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In evidenza: le difficoltà di una definizione sostanziale

I.3. La nascita e l’infanzia dei diritti dell’uomo: le prime dichiarazion

II.1.1. In evidenza: le difficoltà di una definizione sostanziale

ritti che stabiliscono ciò che caratterizza la persona umana,

ciò che ad un uomo non può essere tolto, gli strumenti per

rendere effettiva e tutelare la sua dignità, …: ma in che cosa

consiste la dignità umana, che cosa è essenziale o connaturale

per l’uomo?

15Così, alla voce «uomo (relig.)» in lo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, XII ed., Zanichelli, Bologna, 1997, p. 1937.

16Pur – è meglio ribadirlo – con la coscienza che la scelta per la “raziona- lità” è comunque sempre una scelta, un’adesione ad un modo di procedere, ad una teoria, ad un metodo; una scelta peraltro appare indispensabile laddove non si voglia assumere una prospettiva di relativismo estremo e concludere nel senso dell’impossibilità di procedere.

La risposta è – se si vuol restare su un piano potenzialmen-

te universale – impossibile, o, perlomeno, non può essere im-

mediatamente data. Prima facie, infatti, appare evidente che ciò

che costituisce diritto fondamentale varia in relazione al muta-

re della concezione di dignità umana, della percezione degli

elementi che caratterizzano l’uomo. Per intendersi, la libertà di

iniziativa economica privata era (è) uno dei diritti fondamenta-

li per lo sviluppo dell’uomo borghese, ma non lo è in un’ottica

socialista (o anche di Stato sociale); il concetto di libertà è cen-

trale in una concezione individualista della società, ma non in

una concezione comunitaria, dove spiccano i doveri del singo-

lo verso la comunità; il diritto ad un ambiente salubre o il dirit-

to alla casa, proclamati nelle Costituzioni moderne, non erano

nemmeno immaginabili all’epoca della Dichiarazione dei dirit-

ti della Virginia, e tanti altri esempi si potrebbero fare.

Certo si può notare che, da un punto di vista diacronico, il

concetto di dignità umana è andato specificandosi e, per così

dire, arricchendosi, sempre più, ma, al di là della generalizza-

zione e semplificazione sulla quale si fonda tale osservazione,

occorre considerare che, in una prospettiva sincronica e spa-

zialmente diversificata, coesistono differenti percezioni della

dignità umana (quella del masai piuttosto che del liberale cat-

tolico o del musulmano o dell’indio della foresta amazzonica o

del contadino cinese).

Si vedrà in seguito se all’interno di queste concezioni è pos-

sibile individuare dei tratti, delle costanti comuni, o se il pro-

gresso storico consente di porre dei punti fermi nel catalogo

dei diritti, ciò che qui per ora rileva è che appare impossibile

specificare il contenuto dei diritti della persona umana (ovvero

individuarne il catalogo) senza compiere una scelta. In altre pa-

role, i diritti della persona umana non sono gli stessi nel Sette-

cento o nel Novecento e non sono gli stessi, nel Ventunesimo

secolo, in Asia, in Africa, in Occidente: i diritti dell’uomo, con-

cretamente, sono diritti relativi. Non è possibile con i dati ora

disponibili (si verificherà poi – come detto – se è possibile

17L’idea di diritti che «devono contrastare più che riflettere le propensio- ni naturali degli esseri umani» è espressa, in ultimo, da M. IGNATIEFF, Human

rights as politics and idolatry (2001), trad. it. Una ragionevole apologia dei dirit- ti umani, Feltrinelli, Milano, 2003, spec. p. 82; fra gli altri, nello stesso senso, si

possono ricordare – con S. VECA, I diritti umani e la priorità del male, ivi, pp. 102-103 – Tzvetan Todorov, che vede il male come strettamente legato all’i- dentità umana, o Isaiah Berlin, il quale insiste «sul fatto che dopo la Shoah la memoria dell’orrore, e non la credenza nella ragione, è alle radici di un nucleo di convinzioni e impegni normativi che militano a favore del riconoscimento universalistico dei diritti umani».

identificare degli elementi universali nel tempo e nello spazio)

passare da una definizione astratta formale ad una definizione

astratta sostanziale.

