutazione secondo preferenze soggettive di gestione del dilemma, può accadere l’inevitabile confronto tra significativi eventi frequenti come comparazione di casi esempla- ri. L’esistenza di esperienze comuni, pur accettando la similarità di un caso critico persona- le, paragonabile a quello di un’altra persona che lo sperimenta in contesti lavorativi simili, si

connota sempre di una distinzione intrinseca nella valutazione. Le decisioni seguono traiet- torie diverse in funzione dei percorsi di conoscenza propri di ciascuno, i quali necessitano di una riflessione contestualizzata al bene del singolo. “In educazione, gli effetti della deci- sione non possono essere calcolati senza tener conto non solo della reazione dei soggetti su cui la decisione ha effetto (…) quanto anche e soprattutto del significato che questa reazio- ne ha in relazione ai fini del processo educativo, visto come realizzazione della persona” (Dalla Fratte, 1988, p.98). L’esercizio di rifiutare l’esperienza dell’altro in nome di un sentire comune, per definizione impersonale e irresponsabile, è lungi dal rimando etico il quale esi- ge l’impegno di una pratica riflessiva necessaria al compimento di una presa di distanza cri- tica dalle ovvietà che orientano il sapere collettivo. La criticità della deliberazione, cui sot- tende ogni dilemma, accentua la tipicità stessa della “dimensione dilemmatica”, la quale “fa riferimento all’individuo, colto in una particolare forma che attiene alla solitudine della sua coscienza” (Passarello, 2008, p. 10)

Ciò è indispensabile non solo per accrescere le conoscenze situazionali correttamente ma piuttosto per acquisire un ethos, un aumento di consistenza del proprio essere. Il rifiuto di imitare le conclusioni di alcuni fatti deriva dalla capacità di far decadere la diffusione del pericoloso senso comune - inteso come la formulazione generale di ciò che risulta ovvio e comune a molti - in virtù di un mutuo scambio di informazioni necessarie per mantenere le distanze da false certezze assolute. Ciò nonostante è condizione improrogabile interrogare il pensare nella propria professione senza rischiare di dubitare anche del ruolo stesso che il soggetto riveste nella funzione lavorativa; allontanare cioè quel pensare insano che limita il potenziale del dilemma come miglioramento della propria competenza: è essenziale “stare in una necessaria condizione di economia del pensiero” altrimenti “il pretendere di solleva- re dubbi su tutto provocherebbe un impassi nell’agire” (Mortari, 2007). Al fine di non tra- sformare le soluzioni di eventi critici come presunzioni di verità da applicare ad altri fatti reali simili, risulta preferibile verificare la bontà delle idee valutative - su fenomeni che mo- strano somiglianze nello scambio di informazioni - per dare loro la possibilità di attuazione effettiva. Ciò permette non solo di mettere a fuoco una condizione umana dissonante verso la normalità del verificarsi di eventi ordinari, ma anche di focalizzare un comportamento esecutivo verso il dubbio quotidiano del fare bene.

Il movente del movimento verso il bene è reperibile nella deliberazione. Quest’ultima, realizzata unicamente nella misura in cui viene applicata nella concretezza del reale, consiste

nel vagliare le antinomie di percorso per orientare l’agire verso la direzione migliore tale da consentire la realizzazione di una vita buona.

