I.2. La nascita e l’infanzia dei diritti dell’uomo: i nonni e i padri
I.2.6. Locke: individualismo mite e diritti naturali (pre-statali e a-
a-statali)
Individualista è anche la visione di Locke, che, però, non
insiste tanto – come Hobbes – sul profilo egoistico ed assoluto
del diritto dell’uomo alla propria vita (che – come detto – si
traduce nell’altrettanto egoistico ed assoluto diritto dello Sta-
to), ma articola una serie di diritti naturali, dote di ciascuna
persona umana nello stato di natura e, dunque, prima e a pre-
scindere dalla formazione di una comunità politica.
La teoria di Locke viene spesso presentata come antitetica
rispetto a quella hobbesiana e, senza dubbio, presenta alcune
asserzioni in aperta contraddizione con il pensiero di Hobbes,
ma, per altri aspetti, appare invece quasi uno sviluppo della
stessa, una sua versione mitigata.
Emblematica a questo proposito è l’immagine dello stato
di natura: Locke dipinge uno stato di «perfetta libertà» e di
eguaglianza
163, uno stato in cui governa la ragione e nel quale
gli uomini sono «uguali ed indipendenti» e tenuti a rispettare
ogni altro uomo «nella vita, nella salute, nella libertà o nei pos-
sessi»
164, ma anche uno stato nel quale il godimento di tali di-
ritti «è molto incerto e continuamente esposto alla violazione
da parte di altri»
165e dove manca un giudice imparziale che
assicuri, in caso di violazione, una punizione e non una ven-
detta
166.
modello umano dell’individualista possessivo o del consumista (nell’ambito, dunque, di un’universalismo scientista), L. LOMBARDIVALLAURI, Universalità
dei diritti di quale uomo, in F. D’Agostino (a cura di), Pluralità delle culture,
cit., spec. pp. 83-84 (per un approfondimento di tali questioni, si rinvia a par- te II, capp. I e II).
163Vedi J. LOCKE, Secondo trattato, cit., cap. II, par. 4, p. 229. 164Cfr. J. LOCKE, Secondo trattato, cit., cap. II, par. 6, p. 231. 165J. LOCKE, Secondo trattato, cit., cap. IX, par. 123, p. 318.
166 Indica la mancanza di un giudice imparziale come «l’inconveniente maggiore dello stato di natura», N. BOBBIO, Locke e il diritto naturale, Giappi- chelli, Torino, 1963, p. 209.
Non si tratta dello stato di guerra hobbesiano, ma neppure
del mondo ideale; Locke coniuga una concezione di base otti-
mista e positiva della natura umana con una posizione realista
dello svolgersi della vita umana
167. Il risultato finale è un qua-
dro assai più gradevole di quello hobbesiano, e che, per quel
che più qui interessa, contempla una serie di diritti naturali che
ampliano il concetto di autoconservazione del singolo, sostan-
ziando un catalogo di pretese giuridiche volte a garantire il li-
bero esplicarsi della persona umana.
Anche in questo caso, comunque, si postula come necessa-
rio il passaggio allo stato di società; tale passaggio, peraltro,
non è dovuto ad una pura esigenza di conservazione, ma è co-
struito sulla base della presenza di una legge naturale, la quale
comprende in sé una serie di prescrizioni che si traducono in
altrettante posizione giuridiche soggettive.
Ogni uomo ha alcuni diritti naturali – una sua «property»
168– quali il diritto alla vita, alla libertà (personale e religiosa), alla
proprietà, e, inoltre, il diritto alla difesa dei propri diritti, ed es-
167Vedi in argomento, N. BOBBIO, Locke, cit., che definisce «piuttosto am- bigua» la concezione lockiana dello stato di natura (p. 204) e, in particolare, considera come il concetto di natura sia duplice, «come idea regolativa» e «co- me realtà effettuale della condizione umana», come idea insieme positiva e ne- gativa. Sull’intermediatezza della concezione lockiana dello stato di natura fra un concetto negativo ed uno positivo, vedi anche C. A. VIANO, John Locke, cit.,
che ritiene lo stato di natura di Locke una tesi intermedia fra lo stato di guerra hobbesiano ed uno pacifico, in quanto tale stato «può essere uno stato di pace o di guerra» (p. 260).
168Il termine property è usato in alcuni casi nel senso (ristretto) che siamo soliti attribuirgli oggi, ma più spesso come sintesi di tutto ciò che riguarda l’“essere” e l’“avere” degli individui, cioè come compendio di tutti i diritti na- turali (così P. COSTA, Civitas, cit., p. 287; N. BOBBIO, Locke, cit., p. 218), in mo- do sostanzialmente simile all’uso da parte di Grozio del generico concetto di
proprium. Ciò che è interessante notare è come, a partire dal concetto-sintesi di proprium o di property, la concreta specificazione delle specifiche posizioni
giuridiche soggettive (iura), sia intimamente connessa alle vicende politico- economiche delle differenti epoche storiche (Grozio, in epoca coloniale, insiste
si costituiscono insieme la ragione fondante e lo scopo ultimo
della comunità politica
169.
