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Rivisitazione delle esperienze più significative

In questo paragrafo verranno analizzate, con il supporto della letteratura, le principali esperienze di politiche nazionali e ragionali di contrasto alla povertà mediante trasferimenti monetari condizionali sperimentate in Italia. L‟arco degli interventi considerati va dall‟introduzione in via sperimentale del Reddito Minimo di Inserimento (RMI) nel biennio 1999-2000, Reddito di cittadinanza (RdC), Reddito di base (RdB), Reddito di garanzia (RG), fino alla Carta Acquisti o social card (SC) e la sperimentazione della nuova Social card (SCS). Due di queste misure sono nazionali (RMI, Carta acquisti) e tre sono regionali.

Il Reddito Minimo di Inserimento venne introdotto con il D.lgs 237/98 che definisce il RMI «una misura di contrasto alla povertà e dell‟esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali delle persone esposte al rischio della

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marginalità sociale ed impossibilitate a provvedere per cause psichiche, fisiche e sociali al mantenimento prossimo e dei figli» (art.1 D.lgs 237/98). Venne istituito in via sperimentale in 39 Comuni italiani per il biennio 1999-2000, nel quadro delle indicazioni del rapporto della “Commissione Onofri”. Si trattava di famiglie numerose con una significativa presenza di figli minori in situazioni di povertà intensa. La scelta dei comuni avvenne sulla base di un insieme di indicatori (tasso di occupazione, livello dei reati commessi, numero di minori coinvolti, livello di scolarizzazione, condizione di abitabilità delle case) stabiliti dall‟Istat. Inoltre presero in considerazione anche il livello di disomogeneità territoriali di carattere economico, demografico e sociale, insieme alla valutazione dei livelli di povertà, della varietà di interventi socio-assistenziali già presenti nell‟aerea di riferimento, la disponibilità del Comune a partecipare alla sperimentazione. Una volta selezionati, i Comuni hanno dovuto predisporre un progetto di attuazione che fu presentato per l‟approvazione al Ministero per la Solidarietà Sociale. Un ampliamento della sperimentazione si ebbe con la Legge 328/2000 che autorizzò il prolungamento della sperimentazione per un ulteriore biennio 2001-2002 e l‟estensione a nuovi Comuni per un totale di 306, individuati secondi i criteri di vicinanza agli altri Comuni e appartenenti ai Patti territoriali, stabili dalla stessa legge (Spano, 2009 : 8).

L‟introduzione del RMI costituì uno dei punti cardine di una serie di iniziative mirate a cambiare il sistema di welfare del nostro paese. L‟obiettivo era quello di dare una svolta alle consolidate arretratezze del sistema di protezione sociale italiano, coniugando l‟erogazione monetaria volta a fronteggiare le situazioni di grave povertà economica a progetti di reinserimento sociale e/o lavorativo finalizzati a superare la situazione di non autosufficienza economica. Inoltre, il RMI si presentava come una misura di lotta alla povertà finanziata attraverso la fiscalità generale, che per la prima volta risultava di stampo universalistico e, al tempo stesso, selettiva. Poiché in Italia, il sistema degli interventi di contrasto alla povertà operanti sino ad allora era improntato sulla base di un impianto settoriale, con l‟avvio di questo intervento l‟idea era quella di superare tale sistema.

Il RMI prevedeva un trasferimento monetario di integrazione ai redditi familiari, variabile in base alle condizioni economiche dei beneficiari, ed era pari alla differenza tra la situazione economica familiare e una soglia di povertà fissata per il

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1998 in 500.000 lire mensili per una persona, incrementata in maniera predefinita negli anni successivi. I beneficiari per poter accedere alla misura dovevano essere in possesso di un reddito non superiore alla soglia di povertà stabilita in 500.000 lire mensili per una persona che viveva da sola. Per nuclei familiari di diverse dimensioni tale soglia di reddito era determinata sulla base di una scala di equivalenza calcolata in base al numero dei componenti. Inoltre, la condizione patrimoniale in tale misura veniva considerata come criterio di ammissibilità, pertanto per essere ammessi al RMI i richiedenti dovevano essere privi di patrimonio mobiliare (titolo di stato, azionari, di deposito, ecc.) che immobiliare ad esclusione della prima casa, nonché quella abitata a residenza principale e con valore non superiore a una certa soglia stabilita dal singolo Comune. Poiché ai Comuni era lasciato ampio spazio di discrezionalità, essi applicarono il decreto istitutivo del RMI in modo diversificato. Alcune amministrazioni locali utilizzarono scale di equivalenza diverse da quella prevista dal decreto, altre modificarono le soglie di povertà adattandole al contesto socio-economico, altre adottarono i criteri di calcolo della condizione economica secondo l‟ISEE (Ministro della solidarietà sociale, 2007). Tale discrezionalità lasciata ai comuni si manifestò anche nell‟applicazione di ulteriori detrazioni alla somma dei redditi qualora alcune spese fossero ritenute onerose per le famiglie. Nell‟attuare un intervento nazionale, lasciare ampi spazi di manovra alle amministrazioni locali può essere «la causa di frammentazioni territoriali incontrollate che rischiano di togliere elementi di certezza e quindi trasparenza all‟istituto e alla situazione di bisogno che fronteggia» (IRS, Fondazione Zancan e Cles, 2001 : 20).

