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L’evoluzione della cooperazione europea in materia di politica estera, sicurezza interna e lotta al terrorismo

Il contrasto del terrorismo in ambito europeo

1. L’evoluzione della cooperazione europea in materia di politica estera, sicurezza interna e lotta al terrorismo

Il primo reale approccio alla tematica del terrorismo sul versante istituzionale comunitario è da far coincidere con l‟adozione Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993, ovverosia con la nascita dell‟Unione Europea e l‟introduzione dei due “pilastri” della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e della cooperazione in tema di giustizia e affari interni (GAI). L‟esigenza di convergere verso la realizzazione d‟una azione di cooperazione nello specifico segmento della politica estera e delle sicurezza interna ebbe tuttavia modo di svilupparsi già a partire dalla seconda metà del XX secolo.

Le numerose iniziative promosse, soprattutto nel corso degli anni ‟70, per la collaborazione informale dei governi al di fuori del quadro comunitario confluirono, infatti, nella creazione a Parigi nel 1974 del Consiglio europeo, ossia d‟uno strumento di cooperazione intergovernativa che, sia pur delineatosi all‟esterno della struttura istituzionale comunitaria, assumeva i contorni d‟una piattaforma ideale per indurre il confronto dei vertici dei capi di Stato e di governo europei sulle principali questioni concernenti vita ed allo sviluppo delle Comunità202, ivi compresa quella relativa alla elaborazione d‟una azione comune nei settori della politica estera e di difesa, della giustizia e degli affari interni.

Come può evincersi dalle “Disposizioni comuni” ai tre pilastri, il Trattato sull‟Unione Europea, pur non trasformando il Consiglio europeo in una istituzione comunitaria in senso proprio, ha provveduto a sancirne il fondamentale ruolo di impulso e di definizione degli orientamenti politici generali, necessari allo sviluppo ed alla accelerazione della costruzione comunitaria203.

202 Cfr. Sul punto, G. TESAURO, Diritto Comunitario, Padova, 2001, pp. 23-24.

203 In tal senso, l‟art. 13 del T.U.E. (già articolo J.3) recita che: “Il consiglio europeo definisce i principi e

gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune, ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa. Il Consiglio europeo decide strategie comuni che l‟Unione deve attuare

92 Ciò a conferma del fatto che, oltre ad essere il protagonista della cooperazione politica fra gli Stati membri, il suddetto organismo è stato e continuerà a rappresentare un rilevante punto di riferimento nel processo decisionale comunitario.

Fu proprio la tematica del contrasto al fenomeno terroristico ad incarnare uno dei primordiali esempi d‟una simile iniziativa di cooperazione interstatuale.

Nel 1975 venne infatti istituito a Roma il c.d. gruppo TREVI (acronimo di “Terrorismo, Radicalismo, Eversione, Violenza Internazionale”) che, per il tramite ministri dei diversi Paesi membri, avrebbe avuto la funzione di avviare un‟ampia cooperazione nella lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata per la difesa di un ordine pubblico comune. Alla sua istituzione fece seguito un‟iniziativa di collaborazione fra le varie forze di polizia, ottenuta attraverso l‟elaborazione di taluni specifici gruppi di lavoro, denominati “TREVI 1” (in materia di lotta al terrorismo) e “TREVI 2” (relativo alla cooperazione di polizia per le questioni di ordine pubblico).

Circa dieci anni più tardi, nel 1986, si procedette ad un ulteriore rafforzamento della suddetta cooperazione, attraverso la creazione del gruppo “TREVI 3” (in materia di lotta al traffico di stupefacenti e alla criminalità organizzata), avente l‟obiettivo di incrementare la collaborazione nello specifico settore della criminalità e del terrorismo, dai cui lavori scaturirono l‟istituzione d‟una apposita agenzia per lo scambio di informazioni sul traffico illecito di droga (EIDU) ed una intensa strategia di elaborazione progettuale che condusse, negli anni ‟90, alla creazione d‟un ufficio di polizia europeo, ossia l‟Europol204

.

