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Quando l’impossibilità di dar prova della contezza di sé per assenza di documenti sull’identità o mancanza di mezzi di sussistenza si palesava sin nel momento dei controlli all’ingresso del territorio italiano (in frontiera o nelle sue immediate vicinanze), allo straniero poteva essere impedito di entrare in Italia o, se appena entrato, poteva essere immediatamente scacciato mediante l’adozione di un provvedimento di respingimento, di formale rifiuto di accesso al Regno.

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F. CARBONE, Lo studio delle lingue estere nell’Arma dei Carabinieri Reali. Profili storici (1929-1941), “Rassegna dell’Arma”, 2004, n. 2, disponibile on line all’URL: http://www.carabinieri.it/editoria/rassegna-dell-arma/anno-2004/n-2---aprile-giugno/studi/lo-studio-delle-lingue-estere [verificato il 23/12/2014].

Era questa una misura di proibizione all’ingresso (377), che traeva origine da una significativa produzione di circolari ministeriali occasionate dalla volontà di contrastare la mobilità degli stranieri zingari, «quelle bande cioè di individui che sotto il pretesto di spiegar sogni o fare qualche piccolo lavoro vivono di elemosine, di truffe e di furti»(378), la cui presenza si voleva arginare anche mediante divieto di ingresso e impossibile superamento dei controlli di frontiera.

La legge di pubblica sicurezza del 1889 aveva poi normato l’istituto del respingimento all’art. 92 che conferiva ai Prefetti delle province di frontiera il potere di «respingere dalla frontiera gli stranieri che non sappiano dar contezza di sé o siano sprovvisti di mezzi».

Si trattava di una misura rapida e snella nelle procedure: non prevedeva speciali formalità nei riguardi dello straniero interessato (non veniva, ad esempio, notificata mediante provvedimento scritto) né autorizzazioni preventive da parte del Ministero dell’Interno, a differenza del rimpatrio e dell’espulsione, che dovevano sempre essere autorizzate, quando non ordinate dal Ministero stesso. Veniva deciso ed adottato direttamente dalle autorità di frontiera, che si limitavano quindi a comunicarlo alla Prefettura competente, che, a sua volta, aveva il semplice obbligo di comunicare alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza i dati sommari della persona respinta e le motivazioni dell’avvenuto impedimento all’ingresso.

Ad avvalersi di questa facoltà erano le Prefetture di confine, di terra e di mare, che la documentazione archivistica rimanda come molto utilizzata soprattutto ai valichi dell’Italia settentrionale, in modalità del tutto simili sull’intero arco confinario.

Come detto, i respingimenti non richiedevano provvedimenti formali, erano adottati anche verbalmente dalle forze di sorveglianza dei confini (polizia, Carabinieri, guardia di finanza), e quindi comunicati all’ufficio di pubblica sicurezza della Prefettura competente, per i successivi adempimenti verso le autorità centrali. Fino agli anni ‘30 per tale servizio non veniva predisposta specifica modulistica standardizzata né venivano fornite indicazioni operative sulle modalità di comunicazione del respingimento: ogni Prefettura sceglieva il modo più comodo per adempiere a tali incombenze burocratiche. Con gli anni tuttavia, le Prefetture più esposte, come ad esempio quella di Porto Maurizio competente sul tratto ligure del confine franco-italiano e molto attiva nei respingimenti,

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La cui ratio di fondo (mancata contezza di sé, mancata certezza sui mezzi di sussistenza e di lavoro) operava – significativamente – anche nei confronti degli emigranti. Ad esempio, la famosa Circolare Menabrea del 18 gennaio del 1868 – testo di riferimento per tutti coloro che si occupano di storia delle politiche dell’emigraizone post-unitaria – «imponeva a sindaci e prefetti di vigilare sul fenomeno migratorio impedendo l’espatrio a tutti coloro i quali non fossero in grado di dimostrare di avere un lavoro ad attenderli nel Paese di destinazione o comunque non disponessero di sufficienti mezzi di sussistenza»(D. FREDA, La regolamentazione dell’emigrazione in Italia tra Otto e Novecento: una ricerca in corso,

“Historia et ius”, 2014, n. 6, paper 9, p. 4, disponibile on line all’URL:

http://www.historiaetius.eu/uploads/5/9/4/8/5948821/freda_6.pdf [verificato il 23/12/2014]). Evidente nelle preoccupazioni delle autorità non solo l’intenzione di vigilare sui fenomeni emigratori nazionali (in primis per evitare la partenza di uomini soggetti agli obblighi di leva), ma anche la volontà di evitare i costi e le conseguenze dell’eventuale respingimento o rimpatrio dell’emigrante non in regola con l’ingresso nel Paese di desiderata emigrazione.