Parte fondamentale del disegno della misura, intesa come misura di contrasto di situazioni di marginalità sia in una prospettiva monetaria che di inserimento lavorativo ed inclusione sociale, era la previsione di interventi di integrazione sociale e attivazione nel mercato del lavoro personalizzati con condizionalità applicati in modo discrezionale dai diversi Comuni per i quali erano stabiliti impegni nell‟organizzazione del servizio di gestione del RMI. Tali interventi dovevano essere progettati in modo specifico per far fronte alle esigenze del singolo beneficiario e dovevano essere svolti da ciascun membro della famiglia beneficiaria, pena la sospensione o esclusione dal programma. Ad esempio, per i minori, tali progetti

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potevano prevedere l‟accompagnamento durante gli anni di obbligo scolastico in modo da evitare il fenomeno dell‟abbandono, invece per i soggetti beneficiari in età attiva e idonei al lavoro i progetti erano volti all‟inserimento lavorativo ed era obbligatoria l‟iscrizione ai Centri per l‟impiego e la partecipazione alle attività da essi proposte come percorsi di formazione professionale o di alfabetizzazione o eventuali offerte di lavoro. Per incentivare il reinserimento nel mercato del lavoro di soggetti in condizioni di marginalità si incentivarono forme di lavoro protetto o socialmente utile (tirocini presso gli uffici comunali, mantenimento di parchi pubblici, collaborazione nelle mense scolastiche, ecc.), anche coadiuvate da supporto nei compiti di cura domestica soprattutto per madri sole (Spano et al., 2013 : 15-17; Spano, 2009 : 9-10).

Nei primi due anni della sperimentazione della misura ne beneficiarono quasi 34.000 famiglie per un totale di circa 85.000 persone in 39 comuni (6 nel Nord, 11 nel Centro e 22 nel Mezzogiorno). Da questi dati appare evidente che le regioni del Sud furono quelle che maggiormente utilizzarono la misura. Delle 25.000 famiglie beneficiarie, relative all‟anno di fine 2000, il 60% erano famiglie con figli e quasi il 15% famiglie monogenitoriali. Quasi la metà dei circa 85.000 individui beneficiari risultava inattivo nel mercato del lavoro e tra gli attivi si stimò che il 46% erano disoccupati. Di questi solo 1/10 risultava aver effettuato ricerche attive sul lavoro (IRS, Fondazione Zancan e CLES, 2001). Il Reddito minimo di Inserimento fu definitivamente abbandonato alla fine del 2004.

Tra le misure a livello Regionale sperimentate in Italia ricordiamo il Reddito di cittadinanza (RdC) sperimentato nella Regione Campania che venne istituito con la L.R 2/2004 il quale riconosce tale misura come un diritto sociale fondamentale, e contemporaneamente, come misura di contrasto alla povertà e all‟esclusione e come strumento teso a favorire condizioni efficaci di inserimento lavorativo e sociale. L‟obiettivo della misura era di garantire un reddito adeguato e risorse per vivere in modo dignitoso, sviluppare un mercato del lavoro capace di promuovere l‟occupazione come diritto e opportunità per tutti, combattere lo svantaggio educativo, garantire un accesso paritario alla salute, garantire una sistemazione decorosa per tutti. Inizialmente era stata prevista una sperimentazione di 3 anni dal 2004 al 2006 prorogata nel 2007 e nel 2008, ma l‟entrata a regime non è mai

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avvenuta, pertanto fu interrotta nel 2010. La spinta nell‟intraprendere un percorso regionale di Reddito di cittadinanza fu determinata da due motivazione: la prima riferibile al particolare contesto socio-economico e la seconda connessa alle conseguenze prodotte dal termine delle sperimentazioni del RMI nazionale, in particolare nella necessita di non abbandonare chi era entrato nel progetto proposto con il RMI. Tale misura prevedeva un contributo fisso pari a € 350,00 mensili per nucleo familiare e specifici interventi mirati all‟inserimento scolastico, formativo e lavorativo dei singoli componenti. Il soggetto preposto all‟erogazione era il Comune capofila, e la durata era di 12 mesi. Al contributo potevano accedere le famiglie con un reddito annuo inferiore a € 5.000,00 e anche famiglie di extracomunitari residenti in Campania da almeno 5 anni (Spano, 2009 : 11-13).

