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di Lorenzo Migliorati, Veronica Polin e Liria Verones

La prospettiva analitica che abbiamo adottato in questa ricerca è stata di tipo diacronico, pluridisciplinare e mista sul piano metodologico. Essa ha riguardato i siti industriali dismessi che hanno formato l’oggetto delle analisi dei diversi partner del progetto, costantemente interpolati con gli orizzonti di significato complessivi in cui essi si inseriscono. In questo modo, abbiamo anzitutto preso in considerazione il tempo e il racconto del passato industriale dei casi di studio, calato nelle testimonianze di alcuni interlocutori privilegiati per far emergere le memorie e i sistemi di rappresentazioni collettive di quella che abbiamo de- finito la golden Age del passato industriale. Abbiamo scoperto comunità pro- fondamente, talora visceralmente, legate e, per certi versi, dipendenti da quel tempo e da quel modo di produzione e comunità in cui il tempo industriale è stato una sorta di parentesi tra l’epoca precedente e un presente diverso che si apre ad un futuro nuovo, fatto di diverse prospettive. Ci sembra che questo possa essere messo in relazione, sia con la durata in termini temporali dell’epoca industriale, ma soprattutto con la forma e la struttura stessa delle dinamiche sociali e simboliche locali. Il caso di Eisenerz che cava ferro dalla montagna fin dal medioevo e porta inscritto nel proprio nome e nei segni del territorio marchi irrevocabili è, per forza di cose, diverso da quello di Borgo San Dalmazzo che ha una storia millenaria non legata all’industria e che, non a caso, ha fatto meno fatica a reinventarsi.

Le memorie del tempo industriale che abbiamo raccolto sono sorprendente- mente simili e questo ci spinge a confermare l’idea iniziale da cui aveva preso abbrivio il nostro lavoro secondo cui è possibile rintracciare ampie linee di

continuità nell’esperienza industriale di piccole comunità incastonate tra le

montagne alpine, al di là dei confini regionali e nazionali. Ci sentiamo di poter dire che le Alpi costituiscono, da questo punto di vista, una zona omogenea e una regione unitaria, tanto per la storia che raccontano, quanto per le conse- guenze che la fine di quella storia ha causato. Quel che attende il futuro di questi territori, da questo specifico punto di vista, è un complesso processo di patri-

monializzazione dell’epoca industriale. Trasformare in patrimonio collettivo

un passato pacificato e condiviso è facile; farlo con un passato difficile lo è molto meno. E, tuttavia, proprio questa ci sembra la sfida principale. La storia

industriale nello spazio alpino richiede di non essere semplicemente dimenti- cata o rimossa, ma di essere inscritta dentro il pantheon delle memorie di fami- glia della montagna europea.

Per quanto riguarda l’osservazione del presente, la transitional Age della dismissione, abbiamo optato per uno studio sulle condizioni di “salute sociale” delle comunità che abbiamo investigato. In particolare, ci è sembrato che la dimensione più significativa fosse quella della coesione sociale che abbiamo inteso come elemento peculiare della qualità della vita che si può esperire nei nostri casi di studio. In linea generale e, pur con molte approssimazioni, pos- siamo dire che in queste comunità si vive bene: abbiamo riscontrato alti livelli di coesione, una buona integrazione degli individui che ci vivono e un altret- tanto buon livello di partecipazione alla vita della comunità. Se questo vale so- prattutto per le generazioni più anziane e coloro che hanno solide radici in que- ste località, non si può dire altrettanto delle fasce più giovani di popolazione

che risentono maggiormente delle condizioni di vita spesso povere di opportu-

nità di questi luoghi, depauperati dai processi di dismissione industriale e non ancora del tutto “reinventati” secondo diversi modelli di sviluppo. Il caso di Eisenerz, ma anche quello de L’Argentière-la-Bessée sono esemplari perché questi processi innescano spesso dinamiche circolari che portano allo spopola- mento e al depauperamento complessivo dei territori. In questo contesto, emerge in maniera significativa il nesso comunità-sito dismesso perché i più pessimisti riguardo le possibilità di uno sviluppo locale in chiave nuova sono spesso coloro che associano al sito industriale prospettive di trasformazione e di rinascita (seppur con usi diversi dal passato) meno ottimistiche e che ne danno un giudizio sostanzialmente negativo. Per costoro, la fine dell’epoca in- dustriale sembra coincidere con la fine tout court delle possibilità di esistenza della comunità locale, intravvedendo poche opportunità per il proprio futuro.

La lente economica, attraverso i principali indicatori usati per le analisi di contesto, ci ha mostrato che questi territori godono, al momento, di uno stato di salute buono. Si tratta di un risultato che ci ha positivamente colpito: le aree montane sono assai spesso raccontate come economie fragili e povere. I nostri

dati non segnalano gravi situazioni di disagio economico tra gli abitanti, nem-

meno tra coloro che sono stati colpiti dalla chiusura dei siti industriali, il reddito medio individuale e familiare, il tasso di occupazione e disoccupazione com- petono con quelli delle realtà non montane, e in alcuni casi mostrano addirittura migliori performance. Anche la dotazione di capitale umano delle giovani ge- nerazioni è spesso di qualità. Il tranquillo equilibrio economico che osser-

viamo, esito molto probabilmente di soluzioni endogene, potrebbe però nascon- dere una “bomba ad orologeria”. Una attenta lettura dinamica, da parte

dell’esperto, e orientata al futuro di alcuni fenomeni in atto in queste aree mon- tane, tra i quali, ricordiamo, l’invecchiamento della popolazione, le ridotte chances professionali per le giovani generazioni, un patrimonio immobiliare da rinnovare perché datato, il desiderio dei giovani di lasciare questi luoghi in

cerca altrove di fortuna, rende visibili le vulnerabilità del sistema e, soprattutto per alcune realtà, pone in evidenza l’urgenza di investimenti in grado di inver- tire la rotta.

Ed è proprio questa visione dinamica che restituisce un ruolo chiave ai siti industriali dismessi per il futuro di questi luoghi, quella postindustrial Age cui abbiamo fatto riferimento nel libro. Gli abitanti “sentono” che questi siti hanno ancora un potenziale positivo sia per le opportunità di lavoro per le giovani generazioni sia per l’economia del territorio. Si colgono inoltre energie collet- tive pronte a darsi da fare: non si vuole delegare il disegno del proprio futuro ad altri, c’è un condiviso desiderio di essere parte attiva del processo di trasfor- mazione economica di quelle aree che in passato hanno prodotto ricchezza per la collettività e che ancora lo potrebbero fare. La sfida di quale strada scegliere si gioca, per queste comunità, nel trovare una mediazione tra la memoria di un passato che non si vuole cancellare e un nuovo che deve innovare senza stra- volgere il loro presente e la loro essenza.

Postfazione