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L’individualismo egocentrico di Hobbes

I.2. La nascita e l’infanzia dei diritti dell’uomo: i nonni e i padri

I.2.5. L’individualismo egocentrico di Hobbes

Nel processo di “individualizzazione” un ruolo di primo

piano è assunto dalla teoria hobbesiana: sia che si voglia col-

locare Hobbes all’interno della scuola del diritto naturale,

sia che lo si voglia considerare il caposcuola del positivi-

142Si vedrà in seguito se, e come, la libertà di religione, che – pur non ac- cogliendo l’impostazione di Jellinek – è un elemento essenziale della storia del- l’Occidente (ciò che, fra l’altro, dal punto di vista teorico, ha consentito di pa- cificare un’Europa dilaniata dalle guerre di religione) e dei diritti umani (nati e sviluppati in Occidente) oggi proclamati universali, inficia l’universalità dei di- ritti umani e la possibilità che altre culture si riconoscano in essi.

143Con la precisazione che, comunque, il diritto naturale, pur con le sue caratteristiche di astrattezza, è sempre una specifica filosofia, legata ad un par- ticolare contesto sociale, culturale ed economico.

smo

144

, è infatti indiscutibile l’importanza della sua confi-

gurazione dell’individuo come singolo, potenzialmente in

contrasto con tutti gli altri (il noto “bellum omnium contra

omnes”) e assolutamente privo di ogni “appetitus societatis”.

Hobbes non è certo un paladino dei diritti della persona

umana

145

(come diritti anche, in primo luogo, anteriori e con-

144Sulla questione vedi G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, che esami- na, da un lato, gli elementi che portano a ritenere Hobbes un giusnaturalista, e, dall’altro, gli argomenti – da Fassò considerati «più numerosi e più validi» – «che inducono a considerarlo piuttosto l’iniziatore del positivismo giuridico, cioè della dottrina che del giusnaturalismo è l’antitesi» (p. 151, ma vedi anche pp. 145-146); fra i primi, si possono citare: la deduzione dalla ragione di tutto un sistema di norme (universali), con un procedimento quasi matematico, l’in- dividualismo, l’assunzione del diritto naturale a fondamento e giustificazione formale della costruzione assolutistica; fra i secondi, invece, soprattutto uno: la posizione dominante assegnata all’autorità e allo Stato, che una volta costituito non incontra più alcun limite, con la conseguenza che, mentre il giusnaturali- smo si richiama alla ragione contro l’autorità, per Hobbes, la fonte del diritto è l’autorità (il fine – la giustificazione dello Stato assoluto – travolge i diritti na- turali dell’individuo). Sul supposto positivismo di Hobbes, cfr., ampiamente, anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, M. A. CATTANEO, Il positivismo

giuridico inglese. Hobbes, Bentham, Austin, Giuffrè, Milano, 1962, a detta del

quale Hobbes è «il primo rappresentante del positivismo giuridico inglese» (p. 46); in senso contrario, L. STRAUSS, Natural Right and History, Chicago,

1953, trad. it. Diritto naturale e storia, il melangolo, Genova, 1990, spec. p. 197: «Hobbes è il classico e il fondatore della dottrina della legge naturale specificamente moderna».

145Peraltro appare degna di nota la considerazione di chi (L. STRAUSS, Di- ritto naturale, cit., spec. pp. 195 a 197) sottolinea come con Hobbes si attua

uno spostamento di accento, dai doveri naturali ai diritti naturali (prima so- stanzialmente concepiti solo come derivanti dai doveri): se il desiderio di auto- conservazione è la radice di ogni giustizia e morale, «il fatto etico fondamenta- le non è il dovere, ma il diritto; tutti i doveri sono derivanti dal fondamentale ed inalienabile diritto all’autoconservazione» e sono costrittivi «solo nella mi- sura in cui il loro adempimento non mette in pericolo la nostra conservazione», «vi è unicamente un diritto perfetto, non un dovere perfetto»; insiste sul carat- tere di diritto naturale – e non di principio deontico – dell’autoconservazione hobbesiana, L. BACCELLI, Il particolarismo, cit., pp. 47-48.

