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Didattica nei contesti dell’educazione degli adulti

Nel documento 229 00186 (pagine 122-129)

Gli ambiti della didattica

5. Didattica nei contesti dell’educazione degli adulti

Come abbiamo visto, la storica distinzione che vedeva tre principali fasi della vita (l’ istruzione nei primi anni, il lavoro nella maturità e la quiescenza al suo termine) è ormai sostituita da un’ ininterrotta successione di momenti di ap­ prendimento che si snodano lungo tutto l’arco della vita. Le politiche euro­ pee parlano della formazione permanente quale strumento propulsivo dei

Ruolo delle istituzioni

La scuola è ovunque

Autonomia e intenzionalità

processi emancipativi individuali teso a migliorare conoscenze, abilità e com­ petenze, in una prospettiva civica, sociale o lavorativa, ovvero in vista dell’au­ torealizzazione, dell’ inclusione sociale e della partecipazione attiva alla so­ cietà della conoscenza (Commissione delle Comunità europee, 10 01). L ’educazione degli adulti si inserisce in questo quadro attraverso quegli in­ terventi che non rientrano direttamente nell’obbligo formativo, né nella for­ mazione (professionale o continua), ma si pongono sul piano dello sviluppo organico e complessivo del potenziale umano. La formazione, in questo caso, non origina dall’esigenza di acquisire un titolo di studio o una certificazio­ ne, né è mossa da espliciti obiettivi di avanzamento professionale, quanto, piuttosto, dal bisogno di realizzazione personale. Si tratta di percorsi, tal­ volta non lineari, che prendono avvio da interesse e curiosità, si intrecciano con il bisogno di conoscere, conoscersi e migliorarsi, aumentare il benesse­ re, l’autonomia e l’autostima. Concretamente possono essere annoverate in questo ambito attività tra loro diversissime: partecipazione al volontariato sociale, espressione artistica e musicale, attività sportive, frequenza di corsi di informatica, lingua straniera, fotografia, cucina o di qualsiasi altro tipo. Ciò che per qualcuno è un ambito di lavoro, per altri, nel tempo libero, diviene oggetto di interesse: il cinema, la musica, il teatro, lo sport, l’ informatica, la pittura.

N ell’educazione degli adulti è centrale il concetto di autonomia: l’apprendi­ mento prende la forma di un processo di autorealizzazione che si avvale delle esperienze pregresse e consente progressivamente di aumentare la fiducia nel­ le proprie capacità (Candy, 1991). Si parla anche di lifewide learning, ovvero di un apprendimento permanente e pervasivo, all’ insegna dell’autodetermi­ nazione, mediante il quale l’ individuo alimenta la fiducia in sé quale sogget­ to inserito in una società e in un’economia basate sulla conoscenza (C om- missione delle Comunità europee, 2000, p. 21). L ’ intenzionalità è dunque la molla da cui parte il cambiamento e l’apprendimento è un processo trasfor­ mativo che conduce a espandere la consapevolezza, il pensiero autonomo e quindi le potenzialità soggettive (Mezirow, 2003). Si tratta di una formazio­ ne autodiretta o “autoformazione”, che prende spesso le mosse dalle situazio­ ni quotidiane (Rubenson, 1997) e che lascia stabilmente all’adulto il control­ lo degli obiettivi e dei livello di impegno e coinvolgimento. La pratica autobiografica è, in questo senso, una metodologia emergente e particolar­ mente congeniale all’educazione degli adulti (Demetrio, 1996). L ’esigenza di raccontarsi, di esprimersi e comunicare le proprie esperienze ed emozioni rappresenta un’esigenza primaria degli individui. L ’apprendimento, in età adulta, richiede momenti di confronto e di dialogo; cosa che, ad esempio, avviene in rete e in luoghi di aggregazione come associazioni, circoli cultura­ li o di volontariato. Nel Nord Europa sono diffuse esperienze denominate “circoli di studio”. Si tratta di piccoli gruppi che si riuniscono - solitamente nei locali messi a disposizione dagli enti locali - per approfondire la

cono-scenza di tematiche di interesse comune attraverso lo scambio di informazio­ ni, la discussione guidata, l’esperienza diretta e lo svolgimento di attività pra­ tiche. Non è dunque sorprendente se Facebook e altri social network stanno riscuotendo un enorme successo anche tra gli adulti (Brenner, Smith, 2013; Steinfield, Ellison, Lampe, 2008).

