di Lorenzo Migliorati, Veronica Polin e Liria Veronesi
2. Tržič, città industriale
LM: Puoi dirmi qualcosa di Tržič prima del suo sviluppo industriale? TP: A dire il vero, non so molto di quel periodo. Tuttavia, Tržič era una delle città principali, posta subito dopo il passo di Loibl che collegava la regione della Gorenjska con la regione della Carinzia, in Austria. Una posizione molto importante. Era una città mercato con una lunga tradizione nella produzione di scarpe. Dopo la costruzione del tunnel Karavanke, nel 1991, nella valle vicino a Jesenice, l’importanza di Tržič diminuì notevolmente.
Io non sono di Tržič, ma ricordo la città per i due motivi per i quali era nota: il calzaturificio Peko, che era noto in tutta la ex Jugoslavia. Peko era un’azienda di grandissima fama e rinomata per le sue produzioni di qualità. L’altro motivo per cui la città era nota era il fatto di aver dato i natali a Bojan Križaj, il più
grande sciatore sloveno della storia, vincitore di coppe del mondo e avversario di campioni come Ingemar Stenmark e Alberto Tomba. Quando ero piccolo, negli anni Ottanta, Križaj era un eroe nazionale.
LM: Come è cambiato Tržič nel corso del tempo, da quanto puoi ricordare? TP: Il cambiamento è stato graduale nel tempo, ma dopo il 1991 e la disso- luzione della ex Jugoslavia, ha subito un’accelerazione notevole. Il crollo della Jugoslavia ha avuto un enorme impatto sulla produzione della Slovenia perché si è perso il mercato interno. La Jugoslavia era una specie di “bolla” molto più autosufficiente di quanto lo siano oggi i singoli paesi. L’economia era in una sorta di equilibrio; c’erano alcuni marchi che avevano una buona domanda di mercato. Non so esattamente come sia stato il cambiamento per la popolazione di Tržič, ma se dovessi immaginare, direi che è successo quel che anche altrove è accaduto, seppur in chiave maggiormente “politica”: perdita di posti di lavoro, riduzione delle opportunità per i giovani, spopolamento e migrazioni per lavoro verso centri regionali come Kranj.
LM: Che impatto ha avuto la deindustrializzazione su Tržič? Cosa è suc-
cesso secondo te?
TP: Proverei a sintetizzare dicendo che sono emersi tre problemi in succes- sione: la perdita dei mercati jugoslavi dopo il 1991; la transizione verso un’eco- nomia globale e di mercato; la crisi degli anni Duemila, la ristrutturazione eco- nomica, i processi di delocalizzazione di componenti industriali e di assemblag- gio verso paesi emergenti. L’ordine costituito all’interno della “bolla jugo- slava” è stato spazzato via. I vecchi mercati si sono sgretolati a causa della guerra o a causa della concorrenza esterna. Inoltre, le industrie esistenti ave- vano know-how e collegamenti commerciali limitati nel mercato globale. Al di fuori della Jugoslavia, i marchi commerciali (come Peko) avevano un ricono- scimento limitato, ciò che rendeva loro impossibile competere con i produttori europei affermati nei mercati locali. A causa di un lungo periodo di isolamento interno e di una forte domanda nel mercato jugoslavo, le imprese non dispone- vano di adeguate esperienze e connessioni per avere successo sulla scena mon- diale. D’altra parte, competere contro i produttori in Bangladesh, Cina o India è davvero difficile. Questa storia è simile alla storia dell’industria italiana dell’abbigliamento le cui ragioni possono essere ricercate nella fine delle poli- tiche protezionistiche europee come la chiusura, nel 2005, dell’Accordo sui tes- sili e l’abbigliamento dopo il 2005 (Risoluzione del Parlamento Europeo P6_TA 2005(0321), NdA). La trasformazione si sarebbe dovuta indirizzare verso l’hi-tech o il lusso, tuttavia il know-how disponibile non era sufficiente e
adeguato. Benché la Slovenia sia oggi saldamente ancorata ad un’economia di mercato, è ancora in una transizione da quella “bolla jugoslava”. Modificare le pratiche e la cultura dall’idea di “Natural State” a quella di un “Open Access Order” (North, 2009) è un progetto che riguarda più generazioni.
LM: Quali pensi siano le questioni più urgenti da affrontare oggi a Tržič? TP: Anzitutto, direi la creazione di opportunità per i giovani e i giovani pro- fessionisti. Non ci sono scuole superiori, dipartimenti universitari, i posti di la- voro nel settore sono pochi. Non ci sono programmi per mantenere i giovani a livello locale. A causa della sua localizzazione, Tržič è decentrata rispetto al bacino di Kranj. Il potenziale di sviluppo c’è, anche grazie al collegamento di- retto con l’Austria attraverso il tunnel Karavanke che non obbliga più a scolli- nare attraverso il passo Loibl come in passato.
LM: Come immagini Tržič in futuro?
TP: Penso che la riqualificazione del sito BPT sia un compito molto com- plesso e difficile. Ritengo che al momento non ci sia sufficiente “massa critica” che gravita su Tržič e che potrebbe supportare sviluppi così ambiziosi. Uno studio sull’economia aiuterebbe a chiarire meglio questo aspetto. Una delle questioni che nella regione ci sono già player significativi: Kranj come centro regionale, Bled con la sua filiera turistica e Jesenice, forte nodo industriale si- tuato lungo le principali infrastrutture di trasporto. Questo chiude molte nicchie per Tržič. Affinché lo sviluppo di BPT abbia successo, credo necessiti di un pubblico più ampio e per questo, Tržič ha bisogno di una maggiore attrattività regionale. Se Tržič avvierà strategie maggiormente proattive per offrire servizi pubblici di qualità, incentivi per le industrie, magari uno sviluppo più aggres- sivo del turismo, potrebbe spezzare l’attrazione gravitazionale di Kranj, Jese- nice e Bled. Tuttavia, ciò richiede una visione, un impegno e risorse a lungo termine. Tuttavia, spero che BPT potrà essere il fulcro regionale che farà ripar- tire lo sviluppo a Tržič e contribuirà ad un nuovo ed efficiente afflusso di gio- vani e nuove imprese.