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UTILIZZO DELLA BIOMASSA A FINI ENERGETICI

DESCRIZIONE DELLE APPARECCHIATURE

• Depolveratori a ciclone

Il principio su cui si basa il funzionamento di un ciclone è il seguente:

trasformando il moto rettilineo del gas in modo vorticoso all’interno di un cilindro ad asse verticale le particelle di polvere si portano verso le pareti interne del cilindro con il flusso elicoidale rivolto verso il basso per azione della forza centrifuga e della gravità (Figura 3.25).

Figura 3.25 – Depolveratore a ciclone

Vengono di seguito indicate le caratteristiche dimensionali del ciclone:

Rapporti di forma ciclone

D/De 3 D/H 0.25

D/h 0.5 D/a 2 D/b 4 D/s 1.6 D/B 4

Tabella 3.15 – Rapporti di forma del depolveratore a ciclone

Il ciclone è costituito da:

- un involucro cilindrico (chiamato corpo);

- un tronco di cono inferiore con la circonferenza minore in basso, atto ad accelerare le polveri che scendono dall’involucro;

- una presa dei fumi tangenziale alla parte superiore dell’involucro;

- un sistema di raccolta polveri posto allo sbocco del cono tronco;

- un cilindretto di uscita del flusso aeriforme depolverato.

L’efficienza del ciclone dipende molto dalle caratteristiche delle polveri da abbattere e naturalmente dalla progettazione. È opportuno che nel dimensionamento si tenda ad elevare il rapporto tra l’altezza e il raggio dell’involucro, per dare una forma il più possibile allungata al corpo cilindrico. L’efficienza del ciclone è molto elevata per particelle di granulometria superiore a 30µm e peso specifico a 2 kg/dm3.

Per valori granulometrici e di densità minori l’efficienza di depolverazione tende a decrescere.Si può in via approssimativa stimare che questo dispositivo di depurazione consenta l’abbattimento delle polveri da un valore di 2.500 mg/Nm3 a 500 mg/Nm3.

• Filtri a maniche

I filtri a tessuto basano il loro funzionamento sul principio elementare per cui un fluido vettore di polveri che attraversa un tessuto vi deposita le polveri con granulometria maggiore delle maglie del tessuto.

I meccanismi in base a cui la particella di polvere viene trattenuta sono piuttosto complessi a parte l’effetto setaccio che il filtro esercita sulle particelle grossolane.

A trattenere le particelle più fini concorrono diversi fattori, tra cui:

- i moti browniani;

- l’agglomerazione per impiccamento delle porosità della fibra tessile;

- l’attrazione elettrostatica;

- la traiettoria fluidodinamica.

Mediante questi meccanismi possono essere trattenute particelle anche inferiori a 0,1 µm.

Come tessuto viene normalmente utilizzato del Nomex teflonato con grammatura di circa 850 g/m2.

Si stanno sperimentando tessuti misti con lana di vetro e teflon o tessuti metallici e teflon, ma i risultati consono ancora acquisiti.

Le caratteristiche dei filtri a manica sono:

- temperature di impiego massima 220 °C media 180 °C minima 150 °C (1)

- velocità di attraversamento 0,7÷1,5 m3/m2*min - durata media delle maniche 22 ÷24 mesi

(1) la temperatura minima non può essere inferiore a 150 °C in quanto la temperatura di rugiada dei fumi è pari a 135 °C.

Il tessuto dei filtri a manica risente negativamente di punte di temperature oltre i 230 °C; si richiede, prima del filtro, un raffreddamento dei fumi anche in uscita dalla caldaia.

Il filtro deve essere dotato di controlli automatici di depressione massima (filtro intasato) e minima (filtro rotto) nonché di temperatura (per assicurare che tale parametro sia sempre compreso nel campo di accettabilità delle maniche).

Le maniche con un filtro a scomparti possono essere sostituite anche con impianto in funzione.

Le maniche filtranti solitamente sono in Ryton su base PTFE; questi materiali oltre a presentare una buona resistenza all’abrasione ed una eccellente risposta agli acidi organici, inorganici ed ai solventi, permettono di raggiungere in servizio continuo una temperatura di 180 °C con punte di 200 °C, anche in presenza di apprezzabili quantità di vapore d’acqua per la loro resistenza all’idrolisi.

