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La postura adeguata del ricercatore

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 84-88)

2. IL METODO

2.3 Preoccuparsi della ricerca

2.3.1 La postura adeguata del ricercatore

Stare con senso nel mondo dell’educazione significa mirare ad approdare a una teoria fon- data radicalmente sull’esperienza esclusiva dei soggetti per garantire quel rigore epistemolo- gico che deriva dal costruire induttivamente l’analisi del materiale raccolto per strutturare gradualmente l’evoluzione descrittiva ed interpretativa del contesto situazionale investigato.

L’apertura dell’oggetto d’indagine non si traduce nella validazione dell’idea di dilemma etico, già pensato nel mio intelletto, ma si offre nella concretezza a partire dall’esperienza vissuta dai soggetti come punto di cominciamento originario per investigare autenticamente i significati che si depositano nella mente dei singoli.

Essi si strutturano lentamente per fornire un racconto concettualizzato in relazione alla loro pratica educativa densa di eventi problematici, laddove, “gli incidenti critici non sono eventi sensazionali, ma situazioni frequenti nella pratica quotidiana” (Mortari, 2007, p.118). La mia attività di investigazione, circa l’argomento motivo del mio studio, non risiede nel trovare un adempimento assolutistico ad una conoscenza certa, garantita da risultati stabili e ripetibili per controllare il manifestarsi di altri fenomeni simili bensì come un compimen- to sensibile di una decifrazione fedele alla qualità del reale. Essa si esprime nelle narrazioni degli insegnanti come sapere aderente alla loro realtà esperienziale che concorre a fornire l’esattezza di ciò che si propone nel flusso dei dilemmi etici presentati.

Gli individui che esperiscono un dilemma etico, rinunciando a fare affidamento a si- stemi coerenti di principi valoriali adeguati a dirigere sempre ed in ogni caso l’operato mi- gliore del soggetto, sono smarriti e perplessi: lo sforzo di esporre immediatamente il bivio del caso vissuto è fonte di inevitabile preoccupazione agente nella scelta. Dunque, porsi in modo non disturbante dirimpetto al soggetto significa accettare tutto il ventaglio delle pos-

sibilità dilemmatiche (risolutive o valutative) e riconoscere la vulnerabilità del singolo che si cela dietro ogni descrizione narrante la situazione.

Per dare forma attuativa al dire fenomenologico, i soggetti partecipanti non devono es- sere condizionati nella loro narrazione descrittiva del dilemma etico sperimentato, non pos- sono ingerire modalità di scelta agenti solo perché facenti parte di una concezione comune del bene, ma dopo averle presentate e masticate, possono decidere di farle loro o rigettarle. Un’attenta ponderazione sul procedere autentico nel racconto permette di condividere l’esperienza secondo una riflessione e una responsabilità condivisa che attiva la dimensione etica della direzionalità della ricerca intesa come opportuna.

La reciprocità nell’agire da soggetti ragionevolmente etici, mi induce a valutare ogni singola capacità espositiva del soggetto in termini nuovi e mai scontati, per scartare il già detto ed accettare nuove forme di sapere. Il fine che perseguo, nella condotta di una ricerca situata accanto alle persone, è di coltivare un terreno florido nel quale far fiorire l’altro nella conformità del suo connaturato valore; ciò rivela una presa di distanza critica dalle ovvietà che orientano il sapere collettivo, utile per non rimanere intrappolati nella definizione di un sapere comune impersonale e per acquisire un ethos come attitudine al rimando etico. Co- loro che si prestano a descrivere un loro dilemma, devono sentire di potersi rivelare auten- ticamente per quello che sono senza sentirsi forzati di esibire un certo tipo di esperienza ri- chiesta. Per realizzare quanto sopra, occorre superare la propria auto comprensione (pronta e rapida) per rimanere ancorati all’esperienza dell’alterità esattamente così come essa si affi- da al ricercatore. Detto diversamente, per eliminare le dissonanze tra esperienze diverse oc- corre utilizzare dei filtri cognitivi ossia dei dispositivi permeati dalla capacità riflessiva del ricercatore che revisiona le forme di anticipazione dell’esperienza altrui in criticità da sop- porre all’obiettività della ricerca.

