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Le dichiarazioni americane: “spirito di libertà” e “spirito d

I.3. La nascita e l’infanzia dei diritti dell’uomo: le prime dichiarazion

I.3.2. Le dichiarazioni americane: “spirito di libertà” e “spirito d

religione”, supremazia della Costituzione e “inferiorità na-

turale dei neri”

Le Dichiarazioni dei diritti americane, peraltro – e, in parti-

colare, a titolo paradigmatico, quella della Virginia del 1776 –

216

fra i caratteri peculiari che presentano rispetto a quella france-

se, ne possono vantare alcuni che costituiscono ormai un dato

assiomatico delle modalità di riconoscimento dei diritti.

Al di là della germinazione dalla filosofia del diritto natura-

le (al pari della Dichiarazione francese)

217

, le proclamazioni dei

diritti del nuovo continente rispecchiano l’influenza esercitata

dalla religiosità che permea molti coloni, animati dalla volontà

di creare, riprendendo l’idea del patto fra Dio e il suo popolo,

un governo e una società di “santi”

218

.

216Differente è, in parte, il discorso sul c.d. Bill of Rights del 1791, che emenda la Costituzione federale degli Stati Uniti del 1787, il quale appare più “asciutto”, privo come è di ogni riferimento ad una matrice divina o naturale dei diritti, anche se non per questo meno garantista dell’inviolabilità dei diritti, dei quali viene sancita l’intoccabilità da parte della stessa volontà umana attra- verso il divieto di interventi limitativi del Congresso (Emendamento I).

217 Il punto di partenza è sempre l’idea che l’uomo ha dei diritti naturali, ori- ginari, che gli spettano in quanto uomo, a prescindere dalla formazione di un qualsivoglia gruppo sociale: l’art. 1 della Dichiarazione dei diritti della Virginia del 1776 («tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi e indipendenti e hanno certi diritti innati») è, a questo proposito, molto chiaro e simile a quanto proclamato nel Preambolo della Dichiarazione francese («i rappresentanti del popolo francese… hanno stabilito di esporre, in una Dichiarazione solenne, i di- ritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo…»). Peraltro, c’è chi osserva – S. OR- TINO, Diritto costituzionale comparato, il Mulino, Bologna, 1994 – come i diritti

naturali dell’uomo di cui alla Dichiarazione francese del 1789 fondano la propria validità «su un principio universale e non su privilegi e condizioni affermatisi in via consuetudinaria o riconosciuti in documenti del passato (come in Inghilterra e, in parte, negli Stati Uniti)» (pp. 298-299), sottintendendo – pare – una diffe- renza (quantitativa?) nel recepimento della filosofia del diritto naturale.

218Sull’influenza religiosa nel modello americano dei diritti, vedi, fra gli al- tri, G. PECES-BARBA, Teoria dei diritti, cit., pp. 130-131, il quale sottolinea come

Già Tocqueville osservava come la civiltà angloamericana

fosse «il prodotto… di due elementi perfettamente distinti, che

altrove si sono spesso combattuti, ma che in America si sono

incorporati in certo modo l’uno nell’altro e combinati meravi-

gliosamente. Voglio dire lo spirito di religione e lo spirito di li-

bertà»

219

.

Lo «spirito di religione», se implica il rifiuto dell’intolle-

ranza religiosa, peraltro, non conduce ad un pieno riconosci-

mento della libertà di religione

220

, in particolare in relazione al-

l’ateismo

221

.

La Dichiarazione della Virginia, a differenza di quella fran-

cese che richiama semplicemente la presenza dell’«essere Su-

«l’etica che influenza i testi americani è principalmente l’etica della grazia, men- tre quella che influenza il modello francese è l’etica laica della libertà» (p. 131); G. BOGNETTI, I diritti umani nella Costituzione statunitense, in G. Concetti (a

cura di), I diritti umani, cit., pp. 473 ss., che osserva come «il giusnaturalismo astrattizzante che fornì il punto di avvio ideologico alla tradizione costituziona- le americana non aveva connotazioni spiccatamente secolaristiche… si trattava anzi di un pensiero legato in modo stretto (anche se non esclusivo) alla coscien- za religiosa cristiana…» (p. 475); G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, pp. 299 ss.; approfonditamente, L. CORSO, Spirito di religione e spirito di libertà. Alle ori-

gini del contrattualismo nordamericano, il Mulino, Bologna, 2001.

219A. DETOCQUEVILLE, De la démocratie en Amérique, 1835-1840, trad. it. La democrazia in America, Rizzoli, Milano, 1997, Libro I, cap. II, p. 54.