Dal punto di vista della didattica, uno degli aspetti di maggiore interesse è la Andragogia

trasformazione dei ruoli. Il formatore, quando presente, è soprattutto un ac­ compagnatore esperto: viene meno l’ insegnamento diretto e si prediligono le dinamiche di interazione, aiuto e sostegno. Riferimenti concettuali si ritro­ vano nel costrutto di andragogia*, una teoria dell’apprendimento ed educa­ zione degli adulti elaborata da Malcom Knowles (1993) a partire dai contri­ buti di Lewin, Rogers e Maslow.

N ell’andragogia si sostiene che nell’adulto sono presenti motivazioni e mo­ dalità di apprendimento diverse rispetto a quelle del bambino. Il bisogno di conoscere è in età adulta un modo per aumentare la consapevolezza, la sicurezza e la qualità della vita, ma ogni nuova conoscenza deve muovere dall’esperienza di cui l’adulto è già latore. Per lui sono di vitale importan­ za il rispetto e l’autonomia da cui discendono i livelli di motivazione e la disponibilità a mettersi in gioco. In particolare, come già sottolineato da Rogers (1973), è indispensabile che non venga compromessa la considera­ zione positiva che l’adulto ha di sé, a partire dal rispetto per il proprio Io ideale, ovvero quello che il soggetto pensa di essere o di voler essere. Il ruolo del formatore è pertanto quello del facilitatore, di una guida discreta capace di ascoltare, di entrare in rapporto empatico e di contribuire a predisporre l’atmosfera adeguata affinché si sviluppino processi autonomi di appren­ dimento. Analogamente le istituzioni (agenzie, enti, associazioni) possono promuovere, sostenere e facilitare occasioni di apprendimento a partire dal riconoscimento della forte incidenza delle motivazioni individuali, delle esperienze pregresse, della rilevanza del bisogno di concretezza e autonomia dell’adulto.

Gli ambiti sopra delineati (didattica scolastica, universitaria, della formazio­ ne professionale e continua, extrascolastica e dell’educazione degli adulti) si intrecciano, come anticipato, con altre caratterizzazioni della didattica: tec­ nologica, speciale e interculturale. Si tratta di prospettive trasversali capaci di filtrare e caratterizzare gli interventi definendo le sensibilità e gli approcci con cui questi debbano essere attuati.

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. Didattica tecnologica

La didattica tecnologica ha al centro della propria riflessione le tecnologie se­ condo due principali accezioni: quella dell’ Educational Technology e quella della Media Education. I due indirizzi di ricerca, pur provenendo da matrici culturali assai diverse, tendono oggi a trovare numerosi punti di convergenza.

Educational Technology

Media Education

L ’ Educational Technology guarda alle tecnologie come a dei dispositivi fisici e concettuali per insegnare e apprendere; si sviluppa nel secondo dopoguer­ ra, inizialmente a partire da suggestioni provenienti dal comportamentismo e dal cognitivismo e, più recentemente, dal costruttivismo. Al suo interno si possono distinguere due orientamenti (Calvani, 2.004): il primo, quello delle “tecnologie dell’ istruzione”, ha portato a sviluppare metodologie e approcci connessi alle finalità stesse dell’ istruzione (istruzione programmata, tecniche di individualizzazione, istruzione a distanza), il secondo, quello delle “tecno­ logie per apprendere” (la tecnologia come mezzo per l’apprendimento,

learning with technology), parte dagli strumenti, in particolare i media quali

tv, computer, tablet, reti telematiche, valutando come questi possano diven­ tare ambienti capaci di favorire apprendimento.