L‟introduzione del secondo e del terzo pilastro rispettivamente concernenti le disposizioni in materia di politica estera e di sicurezza comune e quelle disciplinanti il settore della giustizia e degli affari interni, ha reso dunque possibile l‟attivazione da parte degli Stati europei d‟una intensa cooperazione in settori che fino a quel momento erano considerati di esclusiva sovranità nazionale205.

nei settori in cui gli Stati membri hanno importanti interessi in comune. Le strategie comuni fissano gli obiettivi, la durata nonché i mezzi che l‟Unione e gli Stati membri devono mettere a disposizione. Il Consiglio prende le decisioni necessarie per la definizione e l‟attuazione della politica estera e di sicurezza comune in base agli orientamenti generali definiti dal Consiglio europeo. Il Consiglio raccomanda strategie comuni e le attua, in particolare adottando azioni comuni e posizioni comuni. Il Consiglio assicura l‟unità, la coerenza e l‟efficacia dell‟azione dell‟Unione”.

204 Sui molteplici aspetti evolutivi interessanti tali specifici settori, v. M. L. TUFANO, La cooperazione

giudiziaria penale e gli sviluppi del “terzo pilastro” del Trattato sull‟Unione Europea, in Riv. Dir. Pubbl. Comparato ed Europeo, 2001, pp. 1029 ss.

205 G. STROZZI., Diritto dell‟Unione Europea, Torino, 2001, p. 17: “Secondo un‟immagine figurata, ma

efficace, può definirsi l‟Unione come una costruzione a tre “pilastri” collegati tra loro da un architrave e dalla base: il primo pilastro è costituito dall‟ordinamento comunitario, il secondo dalla PESC, il terzo

93 Risultando già espressamente richiamata all‟art. K 1 del Trattato di Maastricht ed attualmente ribadita all‟art. 29 del Trattato di Amsterdam sull‟Unione europea, come obiettivo necessario per il perseguimento d‟un elevato “livello di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia” per i cittadini, la lotta al terrorismo risulta da inquadrarsi nell‟ambito del terzo pilastro dell‟Unione Europea.

Ciononostante, l‟ineluttabile coinvolgimento della politica estera e della sicurezza comune nella problematica del contrasto del terrorismo internazionale rende necessario prendere in considerazione tanto gli strumenti normativi forniti dal terzo, quanto le disposizioni contemplate nel secondo pilastro dell‟Unione.

I propositi del Trattato di Maastricht nel quadro del terzo pilastro dell‟Unione Europea convergevano, come già rilevato, verso l‟istituzionalizzazione e lo sviluppo d‟una «cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni», da perseguirsi attraverso la regolamentazione di tutta una serie di gruppi di lavoro, di comitati e di altri contatti in passato estromessi da qualsivoglia inquadramento giuridico e controllo democratico da parte delle istituzioni comunitarie206.

Le politiche disciplinate attenevano, in particolare, alla regolamentazione dei visti, del diritto d‟asilo, dell‟immigrazione e della libera circolazione delle persone207

.

Settori, questi ultimi, rispetto ai quali il Consiglio europeo, sistematicamente impegnato a riunire i ministri competenti sotto la denominazione di Consiglio di Giustizia e Affari interni, si proponeva di pervenire all‟adozione di tutta una serie di posizioni ed azioni comuni, nonché di altri progetti convenzionali di cui raccomandare l‟adozione da parte degli Stati membri(art. K 3)208.

Nella maggior parte dei casi si trattava, peraltro, di strumenti estremamente generici ed indefiniti, non venendo negli stessi specificata la reale effettività giuridica, così da ingenerare negli Stati una generalizzata confusività in merito alle azioni da intraprendere209.

dalla GAI, mentre le altre disposizioni comuni ed alcune norme „passerella‟ sono rivolte a dare coerenza al sistema”.

206 Cfr., in tema, L. SALAZAR, Gli sviluppi nel campo della cooperazione giudiziaria nel quadro del

terzo pilastro del trattato sull‟Unione Europea, in Documenti Giustizia, 1995, pp. 1511 ss.

207 L‟obiettivo della agevolazione della libera circolazione delle persone e della contestuale garanzia della

sicurezza dei popoli era perseguito attraverso la previsione della cooperazione in nove specifici settori di “interesse comune”, tra cui quello relativo alla “…la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo” (art. K 1).

