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L’internazionalizzazione del terrorismo sul versante delle Nazioni Unite

La lotta al terrorismo nel quadro delle Nazioni Unite e della Comunità internazionale

1. L’internazionalizzazione del terrorismo sul versante delle Nazioni Unite

L‟intento di pervenire alla elaborazione d‟un trattato globale sulla repressione del terrorismo fu per la prima volta perseguito dalla Società delle Nazioni, attraverso la predisposizione di due progetti successivamente adottati dalla Conferenza intergovernativa di Ginevra del 1937.

Il primo di questi riguardava la prevenzione e repressione del terrorismo, mentre l‟altro faceva riferimento alla istituzione di una Corte penale internazionale competente a giudicare gli atti di terrorismo.

Sul versante internazionale, dunque, la prima disciplina normativa del fenomeno criminoso con finalità terroristica risulta contenuta nella Convenzione di Ginevra per la prevenzione e la repressione del terrorismo del 16 novembre 1937, adottata sull‟onda dell‟attentato del 9 ottobre 1934, nel quale il Re Alessandro I di Jugoslavia ed il Ministro degli Esteri francese Jean Louis Barthou furono assassinati per mano del terrorista croato Vlada Georgieff247.

La citata Convenzione riconduce nell‟alveo del fenomeno terroristico tutti i “fatti criminali diretti contro uno Stato il cui scopo o la cui natura è provocare il terrore presso delle personalità determinate, dei gruppi di persone o nel pubblico in genere” (art 1, n. 2).

La stessa impone agli Stati contraenti, oltre ad un generico vincolo di prevenzione (art. 12), lo specifico obbligo di prevedere alla stregua di reati nei rispettivi ordinamenti interni taluni fatti criminosi248 – sempre che commessi nel proprio territorio e diretti contro un‟altra Parte contraente – tra cui: gli attentati posti in essere contro capi di Stato, i loro successori, ereditari o designati, ed i rispettivi congiunti, nonché contro

247

Cfr. A. DE GUTTRY, F. PAGANI, Sfida all‟ordine mondiale. L‟11 settembre e la risposta della Comunità internazionale, Roma, 2002 p. 9.

248 Tra gli obblighi previsti dalla citata Convenzione a carico degli Stati contraenti assume particolare

rilievo, inoltre, il dovere di estradare il colpevole (art. 8) o perseguirlo come se il reato fosse stato compiuto sul proprio territorio (artt. 9 e 10).

116 persone rivestite di cariche o funzioni pubbliche, ove l‟attentato sia stato compiuto in ragione di tali cariche o funzioni (art. 2, n. 1); gli attentati aventi ad oggetto beni pubblici o comunque destinati ad uso pubblico (art. 2, n. 2); i fatti intenzionali di natura tale da mettere a repentaglio vite umane attraverso la creazione di un «pericolo comune» (art. 2, n. 3), ed ancora, quelli concernenti il traffico di armi e di sostanze nocive249.

Uno degli aspetti maggiormente interessanti ed innovativi di tale provvedimento concerne la previsione dell‟impegno a carico delle Parti contraenti di elevare ad illecito penale anche le condotte che risultino contraddistinte da una dimensione pluripersonale ed aggregativa, quali l‟associazione o l‟intesa preordinate al compimento di atti di terrorismo, così come pure la partecipazione ed ogni altra forma di supporto intenzionale volta a sostenere o, comunque, ad indurre il compimento di tali atti (art 3)250.

Nel sancire il dovere e l‟impegno della generalità degli Stati contraenti di apprestare tutti gli strumenti ed i provvedimenti idonei ad impedire l‟espletamento di attività terroristiche, l‟accordo di Ginevra manifestava il duplice proposito di perseguire il contrasto del terrorismo non esclusivamente in chiave repressiva, quanto pure sotto il profilo della prevenzione251.

In quest‟ottica sono ad esempio da interpretarsi le disposizioni concernenti la regolamentazione in materia di detenzione, porto e circolazione di armi da fuoco, così come quelle aventi ad oggetto la cessione, la vendita o la distribuzione di esplosivi e, soprattutto, la previsione d‟un apposito servizio informativo centralizzato competente in materia di terrorismo, operante in contatto con le diverse autorità di Polizia ed gli altri organismi di natura complementare ed equipollente252.

Nello stesso anno fu seriamente discussa anche la creazione d‟una giurisdizione penale internazionale, ossia di un organo internazionale dotato d‟una specifica giurisdizione

249

Cfr. La Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo (Ginevra, 16 novembre 1937), in Europa e terrorismo internazionale, a cura di N. RONZITTI, Milano, 1992, p. 147.