Ogni definizione sostanziale si presenta come relativa: i di-

ritti della persona umana sono quelli definiti tali nella

teoria/cultura di riferimento. Avremmo, allora, un catalogo di

diritti dell’uomo cattolico, uno musulmano, uno animista, uno

liberale, uno socialista, uno new global, uno elaborato da Bob-

bio, uno da Strauss, uno da Rawls, uno da Walzer (per restare

ai contemporanei): tante sono le teorie, le concezioni morali, le

culture, le religioni, tanti sono i cataloghi dei diritti dell’uomo.

In altre parole, ciò che è essenziale alla persona umana, che si

può sintetizzare con l’espressione “dignità umana”, intesa co-

me compendio e fonte dei diritti, si disperde in mille estrinse-

cazioni differenti non appena si tenti di enuclearne la sostanza

attraverso proposizioni atte a renderne, per così dire, tangibile

e fruibile il contenuto.

Non è dirimente nemmeno la considerazione che muove

da un supposto concetto “obbiettivo” di “natura umana”: l’in-

dividuazione di diritti a estrinsecazione della dignità umana co-

me espressione, ad esempio, di una naturale volontà umana

“benevola” nei confronti delle altre persone umane o come ba-

luardo istituito da uomini consapevoli della necessità di contra-

stare la propria (come specie) naturale tendenza al male

17

, sup-

za dei diritti che si possono dedurre (sempre che non ci si limi-

ti ad osservare il comportamento umano, individuandone delle

costanti a posteriori, ma non una naturale tendenza a priori).

Assumere una nozione, per così dire, positiva e ottimista del-

la natura umana (persona umana volta al “bene”) oppure una no-

zione negativa e pessimista della stessa (persona umana volta al

“male”) non significa altro che postulare (credere) in una deter-

minata concezione della persona umana, ugualmente a chi la con-

figura in un determinato modo in ossequio a precetti religiosi

18

.

E, in linea di principio, non è nemmeno più astratta l’indi-

viduazione di ciò che non rende degna la vita umana, piuttosto

di ciò che la rende degna; può essere concretamente più facile

18A conclusione differente, peraltro, si può giungere qualora dalla «prio- rità del male» si tragga il suggerimento che «il punto fondamentale della con- divisione non consiste tanto nella risposta alla domanda sul perché tipi come noi debbano avere diritti umani universali, quanto nella risposta alla domanda sul perché tipi come noi hanno bisogno di diritti umani universali» (S. VECA, I

diritti umani, cit., p. 107). Tale approccio, infatti, consente di muovere da

«strategie fondazionalistiche, che devono incorporare una qualche idea, reli- giosa o metafisica o etica o culturale, del bene umano», verso una prospettiva «storica, non metafisica» (ibidem) e, in quanto tale, meno compromessa con qualsivoglia credenza.

Cfr., in tema, anche M. IGNATIEFF, Una ragionevole apologia, cit., p. 82:

«non troviamo i fondamenti nella natura ma nella storia umana, in ciò che ve- rosimilmente accade … quando gli esseri umani hanno perduto la protezione dei diritti. Ci basiamo sulla testimonianza della paura …». In proposito pare opportuno precisare che, volendo mantenere un approccio non metafisico, oc- corre distinguere correttamente l’immagine dei diritti umani come risposta che concretamente la storia ha dato ad un comportamento umano di fatto rivelato- si “cattivo”, dall’immagine dei diritti umani come risposta che la storia ha dato ad un comportamento che deriva da una natura umana (“cattiva”) assunta co- me elemento a priori (di tipo, si può dire, “metafisico”). In questo senso, non metafisiche, ma storiche (basate sul “fatto”), sono le tesi che legano l’afferma- zione dei diritti umani (e/o della dignità umana) ad episodi di violazioni parti- colarmente cruente o massicce degli stessi (come nel caso della Dichiarazione universale e delle dittature nazi-fasciste), limitandosi a constatare la conse- quenzialità del primo elemento rispetto al secondo.

trovare l’accordo in negativo, piuttosto che in positivo, ma non

costituisce una assicurazione di maggior astrattezza

19

.