L’azione del filtro a maniche sugli inquinanti gassosi è possibile solo con l’aggiunta nei fumi, a monte del filtro, di CaCO3 o di Ca(OH)2 in polvere che oltre ad aumentare il potere filtrante nel senso che crea un precoat sulle maniche pulite che migliora il rendimento di filtrazione, reagisce con i gas presenti nei fumi.

• Elettrofiltri

Gli elettrofiltri o precipitatori elettrostatici esercitano la captazione a livello elettronico ed hanno un efficacia di depurazione rilevante anche per granulometrie submicroniche.

Nel filtro elettrostatico è contenuta una serie di piastre metallizzate disposte parallelamente alla corrente dei gas e opportunamente distanziate l’una dall’altra; tra le piastre sono inseriti gli elettrodi alimentati con una corrente continua negativa.

Una rete di alimentazione in corrente elettrica ad alta tensione collega gli elettrodi emissivi e crea una scarica continua di tipo ionizzante (effetto corona), quindi un vento elettrico che provoca l’associazione delle polveri alle cariche positive o negative, costringendole ad agglomerarsi sulle piastre (polo positivo) o sui fili (polo negativo).

Infatti gli elettroni liberati nella vicinanza dell’elettrodo emittente sono trasmessi alle particelle in sospensione le quali migrano verso le piastre a massa (anodo) dove si raccolgono, mentre le particelle più fini, soggette alla valanga positiva degli ioni, migrano verso i fili (catodo).

I fumi in uscita dalla caldaia possono essere trattati senza ulteriore raffreddamento. Le polveri submicroniche sono trattenute con più difficoltà a causa della loro piccola carica superficiale.

Solo le ceneri con resistività compresa tra 108 e 1011 W*cm sono captabili (i costituenti più favorevoli per questi valori di resistività sono i composti di S ed Na).

Di difficile captazione sono invece le poveri non conduttrici come MgO e CaO.

Nel caso di cenere ad alta resistività si usa iniettare nei fiumi piccole quantità di SO3 (40 + 50 ppm in volume); ciò può permettere di ridurre la dimensione del precipitatore del 35%.

L’azione dell’eletrofiltro sugli inquinanti gassosi è nulla.

• Scrubber a umido

Gli scrubber a umido sono costituiti da un recipiente nel quale dal basso entrano i fumi mentre dall’alto viene iniettato finemente polverizzato un liquido capace di rimuovere le particelle sospese; non vi sono praticamente limiti di temperatura per i fumi in entrata.

Il liquido impiegato normalmente per la depolverazione è l’acqua.

Date le alte quantità necessarie (1.5+2 l/m3 di fumi), essa viene normalmente ricircolata per mezzo di pompe.

Con il fine di mantenere in circolo acqua con concentrazioni accettabili di sali e polveri, è necessario uno spurgo (blow-down) che, in funzione del carico in arrivo, può variare da qualche per cento ad oltre la metà dell’acqua in circolazione. Nei casi più sfavorevoli e con il fine di diminuire i consumi di acqua, sul circuito di ricircolo viene spesso inserito un sedimentatore; in funzione delle norme, deve poi essere previsto un impianto di trattamento per lo spurgo.

Occorre inoltre prevedere normalmente un dispositivo per la soppressione del pennacchio, dal momento che i gas in uscita hanno una temperatura in uscita di circa 60+80 °C e sono saturi di vapore di acqua.

Per migliorare l’efficienza di captazione ed evitare gli sporcamenti, sono per lo più impiegate torri a riempimento di sfere o torri Venturi.

L’acqua in circolazione è anche un ottimo assorbente degli acidi alogenidrici che vengono quindi rimossi dai fumi con efficienze anche superiori al 95% mentre l’azione sugli altri inquinanti gassosi è pressoché nulla.

Se l’acqua in circolazione viene mantenuta intorno alla neutralità con aggiunte dosate di NaOH, allora si ha un assorbimento anche degli ossidi di S con efficienze che possono superare l’80%.

Per questo servizio, l’uso del Ca(OH)2 è escluso in quanto esso formerebbe dei solfati di calcio insolubili che occluderebbero in breve tempo tutto il sistema.

Come per gli elettrofiltri, le polveri submicroniche sono trattenute con più difficoltà.