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La donazione del tempo come relazione etica

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 44-50)

1. L’ETICA NEI DILEMMI

1.4 La donazione del tempo come relazione etica

Agire eticamente e rispondere ai dilemmi etici nel fare professionale - in un ambiente che presta necessariamente un servizio educativo - apre la dimensione della reciprocità, laddove le relazioni che intercorrono tra i componenti di uno stesso contesto rappresentano un va- lore per condividere esperienze. Essere promotori, grazie al confronto con altri, di un cam- biamento (a fin di bene) in una situazione scolastica generatrice di dilemmi, impone una progettualità per essere, diventare o rimanere buoni insegnanti. Essere impegnati a dedicar- si reciprocamente del tempo - condizione che si attualizza nella misura in cui si sente la ne- cessità di narrare un dilemma etico lavorativo come generatore di contrasti nelle duplici forme del fare - significa declinarsi in una relazione donativa. “Il donare nasce dal sentire la necessità di condividere, perché si sa che in questa forma di agire c’è una generatività di senso” (Mortari, 2006, p. 197). Attraverso il tempo, nella relazione, viene veicolata la trama soggettiva di esperienze contraddittorie che sostanziano il vissuto dilemmatico di ogni esse- re umano: donare (inconsapevolmente) il tempo rimanda ad un atto etico solidale in cui predomina il gratuito senso dell’esserci. L’impegno ad accettare l’imprevisto, il non atteso e il non aspettato, esito di una negazione all’accanimento del tempo finito, è la condizione

per salvare buone relazioni. Quando l’intreccio di queste ultime si snoda nel flusso infinito e a-temporale di una conoscenza situazionale, mai abbastanza completa, si massimizza la relazionalità in chiave etica che necessita di una gratificazione gratuita.

Nel vivere contemporaneo generalmente è più facile donare altro rispetto al tempo, ad esempio il denaro perché esso è staccato da sé, neutro e impersonale essendo il numerabile in ogni scambio. Ma il tempo è anche numerabile, scandito nell’unità di misura, ad esempio l’ora. Ciò consente una certa equivalenza: il numero di ore totale - del servizio di ricerca alla discussione dei dilemmi - prestati e resi; tuttavia al tempo come semplice unità di scambio (quantità) risponde il tempo come estensione dell’anima (qualità delle competenze) in cui si deposita tutto l’essere del singolo. Per questa parte la seduzione del calcolo (il tempo come quantità) viene ammorbidita e tenuta sotto controllo dal dono (il tempo come qualità). Il dono, all’interno della relazione sulla disputa dei dilemmi etici, non è questione di divisione di beni, in esso non opera la norma oggettiva del dare e dell’avere, ma introduce un salto qualitativo: nasce infatti come un rischiare sé stessi in direzione dell’altro. Sollecitare la rela- zione -senza economizzare il tempo - per mostrarsi nel proprio vivere lavorativo (educati- vo) autentico, produce una restituzione simbolica nella reciprocità di un aiuto nel fare con- diviso. La tensione tra l’attenzione incondizionata al mantenimento egoistico del proprio essere e l’adesione al riconoscimento solidale con altri esseri umani, conduce a fondere que- sti due stadi dissonanti in un terzo livello di autentica riflessione morale. La separazione eti- ca, al di qua del bene e al di là del male, allarga volontariamente la prospettiva individuale a quella collettiva: dalla particolarità alla complessità in cui i criteri di azione morale non fan- no più affidamento al tornaconto personale o all’adempimento convenzionale ma a principi multipli. La carica simbolica che sussiste in questo modo di procurare buone esperienze as- sume ruoli gratificanti nella pratica professionale educativa perché attribuisce ad essa valore umano; situarsi dentro un ambiente lavorativo nella gratuità della relazione educativa è una condizione valoriale che non può essere mercificata o barattata con nessun valore moneta- rio. Collocarsi al centro di quest’ottica motivazionale intrinseca rappresenta, infatti, quell’eccedenza che non può essere corrisposta in termini monetari perché generatrice di una struttura di connessione radicata nella disposizione esistenziale del genere umano come parte integrante di un tutt’uno vitale. La competenza di manifestarsi espressivamente nel fare lavorativo quotidiano è facilmente riconducibile alla volontà attuativa con cui un sog- getto conduce benevolmente la propria esistenza. Detto diversamente, la proporzione tra ciò che si fa abitualmente per salvaguardare il regolare svolgimento della propria vita pro-

