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Il Dibattito sulla nozione di terrorismo internazionale nel panorama della giurisprudenza italiana

Prima dell‟importante varo della legge 155/2005, il difetto d‟una definizione normativa della finalità di terrorismo internazionale ha dato adito nel nostro Paese ad una interessante successione di dispute e contrapposizioni giurisprudenziali, immancabilmente accompagnate da aspre, e in molti casi strumentali, polemiche di tenore politico.

Difficilmente, infatti, l‟eccessiva genericità delle condotte enucleate nell‟articolo 270 bis c.p., così come novellato dal decreto legge n. 374 del 18 ottobre 2001, avrebbe potuto indirizzare l‟organo giudicante tra la vasta gamma di azioni violente concretizzanti l‟odierno fenomeno terroristico.

Le maggiori oscillazioni giurisprudenziali sul punto hanno interessato il raffronto tra le nozioni penalmente rilevanti di terrorismo internazionale e di guerriglia armata in territori contrassegnati da un conflitto bellico in corso, ritenendosi all‟uopo, su diversi fronti, necessario ed implicito rinviare ai numerosi strumenti di diritto internazionale applicabili nello specifico segmento del terrorismo. Ad innescare il dibattito sviluppatosi nel tentativo di pervenire ad una ricostruzione della nozione di terrorismo internazionale ha innegabilmente contribuito la sentenza-ordinanza emessa il 24 gennaio 2005 dal Gup del Tribunale di Milano, dott.ssa Clementina Forleo144, con cui, affrontandosi la specifica problematica concernente l‟assenza d‟una definizione unitaria di terrorismo, è stata ribadita la necessità di delineare le differenze sussistenti tra le fattispecie del terrorismo e della guerriglia.

La pronuncia in commento si situa all‟interno di un solco decisionale unanimemente sviluppato dai giudici di legittimità attorno al nucleo della tassatività della fattispecie di cui all‟articolo 270 bis e della determinatezza del bene giuridico in essa individuato e tutelato145.

Già a far data dal 1996, la Suprema Corte ebbe infatti cura di ricongiungere a più riprese la configurabilità della condotta incriminata nella disposizione in oggetto ad una lesione

diretta ed immediata dell‟“ordine democratico italiano”, con ciò confutando la liceità ed

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GUP, Trib. Di Milano, Dr.ssa Forleo, sent. n. 28491/04 del 24 gennaio 2005, in Foro it., 2005, II, 218 ss.

145 Sul punto, A. GAMBERINI, Gli strumenti penali di contrasto al terrorismo internazionale: alcuni

interrogativi sulla tecnica e sull'oggetto di tutela della nuova fattispecie di cui all'art. 270 bis c.p., in Critica del diritto, 1/2004, 69 ss.

59 operatività di ogni altra modalità di insorgenza indiretta e mediata, indotta sul versante interno da azioni offensive di altri ordinamenti146.

Una simile puntualità normativa avrebbe quindi consentito di approdare ad una dimensione esclusivamente nazionale della finalità eversiva, rendendo sanzionabile unicamente quel particolare tipo di associazionismo incentrato su un programma delittuoso preordinato all‟esecuzione di attività violente contro la personalità dello Stato italiano147.

Sulla stessa lunghezza d‟onda si colloca un‟altra pronuncia con cui la Corte, nel confermare l‟esclusione dall‟ambito di operatività dell‟Art 270 bis c.p. di quelle condotte che, preposte al compimento di atti violenti e sostenute da finalità eversive o terroristiche, non risultassero dirette contro l‟ordinamento costituzionale italiano, finiva per conformarsi al canone interpretativo precedentemente elaborato, insistendo sulla sostanziale impossibilità di aderire ad una interpretazione estensiva della norma capace di conglobare anche le offese arrecate a Stati esteri148.

