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La responsabilità etica come relazione di cura

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 50-59)

1. L’ETICA NEI DILEMMI

1.5 La responsabilità etica come relazione di cura

Una corretta deliberazione deve entrare in connessione profonda con il peso della respon- sabilità che accompagna ogni intervento decisivo; questo modo di affrontare il dilemma eti- co offre al singolo la possibilità di inserirsi in un fare responsabile: attivare la direzione etica della responsabilità. Infatti, non ci si può esimere dall’imputabilità di attribuire le conse- guenze di una situazione difficile alle proprie scelte compiute. Ovviamente, occorre ribadire - come già è stato detto in precedenza - che già il fatto di compiere una scelta e di risponde- re concretamente al dubbio incerto di un caso critico, presuppone l’inclinazione a fare di per sé già il bene perché nell’azione ultima si persegue comunque uno scopo buono. Mette- re in atto una consapevolezza attuativa di soluzione di un evento - laddove il fare è un’azione che segue la direzione arbitraria del dover attribuire un orizzonte di senso ad una questione divergente - è un passo verso il dover essere di qualsiasi intervento educativo che consiste nel portare a compimento la propria e specifica forma migliore di vita del poten- ziale umano di ognuno. Ciascun insegnante, infatti, svolge un ruolo incisivo (direttamente o indirettamente) nei processi di strutturazione e differenziazione dei discenti poiché un’azione educativa - nel campo di una situazione eticamente dilemmatica - è sempre diver- sa da un’altra non tanto e non solo per la varietà delle condizioni in cui si effettua, ma an- che e soprattutto per la varietà delle persone che la portano all’esecuzione concreta. Questa dinamica riconosce il fine responsabile del singolo che è in circolo ogni qualvolta si presen-

ta l’opportunità di partecipare alla soluzione di dilemmi che, seppur dibattuti, rimangono senza precedenti per la natura imprevedibile e vulnerabile di ogni essere umano a capo di un caso contorto.

Assumere un ruolo decisivo in un compito educativo significa aspirare verso una nuo- va aspettativa educativa che è in grado, a prescindere dalle problematiche che possono emergere nei complessi contesti scolastici, di colmare il divario tra ciò che è bene e ciò che male ossia di ripristinare una lacerazione. Diventare soggetti esecutori di atti possibilmente responsabili non ci esime dal considerare, appunto, gli aspetti inattesi e indesiderati che possono risultare dal compiere una scelta rispetto ad un’altra. Questa sorta di minaccia re- sponsabile - che non conosce mai in anticipo il fine ultimo di un processo dilemmatico - scuote le coscienze dei singoli, ignari degli effetti della libertà di ogni azione. Pertanto, ogni individuo deve farsi carico dell’infinità delle implicazioni che possono derivare dal debito di non aver considerato troppo la seconda alternativa e di aver vanificato una scelta residua. Contribuire all’esito di un processo che richiede di essere accettato e accolto è una risposta responsabile al carico trainante che trasporta una decisione, la quale non deve essere impu- tata di una colpa per l’altra scelta scartata. Anteporre inspiegabili implicazioni eventuali, obbliga a ragionare in relazione ai molteplici limiti che ogni forma di potere decisionale può comportare; limiti che in quanto tali non devono limitare la volontà agente ma, semplice- mente, metterla al corrente che qualsiasi scelta l’individuo si accinge a compiere non è mai priva di conseguenze. In questo controsenso citato, ciò a cui il nostro intervento deve am- bire è quello di rispondere al compito della responsabilità umana che ci induce a rimediare situazioni urgenti sulla base delle nostre possibilità; esse sfuggono al controllo totale di ciò che una nostra scelta attuale può causare nel susseguirsi di eventi sempre immersi nel mu- tamento del divenire. Ancora una volta emerge la responsabilità umana connessa alla sua essenza fragile e labile che ben si riassume nella seguente affermazione: “condizione umana, intorno alla quale, date le molte incognite del calcolo, non si può affermare nulla di vera- mente convincente, all’infuori di due elementi: lo sfuggire al controllo di certe possibilità causalmente alla portata di mano (eventualità) e l’estendersi all’intero destino umano dello smisurato ordine di grandezza di quelle possibilità” (Jonas, 1993, p.148).