208 Cfr. Sul punto, G. TESAURO, op. cit., p. 15. 209

94 Con riguardo al secondo pilastro, i cinque obiettivi210 genericamente delineati dal Trattato di Maastricht, in quanto destinati a convogliare l‟intero ambito delle relazioni internazionali, assumevano ad oggetto: a) la difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell‟indipendenza dell‟Unione; b) il rafforzamento della sicurezza dell‟Unione e dei suoi Stati membri; c) il mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite, nonché ai principi dell‟Atto Finale di Helsinki e agli obiettivi della Carta di Parigi; d) la promozione della cooperazione internazionale; e) lo sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

La realizzazione d‟un simile indirizzo politico veniva perseguita, in particolare, attraverso talune modalità di intervento specificamente individuate agli artt. J 2 e J 3 del Trattato di Maastricht. Innanzitutto, mediante l‟attivazione d‟una “cooperazione sistematica”, implicante l‟obbligo per gli Stati membri di concertare, per il tramite dello scambio di reciproche informazioni, le rispettive posizioni in sede consiliare relativamente a «qualsiasi questione» di interesse generale concernente la politica estera e di sicurezza211.

Altra misura risultava costituita dalle «azioni comuni» aventi ad oggetto specifici settori e questioni di particolare interesse per gli Stati membri in cui si riteneva necessario un intervento operativo dell‟Unione, puntualmente esaminate e selezionate, all‟unanimità, dal Consiglio dell‟Unione dopo aver definito “i principi e gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune”.

Occorre rilevare, tuttavia, che anche se configurato nel Trattato di Maastricht come una parte fondamentale dell‟Unione Europea, il settore della Politica estera e di sicurezza comune risultava comunque ancora relegato al metodo intergovernativo, sia pure integrato, come è emerso, dalla previsione di taluni compiti a carico delle istituzioni comunitarie.

Proponendosi l‟obiettivo di “preservare e sviluppare l‟Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l‟asilo,

210

Con l‟avvento del Trattato di Amsterdam, gli «obiettivi» contemplati all‟art. J 1, par. 2 del Trattato di Maastricht sono rimasti sostanzialmente immutati.

211 Ulteriore dovere degli Stati membri era inoltre quello di procedere, a difesa delle «posizioni comuni»,

al coordinamento delle rispettive posizioni all‟interno delle Conferenze e delle Organizzazioni internazionali.

95 l‟immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest‟ultima, al fine di ”, il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il primo maggio del 1999, ha provveduto ad apportare alcune modifiche ai 3 pilastri dell‟Unione Europea.

Occorre innanzitutto rilevare che, con il trasferimento della materia dei visti, asilo ed immigrazione nel Trattato della Comunità europea (nuovo titolo IV), il Terzo pilastro finisce per perdere la denominazione GAI per assumere quella di “cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”. In tale settore rientrano diverse questioni qualificate di interesse comune tra cui, in particolare, la politica dell‟asilo, dell‟immigrazione, la lotta alla tossicodipendenza, al traffico di stupefacenti, alla frode su scala internazionale, la cooperazione giudiziaria in materia civile e penale e quella doganale.

Tra le principali novità spicca, inoltre, oltre alla cooperazione in diversi altri particolari settori, tra cui la tratta degli esseri umani ed i crimini contro i minori, l‟esplicita previsione, all‟art. 29, della prevenzione e della repressione della criminalità organizzata ed, in particolare, del terrorismo, rispetto al quale vengono fissate le modalità di contrasto, sia esso di carattere prettamente locale (come nel caso del terrorismo basco e nord-irlandese) che internazionale (in altri termini, il terrorismo di matrice islamico-radicale)212.

Pur risultando maggiormente potenziato il livello della pura cooperazione, il metodo impiegato per il perseguimento d‟una simile finalità risulta analogo a quello operante per la PESC, facendo ugualmente leva sull‟adozione da parte del Consiglio di posizioni comuni, implicanti per gli Stati membri l‟obbligo di conformarvisi sia sul piano interno che su quello internazionale213.

Tra le norme adottabili a norma dell‟art. 34 occorre menzionare le posizioni comuni, che “definiscono l‟orientamento dell‟Unione in merito ad una questione specifica”, le decisioni quadro c.d. di armonizzazione214, vincolanti per quel che concerne il risultato, lasciando tuttavia liberi gli Stati con riguardo alla forma ed ai mezzi per raggiungerlo, le decisioni vincolanti, senza efficacia diretta, coerenti con gli obiettivi del Trattato, ma non implicanti, a differenza delle precedenti, un ravvicinamento delle legislazioni ed, infine, le convenzioni internazionali di cui il Consiglio raccomanda l‟adozione, le quali, diversamente che in passato, se ratificate a maggioranza assoluta, entrano in vigore nei

212 Cfr. F. A. CERRETA, G. IANNI, op. cit., p. 994. 213 Cfr. G. STROZZI, op. cit., pp. 19-20.

214 Si tratta di provvedimenti similari alle direttive comunitarie, pur se espressamente dichiarati privi di

96 loro rapporti specifici, senza per questo dover attendere la ratifica da parte di tutti gli Stati.