Conformandosi alla interpretazione dettata nelle sentenze anzi viste, la giurisprudenza di merito ha ulteriormente modo di argomentare che: “[…] l‟ordinamento penale

sanziona tutti quei fatti associativi che possono minare le basi della convivenza sociale; per distinguere quale tra le varie fattispecie applicare occorrerà valutare di volta in volta il dato qualificante quella particolare associazione, che per l‟art. 270 bis c.p. è la finalità di terrorismo o di eversione dell‟ordine costituzionale italiano, così da costituire il fondamento stesso dell‟associazione, in mancanza della quale l‟associazione stessa non sussisterà nella sua materialità”149

.

146 Cfr. Cass., sez. VI, 1° marzo 1996, n. 973 (Ferdjani Mouland ed altri), in Cassazione Penale, 1995,

pp. 51 ss.; Cass., sez. VI, 30 gennaio 1996, n. 561 (Bendebka), in Giustizia Penale, 1997, sez. II, pp. 158, ss.

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Secondo la Corte, l‟impostazione in oggetto risultava peraltro avallata dalla equiparazione, già operata con l. 304/1982 (art. 11), dell‟«ordinamento costituzionale italiano» alla locuzione «ordine democratico». Elemento, quest‟ultimo, che avrebbe consentito alla finalità di eversiva non soltanto di connotare in via esclusiva il profilo soggettivo della fattispecie, quanto pure di ergersi ad elemento materiale della fattispecie.

148 Cass., sez. VI, 1 giugno 1999 (Abdaoui Youssef ed altri), in Diritto Penale e Processo, 2000, pp. 485

ss. Adducendo la scarsa utilità esegetica del concetto di personalità dello Stato nelle due accezioni della dimensione interna ed internazionale, in sede di legittimità si è in particolare rilevato che, nonostante il delitto di associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell‟ordine democratico sia effettivamente posto a tutela della personalità internazionale dello Stato, a venire in rilievo è comunque l‟assetto costituzionale interno e non anche una dimensione sovranazionale del fenomeno in grado di attrarre anche le lesioni portate a Paesi stranieri, ad organismi od istituzioni internazionali.

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Trib. di Bologna, GUP, sent. del 21 novembre 2000, n. 726. Oggetto della sentenza era l‟incriminabilità ex art. 270 bis c.p., di alcuni cittadini extracomunitari accusati, oltre che della falsificazione di documenti falsi, della pianificazione di attentati ai danni d‟uno Stato estero (nel caso specifico, l‟Algeria). Contravvenendo all‟ipotesi accusatoria fondata concreta lesività per l‟ordine democratico italiano di una azione eversiva o terroristica perpetrata contro un paese straniero, il

60 L‟interpretazione tesa a configurare come un vulnus al principio di offensività l‟immissione dell‟associazione a scopo eversivo d‟un ordinamento straniero nel novero dei comportamenti vietati dalla norma, sulla base dell‟assunto che la lesione di ordinamenti stranieri non potesse includersi nella nozione di ordine democratico italiano, neppure per il tramite della tutela dell‟integrità delle relazioni internazionali e della politica estera dello Stato italiano, è stata peraltro ulteriormente ribadita dai giudici di legittimità anche successivamente alla riforma operata dal legislatore del 2001. In una pronuncia risalente al 2004 la Corte di Cassazione ha infatti inteso sottolineare che: “Contrariamente ai c.d. delitti a consumazione anticipata come, ad esempio, quelli di attentato, i delitti di pericolo astratto quale quello dell‟art. 270-bis c.p., per non incorrere in censure di illegittimità costituzionale, devono presentare elementi di comportamento idonei ad offendere in concreto il bene tutelato. Ne consegue che la sola intenzione proclamata dai membri di un‟organizzazione di essersi associati per violentemente sovvertire l‟ordinamento dello Stato non è idonea a far sussistere il reato in questione, anche nell‟ipotesi che gli aderenti all‟associazione commettano illeciti penali di natura violenta ma, di per se stessi inidonei a porre in pericolo il bene tutelato da detta norma”150.