tro lo Stato): l’uomo, in sostanza, ha un solo “diritto” naturale,

«la libertà, propria di ciascun uomo, di usare come vuole il suo

potere per la conservazione della sua natura, cioè della vita; e,

di conseguenza, di fare tutto ciò che secondo il suo giudizio e la

sua ragione riterrà essere il mezzo più adatto ad attuare quel fi-

ne»

146

. La ragione porta l’uomo a cercare la pace e un potere

comune che la assicuri

147

e, a questo punto, sarà tale potere a

stabilire quali sono le libertà dell’individuo

148

, le quali in so-

stanza si identificano – con la sola eccezione del diritto all’au-

toconservazione – con gli ambiti che il sovrano non ha regola-

mentato con le leggi

149

.

La libertà di Hobbes «non è la libertà dei singoli individui,

ma la libertà dello Stato»

150

: la distanza dalla concezione della

146 T. HOBBES, Leviathan, or the matter, forme and power of a com- monwealth ecclesiasticall and civill (1651), trad. it. Leviatano, a cura di T. Ma-

gri, Editori Riuniti, Roma, 1998, I, 14, p. 76.

147«La prima e fondamentale legge di natura» consiste proprio – afferma Hobbes – nel «cercare la pace e conformarsi ad essa» (T. HOBBES, Leviatano, I,

14, pp. 77-78).

148Sul passaggio, nel pensiero di Hobbes, dalla ragione, al diritto natura- le, alle leggi di natura, cfr., tra gli altri, P. COSTA, Civitas, cit., spec. pp. 166-168

ss., al quale si rinvia anche, in generale, per una ricca bibliografia degli scritti su Hobbes (p. 620, nota 61).

149«Poiché infatti non c’è nessuno Stato in cui siano stabilite tante regole, da determinare tutte le azioni e le parole degli uomini (ciò infatti sarebbe im- possibile), ne segue di necessità che in tutte le specie di azioni, che sono state omesse dalle leggi, gli uomini sono liberi di fare ciò che la loro ragione indica come il più utile»; «la libertà del suddito risiede quindi nelle cose che il sovra- no ha omesso nel regolare le sue azioni: come la libertà di comprare e conclu- dere altre specie di contratto; di scegliere la propria residenza, la propria dieta, il proprio mestiere; di educare i figli come si pensa, e simili” (T. HOBBES, Le-

viatano, II, 21, p. 147).

Tutto ciò ovviamente significa – come è stato osservato – che «lo spazio della libertà… non [è] determinabile una volta per tutte: è il giudizio di oppor- tunità del sovrano che ne segna i confini» (P. COSTA, Civitas, cit., p. 180).

150T. HOBBES, Leviatano, II, 21, p. 149. A parte il diritto di autoconserva- zione, le leggi del diritto naturale sono sostanzialmente inefficaci se non vengo-

persona umana come titolare di diritti (naturali o anche positi-

vi, ma sempre nell’ottica in forza della quale lo Stato è per la

persona e non vive di una sua vita al di fuori o contro la perso-

na), è evidente; ma altrettanto chiara è la spinta di Hobbes

verso una separazione del diritto dalla sfera morale (non solo,

dunque, dalla teologia cristiana, ma anche, più in generale,

dall’etica) e, con ciò, anche verso l’abbandono di una conce-

zione giuridica fondata sul “dovere”, nonché verso un’atomiz-

zazione dell’immagine della società – o meglio, della conviven-

za – umana

151

.

I due elementi sono strettamente legati: una conseguenza

della «guerra di tutti contro tutti è che nulla può essere ingiu-

no tradotte in leggi civili: «le leggi naturali… non sono propriamente leggi, ma qualità che dispongono gli uomini alla pace e all’obbedienza. Una volta stabili- to lo Stato, e non prima, divengono effettivamente leggi, in quanto esse sono allora i comandi dello Stato, e quindi leggi civili» (T. HOBBESLeviatano, II, 26,

p. 181); inoltre, le leggi di natura e quelle civili sono parti diverse di una stessa legge, ma il diritto di natura (la libertà naturale) pare avere un carattere reces- sivo, in quanto «può essere ridotto o limitato dalla legge civile», il cui fine è proprio tale limitazione, senza la quale non è possibile la pace (T. HOBBES, Le-

viatano, II, 26, p.182). Quanto poi alla legge civile, essa viene identificata con il

comando del sovrano, con l’esclusione di un ruolo autonomo del Parlamento, dei giudici o della consuetudine (sul punto, cfr., tra gli altri, L. BACCELLI, Il par-

ticolarismo, cit., p. 51).