220G. OESTREICH, Storia dei diritti, cit., osserva, in polemica con Jellinek – il quale riconduce le dichiarazioni dei diritti dell’uomo alle rivendicazioni del- la libertà religiosa –, che «nelle colonie non fu mai proclamata una libertà uni- versale di coscienza e di culto» (citando, a titolo di esempio, la dichiarazione del Massachusetts, nella quale piena libertà di religione viene riconosciuta solo ai protestanti, non ai cattolici e ai deisti) (p. 64). In generale, per un primo ap- proccio al riconoscimento della libertà di coscienza nelle colonie, cfr., oltre gli Autori citati, da ultimo, L. CORSO, Spirito di religione, cit.

221Vedi, anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, S. SICARDI, Prote- stantesimo, cit., p. 1606, che ricorda come il carattere non confessionale dello

Stato fu voluto in America non da forze secolarizzate e antireligiose, ma dalle Chiese stesse: non, dunque, in funzione anticlericale, ma per garantire l’impar- zialità dello Stato nei confronti delle varie Chiese.

premo», si riferisce alla «religione, ovvero il dovere che abbia-

mo verso il nostro Creatore», attribuendo un particolare valore

ad essa, se pur riconoscendo che il «modo di assolverlo [il do-

vere verso il Creatore]» «può essere guidato solo dalla ragione

e dalla convinzione» ed è dunque libero

222

. Come è stato osser-

222La matrice laica del modello francese rispetto a quello americano si concreta nell’articolo 10 «in cui le idee religiose si pongono piuttosto come una dimensione del pensiero e dell’opinione, senza autonomia né privilegio ri- spetto ad altri tipi di credenze, filosofiche, scientifiche, etc., e senza riferimenti alle Chiese né a Dio come nei testi americani» (G. PECES-BARBA, Teoria dei di-

ritti, cit., p. 135). L’art. 10 così recita: «nessuno deve essere molestato per le

suo opinioni, anche religiose, purché la loro manifestazione non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge».

Interessante è l’opinione espressa da Jellinek in relazione all’art. 10: egli ri- leva come «solo in maniera timida e nascosta l’art. 10 azzarda un cenno alla ma- nifestazione di opinioni in campo religioso», restando «molto indietro» rispetto alla Dichiarazione americana, in quanto si limita a proclamare la tolleranza, non la libertà religiosa (G. JELLINEK, La dichiarazione dei diritti, cit., p. 62). Ora

– senza voler pretendere di approfondire la differenza fra tolleranza e libertà – si può osservare che la formulazione francese pare conforme, più che ad un mo- dello di tolleranza (che, intuitivamente, si muove nell’ottica di presupporre “una verità” che ammette le altre), ad un modello di libertà, che implica l’ugua- glianza e l’imparzialità nei confronti degli oggetti della libertà, vista nel suo ri- svolto positivo (uguaglianza degli oggetti), ma anche negativo (rifiuto dell’og- getto). Ciò che infastidisce Jellinek è che l’oggetto religione viene considerato – conformemente ad una prospettiva laica, o meglio, atea – come una qualsiasi teoria, presupponendo non l’uguaglianza fra cattolicesimo, protestantesimo, ebraismo, etc., ma fra cristianesimo e ateismo. Solo negli ultimi decenni del XX secolo, del resto, si è affermato l’orientamento secondo il quale l’ateismo è in- cluso nella sfera della libertà di religione, ammettendosi la libertà di non segui- re alcuna religione ed anche che la professione di ateo possa essere una “religio- ne”; ciò, peraltro – come è stato notato – non riguarda ad esempio le intese ex art. 8 Costituzione italiana (vedi A. DIGIOVINE, Garanzie costituzionali della li-

bertà dei non credenti, in Riv. giuridica sarda, 2001/2, pp. 599 ss.).

Per alcune considerazioni e indicazioni bibliogafiche sui diversi significati della libertà religiosa nelle dichiarazioni francese e americane, recentemente, cfr. D. NOCILLA, Introduzione a G. JELLINEK, La dichiarazione dei diritti, cit., pp. XXVII ss.

vato, la formulazione americana è legata alla particolare forma

di contrattualismo propria delle colonie americane, che si basa

sul «patto fra santi», su un rapporto di fiducia fondato sull’af-

fidabilità dei contraenti, strettamente dipendente dal loro esse-

re credenti, in quanto «il fedele è l’uomo morale» e, in un’otti-

ca protestante, è anche colui che si sottomette al giudizio della

comunità, «che rende pubblica la propria personalità», il che è

funzionale a creare la fiducia necessaria alla realizzazione del

patto sociale

223

.