I dilemmi - casi di eventi critici che sollecitano conflitti - conducono a controversie nel modo di procedere alla ricerca della soluzione adeguata; essi spesso devono essere sottopo- sti ad un iter di analisi della situazione difficile per aspirare ad una buona decisione. Mortari afferma che “deliberare è come tirare al bersaglio, perché è necessario saggiare la robustez- za dell’arco, saper valutare la distanza dal bersaglio, tendere la corda in modo misurato ri- spetto alla distanza, imprimere una giusta forza alla corda tenendo conto delle varie condi- zioni ambientali. Poi, comunque, nonostante tutte le possibili valutazioni calcolanti, l’azione del lanciare la freccia entra in un contesto complesso, dove variabili impreviste possono in- tervenire a modificare la direzione” (Mortari, 2008, p.77). L’essere di ciascuna persona è sempre qualcosa di vulnerabile: l’essere umano stesso vive costitutivamente in una condi- zione di vulnerabilità; questa caratteristica indiscutibile della finitezza umana presuppone l’accettazione del cambiamento inaspettato degli eventi che talvolta possono stravolgere la quotidianità professionale del singolo. Occorre precisare che ogni caso - eticamente dilem- matico - non si presta ad essere elaborato secondo soluzioni universali perché la compren- sione autentica dell’esperienza critica educativa - ricercata nella complessità dell’intero con- testo scolastico - eccede da conoscenze o da abilità, acquisite o applicate in situazioni simili, ed esamina la coscienza delle singolarità agenti sull’evento esperito. Il processo che permet- te di dar voce ad una riflessione ragionevole è l’argomentazione intesa come criterio per esprimere giudizi o per confutare questioni; le esposizioni - discussioni critiche su ciò che risulta moralmente importante nelle implicazioni che seguono una decisione - rappresenta- no la strada migliore per sostenere la buona riuscita di una situazione difficile.

“Esiste una correlazione necessaria fra il giudicare e il pensare, nel senso che il primo per svolgere la sua funzione, che consiste nell’occuparsi di eventi particolari con una fissa dimora nel mondo che appare, ha necessità di fondarsi sugli esiti del pensare, il quale ha per oggetto la questione del valore generale che stanno nel mondo dei pensieri. Il giudicare, dunque, costitui- sce un atto cognitivo secondo, dal momento che la possibilità di esplicitare un buon giudizio è strettamente connessa con l’esercizio del pensare. Infatti, è il pensare che, di fronte a una realtà spesso impenetrabile agli sforzi di comprensione, va in cerca dei principi paradigmatici che consentono di elaborare i criteri necessari a valutare le situazioni particolari”. (Mortari, 2008, pp. 79-80).

Esternare in che cosa consiste una buona condotta morale agente significa considerare le variabili di cui ogni individuo è portatore per formulare giudizi pensanti (non giudicanti o

screditanti il singolo) atti a ricercare un criterio validante l’agire efficace, quest’ultimo inteso come azione che pone al centro una scelta avveduta del peculiare e del contingente.

La valutazione verbale, in un processo decisionale, impone la formulazione parlata di un pensare riflessivo che consiste nel ponderare quale può essere l’azione migliore da intra- prendere rispetto ad una condizione di incertezza cioè un resoconto problematico di un evento incerto per il quale non esistono soluzioni stabilite aprioristicamente. Fondamentale è la considerazione per ogni parola che pone in essere i pensieri per mezzo del fare discor- sivo; un’equa valutazione della situazione è indice di un agire riflessivo giudizioso ovvero avveduto di criteri separanti l’azione buona da quella cattiva per orientare la direzione deli- berativa.

“La deliberazione risponde alla frammentazione postmoderna scommettendo su una veri- tà dialogante, concreta che riconosce e pratica la possibilità di dissensi ragionevoli: possiamo progredire verso una validità ragionevole oggettiva, quando la comprensione soggettiva è con- divisa e confermata dall’esperienza altrui. Necessitiamo, per assumere responsabilmente e criti- camente la problematica etica che tesse le nostre azioni e le nostre decisioni, criteri di riferi- mento, universali e concreti e non astratte generalizzazioni, che ci permettano di scavalcare il relativismo postmoderno, per il suo pluralismo acritico, di oltrepassare la frammentazione let- teraria che paradossalmente svuota, come il razionalismo, il corpo, l’esperienza della loro con- cretezza; canoni pratici che ci garantiscono quel linguaggio e quei concetti che rendono possi- bile la comunicazione” (Casati, 2003, p.51).