151Osserva Compagnoni: è con Thomas Hobbes, sembra, «che si passa dai diritti corporativi a quelli individuali, come anche si consuma la separazio- ne tra diritti naturali e concezione cristiana dell’uomo (F. COMPAGNONI, I dirit-

ti dell’uomo, cit., p. 21); insiste sull’illuminismo della dottrina hobbesiana, L.

STRAUSS, Diritto naturale, cit.: «quella di Hobbes è la prima dottrina che ne-

cessariamente e inequivocabilmente miri ad una società tutta “illuminata”, cioè a-religiosa e atea, come soluzione del problema sociale e politico» (p. 214).

Sottolinea come «la definizione paradigmatica del diritto soggettivo in contrapposizione al diritto in senso oggettivo…, la sua attribuzione a tutti gli uomini in quanto tali, la teorizzazione dell’uguaglianza naturale» sono opera di Hobbes, ma «nel contesto di una teoria intesa a fondare la rinuncia ai propri diritti» (L. BACCELLI, Diritti senza fondamento, in L. FERRAJOLI, Diritti fonda-

sto», «non trovano luogo le nozioni di diritto e di torto, di giu-

stizia e di ingiustizia»

152

. «Giustizia e ingiustizia non sono fa-

coltà del corpo né della mente», quindi, non si trovano in cia-

scun uomo, ma sono «qualità che si riferiscono agli uomini in

società»; «i desideri, e le altre passioni dell’uomo, non sono in

sé stessi un peccato, né lo sono le azioni che da tali passioni de-

rivano, finché gli uomini non conoscono una legge che le proi-

bisca; e le leggi non possono essere conosciute prima che siano

fatte, e non possono essere fatte prima che gli uomini si siano

accordati sulla persona che le deve fare»

153

.

Gli uomini non hanno una comune concezione del bene e

del male, del giusto e dell’ingiusto, dei loro diritti e dei loro do-

veri

154

: la loro uguaglianza consiste solo nel fatto che, non es-

sendo la differenza fra loro tale per cui un uomo accetti la su-

periorità di un altro, hanno in sostanza eguaglianza di capacità,

ma ciò significa che sperano tutti di attuare i propri fini, con la

conseguenza che, se questi ultimi collidono con quelli di un al-

tro, allora scoppia la guerra.

Gli uomini «non traggono piacere dalla compagnia reci-

proca, ma al contrario molta molestia»

155

, non sono «come le

api e le formiche», che naturalmente vivono in società fra loro:

152T. HOBBES, Leviatano, I, 13, p. 75. Anche l’idea di dignità umana divie- ne recessiva: «il valore di un uomo è, come per tutte le altre cose, il suo prezzo, cioè quanto si darebbe per l’uso del suo potere. Esso quindi non è assoluto, ma dipende dal bisogno e dal giudizio degli altri», mentre con «dignità» Hobbes intende «il valore pubblico di un uomo, cioè quello attribuitogli dallo Stato» e «indicato mediante incarichi di comando, cariche giudiziarie e impieghi pub- blici; oppure mediante nomi e titoli introdotti al fine di operare tale distinzio- ne» (T. HOBBES, Leviatano, I, 10, pp. 57-58).

153H T. HOBBES, Leviatano, I, 13, pp. 74-75.

154Non esiste – si può ancora aggiungere – una concezione oggettiva, ma solo pulsioni individuali; è evidente la rottura con la teoria aristotelica della giustizia (su quest’ultimo punto cfr., in particolare, L. BACCELLI, Il particolari-

smo, cit., pp. 45-46).

l’accordo tra gli uomini è solo artificiale e strumentale rispetto

alla propria autoconservazione

156

.

Il teorico dello Stato assoluto, è anche colui che fornisce

una base teorica alle pretese (individualistiche) della borghesia

anche e proprio contro l’assolutismo; Hobbes parla del «gran-

de Leviatano» o del «Dio mortale»

157

, ma anche della «libertà

di comprare e concludere altre specie di contratto; … di sce-

gliere il proprio mestiere…»

158

.