Negli anni della sperimentazione (2004-2005-2006) le famiglie aventi diritto al Reddito sono state mediamente 130-140 mila e le famiglie che effettivamente ne hanno beneficiato circa 18.000. Per l‟anno 2007, delle 146.753 famiglie aventi diritto non più di 20.000 famiglie hanno effettivamente percepito il Reddito. La legge 2/2004 presentò due limiti: il primo riguarda l‟esiguità dei fondi a disposizione; il secondo attiene all‟impostazione generale della misura e all‟ispirazione complessiva della legge. Per quanto riguarda l‟esiguità dei fondi è evidente che essa si ripercuote negativamente sull‟attuazione del provvedimento, anche inteso come semplice misura di contrasto alla povertà. Pochi furono i beneficiari anche solo rispetto agli aventi diritto, decisamente insufficiente il contributo monetario, e per le misure non monetarie vengono stanziate risorse irrilevanti che rendono di fatto inattuabile una parte essenziale di qualsiasi forma di reddito si eroghi. Particolarmente limitante, e anche contraddittorio rispetto al riconoscimento del reddito come diritto individuale, appare, poi, il ragionamento in termini di famiglia. Erogare il reddito su base familiare (350 euro a prescindere dal numero dei componenti del nucleo familiare) è inaccettabile tanto da un punto di vista politico-culturale generale, quanto dal punto di vista economico. Anche come semplice strumento di contrasto alla povertà, la legge 2/2004 si presentò come un provvedimento insufficiente (Muzzupappa, 2008). Un altra delle misure sperimentate a livello Regionale fu il Reddito di base per la cittadinanza del Friuli Venezia Giulia istituito con la L.R 6/2006 intitolata “Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza

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sociale”, che introdusse con l‟art.59 il Reddito di base e progetti di inclusione per la cittadinanza sociale (RdB). Con l‟art.9 della successiva L.R. 9/2008 l‟art.59 della legge sul sistema integrato di interventi e servizi fu abrogato. Tale misura era stata pensata e costruita con una ispirazione all‟universalismo selettivo, con l‟intenzione di superare interventi di tipo categoriale. Inoltre essa si basava sui principi di temporaneità per offrire opportunità di cambiamento senza indurre meccanismi di dipendenza; co-responsabilità mediante la partecipazione vincolante del beneficiario a percorsi di inclusione sociale; personalizzazione degli interventi volti all‟inserimento lavorativo, all‟inclusione sociale o al miglioramento delle condizioni di esistenza della persona. Il RdB prevedeva un‟erogazione monetaria mensile di importo variabile, calcolato come differenza tra il valore del reddito minimo equivalente e la capacità economica del nucleo misurata con l‟indicatore CEE14. I soggetti preposti all‟erogazione erano i Comini capofila aventi il ruolo di coordinamento per ambiti territoriali più vasti. Per avviare l‟erogazione del RdB in via provvisoria, il regolamento attuativo stabilì che entro 30 giorni dalla presentazione della domanda il Servizio sociale Comunale stipulasse con il richiedente il “patto preliminare”, ed non oltre i 3 mesi dalla stipula dello stesso doveva avvenire la sottoscrizione del patto definitivo che consentiva l‟accesso all‟erogazione definitiva del RdB.

Potevano beneficiare della misura i nuclei familiari residenti nel territorio regionale da almeno dodici mesi con un indicatore CEE inferiore a € 5.000 annui. Inoltre, i requisiti di residenza e di reddito non erano sufficienti per accedere alla misura, pertanto l‟eventuale beneficiario doveva essere in una condizione di vita che rientrava tra quelle previste nelle finalità della misura, ovvero acquisire autonomia economica, cercare di raggiungere l‟inserimento sociale e capacità di perseguire il proprio progetto di vita. Infatti sin dalla fase iniziale di attuazione della misura era previsto che il beneficiario si impegnasse in un progetto di intervento che prevedeva, per coloro che erano in stato di disoccupazione o occupati con lavori precari,

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L‟indicatore della capacità economica equivalente (CEE) era stato elaborato specificamente per il RdB (art.6 del D.P.Reg 278/2007). In sintesi, esso è calcolato mediante applicazione delle modalità previste per l‟ISEE, aggiungendo alle entrate computate ai fini dell‟Irpef anche altri redditi esenti come l‟indennità di accompagnamento (l‟elenco completo dei redditi da includere nel calcolo dell‟indicatore CEE appare nell‟allegato A del D.P.Reg. 278/2007).