Ogni azione responsabile si traduce nei termini di un paradosso dove le conseguenze situazionali ossia gli effetti che un atto deliberativo causa non possono essere previsti, né tantomeno prevenuti. Ciò significa che la responsabilità nel dilemma etico non è posta solo su due percorsi distinti che sollecitano ad una scelta, ma anche sull’insieme delle dinamiche

contestuali che offrono una preferenza valutativa in grado di indicare la strada da compiere. In aggiunta, se tale onere grava sullo sviluppo della situazione in un tempo a venire - dal momento che ogni decisione proietta in avanti le ripercussioni conclusive di una scelta - al- lora il pensiero di fare ciò che veramente può rappresentare il bene reale coincide con il so- stenere la persona posta al centro del dilemma etico. A partire da questa considerazione sul significato dell’atto deliberativo - intriso di responsabilità nell’analisi risolutiva di un dilem- ma etico - emerge il carattere primario della cura nelle relazioni; “la cura diventa una pratica eticamente informata quando l’idea di ciò che è bene fare è qualcosa assunto attraverso la riflessione critica sulla base di una disamina mai conclusa della questione prima per l’essere umano: in che cosa consiste una vita buona” (Mortari, 2006, p. 177). Infatti, spesso, le so- luzioni al dilemma che si dispongono nella pratica decisionale non sono fini a sé stesse ma si inseriscono in una visione generale che può addirittura coincidere con la prospettiva esi- stenziale del singolo. Questo perché la comprensione di un caso critico è riconducibile - in educazione - alla sfera personale di ognuno che chiama in causa gli insegnanti nel loro compito educativo primario che si realizza nell’aver cura dei soggetti con cui si trovano a trascorrere i loro momenti lavorativi. L’educazione, similmente alla cura, è un agire partico- larmente teso a trasformare in positivo la persona al fine di realizzare la propria e specifica forma di vita del suo potenziale umano. Il filo conduttore di quanto esposto poc’anzi è rin- tracciabile nel significato stesso di educazione nella quale, il ruolo attribuito alla cura, è de- terminante per mantenere la presa etica sulla dimensione umana della nostra vita. La com- plessità dei contesti scolastici - agenzie educative - risiede nell’estensione di un compito primario cui ogni individuo adulto è chiamato a rispondere per concretizzare l’azione prati- ca dell’educazione. In questa direzione specifica, aiutare le giovani generazioni a sviluppare le competenze insite in ciascun essere, significa potenziare l’autonomia necessaria al buon inserimento di ognuno nel contesto di vita (extra scolastico). Inoltre l’educatore, esteso alla figura dell’insegnante nelle molteplici forme dell’essere nel fare scuola, svolge un ruolo mol- to incisivo nei processi di differenziazione e strutturazione dell’educando in virtù del fatto che un’azione educativa è sempre diversa da un’altra non tanto e non solo per la varietà del- le condizioni in cui si effettua, ma anche e soprattutto per la diversità delle persone che la portano a compimento. Ecco dunque che emerge in maniera singolarizzante il peso dei di- lemmi etici vissuti dagli insegnanti perché le loro questioni conflittuali - esperite nella prati- ca - riversano la loro problematicità esecutiva verso coloro che ricevono esempio di un buon modo di esistere da una buona professionalità; con ciò intendo dire che i conflitti an-

titetici che gli insegnanti sperimentano nelle diverse sedi scolastiche, nonostante la varietà dei casi cui si riferiscono, sottendono tutti ad un’origine comune. Essi nascono laddove esi- stono i discendenti della competenza educativa la cui buona esistenza è spesso direttamente proporzionale alla buona integrità morale del personale. Similmente posso dire che un di- lemma, risolto o non, altro diventa che un modello esemplare in grado di indicare in che modo posso orientare verso il meglio la mia esistenza professionale nella misura in cui promuovo la mia differenza alla costruzione di una riflessione etica sulle logiche oppositive del ben vivere la scuola. Quando ogni aspetto del conflitto etico si rende disponibile a una rettificazione generatrice di un nuovo equilibrio emerge una forza risolutiva che non si sot- tomette al potere dei due elementi contendenti bensì prevale su di essi come atto di codifica positiva della intricata situazione esperita.