Ovviamente poi tale matrice filosofico-religiosa delle di-

chiarazioni si coniuga con il loro carattere di strumento di lot-

ta politica, in una prospettiva di tipo «tattico-propagandisti-

ca»

224

, in base alla quale esse forniscono una giustificazione al-

la secessione dall’Inghilterra (procurando la necessaria coper-

tura alle rivendicazioni di libertà politica ed economica) e un

fondamento (morale?) ai nuovi Stati.

Il contesto, dunque, nel quale nascono le dichiarazioni

francesi e americane è diverso, sia per quanto concerne, in par-

te, il sostrato culturale-filosofico, sia per le finalità di ordine

politico sottese alle rivendicazioni dei diritti (in un caso l’indi-

pendenza dalla madrepatria, nell’altro la liberazione dalle pa-

stoie del regime esistente)

225

.

223Cfr. L. CORSO, Spirito di religione, cit., spec. p. 237 e 244.

224L’espressione è di G. OESTREICH, Storia dei diritti, cit., p. 64, il quale ri- leva come all’origine delle dichiarazioni americane ci furono «piuttosto inten- dimenti profani», in quanto esse vennero formulate come strumento della lot- ta, politica ed economica, nei confronti della madrepatria, «in una prospettiva tattico-propagandistica».

225Insiste sulla differenza fra le vicende americane e quelle francesi e, di conseguenza, sulla diversa assunzione di significato delle dichiarazioni nei due continenti, fra gli altri, G. GOZZI, Democrazia e diritti. Germania, cit., spec. p. 19; G. OESTREICH, Storia dei diritti, cit., pp. 77 ss. sottolinea l’intento francese

di rovesciare l’ordinamento esistente e, in particolare, i privilegi, rilevando co- me «mentre nelle dichiarazioni americane la richiesta d’uguaglianza era più fortemente connotata in senso politico-costituzionale – avendo di mira il trat- tamento ineguale dei coloni, costretti a pagar tasse senza disporre di rappre-

Differenti sono anche le modalità di riconoscimento dei di-

ritti – come anticipato – nonché, in alcuni casi, il contenuto dei

diritti stessi.

Quanto al primo profilo, si affaccia con le dichiarazioni

americane un principio essenziale: l’idea della Costituzione e

della sua supremazia rispetto alla legge

226

. Mentre in territorio

francese si afferma che «le deliberazioni dei poteri costituiti –

del potere legislativo e del potere esecutivo – potranno essere

costantemente messe a confronto con lo scopo del nuovo ordi-

ne politico, ossia con la conservazione dei diritti, e solo da ciò

trarranno la loro legittimazione», «ma è infine il potere legisla-

tivo che si impone»

227

, per cui la legge diviene «un valore in sé,

e non un mero strumento, perché solo grazie alla sua autorità si

rendono possibili i diritti e le libertà di tutti»

228

, oltremare la

legge deriva dai diritti. Il potere legislativo non è visto come

sentanti al Parlamento di Londra –, la tesi dell’uguaglianza, asserita in Francia, era invece più indirizzata contro i privilegi…» (p. 84); similmente già G. JELLI- NEK, La dichiarazione dei diritti, cit., aveva osservato come gli americani «volle-

ro proclamare come eterno patrimonio per sé e per ogni popolo libero» ciò che già possedevano, mentre i francesi «vollero garantire ciò che ancora non aveva- no…» (p. 110).

226Considera tale supremazia uno dei caratteri del modello americano dei diritti, G. PECES-BARBA, Teoria dei diritti, cit., p. 131; per tutti, quanto all’indi-

viduazione delle caratteristiche del primato, nella storia costituzionale ameri- cana, dei diritti sulla legge, vedi G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., pp. 67 ss.

227Così G. GOZZI, Democrazia e diritti. Germania, cit., p. 17.

228M. FIORAVANTI, Appunti di storia, cit., p. 55. L’Autore insiste sull’im- portanza del «fattore legicentrico», che esprime «una vistosa correlazione del modello individualistico in senso statualistico» e si pone – come elemento di novità – accanto al fattore costituente. Quest’ultimo poi è individuato come «associato al concetto di sovranità, intesa come potere del popolo sovrano di decidere sulla costituzione e sulle regole del gioco» (mentre, nel caso america- no, è «associato al concetto di rigidità costituzionale») [ibidem, p. 92].

P. COSTA, Civitas, cit., 2, osserva come il «punto dolente» sia nel «rappor-

to fra i diritti del soggetto e la legge del sovrano» e che «il dibattito costituente sembra… parlare il linguaggio dei diritti ma adottare poi una conclusione ‘le- gicentrica’» (p. 21).