La giurisprudenza di legittimità tornava in questo modo a negare il valore degli impegni assunti in sede convenzionale dall‟Italia in materia di collaborazione nella repressione del terrorismo, fondandone le motivazioni sulla circostanza che quest‟ultime non prevedessero né l‟inserimento della fattispecie associativa nella normativa nazionale, né tantomeno dei criteri concernenti la formulazione di eventuali fattispecie in grado di avvalorare l‟inclusione nel reato di cui all‟Art 270 bis c.p. anche dell‟associazione terroristica internazionale.

Su un fronte interpretativo diametralmente opposto si alligna invece l‟opinione dottrinaria tesa a ricollegare alle modifiche addotte dalla legge n. 438/2001 la finalità di garantire la sicurezza pubblica mondiale, ovvero la protezione della Comunità

procedimento si è tuttavia concluso con il proscioglimento degli imputati (sentenza di non luogo a procedere) e la revoca del relativo provvedimento cautelare.

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Cass., I, 21 novembre 2001, in Cassazione Penale, 2004, pp. 368 ss. La suddetta pronuncia si conforma al canone interpretativo già precedentemente dettato, secondo cui la semplice idea eversiva, non accompagnata da propositi concreti ed attuali di violenza, non vale a realizzare il reato, ricevendo tutela proprio dall‟assetto costituzionale dello Stato che essa, contraddittoriamente, mira a travolgere”. Cfr. ex plurimis, Cass. pen., sez. I, 3486/2000 (Paiano ed altri).

61 internazionale dagli attentati pianificati da organizzazioni terroristiche sovranazionali o da cellule ad esse appartenenti, operanti sul territorio nazionale151.

Sulla base d‟una simile impostazione, infatti, piuttosto che alla mera tutela della personalità interna dello Stato e dell‟ordine pubblico, l‟incriminazione delle associazioni finalizzate al terrorismo internazionale avrebbe dovuto ritenersi strumentale e funzionale alla attuazione degli accordi internazionali assunti dallo Stato italiano attraverso l‟adesione alle convenzioni stipulate in materia di terrorismo internazionale.

Proprio l‟impostazione dettata nella fitta serie di ordinanze di custodia cautelare, applicate con l‟obbiettivo precipuo di estendere l‟ipotesi di reato rubricata nell‟art. 270 bis c.p. alle attività eversivo-terroristiche poste in essere contro ordinamenti stranieri, contribuì a formare quella che divenne la maggioritaria opinione della giurisprudenza di merito.

L‟orientamento anteriforma propugnato dai giudici di merito tendeva infatti a porre in risalto come la medesima ubicazione delle «Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell‟ordine democratico» nella categoria dei delitti contro la personalità dello Stato, avrebbe reso imprescindibile il riferimento al quadro di collaborativismo internazionale sostenuto e cristallizzato nella stesso impianto costituzionale152.

In una simile prospettiva analitica si innestava ad esempio una decisione con cui nel 1998 il Tribunale del Riesame di Bologna decretava che: “Il delitto di cui all‟Art 270-

bis c.p. si colloca tra i delitti contro la personalità dello Stato e non v‟è dubbio che tale oggettività non possa essere oggi correttamente intesa, se non avendo riguardo anche della complessità dei rapporti internazionali, nel cui ambito lo Stato italiano, dal dopoguerra sino ai giorni nostri, persegue finalità politiche, collaborative e solidaristiche, partecipando a numerosi organismi ed enti sovranazionali”153.

La caratura sovranazionalistica dell‟associazionismo di stampo terroristico, unita alla medesima appartenenza alla Comunità internazionale, avrebbe dunque reso del tutto

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Per un esaustiva disamina sull‟argomento, v. G. INSOLERA, Reati associativi, delitto politico e terrorismo globale, in Diritto penale e processo, n. 11, 2004., G. FIANDACA, A. TESAURO, Le disposizioni sostanziali: linee, in Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Torino, 2003.

