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La deindustrializzazione come fenomeno culturale

di Lorenzo Migliorati, Veronica Polin e Liria Veronesi

3. La deindustrializzazione come fenomeno culturale

Ad orientare la direzione che il processo riqualificazione delle aree ex-indu- striali può intraprendere, non sono solo le politiche economiche o istituzionali: a giocare un ruolo fondamentale in questo processo di transizione è l’immagi- nario collettivo della comunità che “appartiene” a quel luogo, di chi ha vissuto

11 Gabriella Corona riporta uno studio di Michela Barosio sul progetto di riqualificazione proposto nel Prgc del comune di Torino e, in specifico, dell’area ex-industriale Spina 3 che, «dal 1995, almeno fino al 2006, ha coinvolto l’intera città» (Barosio, 2016, p. 110). Tralasciando qui le cause per il quale l’area non abbia soddisfatto parzialmente gli obiettivi prefissati, gli spazi destinati in precedenza alle attività terziarie «hanno lasciato il posto a un notevole sviluppo com- merciale, ma anche al ritorno di nuove forme di attività industriali, completamente diverse da quelle che caratterizzavano l’area originariamente, sia per dimensione, che per tipologia, che per modalità insediative» (ibidem).

12 Con “distretto industriale” si fa riferimento alle considerazioni dell’economista Giacomo Becattini, padre del concetto, che lo definisce come un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone, e di una popolazione di imprese industriali (Becattini, 1989). Una ricerca dell’ISTAT [2011] individua distretti industriali in 15 regioni italiane; per quanto riguarda gli aspetti legislativi di riconoscimento formale, si evidenziano la Legge n.317/91, Legge n.140/99, la Rif. Cost. del 2001, Titolo V, parte II, Cost. si differenziano dai

cluster di Michael Porter soprattutto nella definizione dei confini, avvicinandosi di più a quello

di “rete innovativa” definito dalla Regione Veneto nella L. Reg. 30 maggio 2014, n. 13, in sinto- nia con la L. Reg.18 maggio 2007, n. 9.

13 Industry City, nel quartiere di Brooklyn, rientra in un progetto di riqualificazione urbana e sicurezza delle periferiche. Oggi è spazio d’aggregazione per attività commerciali, sociali e cul- turali che unisce start up, artigiani, studenti, liberi professionisti in un conglomerato di ben 400 imprese in un “vibrant creative hub along the scenic waterfront of sunset park”, come recita l’home page del sito (https://industrycity.com, consultato il 15/01/2021).

14 Nel 2019 il comune di Manchester ha proposto il progetto “Grown in Greater Manchester.

Known Around the World”, individuando aree di sviluppo strategico all’interno del territorio

della contea (Greater Manchester) coinvolgendo 10 distretti in un lavoro di sviluppo, esaltazione, protezione e promozione del patrimonio culturale della Grande Manchester. La piano, il cui ter- mine è fissato per il 2024, è il consolidarsi dell’idea della Greater Manchester come un brand riconoscibile a livello globale e che parla di innovazione, creatività e progresso sociale (il pro- getto è consultabile al sito: https://www.greatermanchester-ca.gov.uk/media/1980/strategy.pdf).

le fasi di ascesa e declino e di chi, invece, è in qualche modo costretto a convi- vere con ciò che di tangibile (e non) ne resta (Pirazzoli, 2010). In questo senso più di altri, le narrazioni mediat(ich)e attorno a queste aree hanno contribuito alla definizione di un set di immaginari futuri legato alle aree deindustrializzate e al lavoro operario, condizionandone, in alcuni casi, la memoria collettiva le- gata a quegli specifici territori – base dal quale le narrazioni stesse estrapolano gli orizzonti simbolici che intendono rievocare – in un processo di produzione incrementale di forme espressive della cultura. Gli effetti della deindustrializ- zazione si materializzano nell’opinione pubblica della società del Ventesimo secolo attraverso una riproposizione multimediale che, per accessibilità al mezzo e al contenuto, contribuisce in maniera inedita alla costruzione di un immaginario collettivo nuovo, soprattutto in quelle aree che faticano ad uscire dal pantano post-fordista15 (Garruccio, 2016). Le riproposizioni mediali agi-

scono contemporaneamente sulla memoria e sull’immaginario delle comunità che appartengono a quei luoghi, «[la memoria] la costruiscono […], la conser- vano ma allo stesso tempo la rendono disponibile per udienze e usi diversi»; l’immaginario moderno vede quindi ampliati i propri orizzonti percettivi (legati ai sensi) includendo aspetti intangibili che spaziano dall’analisi dei «suoni, pre- senti o perduti – caratteristici delle zone industriali – alle tensioni che emergono dai diversi significati attribuiti al passato industriale» (Garruccio, 2016, p.55).

Così, le ricerche più recenti attorno al processo di deindustrializzazione mi- rano ad evidenziare gli effetti sociali e culturali legati al processo di deindu- strializzazione nel lungo periodo e, per farlo, spesso fanno ricorso proprio all’analisi di queste rappresentazioni mediate in quanto magazzino di un patri- monio culturale e identitario16. Le rappresentazioni culturali delle aree ex-indu-

striali contengono un vasto insieme di “futuri passati” (cfr., Jedlowski, 2017), specchio delle ambizioni, delle delusioni e delle prospettive di un’intera gene- razione che ha vissuto l’ascesa e il declino del processo di industrializzazione. Non solo il ricordo, profondo, dei significati legati al lavoro operaio, ma anche la progressiva perdita di peso di questo nel panorama economico occidentale

15 Le voci dei colletti blu trovano eco nelle arti della seconda metà del ‘900: a fianco di Bruce Springsteen, cassa di risonanza di una working class in cerca di collocazione nel nuovo mondo:

Born to Run (1975) e Youngstown (1995) sono solo due esempi della produzione working-class oriented springsteeniana; tra gli altri, album come “Greetings from Asbury Park” (1973), “Wrec- king Ball” (2012) e “High Hopes” (2013) enfatizzano la voglia di riscatto e di redenzione che

pervade un intero comparto sociale; anche la Tv e il cinema scelgono le aree ex-industriali come location per le loro riprese: tra le altre, Liverpool rappresentata in “Boys of London” (Bbc, 1982); la Louisiana di “True Detective”; ancora il (docu)film “Ready to Work: Portraits of Braddock (Levi’s Strauss & Co.) raccoglie testimonianze dirette dei residenti e racconta i loro sforzi per rivitalizzare una zona che, da pioniera della lavorazione dell’acciaio attraverso l’impiego del convertitore Bessemer, perde in un secolo il 90% della popolazione (20.879 nel 1920, 2.105 nel 2019).

16 Tra gli altri, Byrne, D., Doyle, A., in “The Visual and the Verbal” utilizzano immagini che ritraggono alcuni panorami industriali in rovina per investigare il significato della deindustrializ- zazione in alcune comunità minerarie (principalmente votate all’estrazione del carbone).

diventano un problema sociale ascrivibile ad una scala ben più ampia di quella locale. «Il potere provocatorio e dirompente della deindustrializzazione, reso visibile attraverso le sue rappresentazioni, ha il potenziale per costringere la società (a diversi livelli) a riflettere sul significato e sul ruolo del lavoro e della società industriale» (Strangleman, Rhodes, Linkon, 2013).

Ricordare e reinterpretare l’immaginario sociale di una collettività ex-indu- striale è un processo che richiede il coinvolgimento attivo e partecipato dell’in- tera comunità che, unita da un passato e un presente (più o meno) condiviso, ridisegna gli orizzonti possibili per una trasformazione sociale, prima che poli- tica ed economica.