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provvedevano a crearsi propri schemi prestampati e standardizzati, che le guardie al confine compilavano con il nominativo, la nazionalità, la professione della persona respinta e quindi inviati alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza.

Generalmente assente nelle comunicazioni sul respingimento (sia quelle locali che quelle dirette alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza) era la storia personale che stava dietro al nome registrato, mentre la motivazione che aveva dato luogo al respingimento era riportata in modo sommario e generico. Le notizie si limitavano al nome, cognome, età, professione, nazionalità e località di provenienza del respinto, cosicché nei dossier relativi a tale pratica (fascicoli intestati alla Prefettura del confine che aveva adottato il provvedimento) sfilava un lungo elenco di garzoni, camerieri, macchinisti, marinai, prostitute, cocchieri, pasticceri, orologiai, domestiche, contadini, braccianti, manovali, pittori, chauffeur, infermieri, falegnami, giornalieri, lavandai, fabbri… Tutti parimenti intercettati e respinti perché sprovvisti di mezzi, di chiara destinazione, di occupazione, di documenti di identità, tutti in cammino verso la ricerca di una collocazione nel mercato del lavoro italiano che, per forza di cose, costituiva un terreno di attenzione, controllo, vigilanza e protezione di parte della polizia.

«Mi pregio riferire a codesto On.le Ministero che il giorno 17 corrente per cura dell’Ufficio di P.S. di Ventimiglia, sono stati allontanati dal confine e respinti in Francia, da dove provenivano, i seguenti stranieri che non seppero dare contezza di loro ed erano sprovveduti di mezzi: 1° Pouzet Giuseppe fu Rocco, nato nel 1881 a Mariol (Alker) garzone;

2° Lasconjaris Giulio, d’ignoti, nato il 26 ottobre 1874 a Nescon (Haute Vienne) macchinista»(379).

Così recitava il formulario standardizzato adottato dalle autorità di polizia di Porto Maurizio, un confine particolarmente attivo nel contrastare l’ingresso di professionalità di servizio (camerieri, facchini, domestiche, serventi di cucina), di mare (marinai, macchinisti, fuochisti) e di cura della persona (infermieri), attratto dalle attività turistico-alberghiere e turistico-sanitarie della riviera ligure – molto frequentate d’estate come d’inverno da un turismo prevalentemente straniero (soprattutto di area tedesca) esclusivo e molto facoltoso, abituato a lunghi soggiorni e tendenzialmente incline a servirsi di personale di servizio madrelingua prima che di personale italiano.

Va detto che da quella Prefettura ricorreva inoltre con più frequenza il respingimento di persone «per non provata nazionalità italiana», allontanate dalle autorità francesi per espulsione, da queste

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 1076 della Prefettura di Porto Maurizio alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 20 dicembre 1909. In corsivo è nostro ad evidenziare le parti compilate a mano nel formulario prestampato in uso da quelle autorità di polizia. – Il fascicolo che abbiano utilizzato perché il più completo come arco temporale coperto, è relativo al periodo dicembre 1908 - dicembre 1909 e contiene la segnalazione di circa 1180 respingimenti attuati nel corso dell’anno dalle frontiere dipendenti dalle Prefetture di Belluno, Brescia, Torino, Cuneo, Porto Maurizio e solo occasionali segnalazioni da Prefetture diverse, come ad esempio Napoli.

consegnate alle autorità italiane che le rifiutava per mancanza di certezza sulla cittadinanza. Così era, ad esempio, con Pasquale Fossati «fu Simone, d’anni 21, nato a Marsiglia, calderaio», Antonio Portelli «fu Carmelo, d’anni 23 nato a La Valletta, fornaio», Antonietta Orlando «di Giuseppe, di anni 20, nata ad Algeri, prostituta» che il 15 dicembre 1909, espulsi dalla Francia, «non vennero accettati per non provata nazionalità italiana»(380). Il 12 novembre non era stato accettato per lo stesso motivo Antonio Gomez «nato a Pietrasanta il 4.2.1886, panieraio, suddito spagnuolo»(381) – che si ritrovava dunque ad essere italiano indesiderato per i francesi e spagnolo respinto per gli italiani. Stessa sorte per due donne, Teresa Franchi nata ad Algeri e Francesca Ricatti nata a Cette, non accettate in Italia il 3 novembre 1908 (382).