Il patto sociale, fondato sul consenso dei partecipanti, che
crea la comunità politica, non è un mandato libero attraverso il
quale viene conferito ogni potere ad un sovrano, ma un confe-
rimento di incarico nel quale è stabilito lo scopo (la garanzia
dei diritti individuali di ciascuno), le modalità e i limiti (il ri-
spetto dei diritti stessi) e, in caso estremo, la stessa facoltà di re-
voca dell’incarico (il diritto di ribellione)
170.
La differenza fra Hobbes e Locke, da non sopravvalutare
nella delineazione delle condizioni di partenza (violento ed
egocentrico lo stato naturale di Hobbes, tendenzialmente go-
vernato dalla ragione, ma con difficoltà di applicazione delle
leggi naturali, quello lockiano), si fa più evidente nella costru-
sullo ius peregrinandi et degendi; Locke – e questo rappresenta, fra l’altro, uno degli aspetti più originali della sua teoria – sul diritto di proprietà).Sulla concezione lockiana del diritto di proprietà (in senso stretto), si rin- via a quanto osservato prima a proposito del legame fra Locke e i valori (bor- ghesi) della sua epoca e, in particolare, agli scritti di C. B. MACPHERSON, Li-
bertà e proprietà, cit., pp. 229 ss.; L. STRAUSS, Diritto naturale, cit., pp. 253 ss.; N. BOBBIO, Locke, cit., pp. 216 ss.; C. A. VIANO, John Locke, cit., pp. 225 ss.;
G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, pp. 214 ss..
169Lo Stato immaginato da Locke ha, cioè, uno scopo essenziale: la salva- guardia della libertà e dei diritti naturali e tale fine condiziona la costruzione e le potestà dei vari organi (o poteri) dello Stato stesso, nonché la sua stessa esi- stenza, permanendo sempre in capo agli uomini il diritto di ribellione contro uno Stato che abusi del suo potere e violi i diritti. Sul diritto di resistenza o di ribellione in Locke, cfr., fra gli altri, N. BOBBIO, Locke, cit., pp. 274 ss.; C. A. VIANO, Il pensiero politico di Locke, Laterza, Roma-Bari, 1997, spec. pp. 63 ss.;
G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, pp. 210 ss.
170A questo proposito si veda, ad esempio, il passo nel quale Locke preci- sa che il potere legislativo – che è il «potere supremo», «al quale tutti gli altri sono e devono esser subordinati» – «non è che un potere fiduciario di delibe- rare in vista di determinati fini», rimanendo «sempre nel popolo il potere su- premo di rimuovere o alterare il legislativo, quando vede che il legislativo deli- bera contro la fiducia in esso riposta» (J. LOCKE, Secondo trattato, cit., cap. XIII, par. 149, p. 340).
zione dello stato di società (tendenzialmente assoluto lo Stato
di Hobbes e liberale quello di Locke).
Al di là dei legami dei due Autori con differenti realtà poli-
tiche, ciò pare legato ad una diversa impostazione in origine
del rapporto doveri e diritti: nello stato di natura hobbesiano
vige un diritto assoluto, riconosciuto a ciascun uomo al di là
del riconoscimento del pari diritto ad altri individui, in quello
lockiano vi sono vari diritti, riconosciuti a ciascun uomo, ma
nella consapevolezza che quest’ultimo deve rispettare i pari di-
ritti degli altri uomini.
Hobbes assolutizza l’individualismo, Locke lo mitiga
171; Hob-
bes privilegia il profilo del diritto su quello del dovere, Locke co-
niuga entrambi i profili
172; Hobbes discorre in termini di pretese,
tendenzialmente al di fuori di ogni orizzonte morale e prescrittivo,
Locke inserisce i diritti degli uomini all’interno di una visione –
comunque razionale e autonoma rispetto alla fede –
173della giusti-
171 Vedi, però, L. STRAUSS, Diritto naturale, cit., che considera come la concezione lockiana della proprietà sia una espressione «ancor più “avanzata” che non la filosofia politica di Hobbes» della centralità dell’individuo, dell’ego (p. 267).172In quest’ultimo senso, in particolare, si può sottolineare come Locke non consideri – come ricorda P. COSTA(Civitas, cit., p. 286) – i diritti solo l’om-
bra del dovere, ma doveri e diritti «come dimensioni complementari di una soggettività unitariamente considerata», tentando di coniugare «l’affermazione del soggetto con il rispetto del dovere e la tenuta dell’ordine».
