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Il dibattito sul post-REI e sul Reddito di cittadinanza

Le prime evidenze sul REI si incrociano con il dibattito in corso sul Reddito di cittadinanza, la proposta contro la povertà presentata dal M5S. Il REI, nella sua versione attuale, costa poco meno di 3 miliardi all‟anno. Il Reddito di cittadinanza costerebbe secondo i proponenti circa 15 miliardi all‟anno, più 2 miliardi di investimenti per il primo anno per riformare i Centri per l‟impiego. Secondo le stime dell‟INPS, la spesa annuale ammonterebbe a circa 35-38 miliardi. Negli ultimi anni la quota di famiglie in povertà relativa è cresciuta, e con essa la diseguaglianza. Il

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reddito di cittadinanza dei 5S ha proprio l‟obiettivo di coprire la distanza che separa la soglia di povertà relativa dai redditi delle famiglie che sono ad essa inferiori. Se il numero delle famiglie sotto la soglia cresce, aumenta anche la spesa totale. (Baldini, 2018). La spiegazione attribuibile alla differenza tra la stima del costo del reddito di cittadinanza secondo i 5S e quella secondo l‟INPS potrebbe essere ricondotta alla seguente motivazione. Il reddito di cittadinanza copre la differenza tra la soglia di povertà relativa Eurostat e il reddito monetario della famiglia. La soglia Eurostat è il 60% del reddito equivalente mediano, che non include la somma degli affitti figurativi delle famiglie che possiedono la casa (l‟affitto figurativo è una misura del benessere di possedere la casa, pari al canone che si riceverebbe dandola in affitto). La stima a cui fanno riferimento i 5S include nel reddito familiare l‟affitto figurativo, quindi la distanza tra la soglia e il reddito si riduce. Considerando che molte famiglie in povertà relativa vivono in proprietà, questa differenza metodologica riduce molto la spesa prevista. Differenziare l‟intervento tra chi vive in proprietà e chi vive in affitto ha un senso, perché a parità di reddito monetario il tenore di vita di chi possiede l‟abitazione di residenza è superiore rispetto a chi non l‟ha possiede. Ma il disegno di legge del Reddito di cittadinanza, considerando il metodo Eurostat di calcolo della povertà, non tiene conto di questa differenza. Inoltre va tenuto conto che il numero effettivo di beneficiari di solito è inferiore a quello potenziale, perché non tutte le famiglie povere presenterebbero domanda, per vari motivi (vergogna, paura della burocrazia, indisponibilità a sottoscrivere un percorso di attivazione, timore che si scoprano attività in nero, ecc.). D‟altra parte, dato che il Reddito di cittadinanza sarebbe molto generoso, potrebbe attirare molte domande. Il dibattito sulla spesa necessaria, in qualunque modo, rischia di rimanere solo un ipotesi per la semplice ragione che i conti pubblici italiani non possono permettersi di aumentare la spesa di 15 miliardi l‟anno, tanto meno di 35-38 (Baldini, 2018).

Il reddito di cittadinanza proposto dal M5S, non corrisponde a quel concetto di reddito di cittadinanza proposto da Atkinson e Van Parijs inteso come un ammontare da dare a tutti senza condizioni e indipendentemente dalle condizioni individuali e familiari. Ma il reddito chiamato impropriamente di cittadinanza proposto dal M5S, in termini concettuali non è diverso dal reddito di inclusione “REI”, ovvero un reddito a sostegno di chi si trova in povertà condizionato alla disponibilità

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nell‟attivarsi a trovare un lavoro. Anzi il cosiddetto reddito di cittadinanza del M5S, su questo punto appare sulla carta più stringente del REI, dato che imporrebbe di accettare qualsiasi lavoro (Saraceno, 2018).