La Media Education (cfr. riquadro 2), le cui origini culturali sono da ricercar­ si all’ interno della cosiddetta teoria critica (Scuola di Francoforte, in partico­ lare nei lavori di Horkheimer, Adorno, Fromm e Marcuse), prospettiva di ri­ cerca interessata, tra l’altro, a smascherare il potere di controllo sociale esercitato dai massmedia, si è tradizionalmente occupata delle dimensioni etiche del rapporto con i media e della necessità di una criteriologia educativa relativa al loro uso (la tecnologia è dunque oggetto di apprendimento, Learn­

ing about technology). Fino a una ventina di anni fa il problema riguardava

principalmente la televisione; l’avvento recente dei nuovi media digitali (per­ sonal computer, multimedialità, Internet) ha sensibilmente ampliato e diversificato le problematiche didattiche, ponendo quesiti sul come interveni­ re o chi, e in quale modo, dovrebbe definire linee orientative sulle modalità di utilizzo. Un aspetto che ha assunto grande rilevanza a partire dai primi anni del nuovo millennio è proprio quello della competenza digitale, una delle otto competenze di base indicate dal Parlamento europeo (European Union, 1006). Con essa si intende la capacità che dovrebbero possedere le nuove ge­ nerazioni di agire in un mondo sempre più caratterizzato da tecnologie, con familiarità ma anche con capacità critica. Si tratta in altre parole della capaci­ tà di selezionare informazioni pertinenti e affidabili, di comportarsi in modo responsabile ed eticamente corretto sulla rete, evitando sia i rischi legati alla sicurezza personale (adescamento, truffa, furto di identità), sia comporta­ menti lesivi dei diritti degli altri (offese, cyberbullismo) (cfr. Calvani, Fini, Ranieri, 2010).

Uno dei campi privilegiati di intervento della didattica tecnologica nel suo in­ sieme riguarda ovviamente gli impieghi che ne possono essere fatti all’interno dei contesti formali dell’apprendimento: istruzione (la scuola e l’università) e la formazione. In ognuno di questi ambiti le tecnologie contribuiscono alla trasformazione degli spazi, dei tempi e dei modi dell’apprendimento. Spazi perché aule e laboratori sono sempre più caratterizzati da tecnologie diffu­ se: le reti W I - F I , che consentono la connessione dei dispositivi gestiti diretta- mente dagli studenti per ricerche e attività di lavoro direttamente dal proprio

banco; le LIM (lavagne interattive multimediali), che stanno diventando una presenza piuttosto diffusa in molte scuole italiane; i tablet e i supporti multi­ mediali che si affiancano ai libri di testo quali strumenti di studio.

Che cosa significa questa presenza di tecnologie negli spazi dell’istruzione e della formazione? Quale spazio possono avere le tecnologie che gli studenti già usano nella vita quotidiana e che, sempre più spesso, sono accolti anche nelle scuole (secondo la filosofia del Bring your own device, BYOD*, “porta il tuo dispositivo”)? Significa dover ripensare la collocazione di banchi e catte­ dre e, soprattutto, riconcettualizzare la didattica in forma più partecipata e interattiva. Gli strumenti diventano, tra insegnanti e allievi, un terzo sogget­ to di cui è necessario gli insegnanti tengano conto. Accanto ai libri, e alla loro testualità, si affiancano altre tipologie di fonti da consultare e attraverso le quali apprendere: video, registrazioni (podcast), simulazioni, giochi didatti­ ci interattivi. Un fenomeno in larga ascesa è poi quello del mobile learning* (cfr. riquadro i), ovvero l’apprendimento ubiquitario con l’ausilio di dispo­ sitivi mobili quali smartphone, tablet, MP3 player, netbook (Ranieri, Pieri, 2014).