Le rivendicazioni delle borghesia per un riconoscimento

della libertà del singolo individuo (contro il sovrano e la strut-

tura cetuale della società), da un lato, indubbiamente – come

vedremo fra poco – trovano un sicuro aiuto nelle teoria dei di-

ritti naturali di Locke

159

, ma, dall’altro lato, utilizzano anche la

156Cfr. T. HOBBES, Leviatano, II, 17, pp. 109-110. L’accordo fra gli uomini è dovuto all’assolutezza di ciascun individuo e alla potenziale distruttività del rapporto fra entità assolute, per ovviare alla quale non si può che ricorrere ad una sovranità assoluta (in proposito, vedi P. COSTA, Civitas, cit., spec. p. 182).

157Cfr., ad esempio, T. HOBBES, Leviatano, II, 17, p. 111.

158T. HOBBES, Leviatano, II, 21, p. 147: si tratta – come ricordato supra in nota – delle sfere che Hobbes indica come esempi degli spazi non disciplinati dal sovrano e, dunque, di libertà. Individua una corrispondenza fra il modello di società elaborato da Hobbes e il «modello mercantile possessivo», C. B. MACPHERSON, Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese. La teoria

dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke, ISEDI, Milano, 1973, pp. 33

ss., che sottolinea la vicinanza del pensiero hobbesiano alla legge di mercato, ad una società ove «tutti i valori sono ridotti a valori di mercato» e «la giustizia stessa viene ridotta a un concetto mercantile» (p. 88).

159Insiste sulla presenza di un legame fra i valori borghesi e il pensiero di Locke, C. B. MACPHERSON, Libertà e proprietà, cit., pp. 225 ss., che mette in lu-

ce come gli assunti di Locke hanno fornito una «base morale positiva alla so- cietà capitalistica» (p. 254), giustificando «l’appropriazione specificamente ca- pitalistica di terra e denaro» (p. 240), ma con una minor aderenza rispetto a Hobbes, in quanto, ad esempio, il lavoro viene considerato una merce, mentre la vita senza prezzo e inviolabile (p.252); N. BOBBIO, Presente e avvenire dei di-

ritti dell’uomo, in L’età dei diritti, cit., nota (dissertando della storicità e della

mutevolezza dei diritti umani) come «la natura umana che egli [Locke] aveva osservato era quella del borghese o del mercante del secolo XVIII» (p. 27); L.

forte spinta, data dal pensiero di Hobbes, nella direzione del-

l’individualismo e della centralità del profilo del diritto rispet-

to a quello del dovere

160

.

L’egocentrico individualismo hobbesiano è vicino all’esem-

plare umano borghese e, per lungo tempo, esercita un ruolo as-

solutamente dominante nella costruzione del catalogo dei dirit-

ti: solo sul finire dell’Ottocento riescono a farsi strada dei dirit-

ti collettivi e, solo nel Ventesimo secolo, nel catalogo dei diritti,

compaiono i diritti sociali, e – allo stesso livello dei diritti – il

principio di solidarietà, come diritto e come dovere.

STRAUSS, Diritto naturale, cit., osserva come «la dottrina della proprietà in

Locke è oggi direttamente comprensibile se la si considera come la dottrina classica dello “spirito del capitalismo”», della giustificazione dell’accumulazio- ne della ricchezza (p. 265); G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, ricorda come,

nonostante alcuni abbiano visto nella teoria di Locke sulla proprietà un prean- nuncio di idee socialistiche (in relazione all’elaborazione di limiti al diritto stes- so), «prevale tuttavia generalmente l’interpretazione opposta, che vede nella dottrina economico-giuridico lockiana un’essenza individualisticamente libera- le, giustificatrice del capitalismo e degli interessi della borghesia» (p. 218). Altri sottolineano, in particolare, lo stretto legame fra il pensiero di Locke e le vi- cende storico-politiche che contornano la vita dell’Autore; in tal senso, P. CO- STA, Civitas, cit., rileva il rapporto fra la costruzione lockiana e i conflitti e le