152 In tal senso, l‟art. 11 della Costituzione italiana sancisce che: “L‟Italia ripudia la guerra come

strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

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62 superflua, agli occhi della maggioritaria giurisprudenza di merito, la circostanza che il territorio dello Stato italiano fungesse o meno da piattaforma logistica per la consumazione all‟estero di eventi di tipo eversivo.

Il danno provocato ad altre nazioni avrebbe infatti determinato effetti ripercussioni destabilizzanti anche sul nostro Stato, specie avendo riguardo della portata potenzialmente plurioffensiva del reato in questione, implicante il rischio per lo Stato italiano di costituire oggetto diretto di azioni terroristiche, sia pure commesse nell‟ambito territoriale di un altro Stato (quali le sedi diplomatiche italiane)154

.

Del resto, indipendentemente dai profili di indeterminatezza suscitati dal collegamento a parametri definitori ulteriori rispetto alla finalità eversiva, la previsione ad opera del legislatore del 2001 d‟una scissione della finalità terroristica da quella di eversione dell‟ordine democratico-costituzionale, così come pure l‟introduzione d‟uno specifico riferimento alla dimensione transnazionalistica del fenomeno, sembrano aver convalidato l‟attuale e diffusa propensione del diritto internazionale e delle legislazioni nazionali ad un approccio “depoliticizzante” al reato di terrorismo, sempre più coincidente con il metodo dello spargimento del terrore e del panico nella collettività. Una tendenza, quest‟ultima, resa ancor più marcata dagli strascichi di impunità che un‟omissione di responsabilità da parte del nostro ordinamento rispetto alle attività criminose insistenti sul territorio dello Stato e la radicale liceizzazione di condotte eversivo-terroristiche lesive dell‟integrità di Stati esteri potrebbero prodursi a beneficio delle molteplici formazioni terroristiche attive ed operanti sulla scacchiera internazionale.

Il percorso argomentativo tracciato nella nota decisione del Tribunale di Milano del 2005 si snoda attraverso l‟analisi di due specifici aspetti problematici. In primis, la questione della utilizzabilità processuale delle cd. “fonti di intelligence”, ossia di quell‟apparato probatorio enucleato da acquisizioni investigative ed informative non meglio qualificate, ovvero da segnalazioni promananti da entità o servizi segreti stranieri155, ritenuto dall‟interprete sprovvisto di «qualsivoglia supporto genetico degno

154 Cfr. V. MONETTI, La legislazione antiterrorismo dopo l'11 settembre: il contesto internazionale e

l'Italia, in Questione giustizia, 1/2002, 51 ss.

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Ne costituiscono un esempio le notizie riportate nei rapporti della Digos e dei Ros come provenienti da segnalazioni da parte di organismi americani o dal BKA tedesco, così come pure le audizioni in carceri irachene da parte della Polizia norvegese, senza l'assistenza di un difensore, di soggetti che apparivano indagati in procedimenti connessi al presente, nonché le c.d. fonti aperte (fonti giornalistiche e siti internet) dalle quali erano state tratte notizie sulla struttura asseritamente terroristica di Ansar Al Islam.

63 di rilievo processuale», in quanto «non puntualmente riscontrati da atti processualmente rilevanti».

Altro punto dibattuto è quello della eventuale riconducibilità della cellula incriminata ad un‟associazione avente finalità di terrorismo internazionale, rispetto alla quale si è ritenuto opportuno operare una netta separazione tra le nozioni di terrorismo ed eversione, nonché, appurato il difetto d‟un preciso indirizzo normativo definitorio in materia, il loro necessario approfondimento in chiave esegetica, da attuarsi tanto sulla base delle convenzioni internazionali esistenti, quanto sulla ratio e la genesi della norma penale interna156.