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l‟attivazione di un percorso volto all‟inserimento lavorativo tramite l‟intervento dei Centri per l‟impiego (Spano et al., 2013 : 21-23).

Dai dati raccolti relativi ai pochi mesi di sperimentazione della misura si notò che il 45,07% dei beneficiari era stato inviato ai Centri per l‟impiego. Di questi 1.392 firmarono la dichiarazione di diponibilità alla ricerca attiva di lavoro e avviarono la procedura finalizzata al processo di inclusione sociale, e 1.238 stipularono anche il patto di servizio, che prevedeva diverse tipologie di impegni tra cui: azioni di accompagnamento e di consulenza (per 494 casi), ricerca attiva di occupazione (per 316 casi), inserimento in percorsi di formazione e riqualificazione professionale (per 221 casi), inserimento in work experience (per 197 casi). Nei pochi mesi di attività del RdB le domande presentate furono 4.423 relative ai soggetti che possedevano i requisiti per l‟accesso alla misura, di questi ne furono accolte 3.516. La spiegazione attribuibile alla mancanza della quota di soggetti che pur avendo diritto non fecero domanda per accedere alla misura poteva essere legata a due fattori: dalla mancanza di conoscenza da parte della cittadinanza in merito alla nuova misura o da possibili sentimenti di vergogna da parte dei potenziali beneficiari per il timore di essere stigmatizzati come poveri. Della misura hanno usufruito principalmente nuclei di cittadinanza italiana (80,7%) con una prevalenza dei nuclei uni-personali (39,3% del totale). Tra le principali caratteristiche dei richiedenti si segnalarono la composizione per genere, con una prevalenza delle donne (54,3%) sugli uomini (45,7%), e una concentrazione nella fascia di età compresa tra i 36 ed i 45 anni per le donne e per gli uomini tra i 56 ed i 65 anni. Questi dati mostrano come la misura si sia orientata più verso i bisogni delle persone in età lavorativa, per il 55,8% disoccupati o in cerca di prima occupazione e per il 17,9% lavoratori con redditi al di sotto della soglia (AA.VV., 2008 : 26-40).

Questi dati evidenziano alcuni aspetti che hanno reso fragile la misura del RdB in quanto, tenuto conto delle domande presentate, le risorse stanziate per gli anni previsti di sperimentazione non sarebbero risultati sufficienti per la sostenibilità finanziaria del RdB nel medio-lungo periodo. Con la L.R 9/2008 art.9 fu introdotto il “Fondo per il contrasto ai fenomeni di povertà e disagio sociale”. Pertanto fu decisa la chiusura anticipata della sperimentazione del RdB, prevista per 5 anni, e nei fatti durò meno di 9 mesi, dal settembre 2007 fino a maggio 2008 (Spano, 2009 : 17).

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Continuando sulla scia dell‟analisi delle misure di contrasto alla povertà attuate in Italia, il Reddito di Garanzia sperimentato nella Provincia autonoma di Trento ne costituisce una parte importante.

Con la Delibera della Giunta Provinciale n.2216/2009 la Provincia autonoma di Trento introdusse una misura di sostegno al reddito di ultima istanza nota come Reddito di Garanzia (RG). Tale intervento si prefigurò come uno strumento strutturale per la lotta alla povertà e all‟esclusione sociale, introdotto al fine di ridurre i rischi di ingresso e di permanenza nella condizione di povertà, con l‟obiettivo di innalzare il reddito delle famiglie portandolo ad una soglia minima prestabilita in modo da garantire a tutti i cittadini condizioni di vita dignitose. La misura consisteva in un sussidio monetario a somma variabile, pertanto l‟intervento monetario si configurava come un “top-up scheme” (schema di ricarica), poiché non si trattava di un sussidio a cifra fissa, bensì di un‟integrazione economica pari alla differenza tra la soglia di povertà prefissata e il reddito familiare disponibile. La soglia minima di reddito familiare annuo fu fissata in € 6.500 equivalenti, per le famiglie composte da una sola persona. L‟importo poteva essere integrato anche con un contributo per le spese di affitto, qualora la famiglia ne sosteneva uno senza però beneficiare di altre forme di aiuto aventi lo stesso fine. Il RG si caratterizzava nell‟essere un programma universale e selettivo al tempo stesso, infatti non si limitava ad alcune specifiche categorie di persone. Il contributo veniva concesso dopo che venivano effettuati i dovuti accertamenti delle condizioni di reddito e patrimonio di chi ne richiedeva il beneficio. La Provincia autonoma di Trento per calcolare la condizione economico- patrimoniale adotta l‟Indicatore della Condizione Economica Familiare (ICEF)15