fessionale scolastica (sfera pubblica) e per proteggere l’infinità delle relazioni educative che la compongono (sfera privata) comporta la messa in atto di un cavo conduttore attraverso il quale scorre il fluire del pensare come armonia tra due diverse realtà. Iaia Vantaggiato af- fronta la sopra citata “mediazione” come dimensione di interrogazione sulla funzionalità della sfera privata in relazione alla sfera pubblica. “In altri termini funziona o no la media- zione? Ciò non significa chiedersi semplicemente o solamente se le relazioni ci sono e se sono o non sono problematiche, ma quanto di quelle relazioni mi porto dietro ogni volta che entro nella sfera pubblica; quest’ultima viene ad essere modificata dalla traiettoria “dif- ferente” del mio sguardo e come io stessa, infine, riesco ad affrontarla. Se con piacere o con sofferenza è la domanda, con piacere, è la risposta” (Vantaggiato, 2000, in Duemilaeu- na, 2000, p. 26).

Essere impegnati ad accogliere l’altro in una dimensione fluida del tempo significa spe- rimentare la relazione educativa secondo uno schema etico che risponde al senso dell’esserci. Ciò che circola in questo agire particolare è una tensione a promuovere il senso della decisione da intraprendere, capace di declinarsi in una postura donativa intesa come un modo di restituire simbolicamente il benessere nella misura in cui si riconosce l’importanza dell’implicazione di una scelta - a scapito di un’altra - verso il soggetto prota- gonista del dilemma. Se non ci fosse questa pratica propositiva di attenzione nel valutare le due antinomie (alternative offerte nella possibile risoluzione di una situazione conflittuale) non ci sarebbe nemmeno la riflessione sulle conseguenze successive alla scelta o sulle cause che precedono la comparsa del dilemma. La funzionalità di questo processo dipende dalla circolarità che sta alla base di ogni buona situazione esperienziale: al fine di coltivare un ter- reno educativo fertile in grado cioè di generare buoni frutti, nonostante le intemperie dei dilemmi, occorre darsi tempo per salvare con discrezione un caso problematico. Ecco dun- que che germoglia la radice del bisogno che spinge ciascuno inconsapevolmente a ricono- scere il valore del tempo inteso come spazio di pensiero per guadagnare un ritorno di signi- ficato nel vivere professionale. Il dilemma spiega dunque la dimensione etica del vivere che non ci permette di sottrarci all’alterità ma aggiunge ad essa un’intenzione di riconoscenza. Se far dono all’altro di un’esperienza dilemmatica permette di elaborare un cambiamento costruttivo, allora quella stessa esperienza modifica - in positivo - l’approccio abituale alla visione della realtà professionale; ciò significa che muta anche il nostro atteggiamento nei confronti di ciò che subito appare destabilizzante - in negativo - nella percezione di un fat- to incerto. “Se esistono esperienze educative non formali, non progettate, proprie della

quotidianità, allora ciò che può permettere di definirle come tali è il riconoscimento di un cambiamento di sé, da parte della persona che le vive. Esiste perciò un aspetto intenzionale dell’identità: l’uomo in quanto soggetto intenzionato non è destinato a subire passivamente il mondo, ma è dotato della capacità di soggettivizzare e significare questa realtà”. (Casti- glioni, 2006, in Bertolini, 2006, p.124). La partecipazione, intesa come esperienza formativa di donare il proprio tempo all’altro in una dimensione di reciprocità, istituisce l’interazione educativa quale prerogativa di significato agente; interpretare sensibilmente le relazioni tra le persone è un vincolo attuativo di crescita interiore per il benessere individuale, interna alla dimensione di bene collettivo. Inserirsi in un orizzonte altruistico nello spazio esisten- ziale del donarsi, restituisce una conoscenza autentica nella messa in discussione del com- portamento reciproco; essa avviene quando due persone sono sollecitate a riflettere sulla criticità dell’evento educativo sia direttamente (educatore) sia indirettamente (educando) Entrambi i soggetti sono impegnati costantemente nel duplice scambio del dare e del rice- vere: aspetto imprescindibile nella gratificazione di essere bisognosi di migliorarsi assieme, l’uno per crescere in termini di potenziamento delle competenze professionali, l’altro per coltivare il compimento delle potenzialità personali. La caratteristica primaria in educazione è quella di essere individui in relazione che si attualizza nella misura in cui ci si pone a fian- co del soggetto per accompagnarlo in una dimensione morale protesa al bene per esso. Questo modo di operare nel fare educativo non rivela nessun tornaconto utilitaristico ma sottolinea la restituzione di un bene condiviso, economicamente disinteressato, poiché umanamente riconosciuto. Portare avanti questo dover essere permette di spostarsi in un panorama più ampio di percezione di sé e dell’altro da sé; dare inizio a nuove forme di convivenza nell’istituzione scolastica, significa realizzare rapporti educativi sganciati da un’apatia egoistica e liberi dalla ripetitività per promuovere il rinnovamento nelle relazioni intrise di considerazione e rispetto per le problematiche educative emergenti.

