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UTILIZZO DELLA BIOMASSA A FINI ENERGETICI

PROCEDURA SEGUITA NELLA SCELTA DEL SITO

3.2 Processi di conversione della biomassa

3.2.4 La digestione anaerobica

La digestione anaerobica è la fermentazione batterica di materiale organico. Questa produce un biogas formato tipicamente da un 65% di metano e un 35% di diossido di carbonio con tracce di azoto, composti dello zolfo, componenti organici volatili e ammoniaca. Il biogas prodotto può essere bruciato direttamente in caldaie modificate a gas o utilizzato in motori a combustione interna per produrre energia elettrica o meccanica. Il più usuale potere calorifico di tale biogas oscilla tra i 17 ed i 20 MJ/m3. In genere viene convertito in biogas dal 40% al 60% del materiale organico introdotto nel digestore anaerobico. Ciò che avanza è, di solito, costituito da residui privi di odore, utilizzabili per la produzione di fertilizzanti. I digestori anaerobici sono costituiti da una zona di stoccaggio delle biomasse, un sistema di movimentazione delle stesse, un reattore di fermentazione e meccanismi di raccolta e stoccaggio del biogas prodotto e dei residui.

Il reattore di digestione necessita di sistemi di rimescolamento che possono essere meccanici o costituiti dall’insufflazione dello stesso biogas all’interno del materiale organico. Nel caso di produzione di energia elettrica tramite motori a combustione interna il rendimento di conversione elettrica è di circa 10-16%.

meccanica o chimica del particolato presente in tali acque, ma si deve far ricorso ad una eliminazione di tipo biologico grazie a batteri che sono in grado di rimuovere le componenti organiche disciolte.

Figura 3.15 –Diagramma di flusso per la digestione anaerobica (Fonte: BTG)

Nei processi anaerobici i batteri vivono in assenza di ossigeno producendo biogas dalla materia organica di cui si nutrono.

Si riportano a titolo illustrativo i dati di un impianto di trattamento delle acque di processo con i costi di realizzazione e di gestione (Fonte: www.hds-energy.com/).

Aspetti dell’impianto di trattamento del caffè di San Juanillo

Capacità dell’impianto 150 tonnellate di chicchi al giorno

Consumi di acqua 4 m3 per tonnellata di chicchi

Generazione di agenti inquinanti nell’acqua utilizzata

32 kg COD*) per tonnellata di chicchi

*) COD = Chemical Oxigen Demand, una misura per l’ammontare della materia organica

Tabella 3.9 – Aspetti generali dell’impianto di trattamento del caffè di San Juanillo

Aspetti dell’impianto di trattamento

Capacità di trattamento 4000 kg COD al giorno

500 m3 al giorno (8 kg COD/m3) Efficienza di trattamento 80% COD rimossi Biogas generato (massimo) 1000 m3 al giorno

Legname risparmiato 150 m3 a stagione

Tabella 3.10 – Aspetti Tecnici dell’impianto di trattamento del caffè di San Juanillo

Aspetti economici

Costi di investimento US$

Infrastrutture (esistenti) US$ 50,000.- Lavori addizionali US$ 61,276.-

Accensione del processo US$ 2,500.- Operazioni di processo US$ 2. - per tonnellata di chicchi

Controllo del PH (80%) US$ 1.60 Personale, energia, monitoraggio US$ 0.40

Tabella 3.11 – Aspetti economici dell’impianto di trattamento di San Juanillo

Soluzioni interessanti, anche a questo proposito, si stanno sviluppando e sono tuttora in corso di studio e sperimentazione, soprattutto in Danimarca e Italia: si tratta delle cosiddette “biometanizzazioni collettive”. Esse raccolgono i reflui prodotti da più aziende presenti su uno stesso territorio, purché la loro densità sia sufficientemente elevata. La biometanizzazione avviene in un digestore centralizzato e la sostanza digerita viene redistribuita alle aziende come concime per l’agricoltura. A seconda dei casi, la raccolta avviene attraverso una rete di tubazioni o con cisterne trattate. Ad integrazione, vengono spesso utilizzati altri reflui organici, in particolare la parte organica dei rifiuti urbani, i fanghi delle stazioni di depurazione, i reflui animali e i reflui dell’industria agro-alimentare. Il biogas prodotto viene in genere utilizzato in cogeneratori, assicurando così la valorizzazione del calore che viene in parte recuperato per mantenere il processo di metanizzazione. Questo nuovo approccio permette di migliorare la concentrazione della materia organica per l’alimentazione del digestore e consente una produzione maggiore di biogas.

ogni caso troppo piccola, sarebbe opportuno prevederne un uso locale, per evitare costi aggiuntivi dovuti al trasporto.

3.2.5 La fermentazione

Nel descrivere il processo di fermentazione che è disponibile per la conversione della biomassa in combustibile stoccabile, la cosa più semplice è cominciare ad analizzare i diversi tipi di biomassa che probabilmente sono disponibili, poiché il trattamento preliminare, varia mentre quello finale della conversione da zucchero in alcool è in principio simile per tutti i casi. Il processo iniziale consiste nel frantumare la biomassa (sia fisicamente che chimicamente) in modo che possa essere convertita in zucchero a sua volta fatto fermentare, usando lieviti, in una soluzione alcolica al 9%, seguita da una separazione e concentrazione dell’alcool per distillazione. L’inizio del trattamento dipenderà dal tipo di materiale greggio.

Legno e materiale cellulosico vengono idrolizzati sia chimicamente (usando acido cloridrico), sia con una miscela di funghi, lieviti o con enzimi. Stock ricchi in amidi (es.

patate) subiranno una fermentazione preliminare poiché questa è notevolmente più facile che l’idrolisi della cellulosa. Tutti i processi sono ad elevata intensità d’energia in quanto la separazione richiede molta energia. La fermentazione cellulosica è la meno attraente a causa delle difficoltà del primo stadio, cioè la necessità di macinare finemente la cellulosa.

Poche colture, per esempio le barbabietole da zucchero e la frutta, richiedono un modesto trattamento oltre lo schiacciamento e spappolamento poiché esse contengono zucchero in forma adatta per un attacco con lieviti. C’è quindi un equilibrio complesso fra la facilità di coltivare biomassa, il rendimento fotosintetico nella pianta, la resa della coltura, il rendimento del metodo di conversione, contabilizzando ogni spesa di energia che è richiesta nel processo. Generalmente si ritiene possibile ottenere una resa di etanolo di circa 90-95% del valore teorico. Questo significa che una tonnellata di legno secco (16-20 GJ) darebbe 230 kg di etanolo al 95% con un contenuto energetico di 6 GJ, cioè un rendimento del 30-37% per il processo di conversione. Analogamente una tonnellata di grano secco darebbe circa 370 kg di etanolo con un contenuto energetico di 28 MJ/kg ed una densità energetica di 28.000 MJ/m3 . L’etanolo è uno dei più attraenti combustibili sintetici (per confronto la benzina ha 44 MJ/kg cioè 32.000 MJ/m3); inoltre può essere utilizzato come punto di partenza per sintetizzare una varietà di altri idrocarburi più complessi.