Le differenze tra le due misure sono maggiormente rilevanti sotto due aspetti: uno è relativo ai costi della misura, l‟altro si riferisce alle stime della platea dei beneficiari. Nel caso del Reddito di cittadinanza, l‟individuazione della soglia di povertà è molto più alta quindi questo comporterebbe un aumento della platea dei beneficiari rispetto a quella stimata per il REI. Inoltre anche gli importi medi sarebbero molto più alti il che provocherebbe un aumento del costo complessivo della misura. Altro rischio riconducibile a sussidi così generosi potrebbe essere quello di un aumento del fenomeno della “trappola della povertà”, ovvero alcune famiglie potrebbero trovare più conveniente non cercare lavoro, o smettere di farlo, per poter beneficiare del sussidio. Questo rischio riguarda soprattutto il lavoro femminile o i lavori più faticosi o a basso salario (Baldini, Daveri, 2018). Altra differenza e che il Reddito di cittadinanza sembra tener conto solo del reddito e non della ricchezza, cioè dell‟ISEE, trascurando i rischi legati ai “falsi poveri” a cui tale criterio conduce. Infine, a differenza del REI, il sostegno sarebbe erogato fin che il bisogno persiste e non sospeso dopo i 18 mesi, come previsto per il REI, a prescindere che la situazione sia migliorata o meno. Il principio di base potrebbe essere condivisibile. Ma considerando l‟elevato numero di potenziali beneficiari e le riscontrate difficoltà legate alla predisposizione di reali progetti di tipo lavorativo in grado di superare la soglia di povertà, il principio rischia di trasformare questa forma di sostegno al reddito in un contributo permanente. Inoltre potrebbe produrre delle ingiustizie tra chi si trova sotto la soglia, ma non è disoccupato e dunque non ha i requisiti per ottenere il sostegno e chi è ufficialmente disoccupato e quindi, tramite il reddito di cittadinanza ottiene un reddito fino alla soglia di povertà individuata. Per tali motivi si potrebbe rischiare di favorire il lavoro nero. Tutte queste caratteristiche sopra descritte, rendono la proposta insostenibile nel breve-medio periodo dal punto di vista finanziario e, con un certo grado di perplessità, dal punto di vista dell‟equità e dell‟efficacia. Tutto ciò non preclude la possibilità di far tesoro degli aspetti importanti (es. aspetti di universalismo a parità di bisogno e di vincolo di durata connesso all‟uscita dal bisogno) per migliorare il REI. Come primo elemento, si

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potrebbe pensare di finanziare il REI in modo adeguato e graduale al fine di coprire, aumentando l‟ammontare del beneficio, tutta la platea dei poveri assoluti e non solo la metà dei potenziali beneficiari. In secondo luogo si potrebbe pensare di premiare coloro che si impegnano a procurarsi un reddito da lavoro evitando, fino a una determinata soglia da definire, la riduzione del sussidio in base al reddito guadagnato. Infine, si potrebbe valutare la sensatezza, dal punto di vista dell‟equità e dell‟efficacia, di interrompere il sostegno economico trascorsi i 18 mesi anche se la persona e la famiglia, nonostante gli sforzi e la buona volontà, non sono riusciti ad uscire dalla povertà assoluta. Pertanto, tenendo in considerazione le reali opportunità di lavoro e considerando che il 12% delle famiglie di operai è in povertà assoluta e oltre l‟11% dei minori che si trovano in povertà assoluta vive in una famiglia in cui vi è una persona che lavora, è opportuno migliorare il REI anche sulla base di un accurato monitoraggio di ciò che funziona e ciò che va cambiato (Saraceno, 2018). Una possibile soluzione al problema della sostenibilità della spesa, sarebbe quella di puntare a potenziare ciò che si è già cominciato a fare, cioè il REI, piuttosto che intraprendere nuovi percorsi il che significherebbe creare incertezza, incrementando la dotazione in modo graduale. Un aumento a tappe successive delle soglie del REI realizzerebbe una maggiore copertura delle famiglie in povertà assoluta. (Baldini, 2018).