Attraverso la suddetta pronuncia si è provveduto ad assolvere dall‟accusa di terrorismo tre cittadini tunisini accusati di far parte d‟una cellula denominata Ansar Al Islam157

, organizzazione fondamentalista di matrice sunnita operante nell‟area settentrionale dell‟Iraq e sospettata di mantenere stretti rapporti con la rete integralistica di Al Qaida158.

Oggetto dell‟addebito contestato ai soggetti imputati era proprio l‟applicazione dell‟art. 270 bis c.p. in quanto essi stessi ritenuti in associazione con altre con altre cellule attive in Europa, Nord Africa, Asia e Medio Oriente, operanti all‟interno d‟un programma di violenza (denominato “Jihad”) preordinato all‟affermazione dei principi della religione musulmana contro gli occidentali “infedeli”.

A venire in rilievo era, pertanto, l‟accusa di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale in Italia ed all'estero. Come rilevato in termini di “certezza” nella pronuncia del Giudice milanese, obiettivo precipuo della cellula operante su Milano e Cremona era il sostegno ed il supporto finanziario di apparati paramilitari stabiliti ed operanti nei territori mediorientali (presumibilmente del nord dell‟Iraq), da attuarsi attraverso il procacciamento e l‟invio di nuovi volontari, oltre che di ingenti

156 Sul punto, v. C. CUPELLI, Il nuovo art. 270-bis c.p.: emergenze di tutela e deficit di determinatezza?,

in Cassazione Penale, 2002, pp. 897 ss., A. VALSECCHI, Il problema della definizione di terrorismo, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2004, pp. 1127 ss., L. CORTELLESSA, La nuova normativa in tema di terrorismo internazionale, in Rassegna dell‟Arma dei Carabinieri, 2/2002, pp. 100 ss.

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Il suddetto movimento integralista (letteralmente “sostenitori dell‟Islam”), formatosi nel 2001 con la denominazione di Jund al-Islam e sin dalle origini contrapposto alle forze dell‟organizzazione autonomista dell‟Unione Patriottica del Kurdistan, risulta particolarmente noto per aver ispirato il proprio atto di costituzione ad una rigida interpretazione dei precetti coranici ed alla violenta imposizione dei dettami in esso contenuti.

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La fattispecie relativa alla sentenza riguardava, per inciso, il giudizio abbreviato celebrato nel procedimento penale n. 5774/04 pendente innanzi al tribunale di Milano, in cui erano imputati i tre cittadini tunisini e marocchini Mohammed Daki, Kabel Ben Mouldi Hamraoui e Nourredine Drissi. V., L. D. CERQUA, Sulla nozione di terrorismo internazionale [Nota a sentenza], Sez. I, 21/06/2005 (dep. 30/09/05), n. 35427, Drissi, in Cassazione penale, 2007, pp. 1578 ss.

64 somme di danaro da recapitare nelle aree interessate attraverso lo sfruttamento di canali protetti ed occulti159.

L‟attività programmata avrebbe conseguentemente dovuto esplicarsi nella preparazione ed esecuzione d‟una serie di condotte violente di aggressione da perpetrarsi in danno di governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali, cittadini civili ed altri obiettivi (ovunque collocati) riconducibili agli Stati occidentali.

La menzionata organizzazione si proponeva tra le altre cose di favorire lo smistamento e l‟immigrazione illegale, in Italia e verso altri Stati, di militanti di fede musulmana da affiliare, in special modo attraverso l‟impiego di false documentazioni e l‟espletamento di attività di proselitismo e propaganda, al vincolo associativo160.

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Cfr. R. GAROFOLI, op. cit.p. 10.