Esiste un modo di concepire l’eticità del tempo come eticità della relazione: i reciproci elementi sottendono entrambi ad un denominatore comune che ribadisce la necessità di mantenere lo sguardo sulla buona condizione esistentiva verso l’alterità per adempiere alla lettura analitica del proprio agire in cui si esplica il dono di sé per l’altro. Indirizzare le si- tuazioni dilemmatiche in una direzione di senso, attraversata dalla critica e dal confronto altrui, restituisce ad esse la dimensione valoriale che svela la loro essenza: scoprire la ten- sione comunicativa ed attuativa del bene. Ciò che è definito come “la dimensione relaziona- le della responsabilità” riguarda “la difficoltà che si osserva nei diversi contesti dell’azione

sociale nell’assunzione personale dell’impegno verso gli altri” (Molinari, 2010, p.182). Quest’ultima presuppone un atteggiamento di presenza attiva alla professione che nutre le interazioni quotidiane di buone dialettiche per la produzione di buone pratiche decisionali.

Imparare ad organizzare le controversie contestuali risponde al duro compito del di- lemma che deve individuare, illustrare e interpretare la situazione critica per la differenzia- zione di ogni ambiguità insita nella scelta. Si tratta di convenire ad un’educazione sulla di- sposizione umana come si evince dalla seguente affermazione: “un impegno individuale e collettivo a far sì che ciascuno possa essere capace di questi sentimenti / emozioni, e con- sapevole dei propri limiti, ma anche capace di scegliere il più liberamente possibile sulla ba- se di una sua riflessione – anche critica – verso ciò che esiste.” (Botti, 2000, p.229). Occorre altresì difendersi dal rischio comune di perdere troppo tempo nell’assegnare i pro e i contro dell’una e dell’altra alternativa interna al dilemma; essi, infatti, presuppongono il pericolo di perdere di vista l’essenza di una soluzione ragionevole. La persona non può essere oggetti- vata in categorie non riconducibili all’esperienza specifica, quindi ciascuna speculazione sul- la situazione per configurarsi come relazione etica deve sfuggire alla tentazione di una pre- tesa di verità assoluta. Se l’alterità dell’altro viene assorbita dentro i limiti di un’identità sta- tica nel soggetto pensante e agente, allora si applica un esercizio di potere e di potenza nell’assimilazione della singolarità dentro la generalità. Ciononostante, l’individualità dina- mica di ognuno non permette di stabilire criteri unici di relazione bensì esige l’impegno di una presa di distanza critica dalle ovvietà in cui è indispensabile saper impiegare bene le tempistiche a disposizione.

Il tempo concesso - inteso come elemento chiave per elaborare le strategie migliori di intervento - non deve cadere nell’errore di lasciarsi dominare da azioni non orientate a una correzione ossia eventuale rimessa in discussione del caso trascorso. Stabilire questi colle- gamenti tra i due poli, che si esplicitano nel criterio di separazione in un intreccio duale e contraddittorio, richiede un giudizio conoscitivo dell’evento sotto esame: applicare un eser- cizio auto - riflessivo in una relazione eticamente educativa. Il tempo - dedito a salvaguar- dare i rapporti nelle sedi scolastiche - è un’area che l’insegnante deve saper estendere nello stile di vita professionale. Mantenere uno spazio di pensiero riflessivo quotidiano, al fine di sostenere le relazioni che intercorrono tra insegnante - studente o educatore -discente, è un punto di riferimento imprescindibile alla costituzione di una gratuità etica che si costituisce proprio sul sapersi donare: desiderare il bene per e con l’altro.