Nella pratica educativa e pedagogica, l’incontro con l’altro si configura come una rela- zione d’aiuto nel senso di tutelare chi si trova in condizioni critiche che pongono in essere la nascita di dilemmi etici; colui che si trova a ricevere tale resoconto sperimenta la pretesa concreta di attuare un cambiamento costruttivo nella situazione del soggetto che si trova in una condizione di bisogno. Una volta affermata questa condizione ontologica dell’essere umano, il quale non nasce già finito ma necessitante di una forma, risulta possibile afferma- re che ogni ente possiede un valore intrinseco di cui ogni soggetto è chiamato ad aver cura. “L’autentica relazione di cura è quella capace di trascendenza, in cui un soggetto si rapporta a una realtà infinitamente distante dalla sua senza che questa distanza distrugga la relazione e senza che la relazione annulli la distanza” (Mortari, 2006, p.130). Chi ha cura autentica- mente dell’altro è in grado di cogliere e rispettare i segnali che questi invia, vale a dire è nel- le condizioni di comprendere dove l’altro pone resistenza e di agire con rispetto; l’altro chiede di ricevere cura ossia di essere soggetto degno di una condizione accogliente e facili- tante, assolutamente priva di possesso. Quando Lèvinas parla dell’incontro con il volto dell’altro, insiste sul rapporto di sottrazione al possesso come resistenza al potere; in parti- colare, egli definisce questa relazione “metafisica” (Lèvinas, 1980, p.40). Questa sorta di trascendenza, che si attualizza in una soggettività insita nella responsabilità come dimensio- ne etica nel rapporto con gli altri, sottende al senso della citazione a seguire ad opera dello stesso autore:

“La circostanza in cui un uomo è responsabile di altri uomini – la relazione etica, che si considera comunemente come appartenente ad un ordine derivato e fondato – è stata trattata, lungo tutto questo lavoro, come irriducibile, strutturata come l’uno per l’altro, significante al di fuori di ogni finalità e di ogni sistema in cui la finalità non è d’altronde che uno dei principi di

sistematizzazione possibili, questa responsabilità appare come intrigo senza inizio, an-archico. Nessuna libertà, nessun impegno preso in un presente – in un presente qualunque e, di conse- guenza, recuperabile – è il diritto di cui questa responsabilità sarebbe il rovescio; ma nessuna schiavitù è inclusa nell’alienazione del Medesimo che è «per l’Altro». Nella responsabilità il Me- desimo, l’Io, sono io, convocato, provocato come insostituibile e così accusato come unico nel- la suprema passività di colui che non può sottrarsi senza carenza” (Lévinas, E. (1974) Altrimenti che essere o al di là dell’essenza in Da Re (2008) p. 271).

