• Non ci sono risultati.

TIPOLOGIE DI BIOMASSE E LORO REPERIBILITÀ

UMIDITÀ DEL LEGNO

2.3 Metodologie di produzione , raccolta e trasporto

2.3.1 Scelta del terreno e specie selezionata

È necessario, anzitutto, conoscere l’uso del terreno prima della messa a coltura della coltivazione energetica (energy crop). La risposta su che tipo di utilizzo del terreno può essere sostituito con le colture energetiche non può essere basata esclusivamente su mezzi tecnici, ma anche sulla considerazione di criteri socio-economici. Ad esempio l’utilizzo di terre vergini o di terreni agricoli restituiti alla crescita di specie naturali non avrebbe l’appoggio di gran parte dell’opinione pubblica.

Da un punto di vista economico i terreni incolti hanno i ritorni finanziari più bassi, perciò un tale tipo di terreno potrebbe essere sostituito da una coltura energetica, convenendo così alle indicazioni sulla Politica Agricola Comunitaria, che indica proprio nei terreni incolti i candidati ideali ad essere utilizzati per la produzione di biomassa (European Commission, 1996). Altre indicazioni si trovano in studi americani che considerano adatti per le colture energetiche tre tipi di terreni:

1) i terreni con problemi di forte erosione;

2) le zone umide bonificate e convertite all’uso agricolo;

3) terreni agrari marginali.

La sostituzione di colture alimentari è sicuramente da evitare perché entrerebbero in gioco troppe variabili, quali ad esempio l’impatto ambientale della maggiore importazione di quell’alimento, oppure la sua coltivazione intensiva. Per queste ragioni si sceglie, in genere, di sostituire terreni incolti con colture dedicate alla produzione di biomassa ad uso energetico con l’ipotesi che l’impatto ambientale di tale cambio sia trascurabile; alcuni autori vedono, anzi, anche maggiori benefici ambientali dalla produzione di biomassa su terreni incolti.

Le procedure per la valutazione dell’attitudine delle terre alla coltivazione di specie arboree sono state riprese dai risultati di uno studio dell’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente (I.P.L.A. S.p.A., Torino) condotto nel 1995 nella provincia di Pisa nell’ambito

del programma di ricerca dell’ENEL-CRAM (Centro Ricerche Ambiente e Materiali) sulle biomasse. In tale ricerca l’indagine territoriale è stata condotta utilizzando le metodologie dei “Sistemi di Terre” (“Land System” degli autori anglosassoni) e della “Attitudine delle Terre” (“Land Suitability”). La prima consente una conoscenza completa, omogenea e sufficientemente dettagliata dei caratteri fisici, geografici ed ambientali del territorio oggetto di studio e permette quindi una valutazione qualitativa della risorsa suolo disponibile per le attività agricole e silvicolturali. Le “Terre” vengono classificate a differenti livelli in funzione del grado di dettaglio con cui si vuole rappresentare il risultato integrato dei singoli fattori. Il riconoscimento di aree territoriali omogenee e la definizione dei relativi attributi avviene principalmente mediante l’utilizzo della fotointerpretazione.

Un valido apporto all’integrazione di dati sulla topografia, sfruttamento del suolo, geologia, sistemi idrici, strade, etc. è dato dall’uso del GIS.

La seconda metodologia è un’applicazione delle tecniche messe a punto dagli esperti FAO per la valutazione e la classificazione delle risorse agro-forestali.

Tali metodologie di valutazione delle potenzialità del suolo sono fondate sulla necessità pratica di tradurre i parametri chimico fisici e morfologici, che si possono desumere da una carta pedologica in termini di attitudine ad un uso specifico.

• Caratteri chimici da tenere in considerazione:

- pH;

- CaCO3 totale;

- sostanza organica;

- capacità di scambio cationico;

- saturazione basica.

• Caratteri fisici:

- tessitura;

- profondità;

- volume di suolo esplorabile dalle radici;

- acqua disponibile;

- drenaggio.

• Caratteri morfologico-territoriali:

- pendenza;

I parametri di pendenza e drenaggio risultano essere i fattori maggiormente limitanti, pertanto essi servono per distinguere le aree non adatte dalle altre. La pendenza infatti costituisce un impedimento alla meccanizzazione necessaria per la Short Rotation Forestry. Il drenaggio fortemente rallentato, invece, diminuisce drasticamente la possibilità di sviluppo vegetale, riducendo la disponibilità di ossigeno agli apparati radicali. Viceversa un drenaggio troppo rapido riduce la capacità idrica del suolo fino a condizionarne l’equilibrio nei periodi di siccità.

Una volta stabilito il sito, o i siti, più idonei alla produzione di biomassa il passo successivo per la buona riuscita della piantagione è la selezione delle specie, varietà, cloni di alberi geneticamente superiori ed adatti per il clima, il suolo e la produzione desiderata.

Le specie indigene sarebbero da preferire da un punto di vista ambientale, anche se la maggior parte delle piantagioni in zone tropicali hanno avuto successo con specie di piante esotiche. Molti studi sono stati condotti su specie arboree nel mondo e tutti ne hanno indicato tre particolarmente adatte alla produzione di biomassa ad uso energetico, quali:

pioppo, salice ed eucalipto.

Anche in Italia sono state condotte delle ricerche, nell’ambito del programma THERMIE, con l’approvazione nel 1994 da parte dell’Unione Europea del progetto “Energy Farm”, volte a stabilire la produttività, i cloni più adatti e le possibilità di meccanizzazione delle fasi di impianto e raccolta (queste ultime limitatamente ad un’estensione di 100 ha coltivati a pioppo) delle suddette specie di piante. Il progetto era stato promosso da un consorzio internazionale coordinato dall’ENEL, con lo scopo di realizzare una centrale da 12 MW del tipo “a ciclo combinato” per la generazione di energia elettrica mediante gassificazione di biomassa legnosa, localizzata in provincia di Pisa. La sperimentazione della SRF nell’area pisana è stata svolta con la collaborazione della regione Toscana per mezzo dell’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale (ARSIA).

Il programma di prove colturali è iniziato nel 1994 con la messa a dimora di circa 7 ha di campi sperimentali e vivai in terreni seminativi nei pressi di Coltano (PI). Le specie considerate sono state le seguenti: pioppo (5 cloni appartenenti a tre specie), salice (due cloni), eucalipto (due specie), robinia. Le migliori rese, superiori a 9 t/ha di sostanza secca, sono state fornite dal clone Lux di pioppo.

Le prove ed i rilievi, effettuati dal Comitato Termotecnico Italiano, sono state eseguite presso l’azienda Mezzi del gruppo SAF a Casale Monferrato (AL) ed hanno riguardato il ciclo produttivo finalizzato all’ottenimento di pioppelle di 2 anni, da destinare successivamente alla tradizionale coltivazione per 10-12 anni del pioppo in pieno campo, in quanto molto simile a quello per la produzione di biomassa a scopo energetico.

Tale ciclo produttivo si compone di due fasi distinte: il vivaio, per la produzione di talee e la coltivazione a pieno campo, finalizzata alla coltivazione di pioppelle di 2 anni.. La

produzione media di biomassa alla fine del ciclo si suppone sia di 20 t/ha, molto prossima ai valori medi trovati in letteratura.

2.3.2 Descrizione delle macchine impiegate e dei prodotti utilizzati per lo