I.2. La nascita e l’infanzia dei diritti dell’uomo: i nonni e i padri
I.2.1. Il “proprium” e l’“appetitus societatis” nel diritto naturale d
di Grozio
Padre del giusnaturalismo moderno viene comunemente
considerato Grozio, anche se – come è stato osservato – «su ciò
62SOFOCLE, Antigone (V sec. a.C.), citato dalla traduzione italiana Edipo re, Edipo a Colono, Antigone, Garzanti, Milano, 1984, p. 184; si è già accenna-
to nel precedente paragrafo al rapporto fra le teorie del diritto naturale del XVI-XVII secolo e l’antichità classica (nonché il primo cristianesimo); per tut- ti, si richiama G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., I.
63U. GROZIO, De iure belli ac pacis (1625), Libro I, Cap. I, par. IV, 1. Tale formula, da un lato testimonia una tendenziale universalità e, dall’altro, una «soggettivizzazione del diritto», in base alla quale «il diritto non viene più inte- so come un rapporto oggettivo che lega l’uomo alle cose e agli altri uomini (res
justa), ma come una qualità che inerisce a una persona… una facoltà di fare o
di avere qualcosa» (così F. VIOLA, Dalla natura ai diritti. I luoghi dell’etica con-
influirono motivi contingenti», quali il grande interesse che su-
scitava il diritto internazionale, che hanno fatto sì che il suo
pensiero, a differenza di quello di altri suoi contemporanei o
anche predecessori, divenisse, per la cultura del Seicento, «lo
strumento per l’affrancamento dello spirito umano dai vincoli
del dogma e la fondazione dell’etica su basi puramente uma-
ne»
64.
Grozio, peraltro, pur sostenendo la presenza di un diritto
naturale, razionale, che in ipotesi prescinde da Dio, non ritiene
– al di là per l’appunto del campo ipotetico – che il diritto na-
turale non sia da ricondurre a Dio. Affermazioni come quella
che il diritto naturale «etiamsi daremus, quod sine summo scele-
re dare nequit, non esse Deum, aut non curari ab eo negotia hu-
mana»
65, scontano il fatto che l’ipotesi della inesistenza di Dio
o dell’inesistenza di alcun legame fra lo stesso e l’umanità, è
considerata un’empietà gravissima
66. Il diritto naturale è una
64G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, II, L’età moderna, il Mulino, Bologna, 1968, spec. pp. 99 ss. Per un giudizio negativo sulla reale portata del- l’opera di Grozio e sulla sua qualifica di padre del giusnaturalismo moderno, si ricordano, per tutti, Hans Kelsen e Norberto Bobbio, mentre, per una difesa del pensiero di Grozio, oltre il suo allievo Samuel Pufendorf, si può ricordare, in opposizione a Kelsen, il suo contemporaneo Ernst Cassirer (in proposito, re- centemente, A. BOLAFFI, Etica moderna e diritto naturale, in MicroMega,2001/2, pp. 71 ss., nonché ivi, i saggi di E. CASSIRER, In difesa del diritto natura-
le, pp. 91 ss., e H. KELSEN, Diritto naturale senza fondamento, pp. 116 ss.). Una
posizione intermedia è invece espressa da chi considera Grozio una «figura di transizione», autore di una teoria che «apre la via al giusnaturalismo individua- listico ma d’altra parte mantiene ancora molti tratti della tradizione medievale e della giurisprudenza umanistica» (L. BACCELLI, Il particolarismo, cit., p. 39).
65Cfr. U. GROZIO, par. 11 de i Prolegomena al De iure belli ac pacis; nell’e- dizione italiana del 1948, cit.: «queste cose poi, che abbiamo già detto [n.d.r.: i principi del diritto naturale], avrebbero luogo anche se concedessimo – cosa che non può essere concessa senza la più grave empietà – che Dio non esiste o che non si occupi degli affari degli uomini…» (p. 57).
66In senso critico sul supposto carattere assolutamente razionalistico e lai- co del pensiero di Grozio, vedi, fra gli altri, G. FASSÒ, Storia della filosofia, cit., II, spec. p. 106 («egli [n.d.r.: Grozio] sostiene soltanto, come già aveva fatto
fonte del diritto indipendente da quella «che proviene dalla li-
bera volontà di Dio», ma «anche quello stesso diritto natura-
le… si può tuttavia ascrivere meritatamente a Dio, perché è
stato lui che ha voluto che in noi esistessero principi siffatti»
67.
