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Queste dinamiche, spronate dal consolidarsi dello stato territoriale, borghese e nazionale dell’800, ricevevano un forte impulso dallo sviluppo delle tecniche, scienze e tecnologie orientate e rese funzionali alla gestione dell’amministrazione. L’uso di carta a costo minore e dalla stampa a cilindri rotanti permettevano e rendevano diffuso l’uso di modulistica prestampata e parzialmente pre-compilata, che il funzionario pubblico si limitava a riempire nei campi interessati velocizzando così i tempi di raccolta delle informazioni, omogenizzandone i contenuti e favorendo la loro eventuale riproducibilità, anche grazie alla progressiva diffusione di macchine per la copiatura.

L’introduzione di tecnologie per la velocizzazione della scrittura (la stenografia a mano o a macchina, la dattilografia con uso di macchine da scrivere posizionate negli uffici, la carta carbone per produrre contemporaneamente più copie dello stesso documento) si sposava con il ricorso a mezzi di trasporto che rendevano più facile il trasferimento “fisico” delle informazioni e dei documenti fra luogo e luogo (treni, bicicli e velocipedi, motociclette, automobili, navi a vapore, transatlantici, aeroplani, reti stradali e ferroviarie sempre più capillari). Macchine e tecniche per la velocizzazione della comunicazione scritta e orale (il telegrafo con l’alfabeto Morse, il pantelegrafo, il telefono, le radiotrasmissioni, la posa di cavi sottomarini) si univano a strumenti per la cattura immediata di

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Ambito nel quale facevano la loro apparizione i primi sistemi di registrazione e gestione dei dati personali congiunti centro - periferia finalizzati a contrastare il problema della diserzione e a regolare la concessione delle pensioni ai veterani.

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L’affermazione di un sistema di tassazione centrale significava contare, schedare e rintracciare i potenziali contribuenti e dotarsi di strumenti di verifica continua della loro posizione rispetto a questo dovere.

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Emblematiche, in questo senso, le preoccupazioni sull’istituto della recidiva come condizione aggravante la posizione di un reo e le sue implicazioni sulla moderna criminalistica e criminologia studiate da P. MARCHETTI, L’ armata del crimine. Saggio sulle origini della recidiva, Ancona, Cattedrale, 2008.

immagini sempre più aderenti “al vero” (la fotografia, la cinematografia, i microfilm) e creavano forme tipologie di informazioni da raccogliere, archiviare, conservare, riutilizzare. Tutti quei progressi che rivoluzionavano la vita e le abitudini dei singoli e delle comunità producevano effetti importanti anche sull’esercizio del potere statale e le sue funzionalità pratiche.

Dal punto di vista del movimento delle persone, fra Stati o all’interno dello Stato, queste nuove tecniche non solo acceleravano i processi di spostamento fisico da un luogo all’altro e ne diffondevano l’uso a strati diversi della popolazione, ma significavano anche documenti personali più facili da produrre, da usare e portare con sé e, dall’altro lato, sempre più verificabili da parte dei controllori che lo Stato assegnava a tali funzioni.

L’intreccio di trasformazioni era evidente, ad esempio con i passaporti, documenti di viaggio che fra la fine del XVIII e l’inizio del XX sec. subivano una decisiva trasformazione, passando «da permessi provvisori concessi da un’autorità in situazioni di eccezionalità» a

«certificati durevoli destinati a tutta la popolazione, emanati da un apposito ufficio e con impresse su un supporto cartaceo informazioni sempre più dettagliate sull’identità del possessore. Essi divenivano così a tutti gli effetti documenti di identificazione personale, rispondendo a precise regole formali e a specifiche caratteristiche materiali»(270).