173Locke – è vero – conquista l’autonomia della ragione (in primo luogo dalla fede) e ciò porta ad una relativizzazione del “bene” e del “male” (vedi G. GOZZI, Democrazia e diritti. Germania, cit., spec. p. 14), ma mantiene la pre- senza di alcuni parametri di riferimento, che devono essere rispettati, quali i di- ritti naturali.
In generale nella teoria di Locke, dagli scritti giovanili, i Saggi sulla legge
naturale, a quelli più maturi, i Due trattati sul governo e il Saggio sull’intelligen- za umana, appare ambiguo il rapporto con Dio e la legge divina; permane in
Locke – come è stato osservato (G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, p. 222),
la preoccupazione, «comune del resto a tutti i razionalisti del tempo, anche ai più audaci», «di ricondurre il diritto naturale come a sua causa ultima a Dio» (p. 222), anche se ciò non necessariamente comporta la riduzione della legge
zia o, meglio, del dovere (occorre rispettare i diritti altrui)
174: sa-
ranno l’individualismo “buono” di Locke e i suoi diritti natu-
naturale alla legge divina, ma la razionalizzazione di quest’ultima (così G. FAS- SÒ, ibidem), con l’instaurazione di una stretta interrelazione, o addiritturaidentificazione, fra legge divina, legge naturale e ragione (C. A. VIANO, John
Locke, cit., p. 91, osserva come Locke recupera «le identità tra legge naturale,
legge divina e legge razionale», proprie del diritto naturale, nell’intento di sta- bilire con i primi due termini «le proprietà oggettive della legge di natura, cioè la sua immutabilità, universalità, indipendenza dalle decisioni umane» e, con il terzo, di «reperirne il contenuto»).
L’ambiguità nel rapporto con Dio è ciò che porta Locke a riconoscere la libertà religiosa, in quanto fatto meramente individuale, e, contemporanea- mente, ad assumere una posizione intollerante nei confronti dell’ateismo [«non devono essere assolutamente tollerati quelli che negano che ci sia una divinità…» (J. LOCKE, Epistola de Tolerantia, 1689, trad. it. Lettera sulla tolle-
ranza, Laterza, Roma-Bari, 1998, p. 45)], in quanto «la negazione di Dio avreb-
be messo in questione, con il fondamento della forza obbligante della legge na- turale, la tenuta dell’ordine che egli aveva delineato» (P. COSTA, Civitas, cit., p. 303); sul tema della libertà religiosa e della tolleranza in Locke, cfr., approfon- ditamente, C. A. VIANO, John Locke, cit., pp. 277 ss.
Il legame con Dio, è, infatti, fondamentale nella costruzione della legge naturale come obbligazione; in questo senso cfr. C. A. VIANO, John Locke, cit., spec. p. 90 e p. 98, laddove si sottolinea anche come l’insistenza sull’aspetto obbligativo risolve la questione concernente la necessità della rilevazione di una condivisione e pratica comune delle norme naturali, in quanto il modo di esistenza di tali norme «non è l’accettazione, né la pratica, ma la permanenza della loro capacità obbligante», permanenza che è «garantita dal rapporto in- distruttibile uomo-Dio».
Sulle difficoltà inerenti al rapporto fra legge divina e legge naturale e per l’analisi di alcuni conflitti fra il contenuto della Bibbia e quello della legge na- turale [quale quello concernente lo stato di natura, che sarebbe estraneo alla Bibbia (cfr., spec. p. 232)], vedi L. STRAUSS, Diritto naturale, cit, pp. 219 ss.,
che perviene ad interpretazioni originali, insistendo sulla centralità nella dot- trina lockiana del diritto alla ricerca della felicità da parte dell’uomo e sulla dif- ficoltà di trovare invece in essa dei doveri naturali innati (cfr. spec. pp. 244- 245), cioè, in sostanza, una vera e propria legge naturale (p. 237).
174La legge di natura – afferma Locke – «obbliga tutti» e «la ragione, ch’è questa legge, insegna a tutti gli uomini… che… nessuno deve recar danno ad al- tri nella vita, nella salute, nella libertà o nei possessi»; inoltre «sebbene… si ab-
rali
175inseriti in una prospettiva deontologica a segnare le prime
proclamazioni positive dei diritti (naturali), e, soprattutto, sarà l’i-
dea di Locke dell’esistenza di diritti anche a prescindere (e contro)
lo Stato a improntare la storia dei diritti.
La teorizzazione da parte del filosofo inglese di diritti di
per sé connaturati all’essere umano, non legati alle proclama-
zioni del potere costituito, ma preesistenti ad esso, indisponibi-
li e azionabili anche contro lo Stato, rappresenta senza dubbio
un passo in avanti nella costruzione dei diritti della persona
umana: ora sono diritti (tendenzialmente) universali, indivi-
duali, indisponibili e azionabili nei confronti di qualsiasi sog-
getto, privato e pubblico.