I principi del diritto naturale sono «per sé chiari, ed evi-
denti»
68, legati alla facoltà raziocinante dell’uomo e espressio-
ne di «una conseguenza procedente da principi di natura»
69;
quest’ultima, poi, rappresenta anche il quid che consente di di-
stinguere il diritto naturale da quello delle genti: entrambi ri-
guardano ciò che appare «essere osservato ovunque», da molti
«in diversi tempi e luoghi», ma il primo è dedotto «da principi
sicuri e con sicura argomentazione», il secondo «si ritiene sor-
to per libera volontà»
70. Il diritto naturale, se pur con i limiti
specificati, viene dunque distinto, da un lato, dal diritto divino,
dall’altro, dallo ius gentium, e – pare di poter osservare – dal
diritto derivato dalla tradizione, rappresentando essa al più un
elemento che aiuta ad evidenziare i principi naturali, ma non
una fonte degli stessi
71.
San Tommaso, che il diritto positivo divino, la legge rivelata, è altra cosa dal di- ritto naturale, e che la validità di quest’ultimo è determinata dalla sua raziona- lità, indipendentemente dal fatto che questa sia, come egli non nega che sia, da far risalire come a causa ultima a Dio…»).
67 U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 12 (p. 58). Analoga ambiguità è espressa nel De jure belli ac pacis, laddove il diritto naturale è identificato in quel- la norma della retta ragione «la quale ci fa conoscere che una determinata azione, secondo che sia o no conforme alla natura razionale, è moralmente necessaria oppure immorale» e, di conseguenza, «è da Dio, che è l’Autore della Natura, prescritta o vietata», ma poi si afferma anche che «il diritto naturale è immutabi- le, al punto che non può essere modificato neppure da Dio»: «come neppure Dio può far sì che due per due non faccia quattro, così non può far sì che ciò che per intrinseca essenza è male non sia male» (Libro I, Cap. I, par. X, 1 e 5).
68U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 39 (p. 73). 69U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 40 (p. 74). 70U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 40 (p. 74).
71Afferma Grozio: «la storia in due modi può giovare al nostro soggetto: da un lato ci offre degli esempi, dall’altro dei giudizi. Gli esempi hanno tanta
Ma quali sono le posizioni giuridiche soggettive che il dirit-
to naturale riserva all’uomo?
La concezione groziana individua come principio base
l’«appetitus societatis», ovvero «il bisogno sociale, cioè di una
comunità – non qualsiasi, ma pacifica e ordinata, in conformità
della sua [dell’uomo] intelligenza – con coloro che sono della
sua stessa specie»
72; dall’appetitus societatis discendono alcune
norme, quali «l’astenersi dalle cose altrui, la restituzione di ciò
che appartiene ad altri e che noi deteniamo, e del profitto che
ne abbiamo tratto, l’obbligo di mantenere i patti, la riparazione
del danno arrecato per propria colpa; l’incorrere in una pena
meritata per la trasgressione»
73, ma anche l’imposizione del ri-
spetto della vita (intesa in senso ampio, sì da includere la stima,
l’onore, la tranquillità), del corpo e della libertà
74.
più autorità quanto più importanti sono i tempi e più grandi i popoli da cui son tratti… Nè sono da disprezzare i giudizi, specialmente quelli concordi, perché, come abbiamo detto, il diritto di natura viene in qualche modo comprovato in questa maniera…» (U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 46, p. 78); la tradizio-
ne e la consuetudine non fondano il diritto naturale, ma costituiscono senza dubbio un elemento importante per la sua identificazione e, non direttamente una prova della sua esistenza, ma una ri-prova della stessa. A conferma di quanto detto, si può citare anche quel passo del Libro I, Cap. I, par. XII, 1, del
De jure belli ac pacis, nel quale si identificano due modi di provare il diritto na-
turale: quello a priori (col quale si dimostra la conformità o meno di qualche cosa con la natura razionale e sociale) e quello a posteriori, che, se pur senza «certissima fide», ma soltanto con probabilità, mostra essere diritto naturale ciò che presso tutti i popoli, o perlomeno tutti quelli più civili (n.d.r.: !), è rite- nuto tale.
72U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 6 (p. 54); vedi anche il passo citato in apertura: «madre del diritto naturale è la stessa natura umana, la quale, an- che se non avessimo bisogno di nulla, ci porterebbe a desiderare i mutui rap- porti di società» (ibidem, par. 16, p. 59).
73U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 8 (p. 56).
74Per una identificazione del campo del proprium o del suum, cfr., tra gli altri, P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 1, Dalla civiltà co-
munale al Settecento, Laterza, Roma-Bari, 1999, spec. p. 150; F. VIOLA, Dalla
La distanza con le dichiarazioni di fine Settecento è eviden-
te: in primo luogo, il punto di partenza è la società, la convi-
venza fra gli uomini, e non direttamente l’individuo, pur ab-
bozzandosi la costruzione di una sua sfera
75; in secondo luogo,
vengono affermate delle norme di comportamento, più che ri-
conosciute posizioni soggettive, e tali norme consistono sostan-
zialmente nella imposizione del rispetto nei confronti degli al-
tri
76, ed, in particolare, del loro dominium (inteso come diritto
di proprietà delle cose esterne), ma anche, in generale, del loro
proprium o suum, che comprende anche la facoltà di possedere
beni interni (il potere su se stessi), quali quelli prima ricordati
(la vita, il corpo e la libertà)
77.