«una forza originaria che si sprigiona immediatamente dal so-

vrano», ma come un «potere derivato, cioè delegato» e, in

quanto tale, limitato e inabilitato ad intervenire nella sfera dei

diritti, che costituisce il patrimonio originario sul quale è fon-

data la Costituzione e la delega costituzionale ai governanti

229

.

Si realizza quella che è stata definita una vera e propria «rivo-

luzione copernicana»

230

: un rovesciamento nei rapporti tra lo

Stato e i singoli, a vantaggio dei secondi.

La Rivoluzione francese – è stato osservato – si limita a rin-

novare l’impostazione tradizionale, «sostituendo la legge al co-

mando monarchico»

231

: una tale affermazione non appare del

tutto condivisibile, in quanto, se è vero che si sancisce che «tut-

to quello che non è vietato dalla legge non può essere impedito,

e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina»

(art. 5), è altrettanto densa di significato la proclamazione che

«il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei dirit-

ti naturali e imprescrittibili dell’uomo» (art. 2). La superiorità

teorica dei diritti è affermata anche in Francia, ma nel vecchio

continente, nel Settecento, si traggono dal principio differenti

implicazioni concrete, alle quali non pare estranea la considera-

zione che un atto, quale la legge, espressione della volontà dei

contraenti il patto fondante della comunità politica, rappresen-

ta una garanzia sufficiente, rimettendo in sostanza nelle mani

degli stessi contraenti la tutela dei diritti alla base del contratto

stesso. Si potrebbe dire che, in Francia, la tutela dei diritti si co-

niuga con il principio della sovranità popolare

232

, negli Stati

Uniti, con il principio della supremazia della Costituzione.

229G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., pp. 69-70. 230Così G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 67. 231G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 68.

232Si riferisce – in relazione all’esigenza di combattere «l’antica realtà dei poteri feudali e signorili – alla presenza di un’alleanza fra «ideologie dei diritti naturali individuali e della sovranità della nazione e dei suoi legislatori», ovve- ro – come già accennato – ad un’alleanza fra «individualismo e statualismo», M. FIORAVANTI, Appunti di storia, cit., p. 51.

Lo sviluppo dall’identico principio di preesistenza (e supe-

riorità) dei diritti di due strutture di riconoscimento diverse

pare legato ad una serie di circostanze storiche, fra le quali sen-

za dubbio la considerazione in Francia della legge come stru-

mento di imparzialità nelle mani di tutti (la legge è deliberata

da tutti i cittadini, se pur attraverso i loro rappresentanti) per

superare la divisione della società in ceti

233

, mentre, nei neona-

ti Stati Uniti, la legge viene vista essenzialmente come espres-

sione della supremazia del Parlamento inglese

234

(che i coloni,

233N. BOBBIO(La Rivoluzione Francese, cit., p. 109) sottolinea l’impor- tanza dell’idea della rappresentanza «una e indivisibile» – che, dunque, «non può essere divisa in base agli ordini o stati», e «nella sua unità e indivisibilità è composta non da corpi separati ma da individui singoli» – per la distruzione della «società per ordini, dove … gli individui non sono uguali né nei diritti né di fronte alla legge»; M. FIORAVANTI(Appunti di storia, cit., spec. p. 50), rileva

come la legge è «nello stesso tempo ciò che limita l’esercizio delle libertà di ognuno, ma anche ciò che rende possibili le libertà di tutti come individui, contro le antiche discriminazioni di ceto»; G. PECES-BARBA(Teoria dei diritti,

cit., p. 134) osserva come la legge viene utilizzata «in funzione promozionale», prevedendo l’azione positiva dei pubblici poteri per «soddisfare le necessità degli individui attraverso il diritto», instaurando così «una nuova dimensione del rapporto tra legge e libertà».

L’ultima osservazione pare valere in particolar modo in relazione alla pre- visione dei diritti sociali, che fanno la loro prima comparsa nella Dichiarazione dei diritti premessa alla Costituzione del 24 giugno 1793; vedi, ad esempio, l’art. 21 («I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società deve la sussi- stenza ai cittadini disgraziati, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che non sono in età di lavorare») o l’art. 22 («L’i- struzione è il bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo potere i progressi della ragione pubblica, e mettere l’istruzione alla portata di tutti i cit- tadini»), senza dimenticare, peraltro, che anche la Costituzione del 1791 (Tito- lo I) menzionava la creazione e l’organizzazione di un «istituto generale di Soc-

corsi pubblici, per allevare i bambini abbandonati, dare assistenza ai poveri in-

fermi e fornire lavoro ai poveri validi che non abbiano potuto procurarsene», nonché di «una Istruzione pubblica, comune a tutti i cittadini, gratuita nelle parti d’insegnamento indispensabili a tutti gli uomini…».

