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Della (ir)ragionevole Durata del Processo

Yevtushenko disse che la giustizia è come un treno, che è quasi sempre in ritardo. In Italia, dove i treni sono già per conto loro in ritardo, quello della giustizia rischia di fare la fine del treno atteso da Godot e non arrivare mai63. La giustizia, intesa come longa manus della pubblica amministrazione, è per definizione in ritardo. Il ritardo è fisiologico. Quando l'illecito è già commesso, si interviene, a tentar di riparare le cose. Ma tra il fisiologico ed il patologico v'è grande differenza.

Il principio della ragionevole durata del processo è spesso declamato e più volte riconosciuto in ogni ordinamento civile. Già con la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avvenuta con legge del 4 agosto 1955, n. 848, sino al riconoscimento, già evidenziato, nella massima carta costituzionale, all’articolo 111 tramite la legge

63 La durata ragionevole del processo ha indotto perfino autorevole dottrina a

definirla un “incubo”, in riferimento alla tendenza di certa giurisprudenza a sacrificare anche garanzie fondamentali del giusto processo sull’altare della celerità della giustizia: G. VERDE, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, p. 505 ss. In tema, cfr. anche M. BOVE, Il principio della ragionevole durata del processo come canone interpretativo delle norme processuali nella giurisprudenza della Corte di cassazione, Napoli, 2010; R. CAPONI – D. DALFINO – A. PROTO PISANI – G. SCARSELLI, In difesa delle norme processuali, in Foro it., 2010, I, p. 1794 ss

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costituzionale n. 2 del 22 novembre 1999 ed infine, con maggior attenzione al concreto riconoscimento di tale principio, nella “Legge Pinto”, la legge n. 89 del 24 marzo 2001, dedicata all’ “equa

riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo”64.

Nonostante però i numerosi richiami e il consenso multipartisan sulla necessità di un processo dalla durata ragionevole, poi, nella pratica il sistema italiano smentisce le proprie origini teoriche.

Il primo riconoscimento normativo cui fare riferimento è l’art. 6, comma 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, approvata il 4 novembre 1950 e ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 848 del 4 agosto 1955. Questa norma sancisce che:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente,

pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.”

Parallelamente l’art. 111 della nostra costituzione statuisce che:

64 Per una rassegna delle varie fonti normative si veda G. MUTARELLI, Sulle cause della "irragionevole" durata del processo civile e possibili misure di reductio a "ragionevolezza", disponibile on-line su www.judicium.com

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“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni

di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.”

Di immediata evidenza la differenza prospettica, ove la CEDU centra l’attenzione sul diritto del singolo, il legislatore costituzionale, forse proprio nella consapevolezza del contesto socio-culturale italiano, ha preferito l’ottica impersonale. Come se la ragionevole durata del processo65 non fosse già un diritto fondamentale del cittadino e per il cittadino, ma piuttosto un quid pluris, una caratteristica auspicabile dello stato di diritto ma non fondamentale, che la legge si impegna ad assicurare. Di tanto è testimone la scelta di collocamento operata dal legislatore per il principio in questione, nel capo relativo alla giurisdizione e non invece tra i diritti fondamentali. Dunque la dimensione è quella oggettiva, che impone la ragionevole durata quale

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Sulla ragionevole durata del processo, v., tra gli altri: OLIVIERI, La “ragionevole durata” del processo di cognizione (qualche considerazione sull’art.111, 2° co. Cost.), in Foro it., 2000, V, p. 251; LAZZARO-GUERRIERI, La ragionevole durata del processo civile e la terzietà del giudice nella riforma dell’art. 111 Cost., in Giust.civ., 2000, II, p. 293; TARZIA, Sul procedimento di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, in Giur. it., 2001, p. 2430; DIDONE, La Cassazione, la legge Pinto e la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. tri. dir. proc. civ., 2004, p. 193; FALLETTI, Si ricompone il contrasto tra la Corte di Strasburgo e la giurisprudenza italiana sull’effettività del rimedio interno previsto dalla legge Pinto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 209.

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canone di buona amministrazione (art. 97 Cost.) della giustizia e non quale diritto individuale66.

Difetta il richiamo al diritto, il diritto del singolo di pretendere la ragionevole durata del processo, perché tarda giustizia equivale ad ingiustizia. La Costituzione si limita a dire che la legge assicura la ragionevole durata, ciò, nel suo significato profondo, legittimerebbe uno stato della realtà in cui la legge fissa nel suo mondo perfetto e utopico, vero solo sulla carta, una durata estremamente celere e razionalmente scaglionata del processo, ove però le cause nel concreto durano anni, si accapponano l’una sull’altra, si mordono la coda e si confondono, dove i tribunali annaspano di rinvio in rinvio e dove la giustizia non arriva mai prima d’esser scaduta nell’ingiustizia. Situazione ahimè non troppo lontana dalla realtà.

Finché la legge afferma che i processi durano poco, la Costituzione non è violata, poi non importa che nella pratica la legge non sia rispettata. Diverso invece il discorso per la CEDU, che rifacendosi alla prospettiva del diritto, si aggancia alla realtà e non può ritenersi rispettata ove ossequiata solo nella forma, nella legge, ma non nella pratica. Sebbene dunque le due carte, entrambe, abbiano a cuore la ragionevole durata del processo, potremmo dire, ammiccando alle categorie processuali, che la Costituzione pone termini di natura ordinatoria alla durata dello stesso, mentre la CEDU ne pone di natura perentoria.

La differenza di vedute è stata da più parti criticata. Si tratterebbe di “un’interpretazione che stravolge la gerarchia dei valori

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Si veda inoltre VAN DIJK, Theory and Practice of the European Convention on Human Rights, L’Aia, 1998, 391

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costituzionali e trasforma il principio dello speedy trial, sorto in funzione di garanzia dell’individuo contro gli abusi derivanti dal protrarsi ingiustificato del processo, in una sorta di congegno al servizio della difesa sociale, idoneo a prevalere sui diritti dell’imputato, con buona pace della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e di tutte le altre Carte internazionali”67.

Così, la Corte Costituzionale in Italia non può sindacare la ragionevolezza della durata del singolo processo, ma solo l’assenza di procedure palesemente ingiustificate e dilatorie68, mentre la Corte EDU può sindacare in concreto se il singolo processo è durato oltre quanto ragionevole e dunque è stato leso il suo diritto.69

Del (non) diritto all’equo indennizzo, il processo Pinto