250 La prospettiva di repressione sottesa all‟Accordo di Ginevra è resa infatti ancor più ampia dalla

esplicita inclusione nel quadro delle manifestazioni criminose a finalità terroristiche della fattispecie dell‟ istigazione ad atti di terrorismo.

251

La valenza dicotomica della Convenzione di Ginevra ispirerà e contraddistinguerà la struttura di tutti i successivi provvedimenti elaborati in sede convenzionale. Infatti, a partire dal 1937, l‟approccio giuridico al fenomeno del terrorismo – salvo rare eccezioni – finirà per coinvolgere tanto l‟aspetto della prevenzione del terrorismo, quanto quello concernente le misure repressive.

252

117 sugli individui, la cui istituzione risultava esplicitamente contemplata nella seconda parte della Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo.

La Convenzione per la creazione di una Corte penale internazionale si pone in una posizione di sussidiarietà rispetto a quella appena esaminata, dal momento che si proponeva l‟obiettivo di costituire una Corte internazionale competente a giudicare gli individui accusati di uno dei reati enumerati nel precedente Accordo di Ginevra, nell‟evenienza in cui gli Stati contraenti non fossero d‟accordo a mettere in pratica il principio di cooperazione dell‟aut dedere aut iudicare253

.

Il progetto si proponeva, in altri termini, di garantire agli Stati un‟alternativa all‟estradizione ed al processo nazionale, riconoscendo la facoltà di deferire colui che si fosse macchiato d‟un delitto di natura terroristica al giudizio dell‟istituenda Corte, così da evitare allo Stato di rifugio il complesso procedimento di estradizione verso lo Stato richiedente. Pur ponendosi come il primordiale esempio di accordi multilaterali contenenti una, sia pur limitata e tautologica, definizione del delitto di terrorismo, nessuna delle due convenzioni riuscì tuttavia ottenere le ratifiche necessarie a garantirne l‟entrata in vigore254

.

L‟opportunità di cristallizzare il terrorismo in una definizione generale, condivisa dall‟intera Comunità internazionale, avrebbe recato con sé il pregio, per nulla trascurabile, di fornire agli Stati una comune piattaforma operativa.

Pregio tanto più rilevante dal momento che allo stato attuale, come è noto, non esiste una nozione universalmente condivisa del reato di terrorismo, risultando ogni Stato libero di darne un‟interpretazione più o meno ampia255

.

253 Art. 2 della Convenzione per la creazione di una Corte penale internazionale (Ginevra, 16 novembre

1937), in N. RONZITTI, op. cit., p. 156.

254 Il fallimento conseguito in sede di ratifica è da addebitarsi, principalmente, al volgersi degli eventi

verso il secondo conflitto mondiale e, parallelamente, al diretto coinvolgimento di molti degli stati partecipanti all‟Accordo nelle azioni da dover assumersi come “terroristiche”.

255 A tal proposito, in un suo recente articolo intitolato “Terrorism as an international crime” Antonio

Cassese ha sostenuto che i numerosi strumenti pattizi internazionali dedicati al contrasto dei diversi atti di matrice terroristica, nonché la presenza di documenti politici adottati per consensus (quale, ad esempio, la Risoluzione 49/60 del 1994 dell‟Assemblea generale delle Nazioni Unite) sarebbero comunque da interpretare nel senso di decretare la convergenza della Comunità internazionale su una nozione di terrorismo subordinata alle seguenti specifiche condizioni: 1) gli atti posti in essere devono essere atti penalmente rilevanti per la maggior parte dei sistemi giuridici nazionali (omicidio, sequestro di persona, tortura ecc.); 2) essi devono avere la finalità di imporre ad un governo o ente internazionale di compiere o astenersi dal compiere un determinato atto, spargendo il terrore nella popolazione; 3) tali atti devono essere commessi sulla base di motivazioni politiche, religiose ovvero ideologiche, non devono pertanto essere motivati dal perseguimento di fini di lucro o interessi privati. Secondo tale impostazione, dunque, pur non essendo “tipicizzato” secondo il diritto internazionale, il fenomeno del terrorismo risulterebbe comunque permeato da talune peculiari connotazioni in grado di contraddistinguerlo e delinearlo alla stregua d‟una categoria autonoma. Cfr. Terrorism as an international crime, in Enforcing international law norms against terrorism, a cura di A. BIANCHI, Oxford, 2004, pp. 213-225.