In questa prospettiva, ogni soggetto dà un’esperienza di sé in cui si costituisce come persona responsabile per altri, la cui propria essenza valoriale ed individuale si ripercuote nell’impegno dell’insegnante ad operare una riflessione sistemica sull’incompiutezza del proprio io, cioè l’essere chiamato alla ricerca di uno spostamento trasformativo nel buon agire collettivo. Quando in un conflitto etico ci sono in gioco due fattori apparentemente irriducibili si tende a colmare un potenziale ri-equilibrio della situazione - sfuggita al benes- sere unanime - per aggiustare ambedue i frammenti di ciò che suscita una discrepanza inte- riore. Quest’ultima è la matrice della costitutività propria dell’essere umano, il quale viene al mondo come soggetto necessitante di ricevere quelle cure necessarie a promuovere una forma costitutiva del suo stare e vivere nel quotidiano. L’importanza della relazione fra la persona e l’azione che essa persegue nel portare a compimento un compito educativo, tra- duce il pensiero dell’atto in un aver cura per l’altro; le espressioni attuative si concretizzano e assumono un significato solo in riferimento ad un soggetto specifico come riprova del fatto che si definisce il proprio agire nei termini di un lavoro necessario a ripensare radi- calmente il concetto di persona. Nonostante le diverse concezioni di buona cura da attri- buire ad ogni soggetto, nella diversità delle esigenze manifestate, per far derivare la cura all’atto che essa produce, occorre tener presente la dinamicità insita in ogni rapporto laddo- ve si riconosce il prendersi a cuore nel profilo unico e singolare di ogni essere umano. L’aver cura, legato alla capacità affettiva di voler il bene dell’altro, si muove all’interno di una precisa logica che promuove l’impegno concreto di singoli atti educativi dediti all’unicità di ciascuno. Il protrarsi con dedizione, determina la realizzazione di un atteggia- mento esistenziale teso a portare a compimento un cammino di perfezionamento di ciò che esclusivamente siamo nella nostra evoluzione possibile. Occorre prestare riconoscimento alla non – completezza originaria della persona, ossia il fatto che essa inizialmente non è ancora perfetta, ma che il suo movimento vitale può camminare in funzione della perfezio- ne perché esattamente corrispondente alla tendenza di ciò che è, in direzione della sua for- ma migliore affinata dal modo di vivere le relazioni con altri significativi. A rendere nota la condizione umana convengono le parole di L. Mortari quando afferma: “Nessuno di noi

nasce già definito, al contrario ciascuno viene al mondo mancante di forma, gravato dal compito di dare compimento al proprio essere; ma ciò che fa della condizione umana uno stato fragile e incerto è che nell’attualizzare questo compito nessuno è autonomo, tutti di- pendiamo dagli altri in uno scambio reciproco d’essere. In questo senso la qualità ontologi- ca dell’essere umano è quella della mancanza d’essere che ci rende dipendenti dagli altri. Proprio in quanto mancante d’essere ciascuno necessita di nutrirsi delle relazioni con altri” (Mortari, 2006, p. 98)

La centralità della cura nell’esperienza umana come responsabilità di natura educativa ridisegna l’idea stessa di umanità, a partire dal dato originario della nostra venuta al mondo la quale ci qualifica come essere dipendenti dall’alterità. Noi dipendiamo dagli altri in diversi periodi della nostra vita, semplificato dal fatto constatato che segnala l’inizio e la fine dell’esistenza di ciascuno: il neonato e l’anziano rappresentano due “archetipi della cura” (Mortari, 2006) che affermano l’originale e finale dipendenza del soggetto e, quindi, indica- no la debolezza dell’autonomia come fondamento unico dell’esserci della persona, destinata a nascere e a morire sola ma pur sempre circondata da altri individui. È bastevole affinare l’ottica nella circostanza reale per ravvedersi dal modello illusorio dell’adulto come indivi- duo autarchico e, in quanto tale, sganciato in una libertà distorta che danneggia l’idea stessa del valore comunitario. Confrontarsi con il presupposto, costitutivamente pedagogico, che il tempo, le circostanze, l’aver bisogno di sentimenti positivi e di sane relazioni concorrono a configurare il nostro modo di abitare nel mondo e la nostra ricerca di una vita buona è indice di un errore nella rappresentazione della persona matura, perfettamente spettante e pienamente autosufficiente, poiché non rispondente ad un’immagine attendibile della con- cretezza umana che contrassegna, sempre e dovunque, la necessità di situarsi in una rela- zionalità che segnala dipendenza reciproca. L’essere bisognosi di qualcuno che si faccia ca- rico di un miglioramento ben più grande della nostra indipendenza ovvero il nostro poten- ziale aver da essere appartenente alla nostra non – compiutezza, è desunto nella particolare esperienza di cura come riconoscimento responsabile di un bene che tende alla trasforma- zione migliorativa di una realtà educativa. “Se l’etica è l’interrogarsi sulla qualità della vita buona, la cura è un agire orientato dal desiderio di promuovere una vita buona” (Mortari, 2006, p. 179). Riprendendo il discorso citato poc’anzi, se facciamo nostro il presupposto secondo il quale noi tutti iniziamo a vivere in qualità di esseri necessitanti di cure e finiamo di esistere in virtù di soggetti bisognosi di continua assistenza significa che la cura riveste una posizione centrale nella definizione etica: il vivere con altri, occasione in cui ognuno