La libertà dallo Stato segna la distanza dalla tradizione con-
trattualistica dei diritti degli inglesi
176e dall’assolutismo di
bia la libertà incontrollabile di disporre della propria persona e dei propri averi, tuttavia non si ha la libertà di distruggere né se stessi né qualsiasi creatura in proprio possesso ...» (J. LOCKE, Secondo trattato, cit., cap. II, par. 6, p. 231).Riguardo a quest’ultimo punto, in particolare, è stato osservato (L. BAC- CELLI, Il particolarismo, cit., p. 56) come in Locke (a differenza che in Hobbes)
il principio di autoconservazione «non è più un principio fisico, ma … è una vera e propria legge deontica»; in generale, da più parti, si sottolinea il «carat- tere normativo della legge di natura» lockiana (così C. A. VIANO, John Locke,
cit., p. 257); il carattere di diritto naturale oggettivo del giusnaturalismo mo- derno (così G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, p. 207); la configurazione della libertà del soggetto come «sempre e comunque una libertà disciplinata» (p. 301), regolata dalla legge di natura (P. COSTA, Civitas, cit., spec. pp. 280 ss.
e pp. 300 ss.).
175 Con ciò si intende sottolineare non tanto la fortuna dei singoli diritti naturali di Locke, quanto piuttosto della teoria che li circonda, in quanto, in relazione al contenuto dei diritti, maggior specificità, senza dubbio, si trova nella tradizione costituzionalistica inglese (dalla Magna Charta al Bill of rights), e sono soprattutto i diritti elaborati da quest’ultima a costituire la base del “Ca- talogo” dei diritti, mentre, ad esempio, un diritto su cui Locke insiste tanto, quale quello di proprietà, non resisterà (nella sua assolutezza) alla prova del tempo, mostrando la sua storicità.
176Non manca chi osserva come la dottrina di Locke rappresenti una ra- zionalizzazione della tradizione costituzionalistica inglese (G. GOZZI, Democra-
Hobbes; emerge con forza un elemento essenziale di tutte le
teorie sui diritti: la volontà di sancire la loro inviolabilità da
parte di qualsivoglia soggetto, privato o pubblico (nel pensiero
di Locke l’inviolabilità è legata al diritto naturale, per i raziona-
listi può essere la loro coessenzialità rispetto alla democrazia,
per i positivisti il loro riconoscimento a livello costituzionale o
super-costituzionale)
177.
Locke – in conclusione – coniuga la preesistenza, l’assolu-
tezza e la prescrittività del diritto naturale con una concezione
individualista della persona umana, teorizzando diritti della
persona umana innati e inviolabili, azionabili (si tratta quindi
di precise posizioni giuridiche soggettive) di fronte ad un giu-
dice, garantiti, nei casi specifici, da disposizioni legislative e in-
disponibili da parte dello Stato. Il risultato è la creazione di un
quadro meno “neutro” di quello hobbesiano, più compromes-
zia e diritti. Germania, cit., p. 15); peraltro, se la teoria lockiana può anche es-
sere presentata come un “rivestimento”, che stabilizza, ordina, inserisce in un sistema e conferisce un’aura di inviolabilità ai diritti degli inglesi, è innegabile la presenza di differenze sostanziali fra la tradizione inglese e la scuola del di- ritto naturale, differenza inerente forse non tanto alla stabilità dei diritti (che nel Regno Unito è legata al loro riconoscimento sin da tempi immemorabili) quanto, piuttosto, alla loro titolarità (solo nel secondo caso universale).
Sui rapporti fra tradizione costituzionalistica inglese e scuola del diritto naturale, molto netta (nel senso del rifiuto della seconda) è la posizione di co- lui che è stato definito «il più strenuo difensore degli antichi principi del costi- tuzionalismo inglese» (così M. DOGLIANI, Introduzione al diritto costituzionale,
il Mulino, Bologna, 1994, p. 248), Edmund Burke (per un approfondimento della posizione di Burke vedi infra, parte I, cap. III, par. III.1); altri (da ultimo, cfr. L. BACCELLI, Il particolarismo, cit., p. 60), invece, rilevano come Locke ri-
nunci alla classica fondazione dei diritti degli inglesi, cioè all’ideologia dell’an-
cient constitution, abbandonando la consuetudine e il «parochialism», ma recu-
peri «i contenuti della tradizione antiassolutistica nel nuovo quadro teorico». 177N. BOBBIO, Locke, cit., nota, trattando della funzione storica del giu- snaturalismo, come essa consista nell’affermazione dei limiti del potere dello Stato e definisce «eterna» l’esigenza che «la vita, alcuni beni e alcune libertà dell’individuo siano protette giuridicamente contro la forza organizzata di co- loro che detengono il potere» (p. 75).