I.3. La nascita e l’infanzia dei diritti dell’uomo: le prime dichiarazion
I.3.3. Le ambiguità delle prime positivizzazioni dei diritti Sintesi
alla loro positivizzazione, cioè al loro stesso essere «diritti» nel
senso che si è definito “pieno” del termine (la sostantivizzazio-
ne in una posizione giuridica astratta): il soggetto dal quale
proviene il riconoscimento positivo dei diritti universali ha un
potere limitato nello spazio
254, per cui, nel momento stesso in
cui i diritti vengono positivizzati, perdono la loro natura uni-
254Vedi, in tal senso, tra gli altri, S. SENESE, La protezione internazionale dei diritti umani, in Quest. giust., 2000/4: «i diritti dell’uomo, proclamati nelle
Dichiarazioni o nelle Costituzioni, universali per definizione, sono… dei dirit- ti nei confronti del potere politico che è un potere sempre (o almeno sino ai nostri giorni) particolare, limitato nello spazio. Nella misura in cui il potere po- litico riconosce dei diritti, questo riconoscimento non tocca tutti gli uomini ma soltanto quelli che sono parte del contratto sociale, i cittadini o –nel migliore dei casi- tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato» (p. 770).
versale, trasformandosi da diritti dell’uomo in diritti del citta-
dino
255.
Inoltre, l’affermazione dei diritti dell’uomo viene ad incide-
re sul profilo interno della sovranità, ma non su quello ester-
no
256: i diritti della persona umana limitano lo Stato nel suo rap-
porto con i propri cittadini, ma non nel suo rapporto con gli al-
tri Stati (ed anche con i cittadini degli altri Stati). Ciò spiega, an-
cora una volta, come la proclamazione dei diritti naturali possa
accompagnarsi con la difesa della logica del colonialismo: «la
dominazione dell’altro, inaccettabile sul piano individuale, di-
venta accettabile quando il rapporto s’istituisce tra collettività
ed è mediato dalla sovranità»
257. Si può, allora – e citiamo anco-
255Vedi, nel senso che la positivizzazione dei diritti naturali finisce per in- ficiare la loro universalità, tra gli altri, N. BOBBIO, Presente e avvenire, cit.: «nelpassaggio dalla teoria alla pratica, dal diritto solamente pensato al diritto attua- to … l’affermazione dei diritti dell’uomo acquista in concretezza ma perde in universalità … non sono più diritti dell’uomo ma del cittadino, o per lo meno sono diritti dell’uomo solo in quanto sono diritti del cittadino di questo o quel- lo stato particolare» (p. 23); L. FERRAJOLI, La sovranità, cit., p. 36, in particola-
re laddove si osserva che «negli ordinamenti interni degli stati liberaldemocra- tici i vecchi diritti naturali vengono consacrati e positivizzati dalle costituzioni come “universali” … E tuttavia, poiché il loro “universo” giuridico-positivo coincide con quello dell’ordinamento interno dello Stato, i diritti dell’“uomo” finiscono di fatto per appiattirsi sui diritti del “cittadino”»; «l’“universalità” dei diritti umani si risolve conseguentemente in un’universalità parziale e di parte: viziata dal suo stampo statalistico, e quindi dai meccanismi di esclusione da esso innestati nei riguardi dei non-cittadini …»; S. SENESE, La protezione,
cit., p. 770; G. ROLLA, Le prospettive dei diritti della persona alla luce delle re-
centi tendenze costituzionali, in Quad. cost., 1997, pp. 417 ss.: «i diritti della
persona (potenzialmente universali), una volta positivizzati, tendono a trasfor- marsi nei singoli ordinamenti in diritti del cittadino … finiscono per essere fruibili soltanto da coloro che possiedono lo status civitatis» (p. 452).
256Cfr. L. FERRAJOLI, La sovranità, cit.: «quanto più si limita e attraverso i suoi stessi limiti si autolegittima la sovranità interna, tanto più si assolutizza e si legittima, nei riguardi degli altri Stati e soprattutto del mondo “incivile”, la so- vranità esterna. Quanto più lo stato di natura viene superato all’interno, tanto più viene riprodotto e sviluppato all’esterno» (pp. 35-36).
ra Tocqueville – difendere la democrazia e la dignità umana e
scrivere che «non vi è né utilità né dovere nel lasciare ai nostri
sudditi musulmani idee esagerate sulla loro importanza, né a
persuaderli che siamo costretti a trattarli in ogni circostanza co-
me se fossero nostri concittadini e nostri eguali»
258.