Tutto questo cambia, conseguentemente, la scansione dei tempi dell’appren­ dimento anche nelle istituzioni tradizionali. In numerose scuole si sperimen­ ta il capovolgimento della lezione, sul modello della cosiddetta flipped

classroom*, ovvero dell’ idea di assegnare ai media (tipicamente dei video) il

compito della “spiegazione” di ogni nuovo argomento invertendo così i tem­ pi di lavoro: lo studio avviene prima, a casa, attraverso i media, mentre a scuola si discute, si applicano i concetti e si svolgono attività di approfondi­ mento.

L ’avvento di Internet ha contrassegnato considerevolmente la didattica tecnologica (Calvani, 2009). Con la rete hanno fatto la loro comparsa gli ambienti per l’apprendimento online, rivolti in particolare alla formazione professionale, universitaria e adulta. L ’e-learning, a partire dagli inizi del nuovo millennio, è diventato un nuovo contesto operativo utilizzabile sia in maniera esclusiva che blended, ovvero mista, con integrazione di momenti in presenza e momenti online.

L’e-learning ha dato vita a innumerevoli esperienze, oltre che a una considere­ vole quantità di ricerche in parte connesse a quelle sullTnstructional Design, finalizzate alla progettazione di materiali didattici {learning object), ambienti e modalità di lavoro. L ’e-learning si concretizza e declina in almeno tre forme principali: erogativa, interattiva individuale o collaborativa (Ranieri, 2005). Attraverso specifici strumenti, denominati piattaforme o learning manage­

ment systems, nel primo caso (modalità ergativa) il docente fornisce materiali

didattici multimediali in modalità asincrona o in streaming; nel secondo caso gli studenti hanno la possibilità di interagire ed essere seguiti e accompagnati da docenti e tutor; nel terzo caso possono confrontarsi tra loro (sotto la super- visione di un tutor) attraverso forum, blog e spazi di scrittura condivisa.

Re-B Y O D

Flipped classroom

Rilevanza degli aspetti gestionali

centemente con il cosiddetto web 2.0, paradigma che vede la rete soprattutto come spazio sociale di comunicazione oltre che di costruzione e condivisione di contenuti prodotti dagli utenti, si sono aperte nuovi scenari anche per la formazione. Si parla di e-learning z.o (Bonaiuti, 2006) per indicare i processi di insegnamento e apprendimento che si sviluppano al di fuori degli spazi isti­ tuzionali (le piattaforme) a iniziare dalla valorizzazione delle risorse e degli strumenti di collaborazione preesistenti in rete. Il web nel suo insieme diventa un luogo di apprendimento esteso, capace peraltro di ridurre la separazione tra i momenti dell’apprendimento formale e informale.

Lo spazio di azione della didattica tecnologica, oggi più che mai, è dunque quello della competenza nella progettazione e gestione di processi di appren­ dimento in contesti informativi e strumentali ampi e flessibili, ovvero di una sensibilità alle potenzialità delle tecnologie nell’attenzione alla sostenibilità e all’ecologia complessiva dei contesti di studio e di lavoro.

r iq u a d r o 2 M ob ile learn in g e Media Education

Con l’espressione mobile learning ci si riferisce, in generale, all’utilizzo delle tecnologie mo­ bili (ad es. smartphone e tablet) per insegnare e apprendere nei diversi contesti formativi, formali e informali, facendo leva sulle affordances tipiche di tali dispositivi quali: portabilità e flessibilità, multifunzionalità, ubiquità e facilità di accesso, multimedialità, multitouch e possesso personale (Ranieri, Pieri, 2014).

Questa nuova modalità formativa affonda le proprie origini negli anni Ottanta con la spe­ rimentazione in ambito scolastico dei primi computer portatili, tra i quali Microwriter, un dispositivo ideato per attività di scrittura, e Psion, un computer portatile utilizzato soprat­ tutto per l’insegnamento della lingua inglese. Tuttavia, il mobile learning ha cominciato a diffondersi in modo più ampio solo dalla metà degli anni Novanta, grazie ad alcuni progetti di ricerca volti a esplorare le potenzialità didattiche di una nuova generazione di tablet p c e

Personal Digital Assistant (p d a).