Lo sviluppo della cooperazione nello specifico segmento della polizia (art. 30) viene perseguito, oltre che sul versante della prevenzione dei reati – contraddistinto dalla veicolazione d‟una fitta rete di informazioni e di iniziative in settori quali quello della formazione e della ricerca in ambito criminologico –, anche e soprattutto attraverso l‟operatività dell‟Europol215

, la cui efficienza strutturale e strumentale risulta ricondotta all‟interno delle funzioni di competenza del Consiglio.

La cooperazione nel settore giudiziario in materia penale (art. 31)2016 trova invece soluzione nella semplificazione delle procedure di estradizione, della collaborazione fra ministeri ed autorità giudiziarie e degli altri interventi tesi all‟adeguamento dei sistemi normativi, in vista d‟una armonizzazione della nozione di reato e di sanzione, idonea a scongiurare il rischio di conflitti di giurisdizione217.

Con riferimento invece al Secondo pilastro, l‟articolo 11 (già articolo J. 1) provvede sostanzialmente a confermare, in materia di Politica estera e di sicurezza comune, gli stessi obiettivi precedentemente fissati a Maastricht, fatte salve talune significative variazioni afferenti ad una migliore sistemazione e precisazione delle finalità e dei compiti individuati nell‟articolato e con un particolare accenno relativo alla difesa dell‟«integrità» dell‟Unione conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. A questo riguardo occorre evidenziare come, differentemente dal Trattato di Maastricht in cui la «difesa comune» era vista come un eventuale sbocco della PESC, nel Trattato di Amsterdam si è proceduto ad assegnare al Consiglio europeo ogni decisione in merito, valorizzando al contempo il ruolo dell‟Unione europea occidentale (UEO), inquadrata come parte integrante dello Sviluppo dell‟Unione e la sua complementarietà

215 L‟Europol si propone sviluppare la cooperazione di polizia mediante la prevenzione e la lotta al

crimine organizzato attraverso la raccolta, la conservazione, l‟elaborazione e lo scambio di informazioni tra le varie forze di polizia europee (anche attraverso la creazione di un archivio computerizzato dei dati acquisiti), ivi comprese quelle inerenti alle operazioni finanziarie sospette. La Convenzione di Bruxelles è intervenuta ampliandone le competenze di tipo informativo precedentemente predisposte con il Trattato di Maastricht (riguardanti i traffici di stupefacenti, le sostanze nucleari, l‟immigrazione clandestina, ecc.).

216

Cfr. F. A. CERRETA, G. IANNI, op. cit., p. 995.

217 Nell‟intento di assicurare il perseguimento di tali finalità, il Consiglio europeo, riunitosi a Tampere il

15 ed il 16 ottobre 1999, decise di abrogare la procedura di estradizione tra gli Stati membri rispetto a quella categoria di soggetti che, nel caso di condanna definitiva, tentassero di sottrarsi alla giustizia, per sostituirla con il semplice trasferimento degli stessi. I Capi di Stato e di governo dichiararono l‟applicabilità del principio del “reciproco riconoscimento” in materia di estradizione al fine precipuo di incrementare la cooperazione giudiziaria tanto in materia civile quanto in materia penale. Con specifico riferimento alla materia della estradizione, l‟applicazione di questo principio importa l‟automatico riconoscimento, integrato controlli minimi, da parte di ogni autorità giudiziaria nazionale della richiesta di consegna d‟una persona, presentata dalla magistratura inquirente di un altro Stato membro.

97 rispetto al perseguimento di taluni obiettivi della PESC, tra cui l‟attuazione di decisioni e di azioni dell‟Unione aventi dirette implicazioni sul versante specifico della difesa218

. A ciò fa seguito il disposto in virtù del quale si prevede la congiunta operatività degli Stati membri finalizzata al rafforzamento e lo sviluppo della loro reciproca «solidarietà politica».

Spetta al Consiglio dell‟Unione, sulla base dei principi ed orientamenti generali forniti dal Consiglio Europeo, prendere le decisioni necessarie per attuare la PESC, garantendo l‟unità, la coerenza, l‟efficacia dell‟azione europea per condurre ad una difesa comune. Secondo quanto disposto dall‟art. 13, “Il consiglio definisce i principi e gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza, ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa” e “decide strategie comuni, che l‟Unione deve attuare nei settori in cui gli stati membri hanno importanti interessi in comune”.