Il discorso non cambia se si sceglie di non uscire dal mon-

do giuridico e di individuare i diritti della persona umana ri-

correndo esclusivamente al diritto, senza aprire ad altre sfere,

ovvero senza dire: i diritti della persona umana sono quelli che

il cattolicesimo, il razionalismo, la cultura neoliberale, etc. defi-

niscono tali, utilizzando la norma giuridica come semplice con-

tenitore o recettore (struttura) formale. Il diritto, infatti, non ci

può dare che una risposta tautologica: i diritti della persona

umana sono quelli che il diritto stesso definisce tali, laddove

una norma giuridica riconosca una posizione giuridica sogget-

tiva in capo ad una persona umana, siamo in presenza di un di-

ritto dell’uomo. Questa risposta può anche apparire più astrat-

ta, non essendo debitrice ad alcuna concezione esterna, ma in

sostanza non è di aiuto nell’individuare un catalogo astratto

più di altre in quanto non dà che dei risultati ex post (i diritti

sono quelli individuati come tali) e relativi (muta la norma, mu-

ta il catalogo). Il diritto positivo, il positivismo possono appari-

re come una scienza, fondata sul dato concreto e non su un og-

getto di fede o, comunque, di adesione “sentimentale” ad una

teoria o cultura, – e, di conseguenza presentare caratteristiche

di maggior astrattezza – ma, in pratica, consentono solo di illu-

strare gli elementi presenti a posteriori, non permettono di per

sé di comprendere perché un dato elemento è definito in quel

modo o di estrapolarne una nozione astratta

20

. Ragionando in

19Per un approfondimento del tema, cfr. anche parte II, cap. II.

20La considerazione che il diritto positivo consente di stendere il catalogo dei diritti della persona umana solo in relazione ad una data epoca storica e so- lo in funzione descrittiva, peraltro, non significa che, analizzando l’evolversi del diritto positivo nel tempo e nello spazio, non si possano ricavare elementi utili nel tentativo di ricostruire l’eventuale esistenza di un quid universale (ma questo discorso vale in relazione ad ogni teoria in tema di diritti umani); per una definizione dei diritti il più possibile astratta da un “credo” particolare, non metafisica (e stabile), cfr. infra, spec. parte I, cap. II, par. II.3.

termini di diritto positivo, si possono individuare i diritti della

persona umana in quel momento; nulla di più.

Dunque, in conclusione, ogni tentativo, utilizzando gli

strumenti del ragionamento logico

21

, di passare da una defini-

zione astratta formale ad una sostanziale, appare fallimentare:

la definizione sostanziale appare sempre relativa, sia nel mon-

do del diritto, che in quello dell’etica, della religione, etc.

La definizione (formale) proposta parte dal dato della di-

stinzione dei diritti della persona umana sanciti da norme giu-

ridiche, rispetto a quelli che possono ritrovarsi in norme mora-

li o religiose, ma non è in grado di passare al dato sostanziale

escludendo queste ultime; definisce – se si vuole – il “diritto

dell’uomo” in termini descrittivi, ma non prescrittivi. Detto al-

trimenti, il catalogo dei diritti dell’uomo dipende dal fonda-

mento dei diritti stessi e questo può essere il diritto positivo,

ma anche una teoria morale o una concezione tradizionalista o

utilitarista o razionalista. La definizione giuridica (formale) di

diritti della persona umana è compatibile con infinite teorie sul

fondamento dei diritti; la questione da affrontare sarà dunque

ora: qual è il fondamento dei diritti?

Prima di passare al grande problema, però, pare interes-

sante soffermarsi sull’analisi di alcune, fra le molte definizioni

proposte in tema di diritti dell’uomo, che appaiono presentare

maggior astrattezza.