Nel campo dei dilemmi etici è difficile giungere ad una verità universale da distribuire come certezza provata sperimentalmente ma è auspicabile tendere ad un sistema valoriale secondo cui certe azioni possono essere presentate come più giustificabili di altre: i valori restituiscono significato profondo come criteri di credenze morali per reputare un atto de- cisionale ammissibile o inaccettabile. L’individuo è costretto a rifiutarsi di schierarsi in uno scontro di opinioni e, invece, è chiamato a confrontarsi con la sua gerarchia di valori per scegliere, senza esitazioni, tra due alternative che si presentano entrambe come indispensa- bili rispetto al proprio ineccepibile buon senso. Quanto sopra esposto palesa il fatto che il dilemma etico non si presenta come un fenomeno accidentale da risolvere unanimemente, sottoponendolo a pubblica discussione e considerando per bene ogni elemento che riordina i ragionamenti a favore dell’uno o dell’altro capo del dilemma stesso. Non si tratta di trova- re l’errore e tantomeno di schierarsi, nell’ipotesi di coinvolgimento nel dibattito di persone diverse, con l’una o con l’altra tesi visto e considerato che codesto modo di affrontare le si- tuazioni dilemmatiche risponde alla consueta dialettica del vivere come divergenza di sup- posizioni. Non possiamo nasconderci dietro le migliori ragioni di una scelta rispetto a quel- le dell’altra, non ci sono elogi o disapprovazioni degli altri, niente di tutto ciò, soltanto noi e

gli altri - plus valore aggiunto - come forza necessaria per uscire dal dilemma grazie alla possibilità di scegliere. Comprendere una questione a partire dalla relazionalità significa fa- vorire una cooperazione interpretativa che condivide l’impegno ad affrontare casi dilemma- tici segnati da un di meno etico; situarsi vicino al fenomeno esperito e condiviso consente di “dare consistenza etica al tempo del proprio esistere” (Mortari, 2008). Una buona argo- mentazione rappresenta la disposizione alla comunicazione come dimensione essenziale grazie alla quale è doveroso fare riferimento ai dilemmi etici; le difficoltà incontrate in un’incidente professionale critico - situazione limite che incarna il dilemma - accompagna- no le resistenze tacite all’agire. Lungi dal trasformare le incomprensioni incontrate in pigre modalità passive che tendono a lasciar correre gli eventi senza intervenire attivamente su di essi, una riflessività parlata esplica le strategie messe in atto per affrontare e superare ciò che nella solitudine del pensiero singolo può sembrare impossibile. Tuttavia scambiare opi- nioni in un discorso su ciò che appare senza via d’uscita in un caso educativo complesso, non vuol dire contrattare pareri oggettivamente condivisibili o addossare il peso di una buona decisione all’alterità; una sana argomentazione sul dilemma si configura, piuttosto, come un mettere a frutto la continuità tra due piani critici nella questione morale la quale necessita di una mediazione capace di neutralizzare i conflitti del dilemma. Argomentare i casi specifici permette di mutare il pensiero chiuso singolo in un pensiero aperto plurimo che si configura nello scomporre l’esperienza di disagio professionale vissuta per costruire una modalità di verifica auto-espositiva di presentazione e di accettazione del confronto tra il sapere proprio ed altrui. «In educazione si ha a che fare con “presenze”, ovvero “vissuti esistenziali” attraverso cui occorre passare nel corso della vita, e con i quali ci si deve incon- trare, rispetto ai quali ci si deve, prima o poi, esporre ed esprimere. Li chiameremo incontri: gli incontri sono le esperienze che fanno crescere, generano svolte, stimolano la mente e gli affetti» (Demetrio, 1995 in Mazzoni, 2008, p.10). Questo passaggio all’incontro con l’altro è costruttivo per non rimanere fagocitati nel solo flusso del pensiero individuale; piegare la propria volontà alla flessibilità del cambiamento - comprese le dinamiche relazionali - ossia promuovere la rivalutazione di una situazione incerta con e per gli altri costituisce un atto emotivamente etico che guida il soggetto verso la meta del bene.

Riconoscere il valore della differenza, mediante un mutuo-aiuto, concorre a sostenere l’importanza del dialogare congiunto ossia paragonare il proprio punto di vista con quello dell’altro per pervenire ad una verità degna di fede agli eventi in cui il soggetto si trova ad essere implicato. Questa è una condizione che incarna il vero senso del corretto atto deci-

sionale: “la deliberazione si basa sul principio che la prospettiva dell’altro può arricchire la mia focalizzazione del problema e che conseguentemente mi può aiutare nella ricerca della verità: gli altri mi sono necessari” (Casati, 2003, p.51). La decisione è un’azione rivolta a di- verse opzioni ed essa, prima di mutare in volontà agente, deve prendere forma nel linguag- gio valutativo che consiste nel portare alla mente, grazie all’esplicitazione di pensieri, la ri- cerca di un principio morale orientato ad una decisione efficace.

