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Didattica speciale

Nel documento 229 00186 (pagine 129-133)

Gli ambiti della didattica

7. Didattica speciale

La didattica speciale, spesso denominata anche come didattica dell’ inclusio- ne (o inclusiva), si occupa di studiare e promuovere le pratiche migliori per favorire l’ integrazione e la piena valorizzazione di ogni individuo. Questo ambito della didattica, sviluppatosi inizialmente attorno ai temi della

disabi-lità, ha recentemente ampliato il suo campo di azione includendo quanti, per ragioni diverse, incontrano o possono incontrare - anche temporaneamen­ te - difficoltà nell’apprendimento. L ’obiettivo dell’ inclusione all’ interno dell’ istituzione formativa rappresenta il primo passo verso una più ampia integrazione nella società, nello spirito dei principi sanciti dallo Statuto di Salamanca (u n e s c o, 1994). In questo documento, sottoscritto dai rappre­ sentanti di 92 governi e di 25 organizzazioni internazionali e oggi recepito dagli ordinamenti di tutti i paesi dell’ Unione Europea e di numerose nazioni al mondo, viene affermata l’ importanza di concetti quali: il diritto universale all’ istruzione; il rispetto di caratteristiche, interessi, predisposizioni e neces­ sità di apprendimento peculiari di ogni soggetto; l’esigenza di sistemi educa­ tivi e programmi di studio capaci di tenere conto delle diversità; l’ importan­ za di non discriminare integrando tutti gli individui nei normali circuiti educativi.

Nel corso degli anni si sono avuti costanti sviluppi sia sul piano concettuale sia su quello normativo. Nel mondo della scuola, ad esempio, è possibile in­ dividuare una trasformazione nella sensibilità alla questione della disabilità a partire dal passaggio dal concetto di inserimento a quello di integrazione e, infine, di inclusione. A livello normativo il termine “inserimento” è stato uf­ ficializzato dall’art. 28 della legge 30 marzo 1971, n. 118, quello “integrazione” dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, quello di “inclusione” dalla convenzione dell’ ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’ Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18. Il termine “inserimento” si afferma con l’apertura delle classi ordinarie ai soggetti precedentemente confinati in classi differen­ ziali e in istituti speciali. L ’ inserimento rappresenta una grande conquista, ma non determina l’alterazione delle strutture e delle finalità di fondo della scuola, che rimangono sostanzialmente le stesse. L ’ inserimento non presup­ pone cioè il cambiamento, ma solo l’accoglienza. Dagli anni Ottanta si ini­ zia a parlare di integrazione, a sottolineare l’esigenza di un impegno mirato all’ incontro tra i soggetti e le diverse culture presenti in classe. Gli alunni con disabilità non sono solo presenti in classe ma contribuiscono, al pari de­ gli altri, al lavoro didattico. Inclusione è un concetto ancora più radicale: implica che la scuola, dalle sue fondamenta, venga concepita in modo tale da consentire a chiunque, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche, psicologiche o culturali, di poter realizzare il pieno sviluppo delle sue poten­ zialità. La prospettiva inclusiva (Canevaro, Mandato, 2004; Cottini, 2004; Canevaro, 2007; D ’Alonzo, lanes, 2007; Pavone, 2010) rappresenta una svol­ ta fondamentale: vivere in contesti formativi comuni, infatti, oltre a essere un valore essenziale in sé, produce senso di vicinanza affettiva ed emotiva, valorizzazione e sicurezza, diventando il mezzo per raggiungere potenzialità di sviluppo a prescindere dalle condizioni personali e quindi dalla disabilità (Zappaterra, 2010; 2012).

distur-B E S

U D L

bi dei soggetti con bisogni speciali (vedi il periodico aggiornamento del DSM,

Diagnostic and Statistical Manual o f Mental Disorders), oggi c 'è una diffusa tendenza a sottolineare le capacità dei soggetti, piuttosto che i loro deficit. La condizione di disabilità è vista come dipendente dalle richieste dell’ambien­ te - fisico, culturale o sociale - nel quale le persone si trovano a interagire. La recente Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute (i c f, International Classification o f Functioning), elaborata dall’Organizzazione mondiale della sanità (w h o, 2001), porta a vedere la questione in una prospettiva nuova e mostra come la disabilità non coincida con il soggetto che ne è portatore, ma con la possibilità di partecipazione e integrazione del soggetto nell’ambiente di riferimento. L ’accento viene cioè posto sulla rimozione degli ostacoli ambientali e sociali e sul contributo che può essere impresso alla messa in opera dell’ inclusione.

A livello internazionale si parla di bisogni educativi speciali (b e s)* proprio per riferirsi a quella vasta categoria di necessità che derivano da situazioni ostacolanti per l’apprendimento e lo sviluppo. Sono quindi comprese nei

b e s diverse casistiche previste dalla legge 104/1992. (disabilità fìsiche, senso­ riali e psichiche nelle diverse forme e accezioni), ma anche disturbi specifici di apprendimento, deficit da disturbo dell’attenzione e dell’ iperattività e

molte altre ancora. La normativa italiana deriva la normativa sui BES proprio

dalla Classificazione internazionale del funzionam ento (i c f) e, in questo sen­ so, sottolinea come ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, possa manifestare esigenze per motivi fìsici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta. Pensiamo ai problemi familiari e sociali che determinano deficit nell’autostima, ai problemi di motivazione che na­ scono dall’essere straniero, al disagio derivante da problemi economici o di altro tipo presenti in famiglia.