Colui che fa ricerca deve porsi, verso i partecipanti alla stessa, in modo non anticipato per venire meno, appunto, all’ esperienza anticipata (Mortari, 2007); ciò vuol dire che il ri- cercatore non può avere la pretesa di indagare la realtà per dare conferma a proprie teorie sull’esperienza altrui ma, per mirare all’essenza delle cose stesse, deve adottare un modo di porsi oggettivo per non precorrere il manifestarsi dei fenomeni nella loro intima presenta- zione. Per raggiungere tale traguardo conoscitivo, non bisogna incorrere nell’intoppo erran- te di annullare la propria soggettività, relativa al pensare e al sentire. La postura del ricerca- tore deve, pertanto, essere filtrata sistematicamente per rivelare l’essere dell’altro in modo originario e autentico: desiderare una verità capace di essere compatibile con l’alterità.

Tutto questo impegno etico è indispensabile per non trascurare di tutelare la trascendenza del soggetto come portatore puro della sua esperienza critica; è in questo ordine di inten- zionalità posturale che ha luogo il modo originale del pensare che trascende il ragionamen- to immediato ed ordinario. Il ricercatore, per interpretare eticamente l’atto euristico - non- ché per rendere possibile la rivelazione dei dati in modo originario e autentico - deve alleg- gerire lo spessore dei suoi paradigmi e i limiti di una sua decifrazione dell’esperienza dell’altro per non compromettere l’accesso autentico alla realtà. Salvaguardare lo spazio esi- stenziale dell’altro rende possibile un freno alle anticipazioni illusorie quelle cioè che, pen- sando l’altro attraverso il vaglio delle proprie aspettative, rendono invisibile la sua singolare essenza originale. Se si accetta il presupposto secondo il quale alla base di ogni disposizione d’essere c’è una concettualizzazione che dice le qualità essenziali dell’ente cui si dirige la no- stra attenzione allora, per dare solidità alla postura etica del ricercatore, è fondamentale in- dividuare quali concettualizzazioni dell’altro sono essenziali affinché il ricercatore maturi il modo di essere del rispetto. Infatti, la concettualizzazione è riferita ad un contesto semanti- co, ossia ha valore solo entro il contesto degli eventi di cui l’individuo ha avuto esperienza; lo studioso non deve tanto assumere come categoria rilevante quella elaborata dalla sua semplificazione della realtà, quanto accettare il punto di vista condivisibile dell’altro come crescita d’informazioni e di riguardo per la persona. L’atteggiamento del ricercatore nel mentre dell’indagine deve necessariamente promuovere quella concettualizzazione ontolo- gica che percepisce ogni ente come avente valore intrinseco. “L’altro chiede di ricevere cu- ra, ossia di essere oggetto di una considerazione accogliente e facilitante, ma senza che que- sta accoglienza si tramuti in possesso, perché il volto dell’altro, proprio per tutelare la pro- pria alterità, si sottrae al potere” (Mortari, 2006, p.188).

La facoltà di sottrarsi al possesso (Mortari, 2006) è una disposizione da coltivare con attenzione perché il soggetto abitualmente cioè a causa forse dell’impianto strutturale e uti- litaristico della nostra cultura, tende a non proteggere l’altro nella sua singolarità ma ad og- gettivarlo nella generalità. “Nella prospettiva del mondo delle apparenze e delle attività da esso condizionate, la caratteristica principale delle attività della mente è la loro invisibilità” (Arendt, 2009, p.154). A quanto sopra esposto, aggiungerei la difficoltà di noi esseri umani a considerare i presupposti taciti, le idee implicite, le premesse non indagate che talvolta guidano le nostre azioni cioè l’atteggiamento naturale ad assumere la realtà come non pro- blematica. Tale andatura istintiva se da una parte ci è indispensabile per sopravvivere, dall’altra nasconde però alcuni aspetti insidiosi. Essa ci porta ad accomodarci sulle nostre

credenze, ad assumere pensieri precostituiti, a ragionare secondo il semplicistico senso co- mune. Così facendo aderiamo a modi di pensare che prendiamo per buoni senza averli in- dagati, pur mantenendo l’impressione che essi siano nostri. Questo esercizio di dominio funzionale al buon vivere, può giustificare l’esperienza dell’altro in nome di un sentire co- mune, per definizione impersonale e non responsabile che è lungi dal rimando etico. Quest’ultimo esige l’impegno di una pratica riflessiva che comporta una presa di distanza critica dalle ovvietà che orientano il sapere collettivo, non solo per accrescere le conoscenze correttamente ma, soprattutto, per acquisire un ethos, un aumento di consistenza del pro- prio essere.