La riflessione, filo conduttore che incanala la deliberazione, è alimentata dalla fantasia la quale risponde ad un compito etico: “l’immaginazione trasforma il rifiuto dell’altro, o l’accontentarsi di una conoscenza superficiale e stereotipata, in sforzo di ricerca di un signi- ficato, per quanto situato all’opposto, completamente al di fuori delle nostre convinzioni” (Boella, 2012, p.191). Ciò che mette in discussione il cambiamento di una visione prospetti- ca del reale è la sospensione di un pensiero rigido e l’adesione all’esercizio di idee innovati- ve tali da sperimentare un’infinità di orizzonti di senso disincantati da una mediocre sem- plicità esistenziale. La relazione che si attualizza anche nell’ascolto del racconto argomenta- to, sotto forma di narrazione, chiama in causa quel sensibile sforzo intellettuale che permet- te alla cognizione, mediante figurazioni mentali, di eludere la rimozione dell’esposizione percepita e di ricostruire la trama ascoltata per raffigurarsi possibili svolgimenti. Detto in altri termini, l’illustrazione del ragionamento argomentato colpisce l’immaginazione di colui che ascolta grazie ad una rappresentazione mentale dell’esperienza altrui che consente di intuire e di vigilare sulla condotta opportuna da impartire alla situazione offerta. Nel mo- mento in cui un soggetto esplora delle alternative sperimenta il dubbio, talvolta connesso ad un’azione inconcludente, magari rimandando la selezione dell’opzione e lasciando aperto il caso intriso di problematicità. Il compito di colui che opera in ambito educativo è di far fronte ai dilemmi professionali con un nuovo orizzonte di senso cioè interpretare il com- plesso che accade attraverso lenti etiche in grado di guardare la profondità del particolare mutevole. “La prospettiva dello sguardo ampliato vede il pro del contro e il contro del pro e il contrapporsi del bene e del male e ne esce stemperato, in un abbraccio in cui non do- mina più la certezza umana della possibilità, anzi della necessità, di un definitivo e credibile assetto di ciò che è bene e di ciò che è male” (Girard, 2008, pp. 66 - 67). Indagare la realtà scolastica in maniera minuziosa, esaminare l’evento educativo non a un livello superlativa- mente astratto, ma risvegliare un aumento del pensiero morale duale in riferimento ad un episodio specifico, rende possibile la realizzazione di una corretta dimensione deliberativa in grado di raffigurare gli eventi.

“L’immaginazione appare innanzitutto una pratica, che deve essere adeguatamente esercitata, e si propone come la capacità della mente in grado di tessere la trama del com- plicato rapporto tra etica e vita, tra cultura e vita morale” (Boella, 2012, p.176). Dunque, il sapere decisionale - inteso come movimento di saggezza nell’immaginazione - è quella di- sposizione del ragionamento pratico che si apre all’alterità grazie alla riflessione e che per- mette la deliberazione grazie all’elaborazione di un pensiero virtuoso. Prolungare la fase at- tiva di esecuzione di un atto etico e perseverare nello stato potenziale valutativo significa sviluppare la propensione a compiere un’azione esatta; “il mondo della decisione sembra quasi non possa permettersi il lusso di pensare oltre l’immediatezza dualistica” (Girard, 2008, p.75). Accettare l’incompletezza di un ragionamento rapido e manifestare un pensiero pratico che si attualizza nell’esecuzione di un progetto deliberativo vuol dire prestare atten- zione ai dettagli esplorativi di un caso critico per passare ad una presa di posizione attuati- va. Immaginare di intervenire nello spazio dell’alterità può essere inteso come quel modo sofisticato di entrare in una relazione autentica per esaminare gli strumenti del mestiere educativo che conseguono la dimensione etica della deliberazione.

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 38-44)