Quando l’intenzionalità del pensare si fonde con il sapersi donare in un tempo non de- finito poiché la conoscenza del caso critico non è mai un lavoro concluso entro la propria pratica professionale, si stabilisce un filo conduttore nel fare; “il donare nasce dal sentire la necessità di condividere, perché si sa che in questa forma di agire c’è una generatività di senso” (Mortari, 2006, p. 197). Nel momento in cui l’individuo supera il contrasto tra i due punti nevralgici di un dubbio situazionale, grazie all’intervento di una discussione collettiva, sviluppa un ragionamento etico capace di alleviare lo stress del conflitto tra azioni incom- patibili e promuove la soluzione al dilemma come sviluppo collettivo. Gli insegnanti nel di- lemma sono chiamati ad entrare in campo come eserciti schierati su due fronti opposti che combattono una battaglia coscienziale per vincere il dubbio con la scelta agita. Dunque l’alternativa, nemica di ogni routine asettica, è destinata a trascendere da ogni conditio sine qua non e ad essere spazzata via da una ventata di cambiamento che pone in discussione il regolare andamento del vivere la scuola dentro l’istituzione. Entrare in risonanza con il si- gnificato profondo di dilemma etico comporta il sapersi riconoscere come esseri fragili, non sempre capaci di bastare a sé stessi nella solitudine della propria coscienza, bisognosi di relazioni che si configurano come canali di collegamento tra il pensare ed il fare. “Il biso- gno del pensare può essere soddisfatto solo dal pensiero stesso, e i pensieri che ho avuto ieri possono soddisfarmi oggi solo nella misura in cui ci penso daccapo” (Arendt, 2003, p. 141). L’attitudine al pensare bene deve essere accompagnata dalla capacità di saper avviare un dialogo chiarificatore con il pensiero dell’alterità, talvolta indispensabile per giungere ad una deliberazione corretta; vale a dire “la maturazione di quell’orientamento etico che con- siste nell’aver cura del pensare dell’altro, che si esprime nel saper stare nel dialogo con deci- sione, ma anche con rispetto e delicatezza” (Mortari, 2008, p. 57). La qualifica relazionale non si esprime soltanto con i destinatari della pratica educativa, bensì si concretizza anche nel rapporto collegiale, affinché anche nella condizione professionale si innesca un clima compartecipe di collaborazione. Laura Colombo affronta l’aspetto della relazione del pro- prio gruppo di lavoro anche in funzione di una maggiore efficienza lavorativa: “Nella quo- tidianità del lavoro la relazione con i colleghi e le colleghe è sempre fondamentale, poiché solo il tempo e le energie ben coordinati di tutti permettono che il sistema informativo fun- zioni al meglio. In realtà, al di là del tempo e delle energie, essenziale è soprattutto l’interazione tra competenze diverse, poiché ognuno ha conoscenze specifiche in un ambito particolare e per questo ha bisogno di collaborare con gli altri. (…) La cooperazione serve a perseguire uno scopo preciso, che coordina risorse al fine di raggiungere determinati obiet-

tivi e realizzare un progetto” (Colombo in Duemilaeuna, 2000, p.190) Ciò che è più impor- tante è il valore simbolico che acquistano tali rapporti in cui ci si mette in gioco personal- mente e nelle quali le persone contano per la loro unicità: “in queste relazioni scambiamo parole, attenzione, affetti, emozioni” (Buttarelli et al., 1997, p.23). Ecco dunque che i rap- porti umani si convertono in fonti espressive di una forma linguistica dell’etica; una presa di posizione a fronte di una situazione intricata comporta l’attuazione di un’azione decisionale indispensabile per riconoscere il nostro potenziale migliorativo nella dimensione educativa professionale. Il fine, che si attribuisce ad una relazione etica, si afferma in una maniera par- ticolare di comprendere gli eventi difficili attraverso un rapporto linguistico in grado di prendersi cura delle parole con cui si attribuisce sostanza ad una situazione intricata laddo- ve risulta indispensabile sganciarsi da un relativismo conformista per impegnarsi a scuotere le coscienze di ciascuno in una mentalità condivisa di una buona pedagogia a scuola.

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 44-50)