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CONCLUSIONI

Le misure nazionali e locali di contrasto alla povertà introducono sempre più frequentemente meccanismi di condizionalità. Il tema sulle misure di trasferimento monetario condizionale oggi riveste un ruolo chiave nelle strategie anti-povertà di molti paesi. Un primo risultato del presente lavoro, è quello di aver evidenziato che le condizionalità, intese come incentivi comportamentali, sono diventate dagli anni‟80 -‟90 parte integrante dei programmi d‟integrazione al reddito, dei sussidi di disoccupazione, dei sussidi allo studio per minori in condizioni di disagio e delle misure di reddito minimo garantito in quasi tutti i paesi dell‟Unione Europea. Inoltre sono parte integrante anche delle politiche di attivazione denominate welfare-to-work degli Stati Uniti e Regno Unito e in quelle di contrasto della povertà delle famiglie con minori.

È stato rilevato che le condizionalità nei trasferimenti monetari sono state principalmente introdotte sulla base di due principali motivazioni: uno fa riferimento alle ristrettezze finanziarie, l‟altro riferito alla necessità di limitare alcuni effetti negativi delle precedenti misure criticate per la scarsa efficacia sui livelli occupazionali e/o per i disincentivi al lavoro favorendo la dipendenza dal welfare. Ciò che accomuna i diversi regimi di welfare è una maggiore intensità con cui è posta la richiesta di determinate condotte (es. rispettare gli appuntamenti con i consulenti del lavoro, iscrizione ai centri per l‟impiego) e una maggiore severità delle sanzioni.

I risultati di una review realista analizzata nel presente lavoro mostrano che l‟introduzione delle condizionalità negli schemi di welfare è servita, prima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito e nel resto dell‟Europa, a introdurre degli elementi di correzione nelle misure di TM e nei sussidi di disoccupazione precedenti che avevano disincentivato il lavoro dei precettori dei sussidi. Pertanto dall‟analisi sul programma TANF (Temporary Assistance to Needy Families) avviato negli Stati Uniti, finalizzato ad aumentare il reddito e i tassi di occupazione, è possibile evidenziare che le condizionalità sull‟occupazione introdotte con la riforma degli anni‟90 produssero un declino dei tassi di disoccupazione e dei tassi di povertà, maggiormente evidenziato nel gruppo delle madri single rispetto a quello delle

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coppie sposate, con un aumento di circa il 4% degli occupati e una riduzione del 20% del numero dei casi in assistenza. Anche dall‟analisi sul programma NDLP (New Deal for Lone Parents) introdotto nel Regno Unito, si evince che l‟introduzione delle condizionalità portarono ad un aumento dei tassi di occupazione e aumentarono le uscite dal beneficio al lavoro di 24 punti percentuali, misurati su un periodo di nove mesi.

Dall‟analisi di lettura sui risultati, condotta sui programmi di TMC sperimentati nei Paesi in via di sviluppo orientati all‟incremento di capitale umano incentivando la frequenza scolastica e al miglioramento del sistema scolastico, è stato possibile rilevare che il programma Progresa implementato in Messico ha avuto un impatto significativo provocando un aumento del tasso di circa l‟8% per le femmine e circa il 4% per i maschi iscritti nella scuola secondaria. Dai risultati sul programma Balsakhi sperimentato nelle città di Mumbai e Vadodara, volto a migliorare la qualità dell‟istruzione, si è riscontrato un miglioramento delle competenze dei bambini con difficoltà nella lettura.

Come si è potuto osservare dai risultati, i trasferimenti monetari condizionali hanno un potenziale nell‟introdurre significativi cambiamenti comportamentali nei beneficiari della misura, nel ridurre la dipendenza dai sussidi pubblici e nel promuovere lo sviluppo di un sistema di politiche sociali di contrasto alla povertà. L‟analisi sulle misure volte a contrastare la povertà messe in atto in Italia rileva che le politiche nazionali (RMI, Carta acquisti) e regionali (RdC, RdB, RG) di contrasto alla povertà mediante trasferimenti monetari condizionali sperimentate nel welfare italiano, sono risultate deboli e poco efficaci nell‟affrontare il fenomeno della lotta alla povertà. Tale risultato è stato generato dal loro carattere sperimentale ovvero della provvisorietà dei vari interventi dovuta ai vincoli di bilancio e all‟incertezza delle risorse disponibili, e dalla discontinuità del ciclo politico. Tutto questo ha avuto un peso notevole per il sistema di welfare in Italia tanto che non si consolidarono adeguati strumenti in grado di dare attuazione a un coerente impegno sul versante della lotta alla povertà.