In qualche rara occasione le note che le Prefetture inviavano alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza contenevano elementi in più sulle circostanze che avevano determinato il controllo e originato il respingimento: una consuetudine, ad esempio, per la Prefettura di Brescia, molto attenta a descrivere le azioni di vigilanza sul territorio che avevano contribuito a sventare i tentati ingressi illegittimi.

Sappiamo così che il 3 dicembre 1909 i Carabinieri della stazione di Gargnano «fermava e accompagnava a quella Caserma quattro individui, che in attitudine sospetta aggiravasi in quello abitato»(383). Perquisiti e poi interrogati, i quattro si identificavano in Giuseppe Liminger e Angelo Klemens, entrambi austriaci e camerieri, Pietro Dobler, lavandaio tedesco e Giuseppe Kleebaner, cameriere,

«confermando ognuno il proprio attesto, mostrando il libretto di lavoro, dicendosi da dieci giorni circa in Italia in cerca di lavoro, e penetrarono nel Regno dal confine di Riva […] Essendo gli stessi pressoché sprovvisti di mezzi e senza recapiti [ma non] inscritti nelle circolari periodiche delle ricerche, né responsabili di reato si è disposto che lo stesso giorno, col piroscafo delle ore 18.30 venissero respinti al di là del confine»(384).

Qualche giorno prima, gli stessi Carabinieri di Gargnano, a causa del suo aggirarsi «in attitudine sospetta»(formula molto cara alle autorità del posto) avevano fermato e condotto in caserma Giovanni Zart, cameriere originario di Budapest, che confermava «il suo asserto col mostrare due documenti, di

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 10688 dalla Prefettura di Porto Maurizio alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 19 dicembre 1909.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 9927 dalla Prefettura di Porto Maurizio alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 22 novembre 1909.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 9333 dalla Prefettura di Porto Maurizio alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 3 novembre 1908.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 21434 della Prefettura di Brescia al Ministero dell’Interno del 18 dicembre 1909.

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buon servizio prestato in alberghi, dicendosi venuto in Italia, in carca di lavoro, dal giorno precedente e che era penetrato ne Regno da Riva»(385). Sprovvisto di mezzi, non ricercato né colpevole di reati veniva imbarcato poche ore dopo sul piroscafo delle 18, 30 per essere respinto oltre confine per mezzo della stazione di Limene. In questa occasione, la Prefettura trasmetteva alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza anche i connotati del cameriere respinto, pur non essendo richiesti né utili ad ulteriori procedimenti – una solerzia per altro spesso presente nella documentazione bresciana, pressoché assente in quella delle altre prefetture.

Il 18 novembre 1909, invece, l’arma della Stazione di Anfo (sempre nel bresciano), fermava e accompagnava in caserma «tre pezzenti che in attitudine sospetta aggiravasi nelle vicinanze di quel paese»: si trattava di un portiere danese, un falegname viennese e un fonditore in ferro tedesco, «tutti e tre miseramente vestiti», respinti in giornata «al di là di Ponte Caffaro»(386).

Il 15 luglio 1909, l’arma di Salò, in provincia di Brescia, fermava «in pubblica via di quell’abitato il suddito americano (387) Roschet Emilio furono Giulio e Smith Fridda, nato il 22 febbraio 1874 a Pittsburgh-Pensilvania (sic!), operaio, lavorante in fabbrica di birra, disoccupato e completamente sprovvisto di mezzi», che, opportunamente interrogato e perquisito, affermava di essere giunto a Salò da Brescia quello stesso giorno, diretto a Riva in cerca di lavoro. «Fu disposto pel di lui accompagnamento al confine di Riva»(388).

Altri tre «pezzenti» – un austriaco giornaliere e due tedeschi, un giornaliere e un fabbro ferraio – in attitudine sospetta erano rintraccianti a Limone il 17 ottobre 1907 e respinti al di là del confine con il piroscafo delle 18.55 (389) – e così via, anche negli anni seguenti, in una fervida attività di pulizia dei confini bresciani da pezzenti, miserabili e attitudini sospette.

La documentazione bresciana è unica nell’usare termini fortemente connotati in relazione agli stranieri respinti, spesso definiti pezzenti, straccioni, malvestiti: una terminologia che contribuiva a creare la sensazione di intrinseca e manifesta pericolosità di questi forestieri, legittimando di per sé la necessità dei provvedimenti adottati e la loro assoluta urgenza per la tutela dell’ordine pubblico.

Più rare, invece, segnalazioni dettagliate da altre prefetture, come quella inviata da Cuneo dove, il 5 agosto 1909, il delegato di P.S. di S. Dalmazzo Tenda aveva respinto alla frontiera verso la Francia, da

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 21132 della Prefettura di Brescia alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 7 dicembre 1909.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 19665 dalla Prefettura di Brescia alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 18 novembre 1909.