La proclamazione di diritti della persona umana appare –
in conclusione –, fin dalla nascita, revocata in dubbio a causa di
almeno tre elementi interconnessi: a) la cittadinanza, che tra-
sforma i diritti dell’uomo in diritti del cittadino; b) strettamen-
te legato alla prima, il principio di sovranità dello Stato; c) l’a-
simmetria nel riconoscimento e nel godimento effettivo dei di-
ritti, per cui essi sono in sostanza legati alla condivisione di una
determinata appartenenza. Tali intrinseche ambiguità dei dirit-
ti della persona umana sono superabili forse solo con la procla-
mazione dei diritti
259e l’istituzione dei relativi strumenti di ga-
ranzia a livello internazionale
260, sì da creare una vera e propria
“cittadinanza del mondo”
261. Peraltro gli Stati – come si vedrà
258Così A. DETOCQUEVILLE, Rapport sur l’Algérie, ricordato da T. TODO-ROV, Noi e gli altri, cit., p. 234.
259La proclamazione è, in tal senso, da intendersi non nell’ottica del dirit- to internazionale pattizio (sempre legato alla volontà dei singoli Stati) – come è tuttora –, ma piuttosto in quella della Costituzione mondiale o, quantomeno, del diritto consuetudinario generale.
260Si precisa che, quando si pensa a tali strumenti di garanzia, non si in- tende riferirsi alla neo istituita Corte Penale Internazionale, strumento subor- dinato alla ratifica degli Stati nei cui confronti può operare, non imparziale nei poteri attribuiti ad alcuni Stati (il riferimento è, in particolare, al ruolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite) e, infine, dotato di una competen- za limitata (cfr. infra, parte II, cap. III).
261Senza dimenticare – comunque – che il problema, oggi, realisticamente, non è solo quello della sovranità degli Stati, considerando che, laddove gli Stati perdono parte delle loro prerogative ed autonomia, non è a vantaggio di demo- cratiche istituzioni internazionali (basti rilevare che anche l’ONU, nonostante tutti i limiti quanto alla sua democraticità, esercita ormai un ruolo assolutamen- te marginale e comunque caratterizzato da una evidente impotenza) – magari in connessione con un aumento parallelo del ruolo del “piccolo” –, ma è conse- guenza del governo mondiale esercitato dalla grande finanza internazionale,
e come dimostra la vicenda della Corte Penale Internazionale –
non sono disposti ad abdicare alla propria sovranità
262: sul ter-
reno di una giustiziabilità internazionale dei diritti e su una lo-
ro titolarità effettivamente universale (per tutti i diritti) si gioca
il superamento delle contraddizioni per ora connaturate ai di-
ritti umani. Ciò, ovviamente, senza dimenticare l’altra grande
questione dei diritti della persona umana: l’effettiva condivisio-
ne universale dei diritti stessi.
Prima, però, di verificare se (e che cosa) è cambiato dal
1789 ad oggi, – qual è, ad esempio, il valore effettivo dell’ac-
quisizione di una soggettività dell’individuo a livello interna-
zionale o il senso dell’ingerenza umanitaria (forma di tutela dei
diritti umani o nuova versione di un loro utilizzo strumentale
rispetto ad una politica imperialistica?) – appare preliminare
una questione: a partire dalla storia (o preistoria) dei diritti del-
l’uomo e dai loro atti di nascita, è possibile enuclearne una de-
finizione ed individuarne il fondamento?
contraria a poteri statali forti e in grado di assumere decisioni indipendenti (in argomento vedi quanto si dirà, più approfonditamente, infra, parte II).
CAPITOLO SECONDO
IL FONDAMENTO DEI DIRITTI UMANI
SOMMARIO: II.1. Verso una definizione dei diritti dell’uomo. – II.1.1. In
evidenza: le difficoltà di una definizione sostanziale. – II.1.2. Alla ri- cerca di aiuto in alcune definizioni proposte. – II.1.3. Una definizione astratta è solo formale? – II.2. Fra le teorie sul fondamento dei diritti dell’uomo. – II.2.1. Intorno al giusnaturalismo moderno; del fonda- mento metafisico. – II.2.2. I diritti come “fatto” storico, condiviso o creato dal diritto positivo. – II.2.3. Le tesi razionaliste, ovvero una “fe- de” debole e logica. – II.2.4. Sulla classificazione dei fondamenti dei diritti umani. – II. 3. Una scelta possibile.
II.1. Verso una definizione dei diritti dell’uomo
I diritti dell’uomo
1– si è detto – trovano la loro prima com-
piuta espressione, se pur imperfetta, con le Dichiarazioni francese
e americane, le quali rispettano le “condizioni” fissate nel minimo
comun denominatore dei diritti della persona umana: il riconosci-
mento in capo a ciascuno di posizioni giuridiche soggettive.