234M. FIORAVANTI, Appunti di storia, cit., sottolinea come la rivoluzione americana «prende le mosse dalla necessità di contrastare un legislatore, che si

fra l’altro, non concorrono a formare, in violazione del classico

principio no taxation without representation). Nel nuovo conti-

nente, inoltre, – pare di poter affermare – si avverte l’esigenza

di fondare i diritti in “qualcosa” di solido, che consenta un

controllo giudiziario, al pari della tradizione inglese e della

common law, ma nel contempo ovviamente differente da quel-

la tradizione appartenente ad un potere che si contestava: di

qui il valore, superiore alla legge, attribuito alla Costituzione.

Se sono i diritti francesi ad ispirare le lotte per la libertà in

tutto il mondo, è la tradizione costituzionale nordamericana

della separazione e della supremazia dei diritti sulla legge a se-

gnare nel futuro la stessa storia costituzionale europea

235

. L’i-

dea di Sieyès di un giudice delle leggi non viene accettata nel-

la Francia del Settecento; poco dopo il giudice Marshall, negli

Stati Uniti, disapplicherà per la prima volta una legge in con-

ritiene sia uscito fuori dai confini della propria legittima giurisdizione» (p. 81), rilevando anche come «il grande filo conduttore della cultura politico-costitu- zionale americana rimarrà sempre quello della diffidenza verso i legislatori», con il conseguente rifiuto di ogni versione statualistica dei diritti e delle libertà e la rimessione della tutela di questi ultimi alla costituzione, «ovvero alla possi- bilità di limitare il legislatore» (p. 82).

235«Il diritto costituzionale europeo contemporaneo riconosce ai singoli una «dotazione di diritti» originaria, indipendente e protetta nei confronti del- la legge. Sotto questo aspetto si distacca dalla concezione rivoluzionaria della Francia e si avvicina alla tradizione costituzionale nordamericana» (G. ZAGRE- BELSKY, Il diritto mite, cit., p. 67); Matteucci osserva come con l’innovazione

americana si realizzi «uno “stato costituzionale dei diritti”» (p. 41) e come sia il salto di qualità compiuto dalla Costituzione americana, che fornisce «un rime- dio giuridico alla violazione della legge fondamentale», a segnare il passaggio dal costituzionalismo medievale a quello moderno (p. 39), costituendo «l’atto di battesimo» di quest’ultimo (p. 29); l’Autore, in particolare, individua nella Costituzione di Filadelfia quell’aspetto del costituzionalismo inerente non tan- to alla divisione del potere, quanto alla sua limitazione attraverso il diritto: essa fornisce di una garanzia giuridica l’antica distinzione fra gubernaculum e iuri-

sdictio (N. MATTEUCCI, La costituzione statunitense e il moderno costituzionali-

smo, in T. Bonazzi (a cura di), La costituzione statunitense e il suo significato odierno, il Mulino, Bologna, 1988, pp. 29 ss.).

trasto con la Costituzione, stabilendo quel principio della judi-

cial review of legislation, della supremazia della Costituzio-

ne

236

, che rappresenterà la chiave di volta del sistema (anche

europeo) di garanzia dei diritti (anche e proprio contro la leg-

ge). Questo, considerando – si precisa – le modalità di garan-

zia dei diritti, perché, quanto al contenuto, ad esempio, è sta-

to osservato, come il costituzionalismo francese contiene an-

che «un progetto, ed una promessa, per il futuro, che è quella

di una società più giusta», una «filosofia della trasformazione

sociale», mentre la costituzione americana è «più teatro di

competizione tra gli individui e le forze sociali e politiche»,

nell’ottica di riconoscere e garantire i diritti (essenzialmente

con strumenti di carattere giurisdizionale), ma non in quella di

promuoverli

237

.

Quanto al catalogo dei diritti, le dichiarazioni americane ri-

prendono il modello inglese, se pur con qualche elemento di

novità, quale l’inserimento della libertà di stampa

238

; rispetto a

quelle inglesi, comunque, la differenza fondamentale consiste

nella collocazione dei singoli diritti all’interno della filosofia del

diritto naturale. Ciò che cambia – e che, come già detto più vol-

236G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, il Mulino, Bologna, 1988, definisce la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Madison

versus Marbury del 1803 e la proposta al regime del Termidoro da parte dell’a-

bate Sieyès di un guardiano della costituzione (1795), i «due più grandi discor- si fondativi della giustizia costituzionale» (p. 16), imputando alla mancanza del