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Il lessico della burocrazia poliziesca lascia sempre spazio ad annotazioni curiose, come in questo caso di suggestivo uso del termine sudditanza in relazione ad un’appartenenza statale e comunitaria che si era invece affermata in nome dei valori della cittadinanza.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 167, lettera n. 10840 dalla Prefettura di Brescia alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 22 luglio 1909.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 18615 dalla Prefettura di Brescia alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 29 ottobre 1907.

dove provenivano, due francesi, un selciatore di Nizza e un senza professione di Tolosa, «sorpresi in regione Cravaire (Tenda) mentre cercavano di inoltrarsi nel territorio del Regno affatto sprovvisti di mezzi di sussistenza»(390).

Nel Bellunese, i Carabinieri di S. Vito di Cadore rintracciavano nell’estate 1909 due prestinai, uno ungherese e l’altro austriaco di nascita, privi di mezzi di sussistenza e senza fissa direzione; ma «all’ordine loro imposto di retrocedere protestarono, dicendo che sarebbero rientrati in Italia per la via di Trieste e Venezia»: una protesta che non impediva l’esecuzione del respingimento, avvenuta alle 16.30 verso il territorio austro-ungarico da dove provenivano (391).

Sempre questi Carabinieri alle 21 del 18 agosto 1909 «respinsero in territorio austro-ungarico, da dove provenivano, gli stranieri sottonotati, perché privi di recapiti e mezzi di sussistenza e senza fissa direzione». I due – un tornitore nato in Austria e un manovale di Muragantis (nazionalità imprecisata) – «vennero rintracciati in un’osteria e dichiararono di avere varcato il confine pel bosco, dietro suggerimento delle Guardie doganali austriache di Acquabona. All’ordine loro imposto di retrocedere, non fecero opposizione alcuna»(392).

La mobilitazione ai confini per «respingere alla frontiera gli stranieri vagabondi e sprovvisti di mezzi e di recapiti che tentino introdursi nel nostro Stato» costituiva spesso materia di relazione e collaborazione fra corpi diversi, egualmente impegnati nella sorveglianza dei confini pur con competenze diverse – come evidenziava, ad esempio, la nota del luglio 1912 inviata dalla guardia di finanza alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, che riferiva dei disposti solleciti ai finanzieri di stanza sul confine di Riva di Trento nel farsi parte attiva di un più vasto programma di contrasto all’ingresso di vagabondi stranieri provenienti dal territorio austro-ungarico avviato dal marzo 1912 (393).

Pur avvenendo in frontiera e nell’immediatezza del tentativo di ingresso, i respingimenti non erano tuttavia privi di complicazioni nelle relazioni fra le autorità degli Stati coinvolti – come quelle che si verificavano fra Italia e Austria-Ungheria nella primavera del 1912 lungo il confine lacuale del Garda, manifestate in una nota della legazione austroungarica al Ministero degli Affari Esteri che sollevava la questione del respingimento dall’Italia verso l’Austria-Ungheria di vagabondi «germanici russi e polacchi lungo le rive del Garda». Stranieri rinviati verso lo Stato dal quale avevano tentato l’ingresso

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 8256 dalla Prefettura di Cuneo alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 9 agosto 1909.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 7959 dalla Prefettura di Belluno alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 18 agosto 1909.

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ACS, MI, PS, PG 1907-1909, b. 166, fasc. n. 12196 «Respingimento», lettera n. 8383 dalla Prefettura di Belluno alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 26 agosto 1909.

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ACS, MI, PS, PG 1913-1915, b. 109, fasc. n. 12100.1 «Respingimento di vagabondi stranieri a Riva di Trento», lettera n. 21983 dal Ministero delle Finanze, Comando generale della R. Guardia di Finanzia alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del 19 luglio 1912.

(nella fattispecie l’Austria-Ungheria) che, a sua volta, doveva provvedere a proprie spese, al loro invio verso i confini di provenienza. Il problema lamentato afferiva proprio alle coperture di spesa per questi allontanamenti, previste nelle note scambiate fra l’Ambasciata d’Italia a Vienna e il Ministero degli Affari Esteri d’Austria-Ungheria del 24 e 28 marzo 1877 (394) ed esigibili solo in presenza di idonea documentazione, così spesso assente nei respinti dall’Italia da indurre il rappresentante della Capitaneria austro-ungarica sul lago di Garda a rifiutarsi di riceverli.