L‟introduzione delle misure, prima del SIA e poi del REI, sembrano coprire una mancanza che da tempo contraddistingue il sistema di protezione sociale italiano. A confermarlo sono i risultati sulla valutazione del SIA, ottenuti dallo studio condotto

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dal team di ricercatori facenti parte dell‟Alleanza contro la povertà relativi al primo anno di implementazione. La misura si è dimostrata promettente ma si è riscontrata la necessità di rafforzare l‟organico, le risorse umane e le competenze tecnico- professionali deputate a gestire i processi attuativi. Inoltre si evidenzia la necessita di rafforzare forme di coordinamento orizzontale e verticale tra amministrazioni centrali ed enti locali, tra gli attori locali pubblici e quelli del terzo settore.

Le evidenze prodotte dal lavoro di comparazione tra le due misure del SIA e del REI, rilevano che le differenze più rilevanti si riscontrano nella platea dei beneficiari, nelle soglie d‟accesso, nell‟importo e nella durata del trattamento. Dalla comparazione delle stime delle platee dei potenziali beneficiari tra SIA e REI si può notare che il nuovo strumento consente di raddoppiare le famiglie potenzialmente coinvolte. Inoltre il REI rispetto al SIA risulta più equo, in quanto il criterio di integrazione al reddito fino a un soglia predeterminata, adottato dal REI, consente una maggiore equità territoriale sia tra le diverse aree del Paese che all‟interno delle stesse. L‟aspetto relativo alla componente attiva delle misure, ovvero la possibilità d‟inserimento lavorativo, risulta nei fatti molto limitata. Pertanto, per evitare che le misure si sostanziano solo nel trasferimento monetario, è su questo elemento che bisogna lavorare pensando ad efficaci percorsi di attivazione e di integrazione sociale e/o lavorativa, poiché il modo migliore per combattere la povertà e l‟esclusione sociale è creare posti di lavoro anche tramite programmi di occupazione sociale. Oggi il REI rappresenta per il nostro Paese un momento di svolta delle politiche di welfare, poiché per la prima volta si mette a regime su tutto il territorio nazionale uno strumento di contrasto alla povertà e di garanzia di un reddito minimo. Nonostante il nuovo strumento sia più sostanziale, definito ed equo rispetto a quelli precedentemente sperimentati, risulta ancora limitato in ragione dei finanziamenti insufficienti rispetto ai bisogni. Le risorse stanziate non consentono tutt‟oggi di raggiungere tutte le persone in povertà assoluta. Rendere la misura universale deve essere intesa come un traguardo per tutti, evitando l‟incremento dell‟utenza senza che si prevedano risposte adeguate nell‟importo dei contributi economici e nei percorsi di inclusione sociale. Questo aspetto è importante al fine di evitare che si raggiungano sempre più persone, senza però dare loro la possibilità di migliorare effettivamente le proprie condizioni. Pertanto è indispensabile che le risorse

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aggiuntive potenzino sia la dimensione dei servizi alla persona sia i trasferimenti monetari. Per avere una misura universale in grado di raggiungere tutte le persone in povertà assoluta sono necessari maggiori risorse. Inoltre è altrettanto importante ampliare l‟importo del beneficio economico e investire sui servizi del welfare locale, chiave essenziale per far si che la misura sia efficace in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Un aumento a tappe successive delle soglie del REI realizzerebbe una maggiore copertura delle famiglie in povertà assoluta.

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