Sharpies (2006) ha indicato tre fasi principali nella storia del mobile learning dagli anni No­ vanta a oggi, ciascuna caratterizzata da un focus specifico.

Fase 1 L’enfasi è stata posta sui dispositivi tecnologici: la domanda guida che ha carat­

terizzato gli albori del mobile learning può essere così formulata: “Quali dispositivi mobili (in particolare p d a, tablet, computer portatili e telefoni cellulari) utilizzare in contesto educativo per insegnare e apprendere?”. Ponendo al centro le tecnologie, in un primo momento si è cercato soprattutto di trarre vantaggio dalle affordances di strumenti quali l’e-book, i rispon­ ditori, i palmari, gli strumenti di data logging e i learning objects riutilizzabili.

Fase 2 È dominata dal focus sull’apprendimento fuori dall’aula. L’approccio tipico di

questa fase si distingue per l’attenzione posta sull’apprendimento fuori dalla classe, che ca­ ratterizza diversi progetti orientati a esplorare le affordances dei dispositivi mobili a suppor­ to di gite scolastiche, visite ai musei, sviluppo professionale, apprendimento bite-sized (di piccole dimensioni) e crescita personale.

Fase 3 L’interesse si è spostato sulla mobilità dello studente: la progettazione di spazi

di apprendimento, l’apprendimento informale e il lifelong learning. In generale, si tratta di esperienze formative basate su sistemi di apprendimento centrati su realtà mista e/o aumen­ tata nell’ottica di arricchire l’attività di costruzione di significato da parte dello studente, con­ sentendogli di partecipare a un ambiente mediale ricco, contraddistinto dalla combinazione di oggetti reali e virtuali, dall’utilizzo di input sensoriali e dalla possibilità di collocare gli oggetti di apprendimento virtuali nel mondo reale e di interagire virtualmente con un mondo ibridato (reale e virtuale). Gli studenti possono costruire contenuti e collocarli nel contesto

mediante il proprio cellulare o tablet, al quale possono accedere anche altri studenti, aggiun­ gendo ulteriori contenuti.

Sul piano teorico, gli approcci pedagogici che hanno ispirato la progettazione di mobile

learning nel tempo vanno dal comportamentismo al costruttivismo, nelle sue varie declina­

zioni. Attualmente, molta enfasi viene posta sul potenziale del mobile learning per la perso­ nalizzazione e l’apprendimento situato.