. L‟erogazione del beneficio avveniva in modo diretto ed immediato, previa verifica dei requisiti di ammissibilità e conseguente calcolo dell‟ammontare spettante, qualora nei nuclei familiari non venivano identificate ulteriori problematiche sociali oltre il bisogno di natura economica. Invece se si manifestavano tali problematiche

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L‟ICEF è stato adottato dall‟amministrazione provinciale di Trento per il calcolo delle condizioni di benessere economico delle famiglie che richiedono una varietà di agevolazioni tariffarie e trasferimenti pubblici (riduzione delle tariffe per il trasporto pubblico, graduatorie per gli asili nido, borse di studio per studenti, ecc.). Esso, di fatto, sostituisce l'ISEE utilizzato a livello nazionale. Come l‟ISEE, anche l‟ICEF tiene conto della composizione familiare, di patrimoni mobiliari e immobiliari, oltre che dei redditi percepiti nell‟anno fiscale precedente, siano essi derivanti da lavoro dipendente o autonomo, da pensioni, da CIG(S), da indennità di disoccupazione e/o di mobilità.

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prima di erogare il contributo le richieste di accesso al RG venivano esaminate dai servizi sociali per la predisposizione di un progetto sociale disegnato ad hoc a seconda delle specifiche esigenze.

Il Reddito di Garanzia al fine di evitare che il trasferimento monetario disincentivasse gli sforzi di uscita dalla condizione di povertà, in particolare se dovuta alla mancanza di occupazione, prevedeva progetti di attivazione e reintegrazione nel mercato del lavoro per i membri del nucleo idonei all‟attività lavorativa. Essi si concretizzavano nella sottoscrizione di una dichiarazione di disponibilità immediata al lavoro presso i Centri per l‟impiego, pena esclusione dal programma per un periodo considerevole di tempo. Inoltre sempre per evitare o contenere il rischio della “trappola alla povertà”, i beneficiari della misura che trovavano un nuovo impiego da cui ottenevano un reddito tale da porli al di sopra della soglia di ammissibilità dei € 6.500 annui, ricevono un incentivo monetario pari a due mensilità del beneficio in precedenza concesso. Tale incentivo veniva erogato allo scadere del primo anno di attività lavorativa ininterrotta (Spano et al., 2013 : 25- 28; Zanini et al., 2011 : 2-3).

Dai dati raccolti, tramite la procedura informatica per la gestione amministrativa della misura, è possibile rilevare che nei primi due anni dalla sua introduzione sono state presentate circa 21.133 domande idonee al beneficio, di cui solo l‟8% gestite dai servizi sociali. Nei primi 24 mesi di introduzione del RG, i dati amministrativi mostrano che hanno beneficiato della misura almeno per quattro mesi (periodo minimo di permanenza nel programma) circa 7.000 famiglie. Nel 2010 i nuclei beneficiari risultarono oltre 5.389, pari al 2,4% della popolazione residente nella provincia di Trento. Particolarmente interessante è l‟analisi della permanenza delle famiglie nel programma, che consente infatti di capire se gli episodi di povertà che il RG riesce a combattere sono di natura prettamente transitoria o invece di periodo più lungo. Tra le famiglie beneficiarie, una famiglia su quattro ha richiesto l‟intervento soltanto in un‟occasione, ossia per non più di 4 mesi, e che il 50% delle famiglie rimase beneficiaria di RG per almeno un anno, ovvero ne fecero richiesta per almeno 3 volte. Inoltre risulta interessante evidenziare che quasi il 15% delle famiglie ne hanno beneficiato per 5 volte, ossia sono risultate beneficiarie per 20 mesi. Ciò evidenzia che la misura non copre solo una fascia di popolazione colpita da episodi

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temporanei di indigenza ma anche una non ristretta quota di famiglie strutturalmente povere (Zanini et al., 2011 : 4-7). Il reddito di garanzia è stato abrogato dal 2018 e sostituito dall‟Assegno Unico Provinciale.

Un ultima misura sperimentata nel contesto italiano presa in analisi in questo paragrafo, è la Carta acquisti o Social card (SC) e la Nuova social card sperimentale. La SC istituita con il D.L 112/2008, successivamente convertito nella Legge 133/2008 ed ha come modello di riferimento, per esplicita ammissione dei suoi proponenti, quello dei food stamps statunitensi16. Tale misura rappresentava una