soluzioni politico-costituzionali dell’Inghilterra tardo seicentesca (p. 300), de- finendo i Due trattati sul governo «un intervento “militante”» che rappresenta, però, nel contempo «una riflessione generale sul sovrano, sull’individuo, sui suoi diritti» (p. 278); C. A. VIANO, John Locke. Dal razionalismo all’Illumini-

smo, Einaudi, Torino, 1960, ricorda come «il secondo dei Two Treatises, o al-

meno una parte di esso, può essere considerato come un testo canonico del co- stituzionalismo whig» (p. 219) e in quest’ottica esamina dettagliatamente il pensiero di Locke (spec. pp. 180 ss.), mettendo, fra l’altro, in luce come tale Autore sottintenda una concezione nuova della proprietà, «intesa come un’im- presa economica produttiva, orientata alla produzione di quelle merci che i mercati raggiunti dal commercio richiedono» (p. 228; sulla concezione della proprietà, cfr., in particolare, pp. 225-240).

160Senza dimenticare che la rottura di Hobbes con la visione antropologi- ca aristotelica, basata su una diseguaglianza naturale degli uomini, rappresenta una potenziale arma contro la divisione della società in classi sociali.

L’individualismo – di Hobbes, ma anche e soprattutto di

quella che è stata l’incubatrice dei diritti (la borghesia) – segna

fortemente la configurazione che oggi hanno i diritti

161

consi-

derati fondamentali e universali e, probabilmente, rappresenta

l’elemento che più distanzia tali diritti dalla concezione che,

potenzialmente, esprimerebbero degli stessi scuole di pensiero

asiatiche o africane

162

.

161Sul legame fra la classe (intesa come sistema economico, impostazione culturale, aspirazioni, etc.) della borghesia e lo sviluppo dei diritti soggettivi, cfr., fra i molti, oltre gli Autori citati supra, W. HUBER, I diritti dell’uomo, cit., il

quale sottolinea il ruolo dell’individualismo possessivo borghese nella formula- zione originaria dei diritti dell’uomo, pur negando che ogni diritto sia ricondu- cibile alle rivendicazioni borghesi o che non abbia valore al di fuori dell’epoca borghese (pp. 28-29); G. PECES-BARBA, Teoria dei diritti, cit., che lega capitali-

smo, rivoluzione industriale, volontà di affermazione, economica e politica, della borghesia e diritti soggettivi (pp. 97 ss.), definendo l’individualismo «la vera forma di realizzazione dell’uomo borghese, la cui aspirazione è quella di farsi protagonista della storia» (p. 113).

Peraltro, la costruzione dei diritti soggettivi come strumento di ascesa del- la borghesia, non osterebbe di per sé ad un loro sviluppo al di fuori (ed anche contro) tale ambito originario, e ad un successivo utilizzo del loro potenziale di liberazione da parte di altri gruppi sociali; in proposito cfr., ad esempio, Peces- Barba, il quale, pur evidenziando – come detto – il legame tra la classe borghe- se e i diritti individuali, osserva anche che «come i personaggi di Pirandello, questi diritti finiscono per rendersi indipendenti dai loro autori» (G. PECES- BARBA, Teoria dei diritti, cit., p. 100).

162Interessante è, a questo proposito, l’analisi di Max WEBER(Economia e società, III, Sociologia del diritto, Edizioni di Comunità, Milano, 1981) che

sottolinea la connessione fra lo sviluppo dei diritti soggettivi e gli interesse borghesi nell’ambito del superamento di una struttura caratterizzata da ceti e privilegi, in favore di un diritto univoco e oggettivo, capace di «funzionare in modo calcolabile» (p. 161), e, di conseguenza, la limitazione all’Occidente di tutto il processo (cfr. spec. p. 189); per un approfondimento di questi profili del pensiero weberiano, cfr. L. BACCELLI, Il particolarismo, cit., pp. 23-24. L’a-

nalisi di Weber sembrerebbe rispondere negativamente alla domanda circa una possibile valenza universale dei diritti o, comunque, circa la possibilità di un’estensione degli stessi al di fuori dell’ambito socio-economico di origine; recentemente, ritiene impossibile universalizzare i diritti se essi sono legati al