118 Ciò che emerge all‟interno dello stretto ambito del diritto internazionale penale risulta essere innanzitutto il consolidamento del concetto di “crimine internazionale dell‟individuo”, per tale intendendosi quella condotta individuale che, in quanto suscettibile di determinare una violazione della pace e della sicurezza internazionali ovvero di valori umanitari, sia in grado di pregiudicare direttamente la comunità internazionale o l‟intera umanità.

Un simile quadro nozionistico emerge nitidamente dal progetto di Codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell‟umanità, così come pure dagli Statuti dei due Tribunali

ad hoc e della Corte penale internazionale.

Il sistema si basa essenzialmente sulla distinzione fra core crimes e crimini sui quali non si è ancora cristallizzato il consenso diffuso della comunità internazionale.

I primi, diffusamente denominati delicta juris gentium, traggono origine dalla codificazione attuata con gli Statuti dei Tribunali di Norimberga e di Tokyo in cui si tiene conto della distinzione fra le figurae criminis accolte dal diritto internazionale generale: i crimini contro la pace, i crimini di guerra, i crimini contro l‟umanità256. I secondi risultano invece previsti da trattati settoriali, riguardanti, ad esempio, il traffico di sostanze psicotrope, l‟apartheid e, com‟è noto, il terrorismo.

Secondo le clausole dello Statuto del Tribunale Penale Internazionale, il crimine di genocidio presuppone una specifica serie di atti commessi con l‟intento di distruggere, interamente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.

A mero titolo esemplificativo, possono qui richiamarsi le accuse penali costituite dal genocidio per omicidio (art. 6, lett. a, cit. Statuto), per aver causato gravi danni fisici o mentali (art. 6, lett. b) o per aver deliberatamente imposto condizioni di vita tali da comportare distruzione fisica (art. 6, lett. c). Secondo quanto specificato all'articolo 7 dello Statuto di Roma, i crimini contro l‟umanità implicano invece la consumazione d‟un qualsiasi atto configurabile come parte di un attacco di vaste proporzioni o sistematico, diretto contro qualsiasi popolazione civile, con consapevolezza dell'attacco. Rientrano ad esempio in tale ambito l‟omicidio (art. 7, lett. a), lo sterminio (art. 7, lett. b), la riduzione in schiavitù (art. 7, lett. c), la deportazione o il trasferimento forzato della popolazione (art. 7, lett. d) e l‟imprigionamento o le altre gravi forme di privazione della libertà personale (art. 7 lett. e). Con riguardo infine ai crimini di guerra,

256 Sulla distinzione fra crimini di guerra, crimini contro la pace e contro l‟umanità v. , fra i tanti, F.

FRANCIONI, Crimini internazionali, in Digesto-Disc. pubbl., IV,1989, pp. 230 ss; N. RONZITTI, Crimini internazionali, in Enc. giur., X, 1988.

119 questi sono equiparati dall‟art. 8 dello Statuto di Roma ad una grave violazione delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 (Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra, Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili in tempo di guerra), includendosi fra gli altri: l‟omicidio volontario, la tortura e i trattamenti inumani, l‟esecuzione di esperimenti biologici, la cattura di ostaggi, gli attacchi contro popolazioni civili, le mutilazioni fisiche e la violazione della dignità della persona. La punizione dei c.d. crimini internazionali quali i delitti di guerra, quelli contro l‟umanità, il genocidio, la tortura, l‟aggressione ed, appunto, gli atti di terrorismo internazionale risulta da sempre condizionata e subordinata all‟applicazione di talune limitazioni imposte alla potestà punitiva degli Stati, tradizionalmente incarnate dai principi della nazionalità attiva o passiva (se l‟autore o la vittima risultano propri cittadini) e della territorialità (crimine commesso sul proprio territorio)257.

Le difficoltà legate alla incriminazione di tale tipologia di delitti sono da addebitarsi alla sussistenza d‟una diversa serie di ostacoli.

A tal proposito, occorre innanzitutto rilevare che molto spesso, anche se non sempre, i suddetti crimini sono posti in essere da organi statali (organi di governo, capi di stato, militari, uomini politici ecc.) o, almeno, con il placet, la tacita accettazione o addirittura l‟istigazione da parte dell‟apparato statale, con il conseguente impedimento per i tribunali territoriali di perseguirne il compimento. Tali crimini, inoltre, non si pongono come una manifestazione di ciò che si definisce una “delinquenza individuale” (nel cui ambito rientrano quei reati commessi per scopi di lucro o per impulsi personali, quali l‟omicidio, il furto, la rapina ecc.), quanto piuttosto d‟una criminalità per così dire “sistematica”, immedesimata in organizzazioni a delinquere operanti su larga scala o, come nel caso degli odierni gruppi terroristici, in cellule organizzate operanti con l‟avallo tacito o espresso delle autorità statali, da ciò derivando la concreta difficoltà per