160 Risulta all‟uopo opportuno citare alcuni dei più significativi passaggi che hanno contraddistinto

l‟intero iter argomentativo della decisione culminato nella assoluzione dei tre imputati dall‟accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale: “La nozione di terrorismo … diverge da quella di eversione e come questa non è definita in via normativa, dovendosi dunque ricavare in via ermeneutica. Trattasi, all‟evidenza, di compito non facile per l‟interprete, soprattutto quando, come nel caso di specie, non si sia in presenza di atti violenti commessi o da commettere “in tempo di pace” ma di atti da compiersi in contesti armati in atto in altri Stati, dovendosi in tal caso fare inevitabilmente i conti con lo jus belli, ossia con la normativa internazionale che disciplina le condotte tenute da forze belligeranti anche qualora le stesse siano clandestine ed irregolari.

Il problema si pone in quanto … le attività accertate quali poste in essere dalla “cellula” in questione si pongono nell‟immediatezza e nella contestualità dell‟attacco statunitense all‟Iraq, che com‟è noto iniziava il 18.3.2003, ponendosi in una prima fase come conflitto armato internazionale, e in un secondo tempo come occupazione militare.

[…] Come si è accennato, è proprio al diritto internazionale che, sempre a livello ermeneutico, occorre fare inevitabile appello per definire nel modo più compiuto e razionale possibile il fenomeno del c.d. “terrorismo internazionale”, onde delimitarne i contorni e differenziarlo da fenomeni dalle differenti connotazioni, quale appunto quello della guerriglia, ossia della violenza posta in essere da formazioni clandestine ed irregolari nell‟ambito di contesti armati - civili o internazionali - secondo la disciplina prevista dallo jus belli. Il limite tra guerriglia e terrorismo è stato tracciato in modo pressocchè unanime dalla dottrina internazionalistica, in base alla quale si verte nell'ambito della guerriglia quando, attraverso una struttura paramilitare e clandestina, si combatta contro un esercito straniero occupante o contro un assetto statuale ritenuto dagli stessi combattenti come illegittimo, indirizzando l'atto violento nei confronti di obiettivi militari. Viceversa, può parlarsi di atto terroristico quando gruppi anche muniti di stabile organizzazione, per i fini più vari e di solito attinenti a forti motivazioni ideologiche, colpiscano, anche in contesti bellici, indifferenziatamente obiettivi militari e civili, creando terrore indiscriminato nella popolazione. Il dato differenziatore dunque, in un contesto bellico o di occupazione militare, non appare tanto lo strumento utilizzato quanto l'obiettivo preso di mira, vertendosi nell‟ambito del terrorismo ogni qualvolta venga violato il diritto internazionale umanitario. Nello stesso senso depone quanto stabilito nella Decisione Quadro del Consiglio dell‟Unione Europea del 13.6.2002 sulla lotta contro il terrorismo, confortando anzi la stessa le su esposte considerazioni. In particolare, detto atto, dopo aver significativamente premesso che è ancora in corso il negoziato relativo alla citata Convenzione Globale, e dopo aver fatte salve le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato, “secondo le definizioni a questi termini date dal diritto internazionale umanitario”, all‟art.1 tipizza una serie di atti definiti come terroristici e da perseguire come reati negli Stati membri, precisando, oltre al carattere dell‟intenzionalità degli stessi, il loro esclusivo scopo “di intimidire gravemente la popolazione, o di costringere indebitamente i pubblici poteri o un‟organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali di un paese o di un‟organizzazione internazionale”, così ricalcando il tenore della richiamata Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo. Del resto, se teoricamente dovesse estendersi il concetto di terrorismo ad ogni atto violento posto in essere in un contesto bellico o di occupazione militare

65 Pur individuando quale preciso obbiettivo della cellula incriminata “il finanziamento, e

più in generale il sostegno, di strutture di addestramento paramilitare site in zone mediorientali, presumibilmente stanziate nel nord dell‟Iraq”, l‟organo giudicante ha

tuttavia inteso porre in rilievo la corrispondenza cronologica dell‟attività in oggetto con l‟intervento militare anglo-americano in Iraq nonché, sulla base delle risultanze probatorie ammesse in giudizio, la natura bellica delle azioni riconducibili al gruppo