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L’epoché

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 88-92)

2. IL METODO

2.3 Preoccuparsi della ricerca

2.3.2 L’epoché

La mossa epistemica per comprendere l’essenza del mondo esperienziale che circonda l’alterità risiede nella consapevolezza di abitare lo spazio vitale del soggetto altrui come un luogo vuoto alla nostra ragione conoscitiva: la specificità essenziale di ogni fenomeno, in quanto tale, deve avvenire mediante un accesso privo di ogni astensione di giudizio. La mente, per esercitare questo proposito, proprio della fenomenologia, deve sciogliere il con- tenuto del pensiero da quei punti di unione concettuali che impediscono alla cognizione di concentrarsi sull’autentica comprensione della realtà. “Uno stile fenomenologico e alcuni strumenti elaborati in quella tradizione di pensiero, come la capacità di sospensione del giudizio, si rivelano indispensabili atteggiamenti euristici, che fanno parte della postura del

ricercatore, prima ancora che della sua cassetta degli attrezzi” (Tarozzi, 2008, p.86). Un at- teggiamento fondamentale da mettere in atto è stemperare il fare imperialistico di un ragio- namento immediato che necessita di essere modellato secondo una forma inaggirabile del venire a conoscenza dei fenomeni. Tale compito primitivo avviene quando si considera l’oggetto dell’indagine attraverso una povertà assoluta dei contenuti di conoscenza, senza segregare questi ultimi in alcuna visione preconcetta di essi. Ogni caso di dilemma etico de- ve essere considerato esattamente così come esso si presenta cioè isolato da elementi che possono ingabbiare il vissuto altrui entro standard già sufficientemente visitati. In altri ter- mini, rifiutare volontariamente l’accettazione di teorie simboliche sull’esperienza che l’altro offre alla nostra coscienza, vuol dire distogliere il pensiero da ogni universalità che impedi- sce di avvicinare il ricercatore al fenomeno con assoluta umiltà di intuizione. Formulare un giudizio in assenza di ragioni oggettive (affrettato) e accordare ad esso la piena convinzione di esattezza, conduce ad uno stato mentale misero poiché privo di qualsiasi presa di co- scienza critica del fenomeno sotto esame. Invece, la sospensione del giudizio impone di astenersi dagli atti falsi del sapere fino al pieno raggiungimento di un’idea temporanea dell’esperienza altrui ossia non duratura e, possibilmente, rivisitata. Nel momento in cui si percepisce una conoscenza del modo proprio di apparire dell’altro, non si tramuta quella interpretazione in una certezza da generalizzare ad altri fatti simili, ma si assume come una motivazione migliorativa al proprio studio che aiuta a mantenere un interesse costante per le cose. Il modo proprio di rivelarsi dell’alterità non deve tramutare l’apparire manifesto della singolarità in una generalità atomistica, ma in un essere al corrente di un particolare vissuto di cui ad ogni momento può essere revocata la validità. Tale atteggiamento permet- te di intensificare la fame di conoscenza autentica per essenzializzare il pensiero sotto esa- me; “la fenomenologia, infatti, è “una scienza di essenze”, ossia “una scienza che intende stabilire esclusivamente conoscenza di essenze” (Husserl, cit. in Mortari, 2007, p.78). Lad- dove si acquisisce la consapevolezza che il campo delle scienze umane è un terreno sensibi- le d’indagine, si incrementa parimenti la necessità di non recintare il significato esperienziale che l’altro comunica entro le proprie strutture. Ogni particolare narrato deve essere degno della massima considerazione, estranea ad ogni giudizio preventivo: il vissuto del soggetto narrante non può essere sottoposto all’indignazione che conduce ad una squalifica dell’altro. Dunque, lungi dal condannare ogni contenuto di dilemma etico offerto, è oppor- tuno rinunciare alle incertezze delle illusioni moralistiche semplicistiche e concepire l’individualità propria di ogni soggettività agente come essere di valore. Mettere fuori circui-

to tutti quei saperi che costituiscono la conoscenza ordinaria significa non accettare come parte integrante dell’esperienza il senso comune; abbandonare l’atteggiamento naturale ad assumere gli eventi come scontati e restare sull’aspetto cognitivo della riflessione. Eliminare gli effetti di un’assenza di esercizio di epoché, ovvero non fare affidamento sul mero ragio- namento umano per evitare di cadere nella trappola di contaminare il modo di comprende- re un fenomeno mediante le rinchiuse azioni prevedibili; tale logica è da imporre alla ragio- ne per identificare il sapere con fare discutibile, nonché svuotato da ogni condizionamento.

È possibile attualizzare tale disposizione d’essere grazie all’esercizio dell’ “epochè” che implica la “messa tra parentesi” (Husserl, 2002, p.71) per comprendere le “invarianti strut- turali” della cosa (De Monticelli, 2008, p. 18). In particolare come afferma De Monticelli (1995) l’epochè può essere considerata come la sospensione dei nostri appunti con le cose del mondo; dunque, è assolutamente rilevante “applicare il principio dell’epochè, cioè della messa tra parentesi delle presupposizioni e delle teorie preesistenti all’indagine stessa in quanto condizione per accedere alla datità originaria dei fenomeni indagati” (Mortari, 2007, p.78). Annullare le precomprensioni anticipate verso l’incontro con i soggetti e gli inevitabi- li pregiudizi sulla loro pratica significa, resettare ogni calcolo preventivo di ciò che si sta per andare ad indagare e applicare come unico valore numerico di riferimento lo zero. Conside- rare quel punto puro equivalente al nulla che recede ogni parametro valutativo come assen- za della volontà individuale di anticipare l’altro: “Un soggetto umano può, almeno tempo- raneamente, mettere da parte il suo intrinseco interesse per lasciare che gli interesse dell’altro o le caratteristiche di un oggetto si possano anticipare da sé” (Giorgi, 2004, p.25) . L’esperienza specifica dei soggetti, il loro modo diverso di presentarsi al mondo, costituisce un appello interrogante la nostra coscienza; ciò permette di liberarsi dal flusso di tutte quel- le convinzioni, assunzioni comuni, nelle quali il manifestarsi dei fenomeni è inevitabilmente destinato ad imprigionarsi entro proprie griglie concettuali, quelle che determinano i pre- supposti taciti su cui fondare inconsapevolmente la conoscenza. Di fondamentale impor- tanza è sforzarsi di mettere tra parentesi la realtà del mondo (e le teorie e i giudizi attorno ad esso) per dirigere l’attenzione esclusivamente sulle essenze.