La difesa comune viene quindi configurata come l‟obiettivo finale di una politica di sicurezza da definire “progressivamente”.

In tal senso, non è fissata alcuna scadenza, prevedendosi esclusivamente di rimettere ogni decisione all‟organo di vertice, massimo rappresentante delle istanze governative. Nell‟ambito delle “questioni relative alla sicurezza dell‟Unione” risultano ricomprese anche le attività di mantenimento della pace, le missioni di unità di combattimento nella gestione delle crisi, ivi comprese le missioni umanitarie e di soccorso.

Proseguendo il dibattito sulla politica comune in materia di sicurezza avviato nel 1998 dai Capi di Stato e di governo di Francia ed Inghilterra, il Consiglio europeo, riunitosi a Colonia il 3 e il 4 giugno del 1999, ha provveduto in particolare ad adottare una dichiarazione relativa al rafforzamento della politica europea comune in materia di sicurezza e difesa (PESD), in tal modo confermando l‟intenzione di “far sì che l‟Unione europea svolga appieno il suo ruolo sulla scena internazionale […] e di fornire all'Unione europea i mezzi e le capacità necessari perché possa assumere le proprie responsabilità per quanto riguarda una politica europea comune in materia di sicurezza e di difesa”.

Per il tramite dell‟adozione da parte del Consiglio della relazione elaborata dalla presidenza tedesca sul rafforzamento della politica europea comune in materia di sicurezza e difesa, si è così proceduto a sottolineare, tra le altre cose, la necessità di rafforzare la PESC, dotandosi di una politica europea comune in materia di sicurezza e

218

98 difesa (PESD); la creazione d‟una capacità di azione autonoma che si basa su capacità militari ed istanze e procedure di decisione e, ancora, l‟assunzione di decisioni di intervento nel quadro della PESC. Ciò che consente al Consiglio dell‟UE di assumere le decisioni relative a tutti gli strumenti politici, economici e militari per rispondere a situazioni di crisi.

Con il trattato di Nizza, entrato in vigore il 1° febbraio 2003, si avvia invece la “cooperazione rafforzata” per l'attuazione di un‟azione o di una posizione comune, se queste riguardano questioni che non hanno implicazioni di ordine militare o di difesa. Se nessuno Stato si oppone o chiede una decisione unanime al Consiglio europeo (il c.d. “freno d'emergenza”), la cooperazione rafforzata viene decisa a livello di Consiglio, a maggioranza qualificata, con una soglia di otto Stati membri. A livello istituzionale, il trattato di Nizza ha poi finito per rafforzare il ruolo del C.O.P.S. (“Comitato politico e di sicurezza”, secondo la nuova designazione del comitato politico introdotta dal trattato), struttura politica e militare permanente impegnata nella politica di difesa autonoma e operativa dell'Unione. Un organismo, quello in oggetto, che, sulla base della previsione contenuta nell‟art. 25 del trattato UE, può essere autorizzato dal Consiglio, ai fini di un‟operazione di gestione di una crisi e per la durata della stessa, ad assumere in via autonoma adeguati provvedimenti al fine di garantire il controllo politico e la direzione strategica dell‟operazione219

.

La sicurezza e la difesa dell‟Unione viene così definita, ma non disponendo di proprie forze armate, tutti gli Stati membri possono partecipare alle azioni che saranno sviluppate dall‟UE e possono agire anche con la partecipazione alla NATO quando ritengono che il loro intervento sia compatibile con la politica di sicurezza e difesa comune220.

Con riguardo allo specifico segmento dei diritti, risulta infine opportuno rilevare come la procedura sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, già avviata nel

219 Il trattato di Nizza ha provveduto inoltre ad istituire il “Comitato militare dell'Unione europea”, ossia

l‟organo militare più importante istituito nell'ambito del Consiglio, incaricato di fornire al COPS raccomandazioni e pareri militari su tutte le questioni militari nell'ambito dell‟UE e, contestualmente, lo Stato maggiore dell‟UE, competente circa l‟attuazione delle politiche e delle decisioni del comitato militare, che diviene così la fonte per le consulenze militari dell‟Unione stessa.

220 Lo sviluppo della capacità autonoma dell‟Unione di prendere decisioni e, quando la NATO non risulti

impegnata, di avviare e portare avanti operazioni militari per rispettare i compiti fissati a Petersberg in risposta a crisi internazionali non implica la creazione di un esercito europeo. La NATO resta tuttavia il