257 In virtù di tale principio, la giurisdizione penale può esercitarsi esclusivamente per quei reati che

presentano un collegamento con lo Stato del giudice territoriale: risulta cioè competente a giudicare il giudice del territorio sul quale tali reati sono stati commessi. La suddetta regola assume un fondamento ideologico, basato sul concetto di sovranità: già nel lontano 1764, nella sua opera su “Dei delitti e delle pene”, Cesare Beccaria affermava: “alcuni credono che […] un‟azione crudele fatta, per esempio, a Costantinopoli possa essere punita a Parigi, per la astratta ragione, che chi offende l‟umanità, merita di avere tutta l‟umanità inimica, e l‟esecrazione universale; quasi che i giudici fossero vindici della sensibilità degli uomini, e non piuttosto dei patti che li legano fra di loro. Il luogo della pena è il luogo del delitto, perché ivi solamente, e non altrove, gli uomini sono sforzati di offendere un privato per prevenire l‟offesa pubblica”. Il principio di territorialità risulta tuttavia permeato anche e soprattutto da un fondamento di ordine pratico. E‟, infatti, sul territorio in cui è stato consumato il crimine che normalmente (anche se non in via esclusiva, come può ben evincersi dal nuovo e partcolare modus operandi riconducibile alla odierna criminalità transnazionale) possono trovarsi le prove, i testimoni, il corpo del reato e l‟imputato: in altri termini, il tribunale territoriale ha da sempre costituito il “forum conveniens”.

120 i giudici territoriali di intervenire in tale specifico settore, anche in considerazione delle estese ramificazioni di tale forma di malvivenza e delle enormi laboriosità legate al reperimento delle prove.

Un ostacolo ulteriore è poi dato dalla circostanza che, venendo spesso perpetrati nel corso di conflitti armati interni od internazionali, in molti casi viene a trattarsi di delitti legati alla violenza bellica, conseguendone una dimensione spesso interstatuale dei crimini in grado di rendere il loro perseguimento ancor più arduo e complesso rispetto a quello proprio dei reati comuni.

La sempre crescente diffusione dei crimini internazionali nelle diverse aree del mondo ha indotto gli Stati a ricorrere a tre soluzioni alternative: la creazione di tribunali internazionali a carattere penale, l‟esercizio della giurisdizione universale nel campo civile ad opera di giudici statali258 e, anche sull‟esempio delle norme penali contenute nelle quattro Convenzioni di Ginevra259, l‟esercizio da parte di tribunali nazionali della giurisdizione penale extraterritoriale, in ordine a crimini internazionali quali la tortura, il genocidio ed il terrorismo.

Tale ultimo espediente ha attribuito ai giudici nazionali la possibilità di pronunciarsi su crimini commessi all‟estero da cittadini stranieri contro altri stranieri, qualora per la loro gravità debbano ritenersi lesivi di interessi e valori comuni a tutta la comunità internazionale e semprechè, o per incapacità o per mancanza di volontà a tale scopo, lo

258

La soluzione alternativa alla giurisdizione penale universale del ricorso all‟esercizio extraterritoriale civile in ordine a crimini commessi all‟estero da stranieri in danno di stranieri (nonché di altre gravi violazioni dei diritti umani), impiegata negli Stati Uniti a partire dal 1980 (quando, su sollecitazione del Dipartimento di Stato, un tribunale civile di New York decise di applicare, reinterpretandola integralmente, una legge del 1789 destinata a colpire la pirateria e gli atti commessi contro il personale diplomatico, l‟Alien Tort Claims Act), ha preso origine dalla constatazione che l‟imposizione dell‟obbligo di risarcimento dei danni arrecati attraverso gravi crimini potesse rivelarsi, anche in termini dissuasivi, ancor più efficace della condanna penale. Nonostante il lodevole proposito di scongiurare l‟impunità degli autori di gravi crimini, la suddetta procedura incontra un limite nel fatto di costituire appannaggio d‟un unico Stato, appunto gli Stati Uniti, carente tra le altre cose d‟una competenza universale a carattere penale (com‟è noto, infatti, i tribunali penali americani possono procedere esclusivamente in ordine a crimini commessi all‟estero, quando la vittima o il suo autore siano cittadini statunitensi).