Ad esempio, un dilemma etico, dal punto di vista pratico - educativo - scolastico, è l’oggetto della ricerca a cui sono interessata: posso immaginarlo, dedurlo nel bel mezzo del racconto ascoltato, pensarlo in un’ottica risolutiva o riflessiva. In tutto ciò è la sua realtà passata, futura e presente che mi appassiona come contorno al dilemma stesso. Ma se eser- cito l’epoché, cioè metto in parentesi il mio modo di pensare il dilemma, quello che mi ri-

mane da considerare è l’essenza intrinseca al dubbio antitetico: che cos’è il dilemma etico per ciascun insegnante coinvolto, che cosa significa, come viene percepito etc. Questo per dire che nel considerare l’essenza, io non partecipo all’affermazione del mio modo di inten- dere la realtà del dilemma perché trattengo e contengo l’esaltazione del mio possibile ideale della realtà dilemmatica. Il salto qualitativo appoggia sul passaggio dall’atteggiamento natu- rale all’atteggiamento fenomenologico che contempla i tratti dei caratteri essenziali del fe- nomeno perché li guarda nell’ottica della novità mai vista prima.

Infatti considerare in maniera oggettiva e fredda un vissuto eticamente dilemmatico è disumanizzante per entrambi i soggetti coinvolti nel processo di ricerca (ricercatore e parte- cipanti): entrambi sono dislocati in una relazione che si attualizza nel confronto tra sogget- to e soggetto. A tal fine non bisogna dissociare i due singoli come persone poste in un rap- porto asimmetrico (validità attribuita solo ad uno dei due soggetti della relazione) ma asso- ciarli nella reciprocità distribuita nella diade relazionale. Questa è una mossa cognitiva che presuppone il ritrarsi del cospetto troppo pieno dell’io, tale da permettere all’altro di non essere assorbito nel medesimo. Non presupporre nulla di ciò che l’altro intende dichiarare nella narrazione esperienziale, implica saper cogliere il significato di un caso. Incrementare esponenzialmente l’inequivocabile consente di negare tutto ciò che può anticipare il vissuto narrativo altrui che, in quanto tale, rimane indipendente dalla nostra concezione vitale.

L’attenzione che occorre prestare è quella riservata unicamente al modo particolare con cui un soggetto appare nel mentre racconta la sua esperienza. Tale nonsense immediato non deve essere concepito come un disfarsi totalmente di ogni certezza per considerare ogni dettaglio problematico, ma come un mettere tra parentesi cioè un neutralizzare quello che inquina la mossa del ritrarsi per consentire all’altro di manifestarsi senza filtri. Infatti, l’epoché deve essere interpretata come un’esperienza che deve accompagnare l’azione co- stante del fare indagine, come una disposizione a staccarsi da ogni dominio imperialistico della ragione. Disfarsi dunque delle ragioni esplicite ed implicite, espresse e sottointese, rappresenta una sorta di formazione come componente chiave per sondare il significato delle esperienze di ricerca. Ciò significa che il processo di interpretazione dell’esperienza altrui deve rimanere entro certi limiti di pensiero per non valicare quella balaustra della ri- flessività pressapochista che tende a recitare l’attività del pensiero, ivi comprese le abitudini quotidiane che si radicano nella vita di ogni giorno, in un sistema utopico di certezza. “Esercitando l’epoché non si mette in dubbio il valore di certe conoscenze ma semplice- mente non se ne fa alcun uso; le si lascia in sospeso, poiché da esse non si ricava alcun ele-

mento per il processo conoscitivo messo in atto” (Mortari, 2009, p.68). Husserl scinde l’epoché in due forme distinte: radicale e professionale. La prima si realizza nel momento in cui la persona abbandona il modo di vivere e di agire ordinario che implica la spinta a strut- turare la realtà facendo affidamento a sicurezze consuetudinarie, magari archiviate in un tempo passato, che oscurano il divenire del soggetto nel tempo presente del qui ed ora. De- strutturare la tendenza a fare affidamento sulla veridicità dell’atto quotidiano implica il sa- per aprire l’ottica di scorgere l’imprevedibilità dell’orizzonte esperienziale che l’altro offre allo sguardo del ricercatore durante il racconto del suo caso dilemmatico. Poiché l’individuo non è un congegno meccanico che opera automaticamente, tale disciplina abbisogna di un tempo opportuno per ambientarsi nel pensiero di ognuno come l’abitare una casa vuota, così che l’essere dell’altro trovi in essa dimora. Stare nell’essenziale, al di là di ogni desiderio che vuole mirare subito all’efficienza di una scientificità da produrre, comprende il saper avvalersi anche della seconda declinazione sotto cui si presenta l’epochè: sbrogliare il pen- siero da tutti quegli attrezzi che fungono da strumenti preparatori per collaudare procedure e teorie di ricerca; in altri termini, liberarsi dalla smania di mettere in circolazione in breve tempo conclusioni attendibili.

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 88-92)