L’adozione di tale minimo comun denominatore rappresen-
ta peraltro già il frutto di una scelta: oggetto dell’indagine sono i
«diritti» quali intesi nella sfera del diritto, del mondo giuridico,
ovvero, – utilizzando un riferimento meno impreciso – del dirit-
1Si precisa che qui si utilizzano, quali sinonimi, le espressioni “diritti del- la persona umana”, “diritti dell’uomo” o “diritti umani”, con la precisazione – già fatta in precedenza – che la locuzione più corretta appare la prima, immu- ne da rischi di maschilismo.
to positivo
2. I diritti sono posizioni soggettive riconosciute alle
persone umane nell’ambito delle norme “scritte” (in senso am-
pio, ovvero redatte o create
3) dagli uomini per regolare stabil-
mente la loro convivenza, caratterizzate da una particolare forma
(intendendo con ciò la presenza di predeterminate modalità di
creazione e di riconoscimento
4), dalla percezione della loro ob-
bligatorietà
5, nonché, in generale, dalla loro giustiziabilità
6.
2Ciò non significa, peraltro, assumere una prospettiva positivista, conside- rare i diritti solo all’interno di una cornice storico-volontaristica: le posizioni giu- ridiche possono essere solo diritto positivo, ma possono anche rappresentare la traduzione di una metafisica (come è nel caso dei diritti naturali), di un’etica, ecc. 3Il termine “creazione”, peraltro, deve qui essere inteso non necessaria- mente come formazione per così dire dal nulla, frutto di una concreta e deter- minata volontà umana, ma anche come elaborazione nella sfera giuridica di precetti concepiti come preesistenti, dati, appartenenti alla sfera dell’assoluto divino o alla morale.4Si intende in particolare precisare che il riferimento alla «forma» non si- gnifica solo presenza di una “scrittura”, ma comprende anche, ad esempio, la consuetudine.
5L’obbligatorietà dei diritti e il loro carattere vincolante – o, si potrebbe quasi dire impositivo – nei confronti sia dei singoli individui che degli organismi politici (in primis, gli Stati), non esclude la possibilità di ricomprendere nella concezione di “diritti” proposta anche quelle configurazioni che negano l’indi- sponibilità dei diritti da parte dello Stato in sé, ma riconoscono, ad esempio, l’a- zionabilità dei diritti nei confronti di specifiche “funzioni” statali. Il problema si pone in particolare per i diritti pubblici subbiettivi: in proposito, S. ROMANO, La
teoria dei diritti pubblici subbiettivi, in V.E. Orlando (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, I, Società Editrice Libraria, Milano,
1900, osserva come «di fronte allo Stato intero, concepito nella sua totalità… non può darsi alcun diritto individuale. Senonché non può mettersi in dubbio che lo Stato, nella sua vita concreta, non può mai manifestarsi rivestito di tutte le sue funzioni… Cosiché il cittadino non si trova mai, e per ciò stesso non può vantare dei diritti di fronte allo Stato astrattamente e comprensivamente considerato, ma solo di fronte allo Stato concepito limitatamente ad una sua funzione o atto» (pp. 118-119); peraltro, Santi Romano dubita che nella nozione di diritto pubblico subiettivo si possa ritenere implicita la possibilità dell’azione giudiziaria (come sosteneva Jhering), osservando come a molti diritti pubblici subbiettivi «non corrisponde… un’azione di qualsivoglia genere» (p. 122).
6Il riferimento alla giustiziabilità non viene qui inteso come elemento tassati- vo, perlomeno se concepito in senso stretto, come azionabilità del diritto di fron- te ad un giudice: molti dei diritti proclamati, soprattutto a livello internazionale, sono privi di meccanismi giurisdizionali di tutela, ma sanciscono posizioni giuridi- che soggettive. Se esse non vengono riconosciute, si percepisce la violazione o non attuazione di un diritto, anche se non vi è un organo giurisdizionale deputato al- l’accertamento della violazione e alla comminazione dell’eventuale sanzione.
Non si considera, cioè, in questa sede elemento costitutivo della nozione di “diritto” la garanzia giurisdizionale, pur concordando con quanti sottolinea- no la scarsa utilità di diritti privi di strumenti giurisdizionali che ne tutelino l’effettività e considerando come, a livello nazionale, ma, sempre più, anche in- ternazionale, la tendenza è nel senso di affiancare alla proclamazione del dirit- to un meccanismo giurisdizionale o semi-giurisdizionale di tutela dello stesso. Il “diritto senza giudice” è comunque un diritto, che, da un lato, fonda una precisa posizione giuridica soggettiva e, dall’altro, ha una tutela, anche se ma- gari affidata a organi politici, all’opinione pubblica, al giudizio dei pari, ovve- ro, quantomeno, al valore che assume l’evento in sé della violazione.