259

Occorre evidenziare che le clausole penali contenute nelle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, contemplanti la giurisdizione penale universale in ordine alle “infrazioni gravi” delle stesse, non hanno mai trovato applicazione ad opera dei giudici nazionali degli Stati contraenti fino al 1994, anno in cui cominciò a funzionare il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, la cui azione indusse di fatto i giudici di diversi stati a rilevare il valore delle suddette clausole penali. La prima parte di ognuna delle quattro Convenzioni contiene regole generali importanti e praticamente identiche. A tal proposito è opportuno rilevare che le Convenzioni risultano applicabili non solo dopo lo scoppio delle ostilità, quanto pure immediatamente dopo (art. 2). Le stesse trovano applicazione anche se l‟occupazione di un territorio avviene in modo pacifico (art. 2). Inoltre, nell‟eventualità in cui uno degli Stati coinvolti nel conflitto non avesse ratificato le Convenzioni gli altri Stati ne saranno egualmente vincolati (art. 2), sotto la sorveglianza e la supervisione di Stati neutrali che salvaguardano gli interessi dei belligeranti in ogni territorio.

121 stato territoriale competente o quello di cui il presunto reo possegga la nazionalità si astengano dal perseguire il crimine.

L‟esercizio della giurisdizione penale può aver luogo secondo due diverse modalità. Infatti, mentre in alcuni Paesi come il Belgio (nella legislazione del 1993 e 1999 attualmente abrogata) si è accolto il concetto di giurisdizione universale assoluta e, dunque, la possibilità di procedere anche in assenza del presunto reo, in altri casi, come per esempio in virtù delle citate quattro Convenzioni di Ginevra, della Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura, delle diverse convenzioni previste in materia di terrorismo, o, ancora, secondo la legislazione di taluni Stati (come la Spagna, la Germania, la Svizzera, l‟Italia ecc.) si è deciso di procedere soltanto a condizione che il presunto reo si trovi sul territorio dello Stato (c.d. “universalità condizionata”). Ipotesi, quest‟ultima, implicante la difficoltà di stabilire se sia necessaria la presenza sul territorio dello Stato del presunto colpevole al tempo dell‟inizio dell‟azione penale ovvero, invece, al momento del rinvio a giudizio e prima che abbia luogo il dibattimento260.

Come avvenuto in Spagna nella vicenda dell‟ex ufficiale della giunta militare di Buenos Aires, Scilingo261, (condannato il 19 aprile 2005 per crimini contro l‟umanità, in quanto ritenuto colpevole d‟essere stato a bordo di un aereo della Prefettura Navale da cui furono gettati nell'Oceano Atlantico 30 dissidenti politici, nudi e sedati con farmaci, durante la Dittatura della Giunta Militare del 1976-1983) ed in quella relativa ai quattro ruandesi processati in Belgio per genocidio, la giurisdizione penale universale è stata finora esercitata soltanto dai giudici belgi e spagnoli, come anche da parte di tribunali danesi, tedeschi e svizzeri, sia pure in relazione a crimini perpetrati nella ex Jugoslavia. La graduale affermazione del principio dell‟universalità della giurisdizione penale ha di fatto consentito agli ordinamenti statali di esplicare la propria competenza nei confronti degli individui colpevoli di crimini internazionali e di processarli dinanzi ai rispettivi tribunali in vista della tutela di un interesse di tutta la comunità internazionale, senza tener conto del luogo di commissione del crimine e della nazionalità del presunto reo o della vittima.

260 A favore di tale ultima ipotesi potrebbe addursi la constatazione che, potendo l‟azione penale avere

inizio anche in assenza del presunto reo, è possibile raccogliere le prove ed eventualmente emettere una richiesta di estradizione, così da rendere ancor più efficace il perseguimento dei crimini particolarmente gravi.

261 La Corte costituzionale spagnola in una sua importante decisione assunta il 26 settembre 2006

(petizione di Rigoberta Menchù Tum e altri) ha decretato che i giudici spagnoli possono esercitare la giurisdizione penale universale per crimini internazionali quali il genocidio ed il terrorismo anche in assenza del presunto reo al momento dell‟inizio delle indagini.

122 Ciononostante, i tribunali interni non risultano abitualmente propensi ad affermare la propria competenza in assenza di collegamenti territoriali o nazionali con il crimine commesso ed in mancanza di una legislazione interna che preveda espressamente la universalità della giurisdizione penale, nel timore che l‟esercizio di tale potestà possa in qualche modo venire percepita come una intrusione negli affari interni di altri Stati (c.d. competenza domestica).

Anche per tale ragione si è andata progressivamente sviluppando nella comunità internazionale la tendenza sempre più evidente volta ad affermare la competenza di