Grozio, dunque, introduce – ma, forse, sarebbe meglio di-
re sistematizza con più fortuna di altri – l’idea di un diritto co-
mune a tutti gli uomini (universale) in virtù della loro apparte-
nenza al genere umano (a prescindere dalla sua difficoltà a
staccarsi da una particolare teologia), partendo però da un pre-
ciso presupposto, implicante non solo la natura razionale
78del-
75 In argomento, vedi quanto osservato da Costa circa il ruolo effettivo della società e dell’individuo nella costruzione groziana (infra), nonché le affer- mazioni di Viola relative alla soggettivizzazione del diritto (infra), le quali met- tono in luce l’individualismo, se pur ancora agli albori e mediato attraverso la società, del pensiero groziano.76Riprendendo quanto già detto, si ricorda come dall’imposizione di un dovere in capo ad un soggetto può farsi discendere il riconoscimento di un di- ritto per un altro soggetto: ancora, però, non si ha quel rovesciamento di pro- spettiva che è espresso nelle dichiarazioni francese o americana.
77Cfr., sul tema, F. VIOLA, Dalla natura, cit., p. 278, che osserva come al- l’origine dei diritti vi sia un’equivalenza tra libertà e proprietà: «essere liberi si- gnifica avere la signoria dei propri atti e quindi del proprio corpo», il soggetto si presenta «come identificato nel suo ruolo di dominus». Ciò, da un lato, rap- presenta un primo passo verso un individualismo etico e giuridico, dall’altro, però, porta anche Grozio, nonostante alcune resistenze e tentennamenti in proposito, a considerare la libertà «come un bene tra gli altri, di cui si può di- sporre» (ibidem, p. 280).
78Vedi, ad esempio, il passo in cui Grozio distingue dal diritto derivante dall’appetitus societatis, «un altro più ampio» discendente dalla facoltà umana
l’uomo (è la ragione che mostra il diritto naturale, il giusto), ma
anche quella sociale.
Si tratta, quindi, di una concezione tendenzialmente uni-
versale, ma nel contempo molto legata ad una particolare idea
del iustum e alla centralità della società
79, anche se Grozio, par-
tendo dall’appetitus societatis come principio cardine, giunge
alla statuizione, come regola fondamentale, del rispetto del pro-
prium degli individui, allontanandosi così dalla tradizione ari-
stotelico-tomistica
80. È indubbio, infatti, che, comunque, Gro-
zio, pur adombrando l’idea di un diritto come qualità che spet-
ta ad ogni persona umana (vista come dominus di “cose”, ma
anche di sé), pone la convivenza sociale come un (il) fine, non
quale un semplice strumento, come sarà invece nel pensiero
di «giudicare ciò che giova e ciò che nuoce», seguendo «un giudizio rettamen- te conformato nei limiti dell’intelligenza umana», sì che «tutto quello che ripu- gna in modo evidente a tale giudizio rivela che è lontano dal diritto di natura, di quella umana, s’intende» (U. GROZIO, I Prolegomeni, cit., par. 9, p. 56).
79In tal senso cfr., tra gli altri, L. BACCELLI, Il particolarismo, cit., p. 43 («vi è… un orizzonte “oggettivo” del giusto entro il quale lo ius si inscrive, che a sua volta esprime i doveri conseguenti al principio di socievolezza naturale»). 80Così P. COSTA, Civitas, cit., che, in una interessante analisi del pensiero di Grozio (pp. 141 ss.), osserva come nella costruzione groziana «la socialità si traduce in una regola del giusto che, definita negativamente (come ciò che non lede lo ius), coincide col rispetto del proprium degli individui. Se dunque l’ap-
petitus societatis apre la sequenza, il termine che la conclude – la condizione so-
stantiva dell’ordine sociale – è la sfera del soggetto e la regola della sua intangi- bilità» (p. 154), con un’evidente, quindi, lontananza dalla tradizione aristoteli- co tomistica: l’impegno attivo nei confronti del bene comune «si prosciuga nel- la scarna regola negativa di un divieto di invasione della sfera altrui» (p. 148) e l’ordine che ne risulta è sostanzialmente «insocievole», risolvendosi in un com- portamento reciprocamente non invasivo (p. 154). L’Autore citato individua l’originalità del pensiero di Grozio, al di là di ogni discussione sulla sua vera o meno paternità nei confronti del giusnaturalismo (vedi in proposito quanto ri- cordato prima), proprio nell’ordine che viene configurato, che pur partendo sempre dalla socialità di aristotelica memoria, mette in luce il ruolo dell’indivi- duo e una definizione negativa della regola di giustizia (spec. p. 154).