In dottrina è viva la controversia relativa alla collocazione degli strumenti di garanzia del diritto: come parte integrante ed essenziale del diritto stesso o come aspetti distinti.
In particolare, ritengono parte integrante ed essenziale del diritto la sua garanzia gli esponenti del realismo giuridico e, in tal senso, fra gli altri, pare esprimersi, trattando in particolare dei diritti sociali, Danilo Zolo: «un diritto formalmente riconosciuto ma non justiciable – e cioè non applicato o non ap- plicabile dagli organi giudiziari con procedure definite – è, tout court, un dirit- to inesistente» (D. ZOLO, La strategia della cittadinanza, in Id. (a cura di), La
cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, 1994, p. 33;
vedi però anche dello stesso Autore la precisazione di tale posizione, in rispo- sta alle critiche di Ferrajoli, in ID., Libertà, proprietà ed uguaglianza nella teoria
dei “diritti fondamentali”, in L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali. Un dibattito
teorico, cit., pp. 64 ss.); mentre, fra chi propende per distinguere diritti e ga-
ranzie, si può citare L. FERRAJOLI(Diritti fondamentali, cit.): «contro la tesi del- la confusione tra i diritti e le loro garanzie, che vuol dire negare l’esistenza dei primi in assenza delle seconde, sosterrò la tesi della loro distinzione, in forza della quale l’assenza delle relative garanzie equivale invece a un’inadempienza dei diritti positivamente stipulati e consiste perciò in un’indebita lacuna che è compito della legislazione colmare» (p. 8, ma vedi anche pp. 23 ss.).
Questa definizione può essere letta come la definizione
astratta dei diritti all’interno della sfera giuridica (cioè – come
accennato – presupponendo già una scelta fra i diversi insiemi,
anche intersecanti fra loro, nei quali esistono i diritti); in con-
creto, poi, entrano in gioco ulteriori variabili, che specificano i
“diritti giuridici” in, per così dire, “diritti giuridici storici”.
Per intendersi, i diritti possono essere concepiti essenzial-
mente quale forma di convivenza fra i privati, quale limite al
potere dello Stato – nella duplice variante di limite pre-statale
o, comunque, indipendente dallo Stato (come nel caso del di-
ritto naturale o anche, in ipotesi, del diritto internazionale)
7e
di autolimitazione dello Stato (come nella teoria dei diritti pub-
blici subbiettivi laddove essi sono configurati alla stregua di ef-
fetti riflessi)
8–, quale obbligo positivo per lo Stato (come nel
caso dei diritti sociali); possono essere riconosciuti in fonti di
rango costituzionale o primario, oppure derivare da pronunce
giudiziarie o da prassi consolidate nel tempo; possono essere
giustiziabili solo nei confronti di violazioni provenienti dai pri-
vati o anche nei confronti del legislatore (esistenza di una giu-
stizia costituzionale); possono essere proclamati e tutelati solo
a livello statale o anche a livello internazionale, etc.
Per tentare di elaborare una definizione conviene arrestarsi
al concetto astratto, che in sé ricomprende tutte le potenziali
sfaccettature dei diritti giuridici così come si sono storicamen-
te presentati: la definizione in tal modo può essere “universa-
le”, pur con la consapevolezza che essa non è assoluta, ma
“aperta”, contenendo in sé tanti “diritti relativi” o storici, che,
di volta in volta, la concretizzano. Ogni concretizzazione può
presentare i caratteri dell’assolutezza, ma, partendo dalla defi-
nizione proposta, è chiaro che ciò può avvenire solo in una
prospettiva cronologicamente e spazialmente statica e non di-
namica.
7Come un quid, cioè, che lo Stato si limita a “riconoscere”, ma non crea o non costituisce.