In questo passaggio, il passaporto passava materialmente dalla forma di ingombrante lettera di attestazione munita di sigilli, che richiedeva caute attenzioni per la conservazione e il trasporto durante il viaggio, alla forma di libricino prestampato di dimensioni contenute, ideato in modo da rendere (teoricamente) impossibile la falsificazione, realizzato con materiali e tecniche a ciò esplicitamente dedicati, dimensionato in funzione di una più semplice portabilità (poteva essere senza grandi difficoltà portato nella tasca di una giacca o dei pantaloni). Il tipo di carta, la filigrana, i colori, i marchi, i timbri, le firme, la posizione dei caratteri di stampa, tutto veniva studiato per dare al documento un intrinseco valore, immediatamente verificabile. Il contenuto e lo spazio per le informazioni che essi potevano contenere aumentavano e la grafica supportava queste esigenze: meno spazio ai sigilli e ai timbri in ceralacca, più spazio alle notizie sul possessore e a tutte quelle altre informazioni utili a certificare la corrispondenza fra la persona descritta nel documento e la persona portatrice del documento stesso. La fotografia permetteva il definitivo salto di qualità e lo sviluppo dei saperi antropometrici (così in voga a cavallo del XIX e XX sec.) si proponeva di superare quei deficit di scientificità nella descrizione della persona, da sempre “tallone d’Achille” dell’identificazione burocratica e giudiziaria, giacché, malgrado il ripetersi di linee guida, circolari,

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C. LUCREZIO MONTICELLI, L’«invenzione» dei passaporti: polizia e burocrazia del Grand Tour nella Roma del primo Ottocento, in M. FORMICA (a cura di), Roma e la campagna romana nel Grand Tour. Atti del convegno interdisciplinare, Monte Porzio Catone. Roma 17-18 maggio 2008, Roma-Bari, Laterza, 2009, p.275.

formazioni pratiche, essa era strettamente dipendente dal punto di osservazione e dall’estro descrittivo del funzionario compilatore (271).

Il bertillonage rivoluzionava le modalità di raccolta, classificazione e gestione delle informazioni giudiziarie così come le tecniche di raccolta, lettura e confronto delle impronte digitali, perfezionate da Giovanni Gasti: la schedatura dei pregiudicati o semplicemente delle persone controllate – come nel caso degli stranieri in Italia – diventava essenziale per l’attività di polizia, servizio indispensabile per tutti i governi orientati al controllo per prevenzione sulle classi o soggetti pericolosi – allo stesso modo in cui diveniva essenziale la schedatura della persona che richiedeva un qualsiasi documento attestante la propria identità.

Così, ad esempio, il passaporto – come poi la carta d’identità – veniva richiesto all’apposito ufficio tramite un modulo prestampato che schedava il richiedente e i suoi tratti essenziali (nome, cognome, residenza, mestiere, segni fisici, connotati morali, sesso, “razza”). Il modulo veniva integrato dall’immagine del richiedente, raccolta mediante fotografia formalizzata nella posa (frontale, a volto ben visibile, poi a capo scoperto) e dalle dimensioni ben definite). La carta di identità costituiva un ulteriore passo in avanti, perché richiedeva da subito il deposito nel pubblico ufficio comunale di quelle impronte digitali già divenute, nell’immaginario collettivo, il simbolo del potenziale “delinquente”.

Tutto questo lavoro era orientato a ingabbiare e fissare definitivamente la relazione fra la fisicità di una persona e la sua identità, burocraticamente determinata in relazione alla comunità di appartenenza. Sfuggire a questo legame doveva essere sempre più difficile, come richiedevano le esigenze somme di sicurezza collettive: anche da questo punto di vista, muoversi in un altro luogo doveva farsi sempre meno occasione per cercare di rompere tale legame e rifondarlo in un altro luogo, in un altro contesto, in un altro Stato, in un’altra identità.

Per tutti questi motivi, il passaporto, convertito da documento facoltativo a documento consigliato e infine a documento obbligatorio, rafforzato dal criterio della validità, assurgeva a cardine e feticcio di questo sistema, la conditio sine qua non per rivendicare il proprio diritto ad emigrare e, dal punto di vista dello Stato, di esercitare la propria facoltà sovrana di tollerare l’ingresso di un estraneo nella propria comunità nazionale. Soprattutto il passaporto rendeva possibile e effettivo il diritto di difesa che lo Stato esprimeva con il cacciare fisicamente chi non doveva più rimanere all’interno dei suoi confini e della sua comunità.

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Per una interessante rassegna fotografica, cfr. nel sito francese Criminocorpus - Musée virtuel d’histoire de la justice, la sezione Archives nationales. Fichés ? Photographie et identification du Second Empire aux années 60, curata da Jean-Marc Berlière et Pierre Fournié, che espone diversi esempi di passaporti e documenti per stranieri usati in Francia fra fine ‘800 e primi decenni del ‘900 – on line all’URL: https://criminocorpus.org/musee/16812/ [verificato il 23/12/2014].

Controllare lo straniero mobile: le moderne esigenze di disciplinare l’ingresso e il