Ciò che muove l’agire secondo questa direzione di senso è il pensare di salvaguardare la singolarità delle situazioni particolari per restituire l’unicità di un evento ad alto tasso di problematicità, visibile in ogni caso critico di dilemma etico vissuto. È possibile attuare concretamente questa mossa del pensiero grazie all’attenzione di non produrre un esito si- stematico ossia bandire l’intento di analizzare casi mediante l’uso di tentativi già compiuti e “non – cercare” (Mortari, 2007). “Semplicemente desiderarlo, senza tentare di realizzarlo. Pensarci solamente. Perché ogni tentativo in questo senso è vano e si paga caro. Nel fare questo, tutto ciò che chiamo ‘io’ deve essere passivo. Mi è richiesta solo l’attenzione, quell’attenzione così piena che l’ ‘io’ sparisce” (Weil, cit. in Mortari, 2007, p.96).

Seguire quest’ottica evita il controllo sul naturale procedere dei fenomeni per non bloc- care il loro naturale mostrarsi. Pertanto, intendo sottolineare il mio dissenso a stabilire anti- cipatamente linee guida da seguire per monitorare eventuali esiti attesi; infatti, disporre di strumenti economici che pretendono di prevedere eventuali risvolti futuri, sottesi nella pro- spettiva del presente, non ottimizza il valore di uno studio empirico ma tramuta l’utilità in banalità.

Certamente un simile compito, richiede l’impegno di un lavoro pensosamente arduo e meticolosamente essenziale che esclude le generalizzazioni asettiche ed include l’analisi del reale nella qualità parziale in cui le cose si manifestano e si danno alla coscienza. Per soste- nere un tale interesse, si richiede una copiosa investigazione su un numero ampio di sogget- ti diversi - ognuno portatore di un’esperienza distinta - per giungere a ritenere valide le di- verse espressioni di senso, coadiuvate attorno allo studio del fenomeno esplorato.

Lo spessore di questo metodo è ben espresso nella seguente espressione: “la differenza e la varietà del materiale raccolto costituisce un problema, poiché non rende traducibili in dispositivi algoritmici i dati che si ricavano dall’analisi di tale materiale; (…)E poiché la real-

tà umana, il mondo dell’esperienza, è luogo della molteplice differenza, delle azioni uniche e singolari pur su uno sfondo comune e condiviso, raccogliere materiale che renda conto di questa differenza, anche se difficile da elaborare per una scienza che ha sempre cercato di evitare l’unicità e la singolarità, è azione obbligatoria” (Mortari, 2010, p.18).

Essenziale è instaurare uno spazio vitale di relazione per non ridurre la raccolta dell’esposizione offerta entro categorie oggettive e controllabili dalla sola ragione. Stare in una logica di remissione al dato permette di disporre della chiave di ingresso alla realtà nella sua datità originaria; certamente rimane indispensabile collaborare scientificamente alla messa in atto di elementi che sistematizzano la densità del materiale raccolto lungo il tragit- to della ricerca; ciononostante, occorre portare la considerazione dello studio intrapreso non sul relativismo del controllo dominante sulle cose visibili bensì sulle qualità emergen- ziali che obbligano a non comprimere i dati entro formule globali di decifrazione numerica dell’esperienza altrui. Infatti, l’intreccio di concordanze di cui si compone una ricerca com- piuta tra e per le persone istituisce l’indizio rivelatore della cura come perseveranza nella ri- sposta delle necessità esistenziali altrui. “Per questo si può parlare di auto-eco-realizzazione, termine che spiega come le persone impegnate in azioni di cura agiscano per-sé-e-per-gli- altri-insieme, poiché secondo l’ontologia della relazionalità il ben-esserci non è concepibile a livello del singolo, ma sarebbe il frutto di un agire cooperativo”. (Held, 2006, in Mortari, 2006, p.177). Il miglioramento che si può riscontrare in questo cammino di professionaliz- zazione è dato dal riconoscimento che si attribuisce ai singoli contenuti espressi nonché alle pratiche riflessive sul proprio ruolo professionale in funzione del benessere dei soggetti coinvolti come reciprocità condivisa nel buon vivere la ricerca.

Nel documento I dilemmi etici degli insegnanti (pagine 84-88)