8Si pensi, in particolare, alla teoria di Gerber o di Laband (sui quali cfr., sinteticamente, A. BALDASSARRE, Diritti pubblici soggettivi, in Enc. giur. Trecca-
I diritti della Magna Charta concessi dal sovrano, i diritti
naturali della Dichiarazione francese del 1789, i diritti pubblici
subbiettivi di Jellinek, i diritti sociali riconosciuti dalle Costitu-
zioni del secondo dopoguerra, il diritto all’ambiente o alla pri-
vacy creati dai giudici o dalle corti costituzionali o sanciti dalle
costituzioni più recenti: sono tutti diritti, che, potenzialmente,
rientrano nella definizione data, perlomeno se si guarda alla
struttura e non alla titolarità. Inserendo, infatti, nella definizio-
ne la variabile della titolarità, ovvero distinguendo all’interno
dell’insieme “diritti” i diritti propri della persona umana, è evi-
dente che alcuni dei diritti ricordati non vi rientreranno (si
pensi, ad esempio, ai diritti della Magna Charta, riconosciuti, in
origine, solo ai nobili o ai commercianti, o ad alcuni diritti so-
ciali, quale il diritto al lavoro, per lo più attribuiti solo ai citta-
dini).
A questo punto è necessario, pur astraendo il più possibile,
procedere oltre: quali posizioni giuridiche soggettive sono di-
ritti della persona umana?
Tentando di mantenersi all’interno della “sfera giuridica”,
si può dire: i diritti della persona umana sono quei diritti rico-
nosciuti in capo a ciascuna persona umana, il titolare dei quali
è la persona umana. Ma cosa si intende per persona umana?
Nel mondo giuridico, la locuzione “persona”, generica-
mente – se si prescinde dalle definizioni tautologiche, del tipo
“i diritti della persona umana sono quelli che spettano a cia-
scuna persona umana in quanto tale”
9– viene assimilata a quel-
la di «persona giuridica», o ricondotta ad alcuni elementi cir-
coscritti, quali la capacità di agire, oppure specificata come
«persona fisica».
9 …o, anche da quelle che si limitano a definire i diritti della persona «quelli che proteggono la p. [persona] come tale, nei suoi aspetti essenziali e nelle sue manifestazioni immediate» (Istituto della Enciclopedia italiana fon- data da Giovanni Treccani, Dizionario Enciclopedico Italiano, Istituto Poligrafi- co dello Stato, Roma, IX, 1970, p. 278).
Il concetto di «persona giuridica», oltre a non essere stabi-
le nel tempo e costante nello spazio, non corrisponde a quello
di essere umano, indicando ogni soggetto di diritto, ovvero an-
che le organizzazioni collettive
10; qualificazioni come la capa-
cità di agire rappresentano, invece, una semplice (e non neces-
saria)
11caratteristica della persona umana nella sua produzione
di azioni atte ad assumere una rilevanza giuridica in un dato or-
dinamento: si tratta, cioè, di elementi che non chiariscono “co-
s’è” la persona, ma ne evidenziano solo una particolare conno-
tazione, dunque, di elementi, spesso, non riferibili a tutte le
persone umane, e, inoltre, di elementi relativi e storicamente
connotati, non astratti.
Quanto, infine, alla nozione di «persona fisica», essa viene
semplicemente intesa, tautologicamente, come l’equivalente di
«uomo», con al più la sola specificazione legata alla condizione
di nascita in vita dell’uomo: la persona fisica esiste a partire dal
momento di nascita (in vita) dell’essere umano
12; nulla ancora
10Citando dal Dizionario Enciclopedico del diritto, diretto da F. Galgano, vol. II, Cedam, Padova, 1996, alla voce «Persona giuridica»: «l’attributo di persona non è dal diritto riconosciuto soltanto all’uomo; sono altrettante per- sone per il c.c., anche le organizzazioni collettive …» (p. 1118; similmente si legge nel Dizionario Enciclopedico Italiano, cit., IX, p. 278). Il codice civile ita- liano, ad esempio, al Titolo II (libro I), intitolato Delle persone giuridiche, trat- ta in particolare proprio «Delle associazioni e delle fondazioni» (capo II) o «Delle associazioni non riconosciute e dei comitati» (capo III).
11Qualificazioni come la capacità di agire o quella di intendere e di vole- re, o l’incapacità civile, oltre non esprimere l’essenza della persona umana, possono anche essere potenzialmente pericolose perché, tendendo ad identifi- care specifiche categorie all’interno del genus umano, potrebbero portare ad interpretazioni differenzialiste di tipo nazista. Uguale considerazione vale an- che per la capacità giuridica che oggi tendenzialmente si acquista all’atto della nascita (così, ad esempio, stabilisce l’art. 1 del codice civile italiano), ma che potrebbe anche essere ristretta, come è avvenuto in passato con l’esclusione degli schiavi.
12Nel Dizionario Enciclopedico Italiano, cit., IX, si specifica come nell’uso giuridico «persona fisica» indichi quel soggetto di diritto che «viene ad esi-