La Media Education (m e) è un settore disciplinare impegnato da tempo nella riflessione sui media intesi come oggetto, strumento e spazio del processo educativo. Storicamente si possono distinguere tre fasi principali che hanno caratterizzato la storia di questa area di ricerca: la fase del “discernere e resistere”, quella dei “media come arti popolari” e infine quella della “demistificazione”. A queste si può aggiungere una fase più recente, che David Buckingham (2006) indica come la fase “preparatoria”. La prima fase, quella del discernere e resistere, si sviluppa negli anni Trenta-Cinquanta e vede il predominio di quello che Len Masterman (1997) definisce l’approccio inoculatorio 0 morale, di taglio marcatamente difensivista e ancora oggi diffuso tra alcuni educatori. I media vengono visti al tempo stesso come dotati di un potere illimitato e come portatori di disvalori: da un lato, con un richiamo alle visioni pessimistiche dei teorici della Scuola di Francoforte, in particolare Horkheimer e Adorno, ai media viene ascritto il potere di esercitare una forte influenza negativa sui giovani attraverso la falsità ideologica e la manipolazione commerciale; dall’altro, i media vengono interpretati come strumenti che veicolano contenuti e valori superficiali piuttosto che i grandi valori di alte forme di produzio­ ne culturale come la letteratura. Questa visione dei media come agenti di declino culturale ha favorito, sul piano educativo, l’idea secondo cui la scuola deve proteggere i giovani dai media incoraggiando la conoscenza di forme superiori di arte e letteratura. Questa istanza si è tradotta in due diverse reazioni da parte degli educatori: ignorare ovvero lasciare che la scuola si occupi solo della cultura alta (ad es. la letteratura e le arti figurative), tralasciando il resto; oppure discernere e resistere promuovendo nei giovani la capacità di discernimento e di comprensione dei messaggi manipolatori e ideologici. La seconda fase, quella dei media come arti popolari, inizia negli anni Sessanta e, grazie all’influenza dei cultural studies, che mettono in discussione la distinzione tra cultura alta e bassa, porta a un primo “arretramento” dell’approccio inoculato- rio. Forme di cultura popolare, in particolare il cinema, cominciano a trovare un riconoscimento per la loro rilevanza culturale e fanno ingresso anche nella scuola. Tuttavia, la questione del “valore” dei media rimane predominante e resta vivo l’obiettivo di insegnare a discriminare tra contenuti mediali di alta e di bassa qualità, ad esempio distinguendo tra film di buona e di bassa qualità. Nella terza fase, quella della demistificazione, che ha inizio a partire dalla metà degli anni Settanta e prosegue per tutti gli anni Ottanta, la m e conosce una nuova e fortuna­ ta stagione, che porta all’abbandono definitivo degli approcci protezionistici e allo sviluppo di interesse per media tradizionalmente esclusi dalla scuola come la televisione e i telegiornali. Decisivi sono i contributi della semiotica, delle teorie sull’ideologia e degli studi sull’analisi della produzione e del consumo. Il più significativo contributo della semiotica alla m e si può riassumere nel cosiddetto principio della non trasparenza dei media, secondo cui i media non presentano la realtà, ma la rappresentano, non sono un riflesso naturale e neutrale della realtà, ma una loro interpretazione. I media sono insidiosi nella misura in cui naturalizzano l’artificio, presentano cioè quella che è una costruzione simbolica degli esseri umani come se fosse qual­ cosa di naturale. Sempre in questi anni, l’interesse verso la teoria critica e il marxismo porta a consolidare l’interesse per l’analisi delle dimensioni ideologiche all’interno dei corsi di m e. Sul piano educativo, il principale obiettivo diventa la demistificazione: si tratta di far comprendere ai giovani che i media non sono appunto trasparenti e che occorre quindi sottoporre i contenuti mediali ad accurate operazioni di decostruzione/disvelamento per portare alla luce le ideologie sottese, funzionali all’egemonia culturale dei gruppi dominanti. Nell’ultima fase, quella pre­ paratoria, che va dagli anni Novanta in poi, si registra l’abbandono progressivo del paradigma difensivista e l’affermazione di una nuova visione del ruolo della m e, che si propone ora come strategia di empowerment ed emancipazione culturale. Preso atto dell’inefficacia degli approcci

Didattica

e pedagogia speciali

protezionistici, l’obiettivo non può più essere quello di difendere i giovani dai media, ma di prepararli ad assumere decisioni consapevoli: oggi la m e è intesa soprattutto come educazione all’uso consapevole dei media, con uno slittamento dalla difesa alla consapevolezza. In pratica ci si propone di favorire nei giovani, da un lato, la capacità di leggere e comprendere critica- mente e in senso ampio i media, considerando anche fattori sociali ed economici; dall’altro, di promuovere la capacità di scrivere e produrre testi mediali per favorire partecipazione attiva e forme più democratiche di produzione mediale.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla rivista “Media Education. Studi, ricerche, buone pratiche” (http://riviste.erickson.it/med), promossa dall’Associazione italiana di educazione ai media e alla comunicazione, nonché ai lavori di Cappello (2009), Ceretti, Felini, Giannatelli (2006), Felini, Trincher (2015), Parola, Robasto (2014), Parola, Rosa, Giannatelli (2013), Ra­ nieri (in corso di stampa), Rivoltella (2005). (m r)

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