In questa prospettiva un’ interessante proposta operativa è rappresentata dall’ Universal Design Jo r Learning (u d l)*, un modello di progettazione e di attuazione dell’ istruzione sviluppato negli Stati Uniti per consentire a tutti gli studenti di acquisire le conoscenze, le capacità e l’entusiasmo per l’ap­ prendimento (Rose, Gravel, 10 0 9 ). L ’u d l recupera i principi della progetta­ zione universale in architettura, dove la sfida di realizzare edifìci e strumenti accessibili porta un benefìcio per tutti (gli scivoli per l’accesso ai marciapiedi sono utili a chi usa le sedie a rotelle, ma anche a mamme con passeggini e anziani con i carrelli della spesa), suggerendo di introdurre, in educazione, un ventaglio ampio e diversificato di possibilità di accesso ai contenuti da apprendere. Si parla anche di multimodalità, ovvero della possibilità di offri­ re uno stesso contenuto in modi e forme diverse mediante l’ impiego di più codici linguistici e di schemi espositivi e di lavoro diversificati per caratteri­ stiche cognitive e conoscitive, linguistiche, sensoriali e motorie. Le tecnolo­ gie possono in questo senso facilitare il lavoro, soprattutto se il loro impiego

viene accompagnato da un’attenta predisposizione di materiali e da un accu­ rato impegno progettuale finalizzato all' allestimento di opportunità di stu­ dio e di lavoro ricche e, al tempo stesso, flessibili.

Va riconosciuto che la ricerca nell’ambito dei soggetti con bisogni speciali sta registrando significativi avanzamenti. Accanto a quelli che provengono dalla medicina (si pensi ad esempio agli impianti cocleari per non udenti), alle tecniche di diagnostica con neuroimaging che permettono di visualizzare le aree cerebrali che si attivano nei diversi compiti e che quindi consentono di conoscere sempre meglio i meccanismi neurologici che sono alla base dei va­ ri processi, significativi apporti vengono anche dalle scienze cognitive e dalla ricerca didattica in ottica evidence-based (Mitchell, 2008; Calvani, 2012; Cottini, Morganti, 2015). In molti casi sono ormai disponibili procedimenti affidabili per intervenire con ragionevoli successi in ambiti fino a qualche anno fa considerati non trattabili, come la dislessia o l’autismo.

I DSA, ovvero i disturbi specifici di apprendimento quali dislessia, disgrafia, disortografìa, discalculia, sono una delle tematiche al centro del dibattito e di numerose ricerche a livello nazionale e internazionale (Chiappetta Cajo- la, 2014). In Italia uno specifico intervento normativo, la legge 8 ottobre 2010, n. 170, ha avuto il merito di indicare alle scuole e agli insegnanti il di­ ritto allo studio di quegli studenti che, un tempo, venivano etichettati come svogliati, perché, a parte lo “specifico” disturbo, hanno quozienti intellettivi nella norma e non manifestano nessun’altra difficoltà (Stella, 2013). La por­ tata di questa legge va oltre il fatto di aver indicato alle scuole l’esigenza di percorsi mirati (ad es. strategie didattiche appropriate, strumenti compensa­ tivi e misure dispensative), arrivando a promuovere nel corpo docente una maggiore sensibilità verso tutte le differenti modalità di apprendimento pre­ senti in classe.

Quando le difficoltà soggettive sono particolarmente severe è comunque ne­ cessario ricorrere a una programmazione personalizzata che parta dalle esi­ genze dell’alunno per arrivare a formulare piani di intervento mirati. La scuo­ la italiana sviluppa la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’ inclusione, rimarcando il fatto che la ricerca di strategie organizzative e didattiche mirate deve essere considerata normale prassi nella progettazione dell’offerta formativa. Si vedano in questo senso documenti istituzionali qua­ li le L inee guida per l ’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009, le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con

disturbi specifici d i apprendimento del 2011 e la direttiva del MIUR Strumenti d ’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territo­ riale per l'inclusione scolastica del 2012. L ’approccio assunto dalla normativa è

quello di “cura educativa” che si esplica in percorsi formativi individualizzati, dove è prevalente l’attenzione all’apprendimento piuttosto che all’ insegna­ mento e relativamente ai quali sono chiamati a collaborare più soggetti istitu­ zionali. Gli strumenti individuati, quello del Profilo dinamico funzionale

Nuove evidenze

D S A

Strumenti per l’intervento

Globalizzazione

(p d f) e del Piano educativo individualizzato (p e i), sono al tempo stesso sia momenti concreti in cui si esercita il diritto all’ istruzione e all’educazione dell’alunno con disabilità, sia piani di lavoro per gli insegnanti curricolari, i docenti di sostegno e altri operatori. L ’ idea è quella della personalizzazione, ovvero della predisposizione di una programmazione educativa adeguata alle esigenze e alle caratteristiche dell’ individuo nel rispetto dei suoi ritmi, dei suoi bisogni, dei suoi vissuti emotivi. Tali aspetti sollevano questioni specifiche e portano in primo piano l’esigenza di strumenti relazionali e comunicativi adeguati, come pure di strategie e metodologie speciali da selezionare e attiva­ re nelle multiformi situazioni concrete. Il pieno coinvolgimento delle risorse territoriali, dell’associazionismo e delle famiglie, assieme all’ impegno prima­ rio di non considerare il soggetto con handicap come un “problema”, sono tutti elementi capaci di far emergere come la diversità possa essere innanzitut­ to vista come un valore (Liporace, 2007; Mura, 2012; Mura, Zurru, 2013).

Nel documento 229 00186 (pagine 129-133)