porta a compimento sé stesso, delinea una direzione relazionale etica che definisce la reci- procità nel vivere bene. L’attrazione per questo tema, pur non comportando un passaggio automatico nell’immediato, si spiega facendo riferimento alla responsabilità affrontata nell’eseguire i processi decisionali - contesti d’azione che gli individui sperimentano di fron- te ad un dilemma etico - al fine di comprendere la motivazione che sottende l’impatto criti- co del manifestarsi degli stessi. Educare gli insegnanti a riflettere sulla cura è un invito a pensare alla struttura etica costitutiva dell’essere umano come pratica dell’agire eticamente in educazione.

La responsabilità etica è ricavata nell’esperienza di un pensare individuale che può esse- re fatto oggetto di riflessione in rapporto con gli esempi di conoscenza reale che si condivi- dono nel rapporto con i soggetti di cui ci si prende cura; secondo un comportamento che non è definito da regole (universali e astratte) ma dal grado di benevolenza che perviene dallo stare in relazione. “Un’etica che riconosce cioè il valore di pratiche esemplari nel far sorgere quelle emozioni che sono necessarie allo sviluppo della morale; emozioni, e rifles- sioni su di esse, che vengono apprese nella pratica, nel fare esperienze e riflettervi, che non possono essere generate da una procedura astratta o da una regola generale” (Botti, 2000, p.176). Ogni situazione concreta richiede la messa in discussione di decisioni controllabili aprioristicamente, nonché la messa in atto di un’analisi sottilmente preoccupata di offrire adeguatezza di comprensione ad ogni caso e appropriatezza di riscontro.

Il modo di esperire un dilemma etico diventa fondamentale quando esso è vissuto co- me una questione primaria della ricerca del benessere altrui a cui nessun educatore può esimersi dal dovere morale sotteso alla sua funzione pedagogica. L’ impegno che si esplica nell’esercizio di una capacità decisionale nel discernere la scelta migliore da agire, si offre ad una posizione di presa di coscienza della propria responsabilità che anticipa la continuità delle pratiche di cura in un fare responsabile; l’attitudine a compiere un compito simile è di per sé un dilemma perché pone l’individuo in una duplice frammentazione ossia compren- dere un caso critico dal punto di vista soggettivo o oggettivo. Detto in altri termini, secon- do una visione interna o esterna di procedere nella competenza professionale. Nell’analisi dei bisogni di soluzione al dilemma, l’elemento soggettivo costituisce una risposta legata alla propria identità vale a dire un ideale valoriale interno alla persona che si esplica nel limitare il proprio ragionamento chiudendo la prospettiva dell’alterità. Al contrario, l’elemento og- gettivo istituisce una nuova dimensione di apertura che comprime i propri desideri auspica- bili per volgere lo sguardo alle situazioni esterne all’individuo aderendo al punto di vista

dell’altro. Il ripristino di un piano soggettivo (interno - personale) e di un piano oggettivo (esterno -sociale) stanno al dilemma come un insieme di abilità che individuano la buona premura nel sollecitare l’intervento educativo. Attuare lo sforzo compensativo di orientare l’agire, spostando il piano da un’azione immediata ad una accuratamente ricercata, significa non soccombere alle interpretazioni istantanee di soluzione al caso critico, le quali tendono a semplificare la complessità del reale, equilibrare la naturale deviazione per impostare una direzione di senso nella traiettoria del ben fare. Entrambi i fattori predispongono due lettu- re diverse di manifestare il modo di aver cura nella trattazione di un dilemma educativo che - inevitabilmente - pone in essere un criterio di selezione nella strategia di sostenere la con- troversia dilemmatica.

2. IL METODO

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 50-59)