Mentre le autorità austriache lamentavano la mancanza di documentazione degli allontanati dall’Italia come segnale di negligenza amministrativa, la parte italiana non escludeva

«il dubbio che parecchi di tali vagabondi incontrati nell’immediata vicinanza della frontiera, fossero stati in qualche modo esortati e forse aiutati in territorio austriaco a passare su quello italiano, all’evidente scopo di evitare all’autorità austriaca noie probabili e spese sicure»(395).

Il dubbio si traduceva in un rimpallo dei respinti fra le due autorità confinarie, impegnate nel «rinvio e rimando da Salò a Riva e viceversa di alcuni vagabondi» rifiutati da entrambi gli Stati con conseguente esasperazione delle due diplomazie impegnate in un braccio di ferro di responsabilità doveri e spese. Significativamente, dalla documentazione sono assenti proprio gli stranieri coinvolti, rimpallati fra una polizia e l’altra, impossibilitati a uscire come a entrare nell’uno o nell’altro Stato dei quali nulla sappiamo se non l’essere catalogati come vagabondi.

Aldilà di questo episodio, i fatti di confine, secondo la rappresentanza italiana, avevano acquisito gravità particolare in funzione dei diversi profili di allontanandi che le autorità austro-ungariche non volevano tenere in debita considerazione e distinzione. Espulsi e respinti – sottolineavano le autorità italiane – erano due posizioni che non potevano essere assimilate negli effetti e negli impedimenti. Mentre degli espulsi «nel corso di un regolare procedimento, si possono quasi sempre stabilire con certezza identità nazionalità e spesso anche la provenienza», con i respinti

«data la necessità d’impedire l’entrata nel territorio italiano di ospiti non desiderati, si tratta di un provvedimento urgente, relativo ad individui quasi sempre sprovvisti di documenti e per i quali quelle precise indicazioni non si potrebbero ottenere senza una di loro notevole permanenza nel Regno, permanenza che si vuole appunto evitare adottando a loro riguardo un provvedimento che consiste in una semplice riconduzione alla frontiera»(396).

Ovvero: mentre gli espulsi – categoria ben riconosciuta nel diritto internazionale – arrivavano a Riva

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Riportate in ACS, MI, PS, PG 1913-1915, b. 109, fasc. n. 12100.1 «Respingimento di vagabondi stranieri a Riva di Trento».

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ACS, MI, PS, PG 1913-1915, b. 109, fasc. n. 12100.1 «Respingimento di vagabondi stranieri a Riva di Trento», copia della lettera del Consolato d’Italia a Innsbruck del 27 marzo 1912 n. 797.72.

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del Garda provvisti di tutti i necessari documenti formali, che contenevano anche i dati richiesti per la copertura delle spese di viaggio previste dagli accordi internazionali, i respinti mancavano di tali documenti e spesso non rientravano nemmeno nell’ambito di applicazione degli accordi bilaterali, costituendo unicamente un capitolo di spesa interno agli Stati gravati della loro presenza. Di conseguenza, mentre sui primi non potevano essere opposti rifiuti dall’Austria-Ungheria col pretesto della copertura delle spese, sui secondi si poteva aprire un confronto, ma partendo dall’assunzione di responsabilità sulla loro connotazione di stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello Stato verso il quale erano stati respinti, non già nello Stato di respingimento, nel quale non avevano comunque fatto ingresso. Poiché non vi era alcun dubbio che i respinti dal confine di Riva provenivano dal territorio sotto l’autorità dell’Austria-Ungheria, anche non essendone cittadini, era legittimo per l’Italia respingerli verso quel territorio e non già verso lo Stato di origine e i costi della loro presenza erano una questione interna dell’Austria-Ungheria e non di relazioni internazionali fra Italia e Austria-Ungheria.

Tuttavia, entrambi i Paesi avevano acconsentito alla sperimentazione di regolamentazioni pratiche della questione, innanzitutto distinguendo i vagabondi

«rintracciati in prossimità della frontiera e sprovvisti di documenti e gli altri fermati dalle nostre autorità in condizioni diverse; per questi ultimi, noi avremmo fatto il possibile per munirli di foglio di via o di altro documento equivalente sui quali sarebbe stata apposta la dichiarazione impegnativa per il rimborso; per i primi, invece, l’autorità austriaca non avrebbe fatta alcuna difficoltà a riceverli, tanto nel caso non fosse stato possibile di munirli del foglio di via, quanto nel caso che sul foglio stesso non fosse stata apposta la dichiarazione di cui sopra. Restava stabilito però che i vagabondi da noi rinvenuti in prossimità